venerdì 17 luglio 2020

12-13. Berlino. Piove la storia, sgocciola su di noi, grigia e viva. Montale, Brecht, i boschi e il caleidoscopio impazzito.


[...]
Piove
in assenza di ermione
se Dio vuole,
piove perché l'assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l'ha ordinato.

Piove sui nuovi epistèmi
del primate a due piedi,
sull'uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui work in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.

Piove ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.
(Montale)



15/7/20
giorno 12
Zerbst Anhalt-Berlino
131km

Che giornata ragassi, che tappissima del demonio! E che arrivo in bellezza nella capitale, pare il 2 maggio del '45!
Abbiamo pedalato tanto, più che in kilometri, in tempo: dalle 8.30 alle 18, praticamente senza soste. Sotto il maledetto diluvio universale, fitto, grigio e ininterrotto. Tutto il giorno in ammollo.
Passando per una selva che sembrava non finire mai, nel fango e nella sabbia fradicia fino alle caviglie, impantanati come i Panzer nella rasputiza di Smolensk.
Insomma, na guèra.
Infatti le foto oggi sono poche, non c'è stato modo di farne altre, di fermarsi oltre, di indugiare sotto le padellate di lacrime di ciclista che il cielo, il cielo sopra Berlino, ci ha rovesciato addosso.

Questa mattina ci siamo alzati presto, consapevoli della possibilità di dover affrontare una tappa insidiosa e bagnata. E infatti, come da previsioni, già pioveva al risveglio e pioveva durante la colazione, pioveva mentre abbiamo chiuso le borse e ha piovuto per ore, per ore, lunghissime ore, mentre pedalavamo e camminavamo nel fitto dei boschi spingendo la bici, mentre ci lanciavamo in corsa una ritrovato l'asfalto e mentre facevamo pipì tra le frasche, con la schiena nuda imperlata di goccioloni. Pioveva, insomma. E pioveva anche quando siam giunti a Berlino e pure dopo, arrivati in hotel.
Appena entrati in camera, ha smesso, ed è uscito il sole.
Mavaff....

La prima decisione difficile, questa mattina è stata relativa alla scelta dell'abbigliamento.
Dopo due anni di Russia, prima Mosca poi la Transiberiana, ho affinato l'arte dei vestimenti da tempodimmerda, quello che le statue di Lenin sempre indicano a braccio alzato al cielo. Il trucco è questo: bisogna star leggeri sotto, e chiudersi in un guscio impermeabile sopra.
Quindi: completo da bici lungo ma leggero, sotto, e sopra kway, pantaloni impermeabili, copriscarpe in neoprene e copricasco alta visibilità. Gilet catarifrangente gialloguardami per non diventare tutt'uno col paesaggio di nebbia e pozzanghere, guanto lungo leggero e scaldacollo/sottocasco alla bisogna.





Così bardata da palombaro posso stare tranquillamente 10-12 ore sotto la pioggia battente senza problemi, senza aver freddo, senza sudare e senza infracicarmi le mutande. Poi, se non piove, meglio. Ma visto che stiamo andando verso quella parte di mondo funestata da un clima urendo, tanto vale esser pronti, psicologicamente e nel materiale.
Gigi è un po' meno equipaggiato, tanto che, non molto dopo la partenza, sfodererà il poncho impermeabile che gli ho prestato. Qui a Berlino rimedierà alle sue mancanze di acquisti a casa, per troppa fiducia nel meteo da queste parti.






Così, belli come il sole che oggi ha abdicato, belli come gli operai dell'Anas, siamo pronti per partire.
Il tempo di caricare le borse sulle bici e siamo già un tutt'uno d'acqua nell'acqua, gocce di pioggia nel mare di umidità che inzuppa il cielo, l'aria e la terra.
Gigi, una volta ponchato, assume la fisionomia di un cavallo con la coperta


quando è fermo, mentre quando pedala, con la mantella svolazzante, è decisamente un hobbit della Contea con il suo manto elfico in fuga dagli orchi.

