Borodino, 6 settembre 1812.
E’ sera, la brezza fa rabbrividire quell’uomo piccolo dai
desideri immensi. Si alza il bavero della divisa, ha un brivido come di febbre.
Napoleone teme che i russi di Kutuzov, durante la notte, si ritirino verso
Mosca, prolungando ancora e ancora quella massacrante avanzata nel cuore della
terra degli zar. Vorrebbe finalmente una battaglia campale, decisiva, che gli
permetta di spezzare la resistenza del nemico.
Avrà lo scontro.
Avrà una vittoria.
Ma non avrà la Russia.
Da un lato ci sono 130.000 uomini della Grande armata, che
avanzano da mesi e sembrano esausti; lo si sente nel silenzio che regna tra le
truppe, la sera prima della battaglia.
Dall’altro 125.000 russi, pronti a morire per la patria.
Da un lato i veterani di Bonaparte esaltati ancora dai
valori della Rivoluzione. Libertè, egalitè. Fraternitè insomma.
Dall’altro uomini animati dalla volontà primordiale di
difendere la terra e le donne, i campi, le case.
Mentre Napoleone conforta i suoi generali, mostrando
un’accurata strategia d’assalto, tra le file russe passa in processione la
Vergine nera di Smolensk, che fa bruciare negli occhi dei soldati lacrime
bollenti di tradizione e patriottismo. Si levano preghiere come incenso, nel
crepuscolo che ormai scivola alla notte
Due mondi. Due giganti.
Alle 5 del mattino i francesi iniziano a posizionare i
cannoni. I nemici sono ancora lì, schierati. E lì restano, sotto al diluvio di
proiettili che falcia migliaia di uomini. Il terreno è sassoso e impervio, i
colpi rimbalzano e le schegge sono uno sciame di morte. L’intero esercito è
ammassato su un fronte di pochi kilometri, a file serrate. Muoiono sul posto, i
russi, uno sopra l’altro. Non hanno paura. O forse sì, ma non cedono.
La battaglia si protrae fino al tramonto. Si susseguono
scontri di cavalleria pesante e leggera, di fanti, di artiglieria. Tutto è
fumo, cadaveri, urla di rabbia e dolore. C’è così tanto sangue, a terra, che si
cammina in un fango rosso.
I francesi perdono 35.000 uomini. I russi 50.000. In 12 ore.
Alle 6 di sera l’esercito di Kutuzov si ritira in buon
ordine verso posizioni più arretrate, in direzione Mosca. E’ stato sconfitto.
Ma in maniera non certo decisiva. Napoleone ha lasciato sul campo troppi
soldati, tra cui tanti generali ed ufficiali. Non ha voluto lanciare
all’assalto la Guardia imperiale. Non ha spezzato la difesa russa. E si sta
dirigendo proprio verso le fauci spalancate dell’inverno moscovita che si
mangerà lui, le sue brame e la sua armata.
Napoleone sa di aver vinto una vittoria di Pirro. Tolstoj e
tanta tradizione parleranno della battaglia di Borodino (o della Moscova), di
quel 7 settembre, come una prova del coraggio e dell’amor di patria dei russi.
Una dimostrazione di forza. La Russia non si fa mettere il
giogo dai piccoli prepotenti d’Occidente.
La storia si ripete 220 anni dopo. A metà ottobre del ’41 i
nazisti conquistano la zona, arrivano fino alla città di Mozhaysk (dove mi
trovo ora). Ma è una vittoria solo momentanea, di pochi mesi. Il 20 gennaio ’42
l’Armata rossa riprende possesso delle città, e agli invasori non fa sconto
alcuno.
C’è persino un detto, in russo: “Spingere qualcuno di là da
Mozhaysk”; significa ricacciare il nemico indietro, lontano da Mosca.
Sarà per questo che anch’io son ferma qui, appiedata come
ieri?
La giornata è stata lunga e faticosa pure per me, con la mia piccola ed estiva campagna di Russia.
Questa mattina ho rimesso in sesto la Signora alla bell’e
meglio, con la camera d’aria vecchia e inaffidabile (eh, appunto). Ho passato
circa tre ore per le strade di Vyazma, battendo ogni negozio, centro
commerciale e mercato. Nessuno vendeva ricambi per bici. E’ stato frustrante.
Ogni volta venivo respinta con un sorrisetto ironico, tipo “Ma che cazzo vuoi?
Ripigliati e usa la macchina come tutti”. Che di meccanici d’auto è pieno.
Mancano i ciclisti, quelli sì. Però ci sono i residuati bellici.
