giovedì 11 agosto 2022

32-33. La Valle sacra degli incas. Sangue, acqua, roccia e vento













Martedì, 9/8
Anello Cuzco - Chinchero - Moray - Maras (salineras) - Cuzco
0km pedalati, molti camminati

Oggi abbiamo fatto i turisti, di quelli che mi stanno un po' sul chiulo, con il pullmino e la guida e i tempi prestabiliti. Purtroppo la quantità di siti da visitare e la natura del territorio impediscono di avere il tempo necessario per vedere tutto in bici. E quindi, da qui al passo Abra Malaga, che ci farà poi scendere a Santa Maria, per risalire al Machu Picchu, tutto ciò che non si trova nella Valle Sacra resta fuori dal nostro orizzonte. M vuoi non vedere alcuni dei più interessanti luoghi che narrano la storia degli inca? Non sia mai! E quindi tour organizzato di mezza giornata. Partiamo alle 8.30 e veniamo prelevati direttamente in hotel, per essere poi scaricati in piazza, dove veniamo ricaricati su un mezzo più grande, insieme ad altri gringos di svariata provenienza. Ci dà il buongiorno questo cane di razza peruana, glabro con il ciuffo punk, vestito in modo molto elegante.



La prima tappa è Chinchero. Questo pueblo andino è noto per la sua chiesa coloniale che poggia su fondamenta inca, per il sito archeologico ovviamente inca (terrazzamenti), per il mercato, dove si pratica ancora il baratto (trueco) tra prodotti agricoli, e per l'artigianato tessile. Nemmeno a dirlo, finiamo proprio nel Centro de textiles tradicionales. Al di là del chiaro intento di piazzare un po' di merce, si tratta di un'esperienza interessante.
Prima ci vengono spiegati i significati di tutti i simboli, i colori e i motivi dei tessuti, che sono, tradizionalemente, un modo di comunicare alternativo alla scrittura.


Poi ci vengono presentati i veri protagonisti di questo settore, coloro che forniscono la materia prima.



Infine le donne dell'associazione locale delle tessitrici, in ambiti tradizionali, ci mostrano le varie tecniche di filatura, tintura e tessitura. La ragazza che ci racconta tutto per filo e per segno, sia in spagnolo sia in inglese, ha un forte senso dell'umorismo e fa anche autoironia su alcune contraddizioni che l'esaltazione del "tradizionale", antico e spesso scomodo e rozzo modus operandi porta con sè. Ci viene offerto anche un mate misterioso.




Interessante è anche l'edificio dell'associazione in sè, dove troneggia una cucina tradizionale, questa sì, e una grande casetta per i cuy, i porcellini d'India, destinati inevitabilmente a finire nell'adiacente forno.





Guardiamo, ascoltiamo, apprendiamo. Purtroppo, per quanto i prodotti qui siano di altissima qualità, non abbiamo modo di fare shopping. Le nostre bici sono già cariche al limite e ci aspettano ancora tante salite.




Ripartiamo, ora alla volta di Moray, sito che si raggiunge passando per la cittadina di Maras, attraverso alcune splendide vedute dei mastodontici rilievi che proteggono la Valle Sacra.



Si tratta di terrazzamenti concentrici, utilizzati come vero e proprio laboratorio di colture. Il colpo d'occhio, dall'alto, è incredibile: sembra un sito alieno, qualcosa di creato da extraterrestri con la mania della perfezione geometrica.




Sulle pareti di un’enorme cavità sono stati ricavati diversi livelli di terrazze concentriche, ciascuna delle quali ha un suo microclima a seconda della profondità. Alcuni studiosi ritengono che gli incas utilizzassero queste terrazze come una sorta di laboratorio per determinare quali fossero le condizioni più favorevoli alle diverse colture, o per far acclimatare le piante all'altura. Ci sono tre bacini, in uno dei quali sono piantate varie specie, come in una sorta di museo vivente.




Mi affascina pensare che, sia pure per prove ed errori, una civiltà per tati aspetti così lontana dalla visione scientifica dell'esistente, almeno per come la intendiamo noi, fosse in grado di raggiungere tali livelli di tecnologia nei campi della botanica (e non solo, in realtà). Era gente che non usava alcuna forma di scrittura, usavano i nastrini e i nodi per tener traccia del mondo e di sè... Eppure... Sapevano costruire opere di tale ingegno. E' incredibile la varietà dell'umano, nel suo svilupparsi in forme storiche.




