Sono in una città che si chiama,
letteralmente, “tumulo funebre”.
Kurgan.
Tomba a tumulo nelle lingue slave
orientali e, indirettamente, in quelle turciche.
Per carità ha delle zone mica
tanto belle, ma addirittura definirla così mi pare eccessivo!
In realtà dietro a questo nome si
celano delle ragioni storiche interessantissime e, incredibilmente, non troppo
sanguinarie.
Qui si sono trovate numerose
tracce della cosiddetta cultura kurganica, un non ben definito insieme di
culture sviluppatesi fin dal 4000 a.C. e soprattutto poi nell’età del bronzo in
Asia centrale, Siberia, sugli Altai, in Mongolia… Insomma, da queste parti.
Rientrano nella dicitura tutte
queste culture che usavano seppellire i morti di alto rango in tombe a tumulo,
insieme a carri da guerra, gioielli e beni sacrificali; le tombe potevano poi
essere semplici fosse singole ricoperte da una collinetta o vere e proprie case
sepolcro o catacombe.
L cultura kurgan, che compare nel
Calcolitico sul Caucaso, si espande poi verso tutti e quattro i punti
cardinali, portando con sé non solo l’uso dei tumuli ma anche la lavorazione
della ceramica e della terracotta, la domesticazione del cavallo e l’ascia da
guerra in pietra.
La cosa interessante è che le
culture kurgan sono state identificate con i proto-indoeuropei, agli iranici di
Siberia e agli Sciti. A supporto dell’ipotesi indoeuropea di sono anche studi
che vorrebbero tutti i cadaveri inumati in kurgan, a prescindere dalla zona in
cui sono stati trovati, legati da una somiglianza genetica: alta statura,
cranio di identica forma e altre caratteristiche europoidi condivise. Stando a
queste evidenze, la teoria più in voga è questa: sulle coste del Mar Nero
abitavano alcune popolazioni indoeuropee che, nei millenni e a diverse ondate,
si espansero sia nei Balcani, sia nelle steppe asiatiche, sia in Russia e
Scandinavia.
Per intenderci: la terza ondata
di espansione indoeuropea, intorno al 2300 a.C., giunse anche in Grecia e
questi sono gli Elleni. Tutta l’Eurasia viene indo europeizzata dal punto di
vista linguistico (con la suddivisione successiva in centum-satem) e culturale.
Se ciò sia avvenuto con una pacifica diffusione o con violente invasioni ancora
non si sa, anche se gli studiosi propendono per la seconda ipotesi. Si diffonde
un’ideologia guerriera e patriarcale, che sostituisce quella più pacifica e
matriarcale della vecchia Europa; la dea madre, il femminino, legato alla
fecondità della terra viene sostituito dal culto del dio padre celeste, Zeus,
Dyaus, Giove. Queste tribù si impongono militarmente sulle popolazioni indigene
e impongono lingua, leggi, culti. Le menadi sono costrette a danzare di
nascosto nei boschi e con loro Dioniso viene esiliato ai margini della società,
il sangue e la terra e il sesso e il vino vengono segregati sui monti; nelle
città dominano Zeus, il padre dei cieli, e il candido, razionalisissimo Apollo,
che non suona per far ballare le donne e i fiori ma per produrre cifre
matematiche in armonia e perfetto equilibrio.
Insomma, indoeuropei a parte,
sono a Kurgan, sito di tombe a tumulo di età protostorica.
Invero la città in sé venne
fondata nel 1660 con il nome di Tsaryovo
Gorodishche da un ricco fattore, Timofey Nevezhin. E’ quindi una delle
più antiche della Siberia. La città assunse presto il ruolo di roccaforte a difesa
del principato russo dalle incursioni dei nomadi delle steppe che, comunque, in
più occasioni riuscirono ad impadronirsi della fortezza, bruciandola e
lasciandone solo macerie e cenere. La roccaforte divenne città solo sotto
l’impero di Caterina la Grande, nel 1782. Poi divenne centro dell’omonima
oblast, quale è tuttora, con tutte le sue sedi amministrative, le università,
le scuole, i musei, i teatri e tutto ciò che si trova nelle “capitali” di
queste regioni.
Anche di qui passa la
transiberiana, da cui a breve mi distaccherò, scendendo in Kazakistan, prima di
incontrarla di nuovo verso Omsk.
