Kuala Lumpur
Allora, faccio una premessa: il primo impatto con Kuala Lumpur è stato forte, perchè non è facile entrare in bici in una città così enorme, incasinata, che è una matrioska di altre mille città e mondi sempre più piccoli, che ne contengono altri e altri ancora all'infinito, in caleidoscopio di galassie e universi coloratissimi, distanti tra loro anni luce, ma confinanti tra via e via. Ma esplorandola, poi, con calma, a piedi, e vedendo da vicino i suoi molteplici volti proteiformi... Oh! Allora sì. Allora davvero qui c'è infinita bellezza, complessità meravigliosa, un continuo espandersi di orizzonti. Qui c'è cultura, quella con la C maiuscola, dei musei e dei teatri, ma pure quella popolare, delle spezie, delle maschere, delle tradizioni che da secoli generazioni si tramandano, perchè nulla vada perso. Non omnis moriar. E lo sanno gli indiani, hindu o musulmani che siano, lo sanno i cinesi, con le loro provