Villa sola de Vega-Oaxaca de Juarez
92km
Oggi è giornata campale in tutti i sensi. Abbiamo da pedalare una tappa impegnativa, per distanze e dislivello. Ma la meta sprona ad affrontare la fatica: finalmente arriveremo ad Oaxaca, capitale dello stato omonimo, intrigante destinazione in cui si fondono cultura, tradizioni secolari, cucina raffinatissima, street art, musica, spiritualità, sapiente artigianato e coloratissima caciara festante generalizzata. Qui faremo un paio di giorni di sosta, perchè siamo bolliti dagli ultimi 11, percorsi di fila a suon di centinaia di kilometri e migliaia di metri di dislivello. Insomma, una pausa ce la meritiamo! Anche perchè poi dovremo tornare nelle montagne, alla Sierra norte, per attraversare lo stato di Puebla e raggiungere Città del Messico, passando al cospetto di sua maestà il Popo(catepetl).
Questa notte non ho praticamente dormito, un po' per i latrati dei cani che han litigato a bande di randagi tutta la notte, un po' perchè ogni paio d'ore qualcuno bussava con violenza sul portone metallico del cortile, chiedendo asilo. La signora del turno di notte non ha aperto a nessuno, anzi ha cacciato via tutti a male parole; probabilmente si trattava di noti borrachos di paese.
Quindi, quando suona la sveglia, sono presente a me stessa e alla realtà molto poco. Quasi per niente. Ma un paio di tortillas con marmellata e riemergo dal mondo dei più. Pronti, via. L'aria è limpida, chiarissima e fresca al punto da richiedere un antivento. Siamo pur sempre a 1500m!
Salutiamo Villa sola de Vega, che è pervasa da un profumo di pane appena sfornato e mais arrostito. Le vie sono ancora tranquille, e noi ne approfittiamo per uscire in fretta dal centro abitato.
Si comincia subito a salire, ma i primi kilometri sono mossi e non mancano pure delle piacevolissime discesine. I paesi, qui a valle, sono numerosi, per quanto minuscoli, e si susseguono in fretta uno dopo l'altro. Ognuno ha un servizio: nel primo c'è il fabbro, nel secondo il meccanico auto, nel terzo il serramentista e nel quarto la farmacia. In tutti dei cani maledetti dalle divinità, che ci inseguono sbavando e mostrando i denti. Qualcuno rischia una sassata, questa volta per davvero. Spesso escono, dopo gran baccano di urla e abbaiare, i padroni, che dicono la classica frase che usa anche da noi: "Non mordono, non fanno niente!". Magari, testaccia di ca', se non li incattivissi a calci e fame, sarebbe pure vero. E volano da parte mia i cabronazo, huevonazo, te mato los perros de mierda e altre delicatezze apprese già lo scorso anno in Perù. Soprattutto quando i proprietari stanno lì, quasi divertiti, ad assistere alla scenetta dei cani che ci attaccano, noi che scendiamo dalle bici e iniziamo a gridar loro contro sempre camminando, sassaiole sparse ecc. In quei casi tirerei delle mattonate in capo ai padroni. Che fastidio. Già è faticoso, così diventa stressante.
Mentre temo di aver insultato qualche malavitoso che ora ci insegue in auto e ci spara nella schiena, la strada inizia a impennare. Ecco qua l'ultimo passo da affrontare, poco sotto ai 2000m. Ci muoviamo tra boschi e fitta vegetazione, in un silenzio che è infranto dallo stormire di foglie al vento e qualche canto d'uccello tra i rami.
Dopo una quindicina di kilometri, finalmente, si scollina e inizia una discesa spettacolare, non troppo ripida nè troppo tortuosa. Si possono non toccare mai i freni, e seguire le anse larghe della strada mentre intorno il paesaggio si fonde in una macchia d'acquarello verde e azzurra. I paesi ricompaiono, e i cani anche, ma stavolta facciamo loro delle gran pernacchie perchè stiamo scendendo veloci come proiettili e siamo irraggiungibili.
Davanti a noi, per la prima volta dopo giorni, l'orizzonte si apre un poco e la vista spazia, non più frenata da file di monti ma libera di correre lungo un altopiano tutto colline e campi coltivati. Ci siamo, abbiamo raggiunto il cuore dell'Oaxaca. La strada, in verità, ancora per diversi kilometri sale e scende con rampe brevi ma ripide, che si susseguono a giro stretto. Il che, sommato al leggero vento contrario, ci rende la pedalata lenta e penosa. Ma proseguiamo, la città ci chiama.
