“Guarda che facce! Guarda che facce serie! I bielorussi sono
sempre così” e mima un’espressione da pagliaccio triste “Non sorridono mai,
sembra che gli sia appena morta la mamma” ghigna Valery mentre ci avviciniamo
al posto di blocco del confine. Ha ragione, sembrano tutti comparse di un film
sui gulag siberiani. “Sarà la burocrazia tremenda per passare da un paese
all’altro, il timore di non avere le scartoffie a posto” gli dico. “No è che
qui fa sempre freddo. E la gente vive con 150 euro al mese. Poi succede come a
me, che con una multa te ne pelano 500 in un colpo solo. E tu sei fottuto!”.
Valery è bielorusso, ma vive in Spagna da 8 anni; ha
lavorato in mezzo mondo, dalla Russia a Cuba, e parla più o meno a gesti tutte
le lingue. Traffica sul confine, porta cose di qua e di là. Lo fa con una
biciclettina Decathlon pieghevole. Ma mi dice che a casa (quale? Dove?) ha una
Pinarello da 10.000 euro. E’ tutto vestito Armani, e me lo fa notare. Mi ha
presa in simpatia quando ha saputo del mio viaggio, e le due ore che servono a
passare tutti i controlli le passiamo insieme. Nel frattempo lui trova un amico
d’infanzia che non vede da 20 anni, che sta passando a piedi e si aggrega.
Parliamo in anglo-ispano-russo. Traduce per me quel che dicono i poliziotti
dall’enorme cappello, che fanno passare un’auto ogni mezzora (infatti c’è una
fila di oltre 10km prima del confine). Valery mi dice che qui non c’è modo di
sgamare; il confine è protetto, in tutta la sua lunghezza, da due muri
elettrificati, due di filo spinato e, ogni tot, una torre con vedetta. L’alt
viene intimato una volta sola. “Qui i negri non passano, non è come in Spagna e
in Italia e in Grecia, qui se rispondi male a un poliziotto finisci tre metri
sotto terra”. Sembra soddisfatto di questo. Io rabbrividisco, ma forse è solo
il vento gelido.
Superiamo pedalando ancora un po’ di auto ferme a motore
spento, primo controllo di visto, assicurazione e passaporto. Passato. La donna
in divisa sghignazza, Valery le dice che sono forte, sto andando in Russia in
bici. Lei si fa seria, probabilmente quel tizio è noto in queste terre di
confine. Non voglio sapere per quali meriti. Proseguiamo. Secondo controllo. I
viene dato un foglietto da compilare, tutto in russo. Mi dà una mano il losco
trafficone, tra una telefonata e l’altra. Dopo minuti lunghissimi, durante i
quali il mio passaporto viene sfogliato e rispogliato mille volte, il militare
mi timbra il visto. Ma non è mica finita. Ci sono ancora due controlli dei
documenti, e la perquisizione. Mi tocca svuotare le borse, aprire tutti i
sacchetti, aprire il portatile, il libro, il flacone di shampoo. Ben gli sta
che metton le mani nel sacchetto di mutande e calzini sporchi, peccato io non
abbia micosi da lasciargli in dono.
Insomma, ci son volute due ore. E considerando che in
Bielorussia cambia fuso, dall’inizio alla fine di quel kilometro frontaliero ne
son passate tre. Da presto è diventato tardi in un batter d’occhio. Valery,
intanto, mi dice che sta andando a sua volta a Grodno (Hrodna) a trovare sua
mamma, che è caduta in depressione dopo la morte del fratello e ora è un po’
fuori di testa. Si offre di darmi un passaggio, perché ha un furgone. Rifiuto.
Mi fa i complimenti, dice che questo è lo spirito, poi mi invita ad annusare
l’aria, che la terra qui ha un profumo più buono che in Polonia. Lo accontento,
tra l’altro è appena uscito il sole e lo sento, tiepido, sulla nuca. Una
sensazione meravigliosa, dopo il freddo della mattina. Arriviamo all’auto di
Valery, e lui, prima di salutarmi, vuole a tutti i costi offrirmi un gelato.
“Qui in Bielorussia c’è il gelato migliore del mondo. Perché il latte è buono,
e si fa con il metodo tradizionale”. Scopro che sta parlando di gelato
confezionato, al bar di un benzinaio. Fortunatamente l’hanno finito e,
sconsolato, mi dice che è rimasto solo gelato italiano. Quindi nulla. Valery fa
il piacione con le commesse, mi fa segno di notare quanto siano curate in
trucco e parrucco. Poi mi lascia il suo numero, mi dice di contattarlo per una
pizza stasera. Mi chiede se sono sposata, perché no, fa il verso agli uomini
italiani, secondo lui effeminanti. “Si fanno i peli!”. Finalmente mi molla e
parte clacsonando.
Alla frontiera sono arrivata facendo una strada senza senso.
