Eccoci qua, pronti per la vera partenza, quella in sella.
Questi primi due giorni a Teheran sono stati necessari per
acclimatarsi all’ambiente, alla cultura, ai profumi e alle luci. Al velo. Ad un
altro dei mondi possibili, ad un’umanità che brulica sopra alle pietre levigate
da diecimila anni di storia.
In God we trust sugli specchi della camera d'albergo |
Andiamo con ordine.
Raymond ed io ci siamo trovati all’aeroporto di Orio, armati
di scatoloni biciferi e voglia di partire.
Salutati i genitori, è stato un
attimo volare su Istanbul, giusta porta per chi va ad oriente, e poi alla
capitale iraniana. Prima di scendere dall’aereo ho indossati i bragaloni, che
già di norma porto, quindi nema problema, una maglia a manica lunga e dalla
lunga storia, XL, che mi fa da vestito, e l’hijab, o presunto tale, cioè il velo.
Sapendo di non saperlo indossare come si deve, mi sono fatta rasare la capa
come un monachello buddista, così che non mi si possa dire “Sorella, pecchi
d’indecenza: una ciocca sfugge alla censura!”.
Siamo arrivati alle 3.30 di notte ma l’aeroporto era tutt’altro
che addormentato: le nostre bici erano già pronte ad attenderci e gli addetti,
gentilissimi, ci hanno aiutati a caricarle e scaricarle su e giù dal carrellino
per tutti i controlli e le formalità. Il visto, di 30 giorni, è piaciuto alla
guardia, le porte scorrevoli si sono aperte e… Iran! Caldo, umido, profumo di
pane, odore di dopobarba e sudore, ombre di donne sotto stoffe sgargianti,
uomini baffuti in camicia.
Appena raggiunto l’ingresso dell’aeroporto siamo stati
avvicinati da un numero inquietante di loschi figuri: hey, turisti, vi serve
cambiare valuta? Serve SIM card? Serve taxi? Serve qualunque cosa -basta che ci
diate un po’ di euro? Un po’ il non aver dormito, un po’ il fuso (2.5 ore,
neanche chissà che), un po’ la capacità di questi omini di stordirti con mezzi
inchini, mano sul cuore, parole in otto lingue diverse… Non ci stava a capi’ na
mazza. Tenete conto che ci sono due ulteriori problemi da non sottovalutare:
primo, non solo le lettere, ma anche i numeri sono scritti in farsi, o persiano,
la lingua locale, e paron culetti e sgorbierelli. Secondo, in Iran ci sono due
valute: quella ufficiale, il Riyal (1 euro vale tra i 50.000 e gli 80.000 riyal)
e il Toman, che corrisponde a 10 Riyal (sicchè 1 euro è 5.000-8000 toman). Le
monete non ci sono, solo banconote, e solo Riyal; però gli iraniani, quando
indicano o scrivono i prezzi (soprattutto per grosse cifre), tendono
furbescamente a non specificare quale delle due valute intendono. Anche in
banca! E questo dà agio, se c’è cattiva intenzione, di tirar scemo il turista
occidentale allocco, di imbesuirlo e farsi dare cifre con uno zero in più. Che
rubare è peccato e si tagliavano le mani per questo, ma portare a casa il pane
raggirando l’europeo tardo e distratto, no.
Fatto è che comunque un primo tot di soldi lo si è cambiato
così, brevi manu, al nero, nascosti dietro gli scatoloni delle bici. Non prima
di aver chiesto conferma e benedizione ad un annoiato impiegato del regolare
ufficio cambio dell’aeroporto. Cambio molto favorevole per noi, tra l’altro: in
questi giorni in Iran si sta aggravando la crisi economica e l’inflazione
galoppa, ci sono proteste per le strade e i commercianti spesso aprono i negozi
solo per poche ore. Quindi tutti cercano di mettere le proprie manine
appiccicose su valuta estera, soprattutto euro e dollari. Perché gli americani
fanno schifo, ma la loro moneta no.