I primi kilometri scorrono lisci sotto alle ruote, acqua dal cielo e acqua dalla strada, in un clima plumbeo che rende ancora più tristi e inquietanti i paesini che passiamo.
Sembra di essere in un film sulla Shoah, con le stazioni in mattoni, i cavi d'alta tensione e i cartelli ancora in font gotico, il Fraktur, con saettine e teschietti sospetti.
Tutto cupo, tutto grigio, tutto silenzioso e deserto.
I paesi hanno case rimodernate e pavè, temibile con la pioggia, e mi ricordano tanto quei posti dove, quasi alla fine della guerra, venivano impiccati agli alberi con il cartello "traditore" i ragazzi e le ragazze che tentavano di far capire ai concittadini che ormai era tutto finito, perso, ed era necessario trattare con il nemico. Son proprio questi bei paesini qui.


Facciamo una prima micrososta dopo un paio d'ore, sotto alla tettoia d'ingresso di un supermercato. Siamo già zuppi da far schifo, e in effetti facciamo un po' schifo alla gente che entra ed esce con i carrelli.



Ci rituffiamo nel fiume di Eraclito come salmoni disperati. Lasciamo la Sassonia-Anhalt alle spalle ed entriamo in Brandeburgo, ma dalla porta sul retro. La strada infatti, nel giro di un attimo, da sfalto diventa pavè, poi acciottolato sconnesso, poi sabbia soffice e gonfia d'acqua e fango scivoloso e infido.
Siamo finiti a impantanarci nelle torbiere e nelle paludi della riserva naturale di Flaming-Belziger, che alterna prati di simil sabbie mobili a pinete e foreste fittissime e antiche, che sussurrano nella pioggia e si chiedono cosa due umani facciano tra le loro radici in questa ora tarda.
Non ho foto, perchè eravamo troppo impegnati a tenere il manubrio o a spingere la bici sui sentieri appena abbozzati. Cerco di rendere l'idea a parole.
Immaginatevi un bosco incantato, pieno di divinità piccole, del polline e dei semi,della corteccia e del muschio. Un bosco buono, ma di bontà disumana, che accoglie chi sa sopravvivere al mondo e anche chi soccombe per nutrire il più adatto. Un luogo assoluto, al di là del bene e del male, come la natura, sempre.
Tronchi nodosi e venati di verde e di rosso, terra soffice di aghi di pino e piccole piante verdissime, ora fiorite di fiori umili e poco vistosi, ora irte di spine legnose. Poca luce, aria lattiginosa e un continuo frusciare di foglie, di ali, di zampe. Abbiamo visto anche un daino, da vicinissimo: stava lì immobile, come se anche noi fossimo ormai diventati animali del bosco, innocui abitanti della macchia.
Gigi era molto teso per il fondo impedalabile, la paura di smarrirsi e le orme di cinghiale e volpe che spesso si vedevano sul sentiero. Io mi sono invece goduta l'attimo magico, quel tempo quasi immobile e sospeso in cui anch'io divento albero e il sangue si fa linfa, metamorfosi antica già da altri cantata.

Man mano che ci si avvia verso il limitare della foresta, incontriamo pini più giovani e riordinati dalla mano dell'uomo, la cui oscura presenza si fa qui tangibile, infrangendo l'incanto


e pure dei cartelli in mezzo al nulla, inutili a me che conosco la via e non solo per il gps, ma per una corrispondenza d'amorosi sensi con gli alberi di questa selva.
Si cita una ciclabile che corre da Berlino ad Hameln, la città del pifferaio magico. Con buona pace dei Grimm e di Goethe, è una leggenda terribile e drammatica, che parla di ratti, di peste e di bambini irretiti e rapiti per un mancato pagamento.
Bella roba, veramente!


