28, 29/06
Milano-Amman-Bangkok
Eccoci qua, pronti sempre e mai, come è giusto che sia. Prima tappa: Malpensa. Io arrivo portata dai miei, Gigi da un suo amico, e ci troviamo al Terminal 1 con quasi tre ore di anticipo: quando si viaggia con le bici c'è da aspettarsi di tutto. Ma questa volta è scritto in chiaro sulla prenotazione che ne abbiamo richiesto il trasporto, che è, per altro, gratuito (con la Royal Jordanian, che ha pure dei prezzi onestissimi -questo volo ci è costato solo 300 euro con tutti i bagagli inclusi). Infatti va tutto liscio: al check in, al deposito bagagli oversize (dove un addetto simpaticone ci tiene a farci vedere a schermo le scatole mentre passano dagli scanner id sicurezza... Sembra di assistere a quelle Tac che fanno alle mummie, dove si riconosce l'intero ma i pezzi sono tutti un po' scombinati) e all'imbarco.
Il primo volo ci porta ad Amman, in Giordania. In questo paese sono stata un'era geologica fa, durante un viaggio in Israele; non ero in bici. Ricordo di aver visto qui la prima volta il deserto, dopo aver attraversato a piedi il confine tra Eylat ed Aqaba (e qui parte a squarciagola "Smisurata preghiera" di DeAndrè: "Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli..."). E' stato amore a prima vista. Un po' meno poi tornare da Petra con un cranio di cammello (che è ora in bella mostra a casa mia insieme a molti altri teschietti) e far capire alle guardie israeliane di confine cosa fosse... Perchè sì, poi c'è stato anche il passaggio inverso Giodania-Israele. Quel doppio timbro sul passaporto non è passato inosservato poi al confine tra Iran e Turkmenistan, molti anni dopo, durante il viaggione in bici in Asia centrale.
Fine flashback, torniamo allo scalo ad Amman.
L'aeroporto è attraversato dalla più varia umanità, soprattutto musulmani di ritorno dall'hajj; ci sono copricapi e veli (mi si passi il termine generico, si va dall'hijab al burqa) di tutti i generi, dai più tradizionali e "tribali" ai più raffinati e urbani. Tantissimissimi bambini per ogni famiglia, cosa che personalmente non sono abituata a vedere. E un caos che non si placa nemmeno a notte piena, quando, con un leggero ritardo, ci imbarchiamo per il secondo, infinito volo verso Bangkok.
Il volo è stipato e tutti i gruppi di famiglie e amici sono stati smembrati, quindi è tutto un chiedere ai vicini di posto se siano disponibili per uno scambio. Alla fine del tetris riesco ad accontentare tutti e anche a far riavvicinare Gigi. Così, tra ventordici pasti sempre meno edibili e pisolini a incastro nelle più improbabili e scomode posizioni, arriviamo a destinazione. Qui fila tutto incredibilmente liscio. Sono le 16 di sabato 29, già considerate le 5 di fuso orario. Nel giro di una manciata di minuti passiamo i controlli, con il nostro visto da 60 giorni che ho tanto cristato per ottenere, ma ora ci consente di entrare senza alcuna preoccupazione; foto, scartoffie, impronte digitali e... TAM! Timbro sul passaporto e benvenuti in Thailandia! La seconda grandiosa notizia è che le bici e i bagagli sono già lì ad attenderci, e mai visione fu più felice. Dopo il trauma dello scorso anno, abbiamo viaggiato un po' a sfinteri stretti. Ritiriamo anche un po' di contante per le prime spese. So che le banconote vanno trattate con rispetto perchè recano l'immagine del veneratissimo re. Sarà fatto.