Dopodichè si è tentato, nell’ordine, di comprare una Sim e
chiamare l’autista dell’albergo, ma né l’una né l’altra cosa sono state
possibili: dopo esser stati avvicinati da mille omini che volevano ancora
cambiarci soldi o darci Sim “poco usate”, siamo passati al numero largo di
presunti taxisti, uno dei quali ha pure fatto finta di chiamare per noi
l’hotel, o forse l’ha chiamato davvero e dall’hotel gli hanno dato l’ok, perché
qui pare che una mano lavi l’altra e via così. La cosa bella è che l’auto di
questo taxista era piccola, troppo piccola per portare due persone e due bici
smontate; ma nessun problema! Tutto si risolve, in qualche modo, da queste
parti. Si respira nell’aria quell’arte di arrangiarsi che mi piace tanto. E via
di corde ed elastici per assicurare gli scatoloni sul tetto dell’auto.
Fuori le
prime luci d’azzurro polvere sui tetti di Teheran, ad illuminare la sagoma
dormiente dei monti Elburz, che abbraccia l’orizzonte della città. Dall’altra
parte c’è il deserto sterile, kavir. Nonostante l’ora e 1200 metri cui sorge la
città, caldo. Si parte, in auto, verso l’hotel centralissimo prenotato da
Raymond. Il traffico non è congestionato ma caotico, con motorini
strombazzanti, birocci, auto vecchie e scassate o nuovissime e tamarre. Per
fortuna pare che qui ci sia differenza tra strada e autostrada, sicchè in bici
non dovremmo incappare in quel misto unico intasato di tir che c’era in Russia
(ultime parole famose?!). La periferia è enorme, non a caso stiamo parlando
della più grande città dell’Iran, dove si concentra la stragrande maggioranza
delle attività economiche. Il boom demografico si è registrato sia quando è
diventata capitale, nel 1786, sia nel 1974, con l’aumento dei prezzi del
petrolio. Mentre guardo il cielo farsi sempre più chiaro ci addentriamo nelle
vie del centro, fino ad arrivare in hotel. L’autista ci fa parlare intanto con
un suo amico che vuole venire a “conoscerci” di lì a poche ore per cambiare
altri euro in Riyal. Intanto prendiamo possesso delle camere, nonostante sia
prestissimo, e piazziamo le bici in un ripostiglio pieno di bandiere. Ci dicono
che ci offrono la colazione nonostante non si sia pagata la notte. Il ragazzo
della reception, sosia di Paolo Ruffini ma in versione persiana, mi chiede cosa
significhino “nihil” e “chaos”, i tatuaggi che ho sulle mani. Tento di
spiegarglielo ma ci separa un mondo e lui resta confuso, benchè affascinato. E
questa è l’ultima cosa che ricordo prima di crollare nel letto, per ben tre
larghe, upime ore di sonno.
Sveglia, il sole è già altissimo, caldissimo, implacabile.
Scendiamo a far colazione e ci viene presentato un tè con lavash (il pane –
foglio di carta che ho mangiato già tante volte in russia), miele, marmellata, datteri
dolcissimi, pomodori e cetrioli, formaggetto, burro, halva -che ormai trovo
ovunque nei miei viaggi (dai Balcani alla Siberia, fin qui). Buona questa
cucina persiana (tapparella, imposta –ma scelta)!
Nemmeno il tempo di bere il tè che ci chiamano dalla
reception: “Il vostro amico è arrivato”.
E chi è? Ah! Il cambiavalute della Banda Bassotti, che si
presenta come Reza, grassoccio, strizzato in una camicia sudatissima ma sempre
affabilissimo. Con lui l’autista, che assiste a tutta la transazione. Cambiamo
una discreta cifra e ci lascia una borsa piena di Riyal, tutti in tagli
piccoli, roba da veri malavitosi. Ci lascia il suo numero, che abbiamo usato il
giorno successivo, cioè oggi, per cambiare un altro po’ prima di lasciare
Teheran. In realtà ieri, sbagliando a contare, credevamo ci avesse truffati con
il gioco dei Toman, quindi lo abbiamo chiamato per tentare di farci ridare i
soldi. Poi Raymond, ricontando tutto, si è reso conto che non ci aveva affatto
truffati, anzi, aveva tenuto un cambio molto buono per noi, quindi quella che
doveva essere una sorta di incontro-minaccia-non ti alzi di qui finchè non
ridai ciò che ci devi è diventata una pacifica e rilassata ulteriore
transazione. “reza per servirvi, 24/7, per qualunque cosa”. E bene così.