Dopo un tempo non quantificabile, mezz'ora o tre ore, non saprei, usciamo dal bosco e torniamo sulla strada degli uomini. Piove così tanto che il cielo si specchia nell'asfalto fradicio e le coordinate dello spazio e del tempo non si distinguono più, in una uniforme massa acquosa che contiene tutto. Come la nostra terra, come il nostro corpo.
Il percorso attraversa boschi scuri e molto meno accoglienti di quello appena passato; tra i tronchi ammuffiti aleggia un senso di morte e percepisco qualcosa di terribile: immagino corpi accatastati in fosse comuni, ad ingrassar la torba e fertilizzare il suolo.
Ce ne andiamo rapidi, perchè la pelle delle mani e del viso inizia a essere cotta dall'acqua.
Passiamo villaggi piccini e anonimi, dove rare persone stanno sotto la pioggia come nulla fosse, in maniche corte e calzoncini a chiacchierare o camminare. Mah.

Passiamo da Lehnin, che ha un nome ingannevole che deriva dall'antica chiesa che risale al 1180.


Ma via, ancora, inesorabilmente, sotto la pioggia, perchè Berlino è ancora lontana e noi cominciamo a desideare forte una doccia calda e vestiti asciutti.
Passiamo sull'Havel, tributario dell'Elba, e tra suoi laghi acquitrinosi.
Eccoci poi nella bella Potsdam, la Versailles tedesca, con i suoi palazzi e i parchi che furono usati come residenze dai re prussiani.
Ancora a testa bassa per tirar dritti verso la meta, ormai manca poco. Raggiungiamo il ponte di Glienicke, il "ponte delle spie" per tre scambi di prigionieri, avvenuti durante la guerra fredda tra il blocco sovietico e quello del patto atlantico proprio qui. Ed eccoci a Berlino, finalmente.




La città è ben grande e, da qui all'hotel, attraversiamo più di 20km di trafficata (ma ordinata) periferia, con ciclabili in piastrelle tutte sconnesse e scivolosissime per la pioggia. Compaiono man mano centri commerciali, locali e persone che fanno cose. Roba che da giorni quasi non vediamo. Civiltà, nel bene e male.
Stremati e inzuppati di pioggia fino al midollo, arriviamo finalmente all'albergo e trasciniamo dentro armi e bagagli, tutti orrendamente sporchi di fango e sabbia e lerciume che si raccatta dalla strada. Prima di ripartire, dopodomani, dovremo sistemare le bici: oltre ad essere luride, la catena non ha più lubrificante e gratta per i granelli di sabbia che si è mangiata.
Anche le borse fanno piuttosto schifo, e noi non siamo da meno.
Doccia, mega lavatrice ad una laundromat vicina all'hotel e già metà dei problemi è risolta.
Con la cena e il riposo ogni nodo si scioglie.



Domani è giorno di sosta, il primo da che siam partiti.
Visiteremo la città (io già ci son stata ed ho avuto modo di esplorarla per bene e di apprezzarne i musei fantastici) e ci prepareremo alla seconda parte del viaggio, che da qui ci porterà in Polonia, a Stettino e Danzica, e poi nelle Repubbliche baltiche fino a Tallinn.



16/7/20
giorno 13
Berlino
21,5 km (a piedi)

Chemmeravilia meravilioza, un giorno da turisti in una delle città culturalmente più ricche d'Europa!
Proprio ciò che serve per staccare un poco dai tanti giorni selvatici e in mezzo ai bricchi e alle frasche. Un bagno di civiltà, se così vogliamo chiamarla.

Visitare Berlino in un giorno è impossibile, ovviamente. Tuttavia, essendoci già stata, la cosa non mi preoccupa più di tanto e non sento l'ansia del vedere tutto in poco tempo, in una bulimica indigestione di storiarteculturaumanitàarchitetturavita.
Si passeggia, e si vedono tante cose, non sempre belle, ma di certo interessanti oltremodo.