Una volta in valle i paesi si susseguono quasi senza soluzione di continuità, e non sono più microscopici come quelli in altura. Sono cittadine, con la chiesa e le case in muratura, qualche negozietto, il mercato e gli ambulanti con il megafono che strillano "Tacos! Tortas! Quesadillas!". Facciamo sosta a poco meno di metà tappa, in una bodeguita che vende di tutto, ha i bagni e un paio di tavolini. Accanto ai tavolini ci sono enormi sacchi di cibo secco per animali, e un gatto ruba kili di croccantini saltandoci dentro. Infatti è il primo gatto grasso che vedo qui in Messico. Ci sono anche nubi di moscerini, e dobbiamo far la doccia con l'Autan perchè, oltre a essere fastidiosi ed entrare in ogni orifizio, pungono pure. In compenso scordo di mettere la crema solare e, a fine tappa, mi ritrovo completamente bruciata, color camaron, come dicono qui per insultare i bianchi.
Ripartiamo e la strada diventa più mansueta e pianeggiante. Corre drittissima per ampi tratti, e ricorda un po' i paesaggi del viaggio negli States. Intorno a noi, sullo sfondo, alture, che cingono coltivazioni di mais, agave, cactus per la cocciniglia e pratoni a pascolo.
Questi orizzonti nuovi e il dislivello ridotto ormai quasi a zero ci ridanno forza, e continuiamo a pedalare a un passo che non si vedeva da giorni. Arriviamo, quasi senza rendercene conto, a Zimatlàn, che dà nome alle valle e fu fondata da zapotechi in fuga dalle persecuzioni dei conquistadores. Qui si svolge un vivace mercato e l'artigianato prospera, soprattutto nelle arti tessile e ceramica. Vicino si trova San Bartolo Coyotepec, capitale del barro negro, la ceramica nera e lucida, polita con pietre di quarzo, che viene venduta in tutto lo stato.
Ci lasciamo trasportare dal flusso umano e di mercanzie in centro al paese, ma poi dobbiamo tornare indietro e imboccare la strada più breve per la capitale.
Lasciamo la statale e proseguiamo su una via secondaria, tutta buche e cumuli di sabbia, che, attraverso le campagne, conduce a Zaachila, città in parte mixteca e in parte zapoteca nota per il suo mercato e le bancarelle gastronomiche. E' un caotico insieme di galline starnazzanti, mototaxi strombazzanti, sciure in abiti tradizionali che spettegolanti e cani che inseguono le auto ma non noi. Fu pure capitale zapoteca, dal 1400 alla conquista spagnola, dopo la caduta di Monte Alban. Infatti c'è un microscopico sito archeologico con due tumuli visitabili. Per questa volta, passiamo. Facciamo una breve sosta e ripartiamo mentre, davanti a noi, si preannuncia un temporale apocalittico. Si alza il vento, il cielo diventa nero e viola, colonne d'acqua offuscano l'orizzonte vicino. Saltiamo anche la deviazione per Cuilpan, dove si trova un ex monastero domenicano senza il tetto, iniziato nel 1560 mai finito per questioni finanziarie. Qui si trova anche la chiesa che custodisce la tomba della figlia dell'ultimo re zapoteco di Zaachila, nel cui chiostro fu fucilato l'eroe dell'indipendenza Vicente Guerrero, nel 1831.
Ultimo strappo, in corsa contro il temporale che incombe. Eccoci in periferia di Oaxaca, e, dopo strade sempre più trafficate, finalmente in centro, dove abbiamo prenotato una stanza all'Hotel Jimenez (che si rivelerà scelta azzeccatissima). Ci carichiamo bici e bagagli in spalla e raggiungiamo la nostra tana al terzo piano, tra festoni e bandierine colorate.
Dopo la doccia e un nulla di riposo, usciamo subito. Abbiamo delle incombenze logistiche da sbrigare e vogliamo risolverle il prima possibile. Step 1: lavare i vestiti, da bici e non, sordidi, unti, saponosi e puzzolenti. Il che avviene con agilità in una laundromat a una manciata di metri dall'albergo.