Ma torniamo a ieri.
Dopo queste faccende di natura pratica s’è deciso di
iniziare a visitare la città.
Breve parentesi storica per capire meglio (grazie Wikipedia!) corredata di foto
esplicative.
Teheran nasce come insediamento per sfuggire al caldo che
trasforma, d’estate, il sud in una piana rovente dove la sabbia vetrifica; poi,
piano piano, è diventata un centro importante per i commerci, e così è citata
dalle fonti intorno al XI-XII secolo; si coltivavano frutta e verdura per il
clima più mite e la presenza di acqua.
Dopo la distruzione di Ray, città storica poco distante, da parte dei Mongoli,
nel 1228, Teheran acquista importanza, accogliendo i superstiti con i suoi
giardini e canali di irrigazione. Nel XIV secolo la popolazione e i commerci
crescono, come testimonia anche don Ruy
Gonzáles de Clavijo, un ambasciatore castigliano, primo europeo a visitare
Teheran, soggiornando nel 1404, durante un viaggio verso Samarcanda (allora
capitale mongola). La descrisse come una grande città con una residenza reale.
A partire dal periodo timuride (quello turco-mongolo di Tamerlano, dal 1370),
la città di Teheran inizia a svilupparsi a nord. Shah Tahmasp I, secondo
sovrano della dinastia dei Safavidi, fece costruire tra il 1553 e il 1554 un bazar
e una cinta muraria con 114 torri (a seconda del numero di sure del Corano). La
scelta dei Safavidi ricadde su Teheran per molteplici ragioni: il fatto che un
antenato dei Safavidi, Sayyed Hamza fosse stato sepolto a Ray, e che Teheran
per diversi secoli fosse stato un rifugio per gli sciiti sono stati sicuramente
elementi importanti, ma furono soprattutto situazioni storiche che portarono
alla fortificazione della città. Shah Tahmasp era stato costretto a spostare la
sua capitale da Tabriz a Qazvin a causa della minaccia ottomana. La città
fortificata di Teheran, 150 km ad est di Qazvin, quindi, forniva un
rifugio in caso di pericolo. Durante l'epoca safavide, Teheran era il centro
amministrativo regionale, tuttavia, la città non disponeva né di moschee, ne
altri elementi di urbanizzazione dei Safavidi. Shah Abbas II risiederà un paio
di volte a Teheran, facendosi costruire una residenza, mentre Shāh Suleymān
fece erigere un segretariato imperiale nel centro della città. Fu in questo
luogo che l'ambasciatore del sultano ottomano Ahmet III incontrò nel 1721 lo Shah
Huseyn, ultimo sovrano della dinastia Safavide prima dell'invasione
dell'Afghanistan. Alla fine del XVIII secolo, Teheran non era più una piccola
città di provincia, ma aveva già guadagnato importanza per i governanti
persiani. Nel 1722 le truppe di Mir Mahmoud Hotaki invasero Esfahan e tutta la Persia
entrò in un periodo di disordini, che colpì anche Teheran e la sua regione.
Sotto la dinastia Zand, Teheran divenne un centro militare mentre le dinastie
Qadjar e Zand lottavano per prendere il potere nel paese. Tra il 1755 e il 1759
Muhammad Karim Khan volle fare di Teheran la capitale del paese, e fece
costruire degli edifici entro le mura cittadine. Il quartiere reale acquisì
tutte le caratteristiche dell'Arg, quartiere reale fortificato. Infine,
Karim Khan preferì porre la capitale a Shiraz. Alla sua morte nel 1779, Teheran
viene disputata tra Qafur Khan (fedele agli Zand) e Agha Mohammad Khan Qajar.