Ci sono tantissime industrie di auto e camion
e autobus, un centro all’avanguardia per la traumatologia (potrei sottoporre
loro i miei due braccetti bionici), una ex base militare dell’aviazione, famosa
durante la guerra fredda, e immensi tubi ovunque, perché qui è un gasdotto
unico; che si spera non abbia perdite, altrimenti basta una sigaretta accesa
nel posto sbagliato per far saltare in aria mezza città.
“Cantami di questo tempo
L'astio e il malcontento
Di chi è sottovento
E non vuol sentir l'odore
Di questo motore
Che ci porta avanti
Quasi tutti quanti
Maschi, femmine e cantanti
Su un tappeto di contanti
Nel cielo blu.”
L'astio e il malcontento
Di chi è sottovento
E non vuol sentir l'odore
Di questo motore
Che ci porta avanti
Quasi tutti quanti
Maschi, femmine e cantanti
Su un tappeto di contanti
Nel cielo blu.”
Come dicevo, alcune parti di
questa città non sono proprio bellissime, per usare un eufemismo.
Per fortuna ci sono dei fioroni
immensi un po’ sparsi ovunque che migliorano il panorama generale.
Sono in un ostello veramente
carino, dentro, ma davvero inqualificabile da fuori. Il Discovery Hostel è di
fatto introvabile. Sta in una corte di un vecchio complesso industriale
abbandonato e in rovina, dove sono sorti vari negozietti e bugigattoli. Per
altro condivide l’ingresso con un supermercato, come pare sia di moda qui, e
quindi per trovarlo ci ho messo una vita.
Poi le stanze sono belline e
pulite (io sono nella “Antartide”), la cucina ha tutto, i bagni sono divisi tra
maschili e femminili e la signora della reception è una grossa chioccia in
grembiule che si comporta da mamma premurosa con tutti. Come già capitato, sono
l’unica ospite femmina; per il resto sono lavoratori che vivono in ostello, in
camerata e con tutto in comune, per stare in centro città, e tornano a casa
dalle famiglie solo durante le vacanze e i weekend. Da noi una roba del genere
è impensabile; solo gli studenti, al massimo, lo fanno.
Stasera ho scambiato quattro
chiacchiere con un ragazzo che sta qui appunto per lavoro. Parla un po’ di
inglese e mi ha detto che fa l’ingegnere (lo ha affermato tirandosela un po’
troppo); mi ha chiesto che lavoro io faccia e, alla mia risposta, con poco
entusiasmo, ha domandato: “Quindi sai leggere le lettere greche?”. Be’ un
pochino sì. Ma poi sono quasi uguali alle vostre, capirai! E mi ha detto che è
stato in Grecia nel 2007 ma non vuole tornarci perché ha paura degli effetti
della crisi. Mi ha poi chiesto cosa ne pensassi dell’economia russa. Per farlo
contento gli ho detto che è una delle principali potenze mondiali, ma ciò lo ha
infastidito: “Una delle? E’ la principale potenza! America e Cina vengono
dopo!”… Se lo dici tu, ok. Poi mi ha chiesto se avessi figli. No. Ma quanti
anni hai? 26, sono ancora giovane per i figli! E lui, serissimo, ha risposto
che sua moglie ne ha 28 e sono già al quarto pargolo. Eh la madonna! Qui
comunque è così: una donna diventa tale solo quando procrea. Infatti le ragazze
han tutte molta fretta di sposarsi e figliare. Io anche no, grazie.
In proposito, ecco alcune delle
parti più degne di questa Kurgan: il monumento alla famiglia,
i soviet
dell’amore, con le due fedi sotto cui far le foto di fidanzamento e dove ci
sono tutti i lucchetti alla Moccia, pegno d’amore, di quell’amore catena, amore
palla al piede, amore chiuso a chiave, amore carcere, amore blindato che tutti noi sogniamo
fin da piccoli, come forma socialmente accettata di ergastolo.
Poi ci sono la cattedrale
Alexander Nevsky,
il parco bello con i giochi,
il monumento ai caduti in
Afghanistan
e una Nike con falce e martello sullo scudo.
Palazzi, università,
banche, strade belle da passeggiare, magari con un gelato nostalgico del CCCP,
sotto l’ombra di un Leninone che non ha ancora abbassato lo sguardo.
Immancabili i venditori di cose e gli annunci di dubbia moralità.
I più pignoli, a questo punto,
avranno già la domanda in canna.
Ma oggi hai pedalato per 250km?
Ebbene, no. Oggi è stata una
tappa sui generis.