Cominciamo con una passeggiata nel Kurfursterdamm, per gli amici Ku'damm, il viale dello shopping e dei negozi dei marchi prestigiosi, come via Montenapoleone, in grande. Non che ce ne freghi qualcosa delle boutique o della moda, anzi, per me tutto questo dovrebbe ardere in un grande fuoco purificatore, in tutto il mondo. Ma è un punto privilegiato d'osservazione per questa umanità fatta di gente che appare, che mira all'estetica, che diviene ciò che possiede e indossa. Roba uguale in tutto il mondo, cambiano solo i colori, non le alte pretese.
Anche qui, come sempre, l'assurdo. Sotto ai portici di negozi in cui un prodotto costa come dieci stipendi in un paese meno fortunato, di quelli in cui la gente ha ancora la sfiga e il cattivo gusto di nascere, bivaccano senzatetto e disperati, ubriachi, luridi e ormai ridotti ad arredo urbano, una mera cosa su cui si posa lo sguardo, tra la panchina e il cassonetto. Ah ma guarda, il nuovo Iphone!







In verità quel che ci interessa è la Kaiser Wilhelm Gedachtniskirche, chiesa del 1890 gravemente danneggiata dai bombardamenti, nel '43 (pare dopo un sermone relativo al memento mori e alla fugacità delle cose terrene). Ribattezzata "dente cavo", di tutto il complesso monumentale restano poche rovine sbrecciate dell'edificio originario. Accanto, però, nel '60, fu costruita una nuova chiesa di foggia moderna, che contrasta volutamente e stride con il rudere. E' simbolo oggi degli orrori della guerra ed è un chiaro invito in pietra alla pace.



Qualcosa, però, di questo messaggio, non è risultato chiaro anche in tempi recenti.
La chiesa si trova infatti sulla Breitscheidplatz, simbolo del benessere borghese della Berlino Ovest; qui il 9 dicembre 2016 sono morte 12 persone a causa dell'attentato terroristico rivendicato dall'Isis: un camion proveniente dall'Italia si è scagliato contro la folla dei mercatini di Natale. Il sospetto attentatore è stato poi ucciso a Sesto San Giovanni, praticamente vicino a casa nostra.
Nella bella piazzetta c'è un monumento alle vittime, ci sono i loro nomi ed una crepa a terra colorata in oro.






Ci portiamo poi verso la stazione dello Zoo di Berlino, quella nota grazie al famoso romanzo di Christiane F., che ha plasmato tanto del mio immaginario, da ragazzina, riguardo a questa zona della città.


Da lì, in un attimo, raggiungiamo la zona est, ci avviciniamo alle sponde del fiume Sprea



e camminiamo lungo ciò che resta dell'arcinoto, tristemente, muro di Berlino. lisca d'un pesce viscido e freddo, spina dorsale di qualcosa di storto.
L'East side gallery è una grande opera d'arte che per oltre un kilometro ha sfruttato la superficie del muro per farne segno di comunicazione e protesta. Per fare ciò che i muri non fanno: costruire ponti, un dialogo, confronto e unione.




Questi murales sono stati realizzati nel 1990 e poi nel 2009 ed esprimono la voce di protesta di ieri e di oggi. Ci sono infatti opere a tema politico, ambientalista e religioso, pacifista e contro il sistema, e non mancano accenni alle istanze più recenti, come il movimento Black lives matter.







c'è anche chi di una storia drammatica e assurda ha saputo far guadagno, vendendo pezzi di muro
















Questa passeggiata, che tanto fa riflettere sui problemi di ieri e di oggi, ci porta quasi ad Alexanderplatz, nei pressi della quale svetta l'inconfondibile torre della televisione, circondata da palazzoni firmati DDR.



Interessante anche l'Urania Welthurzeit, orologio universale che risale al 1969 e segna proprio lo spirito dei tempi, oltre che del tempo.