Step 2: cortare il pelo di volpe. I miei capelli sono un cespuglio, un ciuffo d'ananas, e, mentre aspettiamo il ciclo della lavatrice, entro nella prima peluqueria che trovo e mi faccio sistemare la cabeza da una signora che ci chiede vita morte e miracoli, mentre, con un occhio, segue una telenovela becera tutta tradimenti e piazzate di cornuti. Fa tutto a mano, senza macchinetta, e alla fine mi spolvera a più riprese di borotalco con un pennellaccio. Che goduria profumare ed essere tornati in ordine, presentabili e con minor rischio di pidocchi e altri parassiti.
Step 3: sistemare il mio freno posteriore. Le pastiglie non sono ancora consumate del tutto, ma bisogna regolare il filo che ha preso troppo gioco. Ci sono ben due negozi, uno accanto all'altro. Lasciamo da parte il fighetto Bicimundo e ci rivolgiamo ai meccanici di Pedro Martinez. Questo ex olimpionico messicano ha aperto un negozio di bici e riparazioni ma offre anche gite di giornata in Mtb in tutti i dintorni di Oaxaca, con tanto di trasporto, noleggio e guida. La sua squadra è composta da ragazzi super in gamba e capaci di risolvere ogni problema in breve. Alla cassa sta la padrona, armata di racchetta elettrificata per incenerire le mosche, che chiama i chicos quando ci sono i clienti e poi prende il denaro. Mi sistemano il freno in un attimo. Gigi si fa lavare e ingrassare la catena (che fighetto!), e, nel tempo dell'asciugatura panni, abbiamo sbrigato anche questa pratica.
Cotti ma soddisfatti, ci concediamo una ricca cena in un ristorante nei dintorni dell'hotel, con prezzi pop e offerta di piatti regionali freschi. Andiamo di guacamole con totopos para compartir, polletto con mole per Gigi e verdure in crema di quesillo (formaggio tipico di qui) per me.
29/7
Oaxaca
Prima di approfondire la storia e le impressioni ricavate da questa giornata trascorsa tra vie e piazze di Oaxaca, sento l'urgenza di mettere per iscritto la sensazione che più mi è rimasta addosso a pelle viva. Si riassume in: profondità culturale e complessità. Qui ancora più che altrove ho assistito, in poche ore e in uno spazio ridotto, a una quantità spropositata, quasi ingestibile mentalmente, di manifestazioni di tradizioni e arte, artigianato e, appunto, cultura in senso lato. Tra edifici coloniali e chiese barocche, ad ogni angolo di piazza qualcuno suona, o canta, o balla, lasciando ampio spazio al folklore. Nei numerosissimi mercati, coperti e non, gli artigiani sono intenti a tessere, ricamare, dipingere, cuocere, infilare perline, modellare il metallo. E quasi tutte queste conoscenze tecniche sono tramandate da secoli. Ogni pochi minuti ci si imbatte in una festa privata di proporzioni ciclopiche, con orchestra di ottoni e percussioni dal vivo, ballerini e maschere danzanti, fuochi d'artificio e persone elegantissime che brindano a mezcal. L'arte, in ogni livello e forma, pervade la città e scorre nelle sue vene, tra musei raffinatissimi e murales di protesta, collettivi di pittori, gallerie di lusso e pinacoteche. La lotta degli attivisti per i diritti delle minoranze, delle donne, dei lavoratori, è continua e forte. La cultura del buon cibo e del bere bene è centrale, che si tratti di un baracchino ambulante o di un ristorante stellato. E in tutto questo, oltre alla stratificazione storica, si aggiunge la varietà locale: ogni etnia, ogni valle, ogni città ha i suoi costumi, i suoi abiti, la sua musica e le sue danze, il suo mole e le sue maschere, persino la sua lingua. E son tradizioni secolari, che hanno resistito al tempo e si sono modificate, adattate, fuse a ciò che man mano la corrente della storia ha portato. Ho avuto l'impressione fisica, tattile, di tutto questo profondo oceano di mondi compresenti durante uno spettacolo di danze tradizionali con musica live cui ho assistito nello zocalo, la piazza centrale. Osservando i passi ritmati dei ragazzi e delle ragazze, nei loro abiti coloratissimi, tutti piume e svolazzi, ho avuto i brividi. Ho pensato: "Guarda questi giovani e giovanissimi quanto ci tengono a farsi testimoni della loro identità, quanta importanza danno a una tradizione che si rinnova ma costituisce il filo rosso che li lega ai loro antenati, fisicamente identici nel volto e nello sguardo fiero. Guarda come sanno tenere vivo il passato, mentre abitano compiutamente il presente (perchè il femminismo, i diritti della comunità LGBTQ+, la lotta alle discriminazioni sono una realtà, qui). C'è tanta forza in tutto questo. E' una forma positiva di resistenza a quella globalizzazione che sfocia in appiattimento". Nutro grandissimo rispetto per loro e per tutti coloro che in questa direzione si muovono, che sia dipingendo, danzando o tenendo un banchetto che chiede giustizia per i femminicidi o le vittime nei narcos collusi con le forze dell'ordine e il governo.