Ovviamente tutto questa scienza era lubrificata con una buona dose di sangue sacrificale, come dimostra la piazzola-altare davanti alle terrazze. Al solstizio d'estate e a quello d'inverno si sgozzava un lama per chiedere il favore della Madre Terra e del Padre cielo. Dalla loro unione (pioggia e terra) nasceva l'arcobaleno, che, secondo gli inca, significava la fecondazione avvenuta e aveva origine proprio in Chinchero.
D'altronde pochi anni dopo nel Vecchio Continente Keplero si trovava a difendere la madre da un'accusa di stregoneria. E parliamo di fuori Stoccarda, non di mondi esotici.


Dopo aver percorso il giro completo del complesso, che presenta altre "vasche" più ammalorate, ci dedichiamo un attimo alla contemplazione dell'imponente catena andina. che chiude la valle con cime tutte superiori ai 5000m. Le nuvole si rincorrono tra le vette e qua e là si intravedono violenti temporali. (di quelli in cui speriamo di non incappare MAI)
.



Ripartiamo. L'orizzonte scorre veloce davanti ai nostri occhi abituati ad un movimento decisamente più lento. Ha dell'incredibile la presenza, a queste quote (tra i 34000 e i 3800m) di eucalipti e agavi, ginestre e fiori che, nella mia ignoranza, ho sempre associato al mare, alla macchia mediterranea.








Dopo un tragitto straordinario su sentieri sterrati, che dà una visuale privilegiata sulle cime, veniamo portati in un centro di produzione artigianale di prodotti con il sale di un fiume ricco di sodio, di cui stiamo per visitare le famose saline. A quanto pare il sale qui ha proprietà magiche, miracolose e incredibili. Nel senso che è proprio meglio non crederci. Va detto che il cioccolato al sale e i vari snackini di frutta secca o mais o banane seccate sono eccezionali e non ci facciamo scappare l'occasione.


Resto sconvolta dalla bellezza pura di questi fiori enormi che incorniciano le cime scure. Credo sia la tenacia di una cosa tanto delicata e tanto fragile ad affascinarmi.





Ci rimettiamo in marcia per il breve tratto che conduce alle saline.




Questo è forse il sito di maggior impatto visivo. Si tratta di centinaia di vasche in cui viene convogliata l'acqua del fiume, che poi evapora e lascia il prezioso sale di cui è ricca. Il sito, inca ma usato ancora oggi dalle famiglie del paese, è stretto tra le pareti di una valle angusta, e lascia a bocca aperta da quanto è particolare e unico. Lascio una carrellata di foto "in avvicinamento", che spero renda l'idea di cosa significhi camminare qui, scendendo poco a poco verso le vasche.






Il sale era fondamentale per gli inca, sia perchè necessario a conservare i cibi, sia perchè usato come merce di scambio per prodotti provenienti dalla cosat e dalla foresta.


Oggi questo sale viene esportato e fa concorrenza a quello rosa dell'Himalaya; una parte della produzione è ad uso alimentare, una parte ad uso cosmetico.



Viene il momento di rientrare a Cuzco. Anche la strada per andarsene offre scorci pazzeschi sul sito, senza contare l'orizzonte di monti, talora spolverati di ghiaccio, che scorre sullo sfondo.






Veniamo lasciati di nuovo in Plaza de armas, a Cuzco. Siccome è presto, decidiamo di sfruttare il boleto turistico. Mettiamo il naso, letteralmente in toccata e fuga, al museo di arte contemporanea, soprattutto per visitare il palazzo del municipio, splendido esempio di architettura coloniale su base incaica..






Poi, sempre per onorare il boleto, non ci lasciamo sfuggire l'imponete, grasso e grosso monumento all'inca Pachacutec, detto l'Alessandro Magno del Sud America. Si tratta di una torre-museo sormontata dalla statuona dell'imperatore che portò le sue terre a espandersi oltre ogni confine sognato e fece costruire città (tra cui Cuzco) e templi sontuosi, strade e villaggi.