 Comincia a piovere e noi ne approfittiamo per un salto alla vicina Decathlon. Qui, chiedendo a due commessi che chiacchierano tra loro in marchigiano stretto, trovo finalmente una ricarica del gas per il fornello (da dieci giorni mangiano roba fredda o tiepida al più) e Gigi di arma di pantaloni antipioggia. Ancora, compriamo uno sgrassatore per la catena e del lubrificante (ne abbiamo, ma poco): la serata sarà dedicata a lavare le bici, piene di fango e sabbia e schifezze portate dalla giornata di pioggia e boschi di ieri.
Torna il sole e anche noi ci rimettiamo in cammino, verso Rotes Rathaus, l'imponente municipio in mattoni rossi che risale agli Sessanta dell'800.



 




Da lì ci spostiamo alla vicina chiesa gotica di San Nicola, del 1230, distrutta durante la seconda guerra e poi ricostruita insieme al quartiere Nikolaiviertel, che ricorda la Berlino pop di due secoli fa, quella di pescatori, bottegai e droghieri.



di fronte si staglia l'enorme sagoma della Alte Stadthaus, edificio amministrativo del XX secolo che accoglieva i funzionari degli uffici pubblici, ormai troppo numerosi per stare nel municipio



La fontana con l'orso, simbolo di Berlino





Ora siamo nei pressi della Museumsinsel, il luogo con la più alta concentrazione dei musei al mondo. Si vede chiaramente la cupolona del Duomo, che andremo a breve a visitare.




Passiamo accanto alla scuola di musica dalla chiara vocazione politica



e al castello di Berlino, tutto impacchettato nell'ennesimo cantiere che affaccenda questa città, capitale dei lavori in corso.
Questo edificio monumentale, iniziato nel 1443, ha ospitato i principi elettori di Brandeburgo, i re di Prussia, e gli imperatori tedeschi. E' sopravvissuto alle guerre, tutte, ma non alla volontà politica: nel 1950 il governo della neonata DDR ne ordinò la demolizione. Dal 2008 sono partiti i lavori di ricostruzione.



Di fronte, sull'altra sponda del fiume, c'è la piazza dedicata all'architetto e pittore prussiano Schinkel, che visse a cavallo tra Settecento e Ottecento e firmò tanti progetti architettonici che ancora oggi plasmano il volto di Berlino.




Ci dirigiamo al Duomo



e dopo aver superato il monumento per i morti di un atto di resistenza, ghigliottinati ben presto,



entriamo nel sontuoso edificio, con mascherine e moduli e gel sanificanti, perchè qui, all'aperto, è la sagra dell'assembramento, ma al chiuso le regole son ferree.
Barocco, neoclassico e neobarocco, questo tempio di età guglielmina è sopravvissuto ai bombardamenti, nonostante i danni e l'incendio del '44. Ospita diverse tombe degli Hohenzollern, tra cui Federico I, e un organo a canne monumentale.













Torniamo sui ostri passi dopo la piacevole visita e ci concediamo una deviazione al Museo di storia tedesca, il più ricco compendio degli ultimi duemila anni da queste parti. L'ingresso è gratuito. E' uno dei pochi musei che non avevo visitato, quindi ne vale davvero la pena.

La storia tedesca (e inevitabilmente europea) è ricostruita in maniera chiara e puntuale, con un percorso a prova di turista ignorante e stanco e oggetti e manufatti che danno un quadro preciso sia degli eventi storici, politici e militari, sia del quotidiano fluire della vita delle persone.
Non basterebbero dieci biblioteche per raccontare tutta la storia, per cui ho scelto alcuni pezzi, secondo me particolarmente indicativi.

Un Carlomagno dall'aria bonaria


un manichino in armi decisamente meno bonario


romanzi in versi del Basso Medioevo, poi stampati nel Cinquecento


lettera bullate per sigillare i giuramenti feudali


una protesi Trecentesca


un Lutero serissimo


che inchioda le tesi nel legno e nella storia


Un Carlo V pacioso e soddisfatto


dopo la Dieta di Worms


un ReSSSole svaccato in pantacollant, dopo aver revocato l'Editto di Nantes, che non sa bene cosa ciò scatenerà


l'assedio turco a Vienna, dove la mezzaluna fu magnata a colazione come un croissant



il paffuto Federico Guglielmo I di Prussia che segna a dito dove possono andare quelli che gli dicono che, per essere un re soldato, è un po' troppo in carne


e un Napoleoneimperatore, che qui le ha date e le ha poi prese con il resto.