La città cadde nelle mani di un alleato dei Qajar nel 1785, e Agha Mohammad
Khan Qajar, il primo re della dinastia, entra in città nel 1786 e ne fa la sua
capitale. Lo status di capitale della Persia era conseguente ad una preoccupazione
di tipo geostrategico: con i russi a minacciare il confine settentrionale e i
turkmeni nel nord-est, Teheran godeva di una posizione privilegiata, al
crocevia tra est ed ovest, ai piedi degli Elburz e lungo le strade che
portavano alle oasi della Persia centrale e ai bacini di Fars. Fath Ali Shah (1797-1834)
è il principale costruttore di Teheran. Abbellisce l'Arg, e fa costruire
l'Emarat Bādgir e il Takht-e Marmar (trono di marmo) all'interno.
Costruì molti
altri importanti edifici, palazzi e moschee.
La città attira un numero sempre
maggiore di abitanti e la popolazione raddoppia in 20 anni. Tuttavia, nel 1834,
alla fine del suo regno, molte costruzioni non sono ancora completate. Sotto Muhammad
Shah Qajar (1834-1848) hanno luogo le prime edificazioni al di fuori delle
mura. Le residenze reali sono costruite nel nord della città. Nasser al-Din
Shah Qajar (1848-1896) fa diventare realmente Teheran da capoluogo di provincia
a capitale.
Con l'avvento al potere di Shah Reza Pahlavi nel 1925, lo Stato diventa un
attore importante nell'architettura di Teheran, dove la modernizzazione è una
parte integrante del programma voluta dal nuovo re per il suo paese. Le mura
costruite da Shah Nasseredin vengono distrutte nel 1932 e sostituite da ampi
viali rettilinei. Una sola delle porte rimane. Lo Shah Reza fa appello ad
architetti stranieri e iraniani per la costruzione di molti edifici durante gli
anni 1930. Liceo, musei, gallerie, università, poste, uffici di polizia,
palazzi di governo… Le nuove strade della città consentono il traffico
veicolare e trasformano il tessuto urbano.
Nel 1943 la città ospita la conferenza
di Teheran, in cui si riuniscono Roosevelt, Stalin e Churchill. Questa
conferenza prefigura le decisioni che saranno prese alla Conferenza di Jalta.
Essa garantirà l'indipendenza e l'integrità territoriale del paese (che no era
schierato ma manifestava simpatia per i nazisti). La città si sviluppa
fortemente dopo la Seconda guerra mondiale, in particolare a partire dagli anni
‘60. Nel 1966 la famiglia reale abbandona il distretto centrale di Teheran per
spostarsi a Niavaran.
Seguendo la tendenza iniziata nel XIX secolo, la parte sud continuò ad
accogliere le classi più povere, la parte nord quelle più ricche, la parte
orientale le classi medie. La zona industriale di Karaj si sviluppò molto
rapidamente lungo la prima autostrada costruita in Iran. L'espansione economica
che seguì il boom petrolifero del 1974 accelerò lo sviluppo urbano. Durante il
periodo della rivoluzione iraniana si espansero ulteriormente le periferie,
anche con la costruzione di nuove abitazioni senza licenza, o edificazioni su
terreni acquistati senza formalità. Questa è l'ambasciata americana dove furono presi in ostaggio i funzionari; non mancano pannelli e graffiti che enumerano i crimini statunitensi e confermano fieramente tutto quel che è stato fatto.
Nel 1985 Teheran venne colpita per la prima
volta dall'inizio della guerra tra Iran e Iraq. Altri attacchi avvennero nel 1988.
Chiusa parentesi.