L'esposizione si concentra non solo sulla vita e le imprese dell'inca, ma anche sul valore simbolico della sua figura, che ha ispirato diversi movimenti di ribellione nel corso della storia. Dalla cima si gode anche di una bella vista panoramica su questo lato della città.




Prima di rientrare in hotel per un break, faccio un microacquisto ad uno dei marcati artigianali presenti anche in centro. Assisto all'incredibile scena di un gruppo misto di paciosi camelidi (lama e alpaca di diversi tipi) attaccare un cane randagio e inseguirlo fino a farlo scappare, pur senza nemmeno sfiorarlo. Queste bestiole pucciosette nascondono un cuore violento!







Dopo esserci riposati un poco e aver organizzato le prossime tappe, non ci lasciamo scappare un'ultima attrazione cittadina compresa nel boleto: lo spettacolo di musica e danze tradizionali al centro di arte nativa, nonchè teatro, Qosqo.



Temevo si trattasse di una porcheria per turisti, invece lo spettacolo si rivela più che godibile e interessante. Un'orchestra suona dal vivo brani andini più o meno noti, mentre vari gruppi di ballerini si esibiscono in abiti tradizionali. Ogni danza viene spiegata con una presentazione in premessa, che specifica la regione di origine e il significato.





Quasi tutte le danze rappresentano eventi legati all'agricoltura o all'allevamento (aratura e semina, accoppiamento del bestiame...). Le altre hanno a che fare con l'amour, il gioco di seduzione e i ruoli sociali di uomini e donne.



Alcune danze hanno valore rituale ed avevano lo scopo di chiedere fertilità alla Pachamama e pioggia al Pachatata. Alcuni costumi e certe movenze mi ricordano le maschere sarde. D'altronde parliamo di due società rurali di pastori e contadini, quindi ha senso.




Mentre mi lascio rapire dai colori, dalla gestualità e dal ritmo, penso che l'essere umano sia davvero una creatura affascinante. Immaginatevi questa gente, piegata dalla fatica, spezzata nelle ossa e nel fiato da un ambiente duro, ostile. Immaginatevi questa gente alla fine di una giornata di lavoro, in una vita di lavoro, stanca, distrutta, malnutrita, infreddolita, attanagliata da malattie di ogni genere... Che pure ha voglia di ballare, la sera. Ha la forza di mettersi il vestito della festa e saltare e cantare e ridere con il cuore leggero quanto i piedi. Immaginatevi quanto forte deve essere questo richiamo al non-necessario. All'arte. Al darsi un senso che non sia il mero sopravvivere, come le bestie. 




Mi commuovo anche, per un istante, perchè mi sovvengono, tutte insieme, in un solo fiato, le infinite manifestazioni culturali e artistiche dell'umanità intera, nel suo infinito svolgersi nel tempo e nello spazio. La musica, i colori, i gesti, le grandi opere, i piccoli manufatti degli artigiani, tutto questo creare, tutto questo voler sopravvivere al tempo, non limitarsi a se stessi. Da sempre, ovunque. Dare senso, darsi senso. L'uomo è la più disperata creatura, e la più vitale, perchè sa di dover morire.




Usciamo dal teatro arricchiti, con un senso di pienezza che ci permette di salutare Cuzco sena rimpianti. Abbiamo esplorato, visto, assaporato. Siamo stati qui. Siamo stati bene, come a casa. E ora è tempo di commiati. Ci concediamo una cena in un ristorante di lusso con terrazza su Plaza de Armas. E' un saluto degno alla capitale immortale che è questa città che palpita di migliaia di cuori.



ravioli di quinoa

terrina inca di verdure, patate, avocado

Domani ripartiamo. Faremo pochi kilometri, per raggiungere la Valle sacra. La destinazione è Pisac, sede di un mercato e di un sito archeologico degni di visita. E per via ci attendono alcune chicche che non mancheremo di raccogliere.

Mercoledì 10/8
Cuzco-Q'eqnqo-Pisac
35km in bici + 10km a piedi

Partenza in salita!