Questa è la premessa generale.
Ora torniamo a stamattina, quando ci siamo alzati tardi e abbiamo fatto colazione in hotel (è inclusa nella cifra già modica!) con estrema calma, godendo degli scorci sulla città dal terrazzo. Caffè, empanadas al formaggio con salsa di fagioli, macedonia e pancake con miele e panna. Un attimo di meritato paradiso dei sensi!
Intanto leggo che Oaxaca si chiama per intero Oaxaca de Juarez; il primo nome è azteco e significa luogo tra le piante di huaje. Il secondo è un omaggio a Benito Juarez, nativo nato non lontano da qui, eroe nella guerra contro i francesi e presidente del Messico dal 1858 al 1872.
In questa valle zapotechi e mixtechi hanno vissuto per millenni, in perenne guerra fra loro. Poi, nel Quattrrocento, sono arrivati gli aztechi, che hanno sottomesso alcuni centri di primaria importanza, per poi essere a loro volta sconfitti dopo breve tempo dagli spagnoli, nel 1521. Questi imposero la pace tra zapotechi e mixtechi, che ancora se le stavano dando, e iniziò il processo di evangelizzazione forzata. Gli spagnoli arrivarono qui insieme a 400 aztechi perchè Moctezuma II aveva detto a Cortes che l'oro veniva da qui ("Sì sì andate là a rompere las pelotas, almeno vi sciacquate da qui e ci lasciate in pace").
Poi chi si era stabilito nel nuovo centro era un po' troppo indipendente e autonomo per i gusti di Cortes, perchè i coloni avevano ottenuto dal re il possesso delle terre; lui allora si fece nominare marchese della valle di Oaxaca, sfollò i villaggi circostanti e li rimpiazzò con i suoi fedeli, sempre pronti a opporsi alla ribelle Antequera (Oaxaca).
Di storia più recente ci sarebbe molto da dire, ma mi limito a tre fatti: Benito Juarez e Porfirio Diaz sono oaxaqueni.
Avanti veloce fino al 2006, i fatti di Oaxaca. Gli insegnanti danno il via a proteste per chiedere un aumento salariale, essendo cresciuto a dismisura il costo della vita. Le richieste non vengono ascoltate, non si apre un tavolo di lavoro, il sindacato degli insegnanti viene sciolto. Riprendono le manifestazioni. La polizia federale preventiva interviene con violenza, causando feriti e tre morti (tra cui un giornalista americano). La tensione cresce ulteriormente, il presidente invia ulteriori forze armate che agiscono con ferocia, causando altri feriti e morti, oltre ai numerosi arresti. Cercano di chiudere l'università, cuore pulsante della protesta, con la sua radio. Non riescono. Si apre un tavolo di discussione. Gli insegnanti ottengono un aumento a patto che tornino subito a lavorare. Così accade, ma i morti restan morti, e chi è finito in carcere è ancora lì in cella.
Fatta questa carrellata di eventi storici, scendiamo in strada, finalmente, per esplorare la città.
Tutte le vie del centro sono addobbate e coloratissime, tanto più che è in corso ancora la festa della città (che dura un mese!), la Guelaguetza. In quest'occasione tutte le sette regioni dello stato mandano delegazioni di musicisti, ballerini, giovani che si affrontano in concorsi di bellezza e rappresentanti delle varie culture che sfilano con gli abiti tradizionali. Siamo arrivati nel momento giusto!
La nostra visita parte dalla piazza centrale, lo zocalo, che, con tutto il quartiere, è stato dichiarato patrimonio UNESCO.
Ci accoglie l'austera chiesa della Compagnia di Gesù, dove, nel cortile, è in corso una kermesse di cucina regionale tra sciure che spadellano e uomini che portano tavoli e sedie.
Da qui si accede alla bella e già vivacissima piazza, ombreggiata e circondata da portici. Brulica di ambulantes, artisti di strada e venditori, lustrascarpe, gente che promuove tour, musicisti, bancarelle, e persone che semplicemente si godono una passeggiata, un caffè o un gelato.