Facile è anche rimediare un passaggio verso la guesthouse, in pieno centro storico. Chiediamo a uno dei tanti procacciatori di clienti delle agenzie di trasporti privati (i taxi, anche i più grandi, sono comunque troppo piccoli per noi e non ho voglia di brigare troppo, anche perchè sono rincoglionitissima e non vedo l'ora di porre termine a questa fase logistica). 15 euro (in baht) pattuiti con una signorina poco fluente in english ma molto sveglia e via, sul van più da puttantour che io abbia mai visto. Soffitto a specchio, inserti in pelo rosa ovunque, luci soffuse e mobiletto con liquori e calici. Ohibò.
Guardandomi intorno in questa trentina di km noto subito alcune cose: anzitutto, il traffico mi pare molto meno incasinato e rumoroso e spaventoso del previsto. Sarà che vengo da due anni di centro e sud America. Ma dalle descrizioni che avevo letto e sentito temevo molto peggio... Certo, ci sono orde di motorini a sciame, tuk tuk, autobus vecchi, scassati e molto colorati, furgoni di ogni genere... Ma si riconoscono delle regole nel flusso di questa multiforme varietà. Seconda constatazione: mi sembra tutto abbastanza pulito e ordinato. Intendiamoci, non è la Svizzera. Ma mi pare ci sia meno immondizia in giro che in certe zone del nostro Bel Paese. Non vedo cani randagi. E anche la povertà si percepisce, in alcuni quartieri di periferia che stridono con i grattacieli dello skyline sempre più vicini, ma sembra molto dignitosa. Non vedo, almeno in questo breve tragitto, situazioni stile quartieri degli homeless nelle grandi città statunitensi. Terza constatazione: non capisco nulla. E' una condizione abbastanza strana per me che di solito mi metto nelle condizioni di intendere almeno un poco la lingua del posto. Qui il nulla più totale. La cadenza e gli accenti suonano come una strana cantilena, le scritte mi risultano indecifrabili. Non posso neanche dire come geroglifici, perchè quelli, ripescando nella memoria, in qualche modo saprei anche comprenderli. Qui no, zero, il nulla assoluto. Godo subito delle meraviglie della tecnologia con Google lens. Che miracolo... A un essere umano non bastano tre vite per fare quello che un'app gratuita Anche con l'autista si fa fatica a intendersi, perchè pure lui parla pochissimissimo inglese. Ma ci porta a destinazione, U&D guesthouse, a un tiro di schioppo dal Palazzo reale, in una via tranquilla, con bagno privato e condizionatore. Due cose che ci concediamo per un impatto soft. La doppia costa 14 euro a notte, quindi ce la possiamo permettere. Unico problema: le scale. E' il mio marchio di fabbrica. La mia specialità. Se non prenoto strutture che costringono a issare bici e bagagli ingombranti su per decine di gradini ripidi e sconnessi, non sono contenta. Ed eccomi servita. Carichiamo, sudando come cinghiali feriti, scatole e scatoloni su fino in camera. Il caldo umido sta facendo effetto, e questa bella casa tradizionale tutta in legno mi fa bestemmiare le divinità di numerose religioni più o meno esotiche.
Dopo un breve attimo in cui collassiamo davanti al condizionatore, doccia, disagio spacchettamento e via, che è meglio prendere subito il ritmo con gli orari locali. Qui il sole tramonta intorno alle 19. Usciamo che è già buio, senza una meta precisa. Non vogliamo cenare, perchè i molteplici pasti in aereo ancora si fanno sentire. Usciamo per prendere contatto con questo paese che ci ospiterà per oltre un mese, e fare una prima conoscenza. Tante cose ho letto di Bangkok, ma sono prontissima a ricredermi su tutto.
Girovaghiamo per le strade quasi deserte del nostro quartiere, Ratchatewi, che è tranquillo e modestamente suburbano. La vita si riaccende verso Chinatown, dove i baracchini dello street food grigliano e friggono a tutto spiano, in un nuvole di vapore dall'odore speziato.
Passiamo poi davanti alle mura del palazzo del Ministero dell'interno, candide, ad eccezione delle porte dove sono dipinte guardie tutt'altro che minacciose, e dei drappi colorati appesi tutto intorno.