In mezzo ai campi, non più in piano ma tra collinette
assassine. Ovviamente sotto ad una pioggerella malefica, fredda e fina.
Lejla
mi aveva detto di aspettare domani, a partire, che oggi sarebbe stato ancora
brutto. Me ne ha parlato mentre facevo colazione. Tartara, ovviamente: tè non
filtrato, insalata (erba raccolta nel prato, credo) con una specie di maionese
piena di aglio, peperoni e cetrioli crudi in separata sede e sconditi, panino
dolce con mattonella di burro, zuppa-semolino indecifrabile, insapore, mezza
fredda, probabilmente utilizzabile anche come intonaco o cemento. Perché la
differenza tra edulo ed edile è per borghesucci. Sarciccia. Ovetti. Stavolta
non sono riuscita a mangiare tutto, era davvero troppo anche per una volpe a
pedali.
Sono ripartita in fretta per evitare l’imminente temporale,
ma sulle prime salite mi sono subito data una calmata. Tanto mi sarei bagnata
ugualmente, tanto valeva farlo nella più imperturbabile pace dei sensi. Ed ecco
la pioggia. E il vento. Ma io sono pioggia. Sono vento. Sono terra. Sono legno.
Sono pietra. Sono tutto. E nel tutto m’impasto e m’amalgamo. Hanno detto che
siamo stati creati dal fango e con lo sputo. Torno alle origini, su queste
colline oblique senza senso.
E passo boschi e campi e paesini, mucche, cicogne e tutto il
comparto grigioverde di queste terre.
D’improvviso, dalla campagna profonda, mi
trovo davanti una fila impressionante di auto, e la direzione per il confine è
presto trovata.
Passato come s’è detto, ho percorso gli ultimi 20km in terra
Bielorussa. Le strade sono quasi deserte. Ci sono ancora i boschi alti, con le
betulle e i pini a guardia della foresta. Valery mi ha detto di passarci
dentro, in bici, a raccogliere funghi e mirtilli, che ce ne sono tantissimi.
Penso alle radiazioni, alla merda scaricata in terra, acqua e aria dai
complessi industriali sovietici. Penso ai funghi. Meglio di no, via.
Entro in
Grodno, città che storicamente è più polacca e lituana piuttosto che
(bielo)russa. Luogo di castelli, fortificazione e invasioni continue, di
stragi, di guerre casa per casa, cascina per cascina. Prima i russi, poi i
tedeschi, poi i russi di nuovo, Napoleone, i russi ancora, l’Armata rossa, i
nazisti, l’Urss e l’attuale “democrazia” di Lukasenko, che ha più del 90% dei
consensi da 12 anni. Una cosa normalissima, liberissima.. Dopo la seconda
guerra mondiale la popolazione, qui, s’era ridotta ad un terzo in cinque anni.
C’è stata la Resistenza, ma non è valsa a nulla. Ora è la quinta città del
paese, per numero di abitanti. Le culture si sono impastate, e ne resta traccia
nei numerosi edifici di culto: ortodossi, cattolici, evangelici, una sinagoga,
un tempio di uniati, architetture di discutibile grazia del realismo socialista.
Un T-34 con falce e martello accoglie chi entra in città,
per mettere in chiaro le cose.
L’ostello (sei letti, tre sedie, due tavoli, cucinino e
bagno) è proprio in centro, e ci si arriva percorrendo corso Lenin; gli unici altri ospiti sono una ragazza della mia
età, bielorussa, prof. d’inglese e suo fratello di 11 anni. Abbiamo parlato
tutta sera, lei era stupita del mio viaggio perché non sa andare in bici. Mi ha
parlato della scuola, qui. Insegna in una privata. Dice che ho la faccia da
giornalista, lo prendo come un complimento. Anche lei sfodera la storia dei
bielorussi che non sorridono mai. Mi dice che non è cattiveria, non è mancanza
di educazione. E’ un tratto culturale loro. Una cosa dovuta alla difficoltà di
campare da queste parti, con questa storia di schiene spezzate tra patate,
carbone e bagni di sangue, penso io.
Hrodna è un po’ bella
E un po’ orrenda
E romantica così
Tre domande: qualcuno mi spiega la differenza tra vecchi e
nuovi rubli, che qui si è appena cambiata valuta ed è panico e delirio per
tutti?
Perché non tutte le ciambelle escono colo buco (sì è carta
igienica)?
Cos’è questa entità, che alberga nel freezer dell’ostello?
Eccolallà, paese che vai, marpione che trovi. Questo però era un biel-marpione. Che poi il gelato bielorusso.... Andiam a caccia di bisonte europeo mo!
RispondiEliminaAHAHAHAHAH!!! Un tipo a tutto tondo. Mo voglio il gelato di latte di bisonte corretto vodka. Oh!
EliminaBei posti.........
RispondiEliminali lascio tranquillamente ai bielorussi
Grande e coraggiosa volpe ;-)
Oggi SOLE! Incredibbbbile :-)
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