Sotto ai portici del palazzo del governo, meraviglia ottocentesca di archi e murales, c'è una mostra fotografica che ritrae alcune scene del folklore delle varie etnie dello stato. Sono di una bellezza indescrivibile!
Torniamo in piazza dopo aver tentato invano di entrare nel palazzo, dove si trova una scultura a forma di tlayuda (tipo tortilla) da 300kg, su cui sono raffigurate scene salienti della storia locale. Ci perdiamo nel brulicare di gente che fa cose, tra colori, suoni e profumi. E' bello tornare in città dopo tanti paesini, e quasi stordisce.
Attraversando la piazza si raggiunge la cattedrale, antica, maestosa e austera, con la sua pietra chiara e le decorazioni barocche. E' stata iniziata nel 1553 e finita nel XVIII secolo, dopo una serie di terremoti.
c'è chi chatta, chi recita il rosario in ginocchio e chi accarezza la teca con una statua del Cristo deposto |
Dopo un banchetto per chiedere giustizia per chi è finito ingiustamente al gabbio e un mercato, ci avviamo verso l'andador turistico, strada che dagli anni '80 è chiusa al traffico e corre dalla cattedrale al tempio di Santo Domingo, tra edifici in pietra di epoca coloniale, boutique, gallerie d'arte, mezcalerie, ristoranti pettinati e mercati di artigiani di alto livello, oltre agli immancabili ambulantes (tra cui numerosi bambini che vendono i loro disegni).
maschere regionali che fanno invidia a quelle sarde |
in Messico, nelle città, si usa molto l'ombrello per ripararsi dal sole -e poi dalle improvvise piogge |
nuestra identidad, nuestra cultura, nuestra ciudad non son un negocio |
Dopo la breve e piacevolissima passeggiata sulla via pedonale, raggiungiamo l'imponente Templo de Santo Domingo. E' considerata la più bella chiesa della città, con sculture barocche sulla facciata e interni decorati centimetro per centimetro con dipinti, altorilievi e arabeschi dorati. La costruzione si è svolta per lo più tra 1570 e 1608, insieme all'adiacente monastero domenicano, grazie al contributo dei migliori artigiani dell'epoca, provenienti da tutto il paese. La chiesa è sopravvissuta ai terremoti grazie alle spesse mura. Santo Domingo de Guzman è rappresentato sulla facciata, in centro, mentre all'interno, sul soffitto è raffigurato il suo complesso albero genealogico. Anche qui i domenicani si schierarono a favore dei nativi contro gli eccessi del colonialismo.
Proprio nel monastero domenicano ha sede il Museo de las culturas de Oaxaca. Anche in questo caso, come già è capitato in altri musei simili qui in Messico, non si tratta solo di una collezione di reperti archeologici. L'obiettivo delle esposizioni è quello di mostrare l'evoluzione e la continuità delle culture dello stato dal periodo preispanico ad oggi, in ambiti come artigianato, cucina e medicina, ripercorrendone la storia. L'edificio che ospita le mostre merita, già di per sè, una visita, tra decorazioni e chiostro.
dalle finestre ad arco si possono ammirare scorci del ricco giardino etnobotanico |
statuette che rappresentano i due volti dell'esistenza, vita e morte |
Il fiore all'occhiello del museo resta comunque il "tesoro mixteco", rinvenuto nella tomba 7 di Monte Alban (che visiteremo domani). Si tratta di una raccolta di gioielli e manufatti preziosi risalenti al XIV secolo, quando i mixtechi riutilizzarono una vecchia tomba zapoteca per seppellire un loro re, insieme ai servi sacrificati in suo onore. Ci sono oggetti di fine fattura in argento, turchesi, corallo, giada, oro, ambra e perle, oltre a ossa intagliate con iscrizioni che narrano miti cosmogonici e storia della città. Su tutto campeggia il cranio umano coperto da un mosaico di turchesi che rappresenta, probabilmente, una divinità dell'oltretomba. L'apertura circolare fa pensare fosse usato per rituali, come una coppa.