Raggiungiamo uno dei numerosi canali cittadini, che, detto in onestà, esala un discreto odore di fogna e brulica di pescioni enormi, che, secondo me, finiscono dritti nei piatti dei vari ristorantini. Vediamo anche i primi gatti dal muso lungo, orecchie da folletto e coda corta. Parlo loro in miaoese tonale, e capiscono. Di varani non ne vedo, e ci resto male: sono nella top ten delle cose che mi interessano! Compaiono anche i primi altari a divinità che sembrano induiste ma sono buddhiste della confessione che c'è qui, quella Theravada, (e non Theravenga), mescolatasi poi al folklore locale e delle minoranze etniche immigrate.
il regio teatro dove può assistere a uno spettacolo tradizionale di danza mascherata, il khon, che mette in scena alcune storie del poema indù Ramayana |
Ci spingiamo fino al fiume, il Chao Phraya, per ammirare la città illuminata da un ponte che scopriamo essere meta di tutte le coppiette di adolescenti; c'è chi beve o mangiucchia, chi si fa fare foto con i fiori regalati dal fidanzato, chi ascolta musica... Insomma, l'atmosfera è molto piacevole, anche perchè qui si gode di qualche refolo fresco di venticello.
Torniamo quindi sui nostri passi, sempre attraverso Chinatown, questa volta in una via dove tutti vendono fiori da offrire al Buddha. L'attività è frenetica come se fosse pieno giorno. I fiori, di ogni colore e forma, legati in ghirlande e composizioni, vengono tenuti nel ghiaccio per non appassire. Non mancano comunque anche i baracchini, spesso incorporati a motorini e tuk tuk, che vendono street food via via più unto e sospetto.
Cammina e cammina, raggiungiamo una sorta di piccola fiera, dove le bancarelle sono più varie e facete; si va dai gelati agli insetti, agli insetti gelato, dalle cover per smartphone ai vestiti. Insomma, non manca niente! Torniamo quindi in hotel, passando dall'altro lato del Ministero dell'Interno, dove svetta la foto del re, e saliamo in camera a svenire di caldo e stanchezza, nel casino che abbiamo lasciato (domani, promesso, sistemiamo un po'). Ah! Due cose importanti: la prima è che, almeno qui, non ci sono zanzare percepite; insetti in generale direi, a parte gli scarafaggi grandi quanto gatti grandi; dovrebbero dotarli di fari e targa per circolare. La seconda: abbiamo agilissimamente comprato una SIM locale, della durata di un mese, con giga illimitati; messa nel vecchio telefono di Gigi, ci permette di avere un router sempre attivo e connesso. Noi l'abbiamo acquistata al 7-eleven, costa 25 euro, da smezzarci, e funziona alla grande, almeno qui. Vedremo poi uscendo dalla capitale; la procedura comunque è durata meno di un minuto: la commessa ha fatto una foto al passaporto, una foto alla mia facciazza sudata e bisunta, et voilà.
30/06
Bangkok
Crolliamo in un sonno denso di sogni. Mi sveglio a più riprese, causa fuso orario, nel cuore della notte; alle 5 guardo l'ora e penso che a casa è solo mezzanotte. Poi mi riaddormento, e, quando mi sveglio, sono le 13.45. Orrore! Con tutto quello che c'è da fare e da vedere! Ma pazienza, prima o poi l'obolo del jet lag va pagato, ed è meglio sistemarsi adesso e pedalare riposati. Fa caldo, mi sembra di essere stata disidratata come una prugna secca e raggrinzita, ma costringo me stessa e Gigi ad essere pronti subito e in strada immediatamente. C'è un sole opaco, afoso, che ci impone di camminare rasente ai muri cercando ogni filo d'ombra. Facciamo una tappa flash a comprare qualcosa di fresco da bere, Gigi si prende anche un dolcetto al cioccolato e via verso la primissima tappa di questo oggi dimezzato: il Wat Pho, o tempio del Buddha sdraiato. S'è capito che wat vuol dir tempio, eh. Prima, però, passiamo per Thanun Bamrung Meuang, una delle strade più antiche di Bangkok, in origine una pista per elefanti che conduceva al Palazzo reale). Qui si concentrano decine di negozi che vendono articoli religiosi buddhisti, dai ceri alle statue sia di Siddharta, sia di demoni e spiriti, sia di monaci illustri, a grandezza naturale o delle dimensioni di un furgoncino. Se i negozi sono chiusi, le statue più grandi, che restano fuori sul marciapiede, vengono coperte con un drappo arancione. Se sono aperti, si possono vedere gli scultori all'opera. Gli artigiani della buddhità. Gettando lo sguardo nelle vie parallele si intravedono templi seminascosti tra le case, come se ogni edificio ne custodisse un altro, a matrioska.