Tappa breve ma intensa, quella di oggi: abbiamo respirato tantissima storia tra pietre e eucalipti, e siamo finalmente approdati nella Valle sacra degli incas, che è bella di meraviglia pura. Uscire da Cuzco, così come entrarci, in bici, non è facile. E' tutta, sempre salita, spesso anche assai ripida. Ma soprattutto il centro è a scalini o acciottolato sconnesso SCIVOLOSISSIMO, che rende molto pericoloso anche camminare spingendo la bici a mano.
Perciò, dopo colazione, abbiamo iniziato a trasferire le bici scariche, prima e le borse, poi, dall'ostello alla cima della rampa acciottolata, facendo a turno per non lasciare le cose alla mercè dei malandrini. Il tutto con fiatone da moribondo e cambio scarpe alla fine delle operazioni (perchè con quelle da bici con le tacche è morte certa nel Cuzco). Prima ancora di poggiare le chiappe in sella eravamo già distrutti dai vari saliscendi con carico.


Alla piazzetta panoramica di San Cristobal, sotto lo sguardo incuriosito delle venditrici di pocorn e sopa, abbiamo montato le borse e via!


Lanciati al mondo a ben 5km/h per la prima ora, tutti in salita cattiva, attorno alla collina del sito di Saqsaywaman.


Siamo così giunti al bosco di eucalipti di Q'enqo, che è una meraviglia per gli occhi e le narici, per quanto questa pianta non sia originaria di qui e sia in qualche modo infestante.



Abbiamo quindi imboccato un sentiero per raggiungere il sito archeologico di Q'enqo; un locus amoenus, popolato da cavallini e pastori sorridenti.




Sorridenti al contrario di noi quando abbiamo scoperto con orrore che il sito era a 2km di discesa da lì; discesa che avremmo poi dovuto ripercorrere paro paro in salita. Oh no. In ogni caso, il sito vale la fatica.


Abbiamo lasciato le bici accanto alla casetta della biglietteria, esibito il nostro boleto ed eccoci nel pieno del mistero di uno dei luoghi più enigmatici visti finora.





Q'eqno in quechua significa "zigzag". E questa forma hanno i canali che circondano il megalite di calcare tutto scavato a corridoi, nicchie, strettoie e angusti passaggi. E' una sorta di labirintico tempio dove si svolgevano sacrifici rituali e mummificazioni di cadaveri.








I canali a zigzag servivano a convogliare il sangue delle vittime sacrificali (lama, per lo più) verso i campi attorno. Ai solstizi si dava da bere linfa vitale alla Pachamama e a Viracocha, come testimoniano l'altare e le minuscole incisioni che raffigurano lama, condor e puma.







Insomma, è un altare a imbuto con canali di scolo e una vista meravigliosa sulla città.






Terminata l'affascinante visita, ci rimettiamo in sella ed affrontiamo la salita ripida su cui prima abbiamo volato, scendendo. Gigi fa dei pezzi a piedi, io mi ostino a spingere e, terminata l'ultima rampa, vivo una piccola esperienza di premorte e no svengo solo perchè ho paura di cadere e butto in circolo adrenalina a fiumi.
Passiamo alcuni villaggetti estremamente votati ad attirare turisti, con negozi di artigianato più o meno affidabili e un immaginario simbolico di dubbia accuratezza storica e pure di dubbio gusto.





l'inca nerboruto


gli alpachini con i tarzanelli


Quando la vista si spalnca sulla valle, eccoci al secondo sito di oggi: Puka Pukara, il "forte rosso".




Si tratta di un'imponente struttura che domina l'intera vallata, in posizione strategica come postazione di guardia, ma anche come fortino di caccia e alloggio per viaggiatori.







La parte inferiore è costituita da camere adibite ad alloggi, mentre nella parte superiore ci sono magazzini e una spianata con vista panoramica.






In questo luogo si respira un senso di pace ma pure di forza, in alto com'è e inespugnabile nella sua austera semplicità di pietra.







Ci fermiamo a fare una breve pausa perchè Gigi è guarito ma porta ancora i segni di debolezza dell'infezione attraverso cui è passato, e siamo saliti di nuovo a 3800m. Dopo aver ripreso fiato, mangiato e bevuto, percorriamo la manciata di metri che ci separano dal terzo sito, Tambomachay. Si deve camminare un po' (in salita, ovviamente) per raggiungere il cosiddetto baño de l'inca. Anche questo sito, come gli altri, è compreso nel boleto e anche abbiamo la possibilità di lasciare le bici alla guardiola del bigliettaio




Si tratta di una vasca cerimoniale in pietra lavorata che convoglia l'acqua di una fonte attraverso fontane tutt'ora attive e perfettamente funzionanti. Per alcuni studiosi, questo luogo era dedicato al culto dell'acqua (e fin qui...).