Cortes |
Santiago Matamoros (a sinistra) della Reconquista si trasforma in Santiago Mataindios (a destra) |
una sala è dedicata a un collettivo artistico di sole donne |
c'è una temporanea dedicata al cane messicano nella storia e nella mitologia |
uscendo dal museo si può sbirciare la meravigliosa biblioteca custodita sempre nel monastero |
Usciamo sazi di informazioni e appagati da quanto appreso, e ci troviamo catapultati in una caciare incredibile, proprio sul sagrato della chiesa di San Domenico. Sulle prime pensiamo a un matrimonio, ma, guardando bene i festoni, capiamo che si tratta di una quinceanera! E' la solenne festa dei quindici anni, derivata alla lontana, ma nemmeno troppo, dai riti di passaggio all'età adulta. Si comincia con una messa di ringraziamento in abiti da cerimonia (sono abiti da matrimonio), cui partecipano genitori, parenti, sette damigelle d'onore e sette ciambellani. Dopo la funzione sorelle, cugine e amiche consegnano i regali alla quindicenne, mentre lei lascia il bouquet in offerta alla Madonna. Poi si esce sul sagrato e, almeno qui, ci sono una banda di ottoni e percussioni, ballerine e uomini in maschere tradizionali (anche ben grandi, come fossero sui trampoli), oltre a "sbandieratori" di festoni e palloni celebrativi. Si lanciano caramelle sulla folla danzante, e il padre e i padrini versano alcolici ai presenti, che bevono da piccoli bicchieri in legno appesi al collo. Non mancano fuochi d'artificio e botti. Il corteo prosegue lungo la pedonale, sempre danzando. Poi da lì immagino vadano a festeggiare con le gambe sotto al tavolo a casa o in qualche locale. E' una cosa serissima, comunque! Più che un nostro matrimonio. Anche perchè tutta la folla presente viene coinvolta nella festa, che raduna la piazza e l'andador.
Assistiamo alla cerimonia quasi partecipando, tra applausi, lanci di dolci che ci piovono in testa e una generalizzata allegrezza. Qui sanno come divertirsi! Quando il corteo si allontana, noi proseguiamo verso uno dei numerosi mercati artigianali di gran qualità, dove chi vende è intento, dietro alla bancarella, a produrre le proprie opere, che siano biscotti, ricami, animali di legno dipinti o collane in perline.
chapulines, cavallette al peperoncino |
Mentre ci riposiamo un attimo, di nuovo in piazza, vengo interpellata da un gruppo di ragazze; la più piccola ha 11 anni, la più grande qualcosa più di venti. Mi dicono subito: "Ciao! Non vogliamo venderti nulla, solo parlare un po'. Siamo studentesse di una scuola di lingue e vogliamo far pratica di inglese conversando con i turisti". Spiego loro che nemmeno io sono parlante nativa inglese, ma ci sto, dai, facciamo due chiacchiere! Hanno una scheda con delle domande: quanti anni ho, di che nazionalità sono, come mai sono qui, se conosco qualcosa dell'Oaxaca, se ho visitato altri posti nello stato, qual è il mio cibo locale preferito... Le stupisco perchè, avendo pedalato nei più reconditi recessi delle più sperse montagne, so tutto delle tradizioni e ormai me la gioco con i local. La conversazione ingrana e ne approfitto per chiedere loro un po' di tutto riguardo alle maschere che ho visto, alle feste, al cibo. Insomma, è come essere tra amici che si raccontano esperienze dopo tanto tempo lontani. Mi chiedono una foto per dimostrare al loro insegnante che hanno interagito davvero, e io faccio altrettanto. E' un momento bello da immortalare.
E' ormai pomeriggio. Decidiamo di tornare sui nostri passi verso l'albergo per riposare un po'. Prima di rientrare, però, facciamo una piccola deviazione per ammirare una bellissima chiesa, la Basilica de nuestra senora de la Soledad.
marimba! |
La facciata barocca del 1690 si erge imponente sopra a bancarelle e tavolini, mentre l'interno è riccamente decorato. E' in corso una funzione, per cui evitiamo di far troppo i turisti.
Inizia a piovere, per cui ci rifugiamo in hotel per qualche momento. Siamo abbastanza provati e dobbiamo recuperare in freschezza, perchè per raggiungere Puebla, nostra prossima meta, dovremo affrontare altre montagne, altri canyon e altra fatica. Intanto studiamo bene le tappe, in modo da esser preparati a quanto la strada ci porrà di fronte.