l'onnipresente immagine del re |
Si confermano intanto tutte le percezioni di ieri: è tutto molto più tranquillo e ordinato e silenzioso del previsto. Arriviamo al Wat Pho, dunque, e siamo preparati: spalle coperte, pantaloni lunghi: qui il dress code viene fatto rispettare con rigore nei luoghi sacri. Questo tempio vanta numerosi primati: il Buddha sdraiato più grande della città, la più imponente collezione di statue di Buddha di tutta la Thailandia e il fatto di esser stato il primo centro deputato alla pubblica istruzione nel paese. Il primo tempio sorto in quest'area risale al 1700, ed era più modesto, per quanto importantissimo: era il centro di studio e insegnamento della medicina tradizionale, che comprende i famosi massaggi thai; ancora oggi questa arte viene divulgata qui, ed è presente anche un museo dedicato, oltre a numerose statue dell'epoca raffiguranti le posizioni dello yoga. I lavori più importanti furono eseguiti dal 1788, sotto al regno di re Rama I (oggi è al trono Rama X) e poi ampliati da Rama III, che aggiunse oltre 1300 targhe, oggi patrimonio UNESCO, che custodiscono insegnamenti di medicina e buddhisti. Raccapezzarsi negli oltre 80.000 metri quadrati di complesso non è facile.
La prima area è quella sacra, con templi e oltre 1000 statue del Buddha, oltre al museo e alla scuola di massaggi. La seconda ospita le residenze dei monaci e una scuola. Tutti i cancelli sono sorvegliati da guardiani armati in pietra in stile cinese, che raffigurano personaggi di ogni genere, da protagonisti di commedie popolari a Marco Polo; arrivarono dalla Cina come zavorre delle giunche dei mercanti, nel XIX secolo. Si respira un'aria tranquilla nonostante i numerosi turisti e i fedeli da tutto il mondo. Fa anche quasi, quasi più fresco tra i chiostri e i cortili alberati.
Il tempio principale, sala delle ordinazioni monastiche e delle assemblee, ospita il Buddha più venerato, ai cui piedi sono conservate alcune ceneri di Rama I.
Ad ogni passo lo sguardo viene rubato dalla meraviglia: che siano le statue, i tetti colorati, le porte dipinte... Tutto parla di armonia e bellezza, di cura, di umano che si fa sacro.
Giungiamo al cortile dei chedi (che ho sempre chiamato stupa) reali di 42 metri; rappresentano i prrimi 4 re della dinastia Chakri e sono un esempio di arte Ratanakosin, con elaborati mosaici in ceramica. Quella di Rama I contiene una statua di Buddha che a sua volta contiene delle reliquie, ed è giunta qui dall'antica capitale Ayutthaya, dove era stata danneggiata durante l'invasione birmana.