La questione è semplice: tra
Chelyabinsk e Kurgan ci sono 250km abbondanti e in mezzo nessuna struttura per
fermarsi. Ce ne sono poco fuori dall’una e dell’altra città, ma nel mezzo si
stende tutta questa terra piatta e bassa di prati e boschetti e laghi senza un
accidenti maledetto di niente per fermarsi la notte. Esclusa l’idea del
campeggio libero (non mi fido e il clima non invoglia), delle due l’una: o
pedalare e farsi tutti questi kilometri one shot, o farsi dare una mano.
Siccome conosco i miei limiti e so che, se pure le gambe girano anche per
250km, la testa non regge strade dissestate e camion e filo di chiappa per
qualcosa come 12 ore, ho optato per la seconda scelta.
Ho fatto benissimo. Tutta la
strada è stato un delirio di lavori in corso, sensi unici alternati con i tir a
120 all’ora, zero bordo, catrame fumante. Sarebbe stato impensabile, per me.
Ieri sera ho messo il buon uomo
dell’ostello a parte dei miei crucci e lui, dopo un rapido grattarsi la barba, ha
tirato fuori dal cilindro il suo amico tassista (t’assista, come dio) che
lavora a Omsk ma sta qui a Chelyabinsk nel periodo estivo e però deve rientrare
a casa ed è di strada su Kurgan. Ottimo. S’è fissato l’appuntamento con Danil
per mezzogiorno.
La mattina, dopo una colazione
con mattonelle di cereali alla mia postazione The wall,
sono andata a salutare
Chelyabinsk, i suoi spazi grandi e il suo Lenin.
I cartelli di Basta e del
"Circo Sciapito" (traslitterazione precisa), che è un circo insipido, con i leoni vecchi e spelacchiati, i
clown che non fanno ridere e giocolieri che fanno cadere le clavette ogni tre
per due.
Poi via per un interminabile
numero di ore attraverso questa fetta di Siberia verdissima e buona a vedersi
in questa stagione calda.
Di Danil ho saputo che: sua moglie non lavora da quando è nato il loro unico filgio, Ilya, che si chiama così non come il profeta ma come un eroe dell'epos russo. Lui, sempre due anni fa, ha comprato il van con il quale lavora. Sa qualcosa di inglese, studiato a scuola, ma lo sta dimenticando. E' andato in vacanza, in passato, in Spagna e in Turchia. Sogna di tornare in Turchia, a Izmir, ma ora non ha i soldi. Quando Ilya sarà grande e si manterrà da solo, lui e sua moglie potranno finalmente andare in vacanza ad Izmir. Qui la benzina costa 0.5 euro al litro, il gas 0.10 euro al litro. La sua auto può andare con entrambi i tipi di carburante ma consuma molto. Meglio fare il gas, che è più economico. Quando si fa rifornimento si deve scendere dal veicolo e stare lontani dalle bombole, che manovra un'addetta. Mi ha chiesto dei prezzi del carburante in Italia ed è quasi svenuto a sentirli. Ma noi lo dobbiamo importare e ci sono tante tasse. In auto non si fuma perchè altrimenti si salta per aria. Però quando si è in coda per i sensi unici alternati tutti scendono da macchine, furgoni e camion e si accendono una sigaretta.
Domani mi aspetta una tappa piuttosto
lunga, da 140km, ma, siccome quella successiva è corta (50km) se trovo un posto
per fermarmi prima sulla strada bilancio meglio il kilometraggio. Altrimenti
tocca puntar sulla ridente Makusino, che conta ben 3 strutture. Per la cronaca,
qui l’autostrada già si chiama “Bajkal”. E, sempre per la cronaca, tra due
giorni passerò il confine kazako.
Intanto mi godo questi cieli
siberiani
“Non v'è paese che conosca alture
più vaste o più profonde di abissi dell'anima umana. L'eternità della sapienza
incomprensibile vi toglie ogni limite anche alla natura, che senza freno dona e
uccide, sia alla magica luce delle ardenti "notti bianche", sia nella
perduta oscurità di furiose tormente di neve”. (Theodor Kröger)
E la solita cena di scatolame,
caricatore di surimi (diventerò una volpe rosa come i fenicotteri, che sono
così, da quel che so, perché mangiano gamberelli), lavash e una nuova bella
scoperta: la zuppona di verdure in vaso di vetro, buonissima e solo da
scaldare. Ma che si vuole di più?
brava volpe
RispondiEliminaforza e coraggio
le tue avventure mi fanno compagnia ogni sera
Bella la poesia all'inizio di questo post: una presentazione immediata ed efficace. Quante cose sto conoscendo grazie a te! Sila
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