Gigi decide di non uscire più fino a cena, mentre io friggo dal desiderio di tornare ad assistere allo spettacolo umano che brulica nelle strade e nelle piazze. Torno nello zocalo, che è molto più animato di stamattina. In ogni angolo ci sono spettacoli di musicisti e danzatori. C'è da perdersi tra tanto colore e tanta bellezza! Alcuni sono artisti di strada, altri sono eventi patrocinati dalla città.
palloncini sojuz siluro lanciati dai bimbi chemovelobuco |
altro concerto di chitarristi |
Passeggio fin oltre il crepuscolo, tra musica, danze e mercati. Qui mi rendo conto di quella profonda complessità di cui ho parlato all'inizio, mentre mi imbatto in altre quinceanere e feste che non riesco a decifrare, con maschere, orchestra e toritos esplosivi pirotecnici almeno quanto le nubi infiammate dall'ultimo sole.
Dopo aver fatto il pieno di questa umanità danzante che infiamma le piazze di musica, mezcal, luci e risate, recupero Gigi e andiamo a cena. Questa volta mi concedo un'insalata con queso oaxaqueno. Mi fa molto ridere, poi, il modo in cui viene scritto ketchup. Catsup. Gud cat sup. Miao.
Facciamo anche un salto in banca perchè Gigi deve ritirare contanti e qui qualche contraddizione appare, perchè non è tutto e solo oro ciò che luccica. Anche qui c'è un divario pazzesco tra cittadini benestanti, spesso chiari di pelle, mestizos, elite che passeggia in abiti che richiamano la tradizione ma son freschi di sartoria, e una massa di persone senza forza economica e politica, costituita per lo più da nativi. Sono le donne che vendono quattro semini o due camicette in piazza, i bambini che propongono ai turisti animalitos dipinti e segnalibri in legno. I senzatetto anestetizzati dall'alcol che dormono in strada.
Domani andremo a Monte Alban. Ho già acquistato i biglietti per il colectivo che ci porterà al sito archeologico forse più interessante dell'Oaxaca. Inutile dire che non vedo l'ora di godere di questa nuova meraviglia!
30/7
Oaxaca-Monte Alban-Oaxaca
Questa mattina la signora delle colazioni ci delizia con enchilladas piccanti (di cui mangio doppia porzione, perchè Gigi non ce la fa col peperoncino di prima mattina), frittata (che gli cedo in cambio) e soliti deliziosi pancake con miele e panna. Nel miele ci sono decine di moscerini annegati, ma me ne accorgo tardi, quando ne avrò già inghiottiti uno sciame sia nel latte sia sui pancake. Pace. Sembra ambra con i fossili dentro.
Il nostro colectivo (modo rapido per raggiungere il sito archeologico di Monte Alban senza infognarsi nei tour guidati) parte alle 10.30, quindi abbiamo tutto il tempo per goderci una passeggiata in centro. I preparativi per una kermesse culinaria fervono accanto alla cattedrale, dove pure le suorine oggi hanno la loro bancarella.
La cattedrale è dotata di schermi ad ogni colonna per vedere l'altare anche dalle navate laterali. Altro che megaschermo allo stadio! Chissà se fanno anche la telecronaca stile partita di calcio. Fuori, i muri parlano, e sorreggono.
ni leyes ni fronteras. Ningun humano es ilegal |
All'ora prefissata ci troviamo alla fermata e ci carichiamo sul colectivo insieme a due coppie di francesi e due numerose famiglie messicane. Oggi è domenica e i siti archeologici sono gratuiti per i local. Infatti bisognerebbe evitare la domenica come giorno di visita, ma sue due mesi e mezzo non sono riuscita sempre a organizzare. Oggi va così. Uscire dalla città è un delirio di traffico, come arrampicarsi sulla stretta e ripida viuzza che conduce alla collina su cui sorge il sito. Ci sono decine di autobus, furgoni, auto, motorini. Sembra che tutti i messicani, 130 milioni che sono, abbiano deciso di concerto di recarsi tutti qui, tutti insieme. C'è da dire che lo spettacolo d'arte di varia umanità vale comunque la pena di essere osservato.
Nel giro di mezz'ora raggiungiamo l'ingresso al sito, che si erge 400m sopra al fondovalle, a quasi 2000m di quota. Qui gli zapotechi hanno spianato la cima di una montagna per costruire, a partire dal 500 a.C. una loro capitale, con templi, piattaforme, abitazioni, osservatorio astronomico e campo di gioco per la palla. Gli zapotechi giunti qui da città vicine intrattenevano rapporti commerciali con gli olmechi, che ne hanno influenzato lo stile.