Mi stupisce sempre constatar quante persone basino la propria attività sulla vendita di minuzie nei siti e nelle zone frequentate da turisti. Davvero i gringos spendono e spandono così largamente, al punto da mantenere pletore di ambulanti? Io per le foto agli alpachini sì, abbastanza.




Dopo Tambomachay, che ci regala una vista privilegiata su PukaPukara, inizia un falsopiano panoramico sulla valle di Cuzco, che corre in costa e ci regala scorci indimenticabili.









Così è la strada fino al passo che ci porta a lasciare la valle di Cuzco per tuffarci di testa verso el valle sagrado de los incas.




Tutta discesa, inebriante, da ubriachezza di endorfine, tra le nuvole e il profumo balsamico degli eucalipti al sole. Ci fermiamo in molti mirador per assaporare con la giusta calma la meraviglia dell'orizzonte chiuso tra vette e imponenti fianchi di roccia.



Attraversiamo paesini vivaci di studenti che escono da scuola e venditori che chiamano i clienti alla propria bancarella di chicharrones o helados.



ma come si pronuncia questo toponimo?


Poi la strada si fa più ripida e corre al piano stretta in un canyon spettacolare. Non fosse che la strada è dissestata e piena di buche e rattoppi che fanno da dosso,sarebbe da buttarsi giù a testa bassa a 80 all'ora.









Mentre i colori di questa pietra e l'azzurro ombroso del cielo ci avvolgono in un acquarello sfocato dalla velocità, ci si fa incontro una curiosa statua, al mirador Taray. Come spiega una guida di passaggio, si tratta del monumento all'amicizia. L'inca abbraccia un... Serpente piumato? Condor carpiato?


Certo è che, da qui, si gode di uno spettacolo così grandioso da risultare indescrivibile. E proprio di là, in quella direzione, dove le cime si fanno più alte e coperte di ghiacci, andremo noi, per l'ultima grande sfida alla montagna: l'Abra Malaga, 4350m da affrontare tutti d'un fiato in una lunga, ripida scalata di 40km.


Dopo aver respirato a pieni polmoni questa luce purissima, ci lanciamo negli ultimi km di discesa. Si vede Pisac, meta di oggi, di là dal fiume Urubamba. Si vedono, sopra al paese, i terrazzamenti inca abbarbicati sul fianco scosceso della montagna. A breve saremo lì sopra anche noi.





Raggiungiamo l'ostello, che è gggiovane e fresco e pieno d'arte, con tano di sala dei colori dove si può dipingere. Ci basta poco a capire che Pisac è meta di hippie e fricchettoni e fattoni e artisti, anime randagie, scappati di casa, gente new age da tutto il mondo (ma il mondo ricco). E il nostro alloggio è il centro di questo mondo di gente che dipinge, suona, si ubriaca e barcolla, ma in modo assolutamente pacifico e bonario. Ecco perchè viene definito "aeroporto internazionale per viaggiatori cosmici". E' la droga! Bastava dirlo.





E' presto ma neanche troppo, quindi decidiamo di salire al sito in taxi lungo la strada asfaltata e scendere poi a piedi per il breve, tortuoso sentiero a strapiombo, per evitare di essere sorpresi dal buio in pieno trekking.



Appena arrivati in cima, all'ingresso del sito, dopo i controlli del boleto, mi tolgo uno sfizio che mi attanaglia da ieri: il choclo con queso. Per un eurino puoi acquistare dai più marci ambulanti seduti a terra delle pannocchie bollite al momento, che vengono servite nella loro foglia, con una spolverata di sale e due fette di formaggio artigianale saporitissimo. Il mais ha chicchi enormi (in questa alle viene coltivato il più grande al mondo). Se hai la fortuna di non prendere nessuna delle numerose malattie che rischi per le condizioni igieniche e di conservazione, è uno spuntino delizioso e sano e nutriente. Anche perchè non abbiamo pranzato ma abbiamo pedalato, e ora si cammina.




Il sito consiste di una cittadella inca in posizione spettacolare, incastonata su una roccia aguzza circondata da gole profonde. Ci sono pochi turisti e si può godere dell'insieme paesaggistico e culturale in piena calma.