Arriviamo quindi al museo dedicato al massaggio e alla medicina tradizionale, di cui so men che nulla. Interesserebbe di certo ad alcuni compagni di ventura (la mia -brevissima) della pratica del Tai Chi.
il panda mencio |
la tigre nasona ammaestrata |
l'urfida simia |
Giungiamo finalmente al pezzo forte del complesso, il famosissimo, e a buon diritto, Buddha sdraiato. E' talmente imponente da non starci quasi nel tempio che lo ospita. Sono 46x15 metri di mattoni, gesso e foglia d'oro che rappresentano l'illuminato al momento del suo trapasso, in ingresso nel Nirvana. Anche qui, come negli altri templi, le pareti sono magnificamente affrescate. Le foto non rendono giustizia: quest'opera d'arte va vista, ammirata ad occhi sgranati, e accolta nella sua grandiosa meraviglia. E vogliamo poi parlare dei piedi? Tanto disprezzati qui in Thailandia, considerati immondi e impuri... Eppure sulla statua intarsiati in madreperla con le 108 caratteristiche fisiche del Buddha, considerate di buon augurio. E con le dita tutte lunghe uguali, come ha notato Gigi.
Su una parete del tempio si trova una lunga fila di vasi in metallo in cui i fedeli lasciano offerte, facendo cadere qualche moneta in ciascuno. Questa cosa delle offerte è molto sentita qui, a quanto pare, e mi fa pensare che il buddhismo non sarà pure una religione, ma una filosofia, perchè manca del concetto di divinità... Ma le idee di trascendenza, di sacralità e ritualità sono ben forti e chiare... E allora...
Dopo aver assorbito tutto lo splendore, ci concediamo un po' di riposo nel cortile ombroso dove cantano i merli indiani (thai); non ci facciamo mancare, ovviamente, l'opportunità di suonare il gong, dopo aver lasciato un obolo. Uscendo, la mia attenzione, ora meno dispersa nel tutto e più focalizzata sui dettagli, mi consente di apprezzare le varie statue. Alcune sono veramente buffe! E così, ridendone, mi sono di certo garantita in punizione karmica una decina di forature.
ghato accaldato |
ho pestato una puntina! |
che dolor! |
puzza? |
Usciamo dal Wat Pho carichi di meraviglia, con gli occhi colmi di colori, immagini e simboli nuovi. Passiamo davanti all'imponente edificio che ospita il Ministero della difesa, nel cui cortile ci sono decine di cannoni, ciascuno con un nome proprio indicato nei cartelli esplicativi.
Poco distante la nostra seconda meta: il tempio del Lak Meuang. Trattasi di un pilastro spirituale e non, ovvero una colonna lignea di forma fallica (mah...) eretta (!) per volere di Rama I nell'atto di fondazione della città, nel 1782. Ispirata alla tradizione animista, simboleggia lo spirito protettore di Bangkok ed è il crocevia da cui si misurano le distanze. Oltre ad una folla di fedeli intenti a donare fiori, incenso, frutta, sciarpe e olio da braciere, ci sono numerosi ambulanti che vendono street food o souvenir paccottiglia. Non abbiamo la fortuna di incappare nelle danzatrici che, su commissione, celebrano l'esaudimento di un desiderio da parte di chi ha ricevuto la grazia e vuole fare un'offerta in grande.
Ci lasciamo alle spalle anche il tempio della colonna fallica per dirigerci al terzo tempio di oggi, il Wat Suthat. Oggi vogliamo sdarci proprio.
Questo complessi di edifici non è solo grande e maestoso, ma è stato anche insignito del titolo più alto previsto per i templi reali. All'interno del santuario si possono ammirare elaborati dipinti murali che raffigurano le storie delle vite passate del Buddha e la statua di bronzo dell'Illuminato, realizzata nel XIV secolo a Sukhothai; nella sua base sono tumulate le ceneri di Rama VIII (regno 1935-46). Il Wat Suthat occupa un posto speciale nella religione nazionale a causa delle importanti cerimonie brahamaniche che vengono celebrate. Intorno infatti ci sono due tempietti induisti e una scuola dedicata all'insegnamento di questa religione. Anche questo complesso è stato voluto da Rama I, anche se già prima esisteva un luogo sacro, intorno a cui ruota pure la leggenda di un preta, un non-morto, una sorta di fantasma affamato che compariva di notte da queste parti.