E nulla, m’è toccato ripartire così, con una camera d’aria
che sapevo non avrebbe retto al peso e ai kilometri. Ho pedalato male, con
l’ansia di forare ad ogni sobbalzo. La giornata era anche bellissima, ma con la
Signora in ambasce e nessun ricambio le cose non potevano filar lisce.
Infatti.
Una buca, un’altra, e ho sentito la Signora scodinzolare in
modo anomalo. Gomma a terra, ancora.
Ero poco dopo Gagarin, città che si chiama così in onore di
Yuri, nato nel ’34 in un villaggio lì vicino.
Stavolta non avevo nemmeno la possibilità di riparare
alcunché, e m’è toccato mettermi lì buonina a bordo strada, in attesa di
qualche anima pia, un Sergej, un angelo in mimetica.
A recuperarmi questa volta è stato Andrej, taxista, chiuso
nel suo silenzio di sudore e dopobarba.
Sul cruscotto le icone e un santino a forma di dollaro.
Anche oggi l’ultimo pezzo di tappa s’è dovuto far così, e
cara grazia.
A Mozhaysk, dove sono tuttora, ho perso gran tempo a cercare
l’ostello. Perché era in questa via qui, in mezzo agli orti.
Si tratta di uno
dei luoghi più orridi in cui mi sia capitato di dormire. Uno studentato per giovani compagni poveri. Per fortuna son da
sola nella camerata. C’è puzza di marcio. L’acqua non è potabile e sulle
coperte camminano insetti di dubbia provenienza. Ma con 5 euro hai letto, bagno
e colazione. Un affare!
Appena arrivata, dopo le formalità con la spiccia Irina (e
la scimmia alle sue spalle)
mi son subito messa all’opera per riparare la Signora. Ho
anche trovato, in centro, un ciclista degno di tale nome.
MA. Qui si usano le
camere d’aria con la valvola cicciona, che non passa nel foro del mio
cerchione. Non se ne esce. Ho armeggiato tutto il pomeriggio, ma non c’è verso
di incastrare le due cose se non spaccando tutto peggio di quanto già non sia.
Ora, però, sono riuscita a mettere insieme una camera d’aria
più o meno buona, assemblando valvola, toppe e madonne. E di questo son felice.
Solo che mo il copertone fa le bizze e non sta al suo posto. Quando metto in
pressione c’è sempre un bordino che salta fuori, maledetto come Putin che
semina le graffette bucaiole sull’autostrada. Con tutto il prolasso di camera d’aria
che sbuca fuori e mi fa le pernacchie silenziose. Sta stronza.
Domattina mi toccherà l’ennesimo giro dal ciclista. Se trovo
un copertone (e perché no?) con la camera d’aria Frankenstein arrivo a Mosca.
Che oh, l’ingresso in città è proprio domani! Mi fermerò in periferia, così da
lasciarmi gli ultimi 10km, fino alla Piazza Rossa, tranquilli, dopodomani.
Quelli li faccio pure a piedi, chi se ne frega. L’importante è svoltare domani.
Di Mozhaysk, oltre ai vicini campi di Borodino, non ho visto
che il ciclista e la zona della stazione.
Ci sarebbero un paio di chiese meritevoli, ma vediamo come
si mette la situazione con la Signora. Non è in forma, non vorrei affaticarla.
Quel che ho visto, comunque, è una città affollata e
polverosa, piena di zingari, cani randagi, vecchie che campano a bordo strada e
barboni nella monnezza. Sembra di essere in un posto brutto del Medioriente. Ci
sono questi mercatini lucidi (crasi vorace di luridi + sucidi). Quest’umanità
da formicaio anarchico. Questa Fez alla latitudine sbagliata. Occhi sottili,
affilati come coltelli. Sorrisi da lupo sdentato, nel piscio delle luci al neon
delle insegne.
E pescetti. E pescioni.
Però c’è anche questo Impero della luce alla Magritte.
E questa ciminiera, che è evidentemente un uomo col cilindro
che fa una carezza sulla testa alla sua donna.
E io, che non
sfigurerei in una divisione di carristi russi a Berlino nel ’45.
(il polliche è in parte più scuro perchè esce dal guantino e si abbronza, stando sopra al manubrio. Gli altri diti invece son piegati nella presa e restan bianchi)
Che sono un po' sporca di stanchezza.
Tu...Tu...Tu...che non e' occupato ma il tuo essere al presente, immanente 💖
RispondiElimina:-)
EliminaOffre prestito e di finanziamento al 2%
RispondiEliminasi desidera ricevere un credito per
rompere la situazione di stallo che causa le Banche, dal rifiuto dei vostri
file dell'applicazione crediti
l'unico e-Mail:
-ALEXMARAN6116@gmail.com