La fase I della storia del sito va dalla fondazione al 200 a.C. In questo periodo fu spianato il monte e furono costruiti i principali edifici, dando vita ad una città di oltre 10.000 abitanti. I glifi e le date scolpite in questa fase, con un sistema di scrittura basato su punti e linee, fa ipotizzare che le elite di Monte Alban siano state le prime di tutto il Mesoamerica a usare la scrittura e un calendario scritto.
La fase II vede la potenza della città espandersi e dominare una porzione dell'Oaxaca sempre maggiore.
Il massimo splendore giunge nella fase III, dal 300 al 700 d.C.: i fianchi delle colline vengono terrazzati, la popolazione raggiunge le 25.000 unità. La struttura sociale è altamente organizzata, governano sacerdoti sotto il cui controllo ricadono gli oltre 200 villaggi delle Valles Centrales. Gli edifici sono intonacati e dipinti di rosso, le oltre 200 tombe riccamente affrescate.
La fase IV (700-950 d.C.) vede la città cadere in rovina, dopo essere stata abbandonata progressivamente. La fase V (950-1521) è povera di eventi; arrivano i mixtechi, riutilizzano alcune tombe (tra cui quella del tesoro visto ieri). Poi arrivano gli spagnoli e il resto è storia nota.
Appena entrati nel sito si viene subito accolti da un'aria frizzante, alcune tombe e panorami mozzafiato sulle valli circostanti, gravate da nubi cariche di pioggia. Ma il bello deve ancora venire.
Dopo una breve passeggiata ci si trova d'improvviso al centro della Gran plaza, 300mx200m, che è la cima spianata del monte. Su di essa affacciano templi, abitazioni, edifici cerimoniali e amministrativi e i resti di abitazioni private dei governanti. Salendo sulle ripide scalinate della plataforma norte, oltre a vedere da vicino il patio hundido e il templo de las columnas, si può godere di una spettacolare visione d'insieme della spianata tutta orlata di piramidi e gradoni.
il patio incassato sulla cima della plataforma norte |
viste della gran plaza dall'alto |
las columnas |
Dopo aver passato degli istanti in cui il tempo si è fermato, tanta è immensa la meraviglia che questo luogo suscita, un temporale ci costringe a trovar riparo sotto ad un albero. Ma abbiamo ilk-way e la pioggia passa in fretta. Torniamo quindi nella gran plaza, superiamo quella che gli archeologi pensano sia una meridiana e raggiungiamo l'edificio de los danzantes.
Queste figure scolpite tra 500 e 100 a.C. raffigurano uomini nudi in pose dinamiche con occhi chiusi, bocca aperta rivolta all'ingiù, segni di castrazione e spesso ferite da cui sgorga sangue. Probabilmente erano i capi dei vicini popoli conquistati, sacrificati e sventrati.
Dalla plataforma sur, la più alta del sito (40m) si gode di un altro panorama mozzafiato. Già so che domani pagherò tutti questi gradini con un poderoso indolenzimento delle zampe.
Ripercorriamo la plaza incrociando l'osservatorio astronomico, a forma di punta di freccia e con glifi che narrano la storia della città, e diversi templi maestosi, fino al campo per il juego de la pelota.
Prima di uscire, facciamo un salto nel museo del sito, dove sono conservati los danzantes originali e alcuni reperti trovati nelle tombe. Di grande interesse i crani che testimoniano le deformazioni rituali e anche la pratica chirurgica delle perforazioni. Erano anche frequenti mutilazioni dentali a fini estetici (mah).
Finita la visita torniamo in città e Gigi si fiocina un kilo di torta tres leches, già apprezzata in Perù lo scorso anno. Piove, ma noi siamo al riparo sotto ai portici dello zocalo. Accanto a noi i suonatori di marimba si esibiscono, facendo danzare i passanti. Perchè si balla anche con il temporale, non sia mai!
Dopo un po' di riposo in hotel usciamo a cena, e questa è la faccia di Gigi che scopre quanto sia grande una pizza mediana in un locale messicano frequentato solo da messicani, alcuni già ubriachi, altri quasi.
Domani lasceremo la città e pedaleremo l'ultima tappa nello stato di Oaxaca. Ci aspettano 118km con annessa salita a 2300m, per entrare in un canyon che è pure riserva naturale e si prospetta spettacolare ma pure tosto. Dopodomani entreremo nello stato di Puebla, dove pedaleremo tre giorni prima di raggiungerne l'omonima capitale. E Città del Messico è sempre più vicina!
Oooooo,ollala' che bellezza.
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