Usciamo anche dal Wat Suthat e mi pare di cominciare a capire forse forse qualcosina in più. Intanto la luce sta calando. Salutiamo tutti gli altari induisti che incrociamo, che queste sono divinità potenti che portano merda anche solo a incrociarne lo sguardo, e spottiamo un monachello al 7-eleven che non sa quale carta igienica scegliere. Torniamo poi davanti al tempio per ammirarne la facciata e la cosiddetta "Altalena gigante", un portale di accesso alla città.
Proprio di fronte è in corso una pettinatissima fiera dell'agricoltura, che presenta prodotti tradizionali ma venduti a prezzi doppi e tripli rispetto a quelli dei mercati. Però c'è la musica dal vivo! Il country thai che, a quanto pare, va alla grande fin dagli anni '40. In ingresso alla piazza c'è anche un monumento che ricorda che il nome intero di Bangkok è il più lungo al mondo, se parliamo di capitali. E' una sorta di scioglilingua: Krung Thep Maha Nakhon Arun Rattanakosin Mahinthara Ayutthaya Mahidol Pop Noppharat Ratchathani Burirom Udomratchawiwet Makhasathan Amon Phiman Awatan Sathit Sakkathattiya Witsanukam Prasit, ovvero "Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale Palazzo Reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam".
carne di coccodrillo? |
In un mix di profumi e odori decisamente poco invitanti (il famigerato durian ha colpito e forte), ci lasciamo la piazza alle spalle nel tentativo di arrivare in tempo per salire all'ultimo tempio della giornata, chiamato "Montagna dorata". Ma le vie pittoresche, gli artigiani che producono le ciotole di metallo tipiche dei monaci, e il mio primissimo varano natante nei canali di scolo che sanno proprio di fogna ci rallentano il passo. Il varano! Ma scherziamo? Starei ore a guardarlo. Era nella mia top ten di cose da vedere!
Così, quando arriviamo al tempio, è già chiuso e i monaci stanno intonando il loro canto di basso profondissimo. Non possiamo scalare la collina artificiale, creatasi con il crollo di una stupa, adornata di statue e foto dei benefattori defunti, e nemmeno ammirare dall'alto la città. Ci accontentiamo di qualche sbirciatina, mentre il buio pian piano dilaga e l'alta marea della notte fa accendere tutte le luci.
Siamo stravolti dal caldo e dall'infinità di cose viste, dai suoni, dagli odori e dal tutto-nuovo che questa parte di mondo ci sta offrendo. Non abbiamo fame, ma non mangiamo nulla da ieri. Quindi ci portiamo in zona guesthouse ed entriamo nel primo ristorante di cucina thai che ci ispira. C'è anche una bravissima cantante che si esibisce con la sua chitarra. Mentre ci scofaniamo riso saltato e verdure BUONISSIMI, speziati e piccanti il giusto, il monsone decide di riversarsi sulla città con scrosci tremendi che allagano le strade. La temperatura, però, non diminuisce, anzi, sembra quasi faccia ancora più caldo. Forse forse queste piogge, che di solito sono abbastanza regolari negli orari, ci lasceranno tranquilli?
Ce ne torniamo ben sazi in camera, e montiamo le bici. L'operazione si rivela tanto rapida da lasciarci il tempo di preparare già anche le borse. Abbiamo ancora due giorni interi qui a Bangkok ma è meglio fare le cose un po' per volta, con calma. Ora manca solo di gonfiare le gomme, ma abbiamo l'adattatore per le pompe d'aria compressa dei benzinai, che già si è rivelato utilissimo negli States, in Perù e in Messico. Intanto ho qui il programma, più o meno tappa per tappa, fino ai primi di agosto. E ho scoperto un sito splendido, https://bicyclethailand.com, che propone itinerari sicuri e percorsi bike-friendly in po' in tutto il paese. Lo sfrutteremo già per uscire dalla capitale, muovendo a nord verso Ayutthaya, l'antica capitale (che pare si possa visitare tutta pedalando!).
Hooooooooommmmmm!!!
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