Per visitare la città, oltre a perderci tra vie e vicoletti,
negozi, botteghe e botteghine, abbiamo individuato alcuni “imperdibili”: il
quartiere moderno voluto dallo shah Reza Palhavi ad imitazione delle città
occidentali, che ospitava uffici, stazione di polizia, quartieri cosacchi,
ambasciate, biblioteca e musei. Qui di notevole ci sono gli edifici e la porta
d’ingresso, oltre al museo di storia nazionale dell’Iran, l’unico da noi
visitato.
ricostruzione 3D di donna morta 7000 anni fa (vedi foto sotto)... Velata! |
statua di Dario I con stile e basamento egiziani, e scritte in geroglifico |
uno di quei Parti da quelle parti in cui hanno ucciso Crasso |
uomo con barba e capello fluenti, risalente al III secolo d.C., trovato stecchito ma parruccato in miniere di sale |
Due chicche: lavoretti di bambini che hanno plasmato un falcone egizio e il busto dell'imperatore Adriano
Altra cosa da vedere è il palazzo del Golestan, residenza
settecentesca degli Shah, e il bazaar, un labirinto di umanità e merci, luci,
ombre, odori e voci che si estende tortuoso per kilometri (almeno dieci per
lato ci hanno detto).
Va visitato al mattino. In questi giorni, comunque, molti
negozi sono chiusi: tasse e inflazione stanno portando malcontento, al punto
che ieri si è anche svolto uno sciopero con corteo e manifestanti (e polizia,
ma senza scontri, anzi, tutto è stato molto pacifico). A spiegarci questa
situazione sono stati un iraniano che ha studiato francese e si è messo a
conversare con Raymond in pieno bazaar
e Hossein, venditore di tappeti, che ci
ha ospitati nel suo negozio, ci ha mostrato tutta la sua merce (ogni tipo di
tappeto ha un nome diverso, ma tutti sono affascinanti, polverosi e
costosissimi) e ha voluto il mio numero di telefono. Gli abbiamo spiegato che
siamo in bici e non possiamo acquistare nulla, e quindi ha detto che mi avrebbe
mandato le foto dei tappeti: se interessata, mando indirizzo e lui spedisce. Ci
ha offerto dell’acqua (preziosa), mi ha riempito lo zaino di caramelle e ci ha
fatto da guida per un po’.
Sono persone gentili e terribilmente educate, benchè la
prima domanda sia sempre: in che relazione siete voi due promiscui europei? E
la seconda, a me: quanti anni hai? Sei sposata?
Fun fact: poco dopo aver acquistato la sim iraniana ho
iniziato a ricevere foto soft porn da numero iraniano sconosciuto, con messaggi
in farsi. Utente bloccato e passa la paura… Ma come è possibile? Ho attivato il
nuovo numero in un negozio, e nessuno, nemmeno il commerciante, ne aveva preso
nota!
Quanto al cibo, nulla da dire: si mangiano principalmente
riso (in bianco, con verdure, carne, zafferano) e kebab, cioè carne di vario
tipo arrosto con salsine miste, speziate ma non piccanti. Gli standard igienici
paiono decisamente buoni; ovviamente ci sono anche i luridi, gli zozzi e
superlerci per strada, per terra e ovunque, con carrettini e sacchetti, buste e
bidoni piene di cibo e liquidi non ancora identificati. Ma li lasciamo lì, che
la salmonella s’è già sperimentata in Grecia e tanto basta.
Abbiamo già rimontato le bici, giunte senza danni, e domani
si parte davvero. In due giorni saremo a Qom, seconda città santa dell’Iran,
cuore della Rivoluzione e residenza dell’Imam Khomeini. Poi si muove a sud,
versa l’antica città mercantile di Kashan e la bellissima Esfahan, dove
arriveremo il 1 luglio e faremo una sosta da turisti.
Gli occhi non basteranno per trattenere tutti i colori e i volti e le nuvole del cielo d'Oriente. Le mani non basteranno per carezzare la sabbia e le stoffe e i palazzi. Le orecchie non basteranno per le voci dei muezzin e il silenzio del deserto e i versi degli animali che ti guarderanno curiosi lungo la strada. Il cuore, solo il cuore riuscirà a trattenere ogni emozione. Allora tornerai con un grande tesoro, un tesoro da condividere con tutti. Ciò volpe, che il vento ti carezzi sempre le spalle.
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