Questa la sua feluca sgualcita, recuperata a Waterloo.


Poi un baffutissimo Bismark, con il colesterolo a pallettoni per le troppe uofa


e una collezione di elmetti prussiani su cui molti eserciti son stati costretti a sedersi a chiappe strette.


Da qui inizia la parte decisamente più seria e drammatica. Perchè oltre all'orrore della guerra, qui c'è anche il peso della colpa, la consapevolezza del male commesso.
Prima nel '14-'18, dopo un periodo di innovazione e benessere, e misfatti colonialisti in mezzo mondo






La Germania si prepara alla guerra, 1914.



Poi, dopo il tentativo fallimentare della democrazia di Weimar, il punto più basso. Le croci uncinate, i consensi sempre maggiori, le violenze, Hitler al potere. E' incredibile come la propaganda dei regimi sia uguale in tutto il globo, e cambiano la lingua e i caratteri ma non l'immaginario.











Finisce la guerra, si placa l'orrore, si ricuciono gli strappi



ma altri se ne creano, e il muro ne è simbolo.
Usciamo dal museo, funestato da guardie cattivissime, che ci seguono passo passo temendo che andremo in giro a raccontare cosa abbiano fatto i loro nonni. Ci saluto un Lenìn, sempre sorridente.


Passiamo davanti al monumento dedicato ai caduti in guerra


e ci avviciniamo all'Università e al teatro dell'opera,





entrambi affacciati alla Bebelplatz, dove i nazisti nel '33 bruciarono i libri. Sotto si intravedono scaffali vuoti, a memoria di quanto è stato. Penso al "Rogo dei libri" di Brecht.

Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
– uno di quelli al bando, uno dei meglio – l’elenco
studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d’ira, e scrisse ai potenti una lettera.
Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi!
Questo torto non fermatelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l’ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi
mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando:
bruciatemi!




Da qui in un attimo si arriva alla bellissima Gendarmenmrkt, piazza pazzesca chiusa tra due chiese e la Konzerthaus, davanti alla quale si erge Schiller.







Inevitabile, a quest'ora una sosta in uno dei ronci chioschetti che preparano currywurst e patatine bisunti e buonissimi



per poi arrivare al famoso Checkpoint Charlie, tanto noto da non aver bisogno di presentazioni.




Altri pezzi di muro, questa volta impataccati di gomme da masticare


ci conducono fino a Potsdamerplatz


e da lì al memoriale delle vittime dell'Olocausto.
C'è a chi non piace, perchè muto e poco comunicativo. Personalmente credo che appunto per questo sia assolutamente adatto. Come descrivere l'orrore? Andando a scavare i dettagli del macabro? Cesellando con le parole ogni atto disumano, ogni respiro interrotto?
Forse così è più chiaro: il Male è stato perpetrato, i morti sono morti e quanto è accaduto è un fatto di cui si deve prendere atto, come si prende atto di questi blocchi scuri, non neri, nemmeno grigi, silenziosi, senza occhi nè cuore, freddi e labirintici come un immenso cimitero senza nomi.
Il male è così, ed è stato descritto perfettamente.




Non dista poi molto la settecentesca porta di Brandeburgo, simbolo definitivo di Berlino e della storia che è trascorsa sotto e sopra quelle colonne.


Accanto sta il Reichstag e un elenco delle vittime dell'ottusità della Guerra Fredda che ha diviso questa città, con i nomi di chi ha tentato di passare oltre il muro. E il muro l'ha passato davvero.