Il suo maggiore richiamo è costituito dai terrazzamenti coltivati, che si estendono alle pendici meridionali e orientali della montagna descrivendo ampie curve, quasi completamente prive di gradini (che richiederebbero una maggiore manutenzione e faciliterebbero l’erosione). I vari livelli sono invece collegati da scalinate diagonali realizzate con lastre di pietra conficcate nei muri di contenimento delle terrazze. Sopra le terrazze ci sono dei sentieri che costeggiano il dirupo, sui quali vigilano i caracara; questi sentieri sono ben difesi da massicce porte di pietra, ripidi gradini e una breve galleria scavata nella roccia.




Questo sito maestoso domina non solo la sottostante Valle dell’Urubamba, che percorreremo fino alla fine, ma anche un passo che conduce nella giungla verso nord-est (noi in Amazonas arriveremo invece per altra via). In cima alle terrazze si trova il centro cerimoniale, con un intihuatana (letteralmente "dove si lega il sole", un pilastro che gli incas usavano per le osservazioni astronomiche), diversi canali d’acqua ancora in funzione e alcuni tratti ben conservati della muratura dei templi.




l'umarell soddisfatto




Un sentiero risale il fianco della collina fino a raggiungere una serie di vasche cerimoniali e si snoda poi fino all’area militare. Se dalla parte posteriore del sito si guarda al di là della gola del Kitamayo, si vede che la parete del dirupo è perforata da centinaia di buchi a nido d’ape. Si tratta di tombe inca che sono state depredate dagli huaqueros (tombaroli) e che oggi sono completamente inaccessibili ai turisti.










Mi risulta sempre incredibile come gli inca fossero in grado di modificare l'aspra natura e il territorio estremo in cui vivevano, senza tuttavia, snaturare l'anima dei luoghi, anzi, fondendosi con essa, roccia su roccia, acqua nell' acqua.









Dopo una breve sosta nel punto più alto, di uovo a 3500m, viene il momento di scendere, anche perchè il sole è basso e la cima è frustata da un vento gelido.









Per tornare al paese attraversiamo le strade dell'antico insediamento, tra muri possenti di roccia e sentieri strettissimi a strapiombo, scalini di pietra e ponticelli in legno.







Con il trekking alla Vinicunca, questo è uno dei percorsi più belli in cui abbia mai avuto la fortuna di camminare. La natura intorno è grandiosa e spettacolare. Le rovine aggiungono quel tocco di fascino, di mistero, di interesse. Il Perù, con i suoi panorami assoluti, ha spostato molto, molto in alto la mia asticella del senso estetico. Sento che sarà difficile accontentarsi, d'ora in poi.



Man mano che si scende si incrociano altri terrazzamenti e altri resti dell'antico insediamento, che si con-fondono con il cuore della montagna.





Poi si fa ben visibile l'abitato moderno, e il fiume corre d'argento vivo attraverso la valle, dritto e senza anse, senza ansie. Come noi. Qui. Ora.










Il sentiero ci riconduce al paese, al suo famoso mercato artigianale (troppo turistico e ordinato per i miei gusti)





e alla piacevolissima plaza de armas, dove si trova la chiesa di San Pietro. Qui, ogni domenica, la gente in abiti tradizionali scende per ascoltare la messa in lingua quechua, con uomini degli altopiani che suonano i corni e varayocs (ufficiali locali) con i loro bastoni del comando in argento




Torniamo, belli cotti dal sole e dalla fatica, nel nostro hotel fricchettone. Doccia, riposo, e per cena ci godiamo l'abbondanza e la freschezza del locale El sabor, quinta frequentata solo da peruviani. Ordiniamo una zuppa, e la signora va a comprare la verdura al negozio accanto, per cucinarla al momentissimo. Spaghetti con verdure? Idem, e di una bontà OLTRE.
Sazi di bellezza e di comida muy rica, siamo pronti a muovere verso Urubamba e Ollantaytambo, domani, sempre nella Valle Sacra. Poi sarà altura, di nuovo, ma per l'ultima volta in questo viaggio andino.

2 commenti:

  1. Spettacolare....sono pronti a pedalare solo in terre assai rare...

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  2. Straordinari i tuoi foto racconti e che impresa! Ciaooo

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