Da qui torniamo in hotel, con un'altra lunga scarpinata e la testa piena di immagini e pensieri.
E' difficile tenere insieme tutte le anime di questa città, tutti i volti, i colori, le note e i nomi di coloro che ne han scritto la storia, o la storia l'han subita.
E' tutto troppo grande, troppo bello e sublime e troppo terribile e atroce. I pezzi di parole e immagini esplodono come un caleidoscopio impazzito e il mosaico non si ricompone.
Non riesco a tenere insieme la musica e l'arte, l'illuminismo e il romanticismo con la violenza delle guerre e della politica. E' quasi impossibile pensare che questi aspetti possano convivere. Ma il problema è mio, che penso che la cultura e l'arte rendano umanamente migliori. I nazisti han dimostrato perfettamente come non sia affatto vero.
Dicotomie, contraddizioni e chiaroscuri si leggono anche per le strade, nei muri e sui volti. Ci sono la miseria, il barbonaggio, la protesta, l'anarchia, ma anche l'asservimento al sistema, il consumismo pazzo, la sete di potere, la ricchezza sfacciata e idiota. C'è tutto, insomma. Forse troppo.
Torniamo così verso casa, ricchi e pesanti di tante suggestioni. E' un bagaglio ingombrante, un fardello necessario di memoria e presenza.
Facciamo la spesa e puliamo le bici, che iniziano a soffrire per i maltrattamenti dei giorni scorsi.

Mi iscrivo al concorso straordinario per il ruolo, riservato ai docenti con tre anni di servizio, e anche al BAM! Campfire. Perchè la vita è anche a casa, e non si può trascurare quella radice flessibile e lunghissima che mi dà linfa ed energia per esplorare il mondo in sella a una bici.
E ci sono il lavoro e lo svago domestico, le cose piccole, di tutti i giorni, che torneranno.

Domani, però, si riparte, a disperdere un po' di pensieri nel vento, a seminare i campi di parole rare e selezionate come fiori nuovi.
Domani arriveremo all'Oder, sul confine polacco, pedalando nel parco naturale del fiume. E sarà l'ultimo giorno tedesco. Poi Polonia. Stettino, le coste piane del Baltico e Danzica. Ma che bello sarà tornare a nordest? Non vedo l'ora!

Concludo leggendo ancora un po' di Brecht, ritornano questi bellissimi versi, che credo possano riassumere bene tutto

Bertolt Brecht, La guerra che verrà

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

Bertolt Brecht, Der Krieg, der kommen wird

Der Krieg, der kommen wird
Ist nicht der erste. Vor ihm
Waren andere Kriege.
Als der letzte vorüber war
Gab es Sieger und Besiegte.
Bei den Besiegten das niedere Volk
Hungerte. Bei den Siegern
Hungerte das niedere Volk auch

3 commenti:

  1. Condivido appieno il tuo pensiero sul memoriale delle vittime dell'olocausto. Buona continuazione

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  2. Buongiorno,ti leggo da anni e ti ammiro moltissimo, hai un modo di scrivere,un pò dotto ed un pò da scaricatore di porto, che mi affascina. Mi piace il taglio che hai dato alla tua visita della landa tedesca, in effetti avendola girata parecchio, non posso darti torto,che proprio sia un posto dove vorresti vivere o nasconderti per vivere i tuoi giorni di vita migliori. asettica e senza tempo,tutta ricostruita,poco amichevole, non invoglia ad innamorarsi dei luoghi,per belli che siano. Comunque ora leggerò il resto. mi hai preso in contropiede, pensavo che per quest'anno non ci fossero viaggi (hanno rinviato tutto tutti,ma capisco la voglia di sgrassare la mente dagli italioti) ,a me sto Covid spaventa un pò, ho molti amici morti,e con tutti sti professori, non ho più molta fiducia ....buona giornata e buon viaggio ormai quasi al termine...spero un giorno di poterti incontrare dal vero e salutarti offrendoti\vi un caffè...ciao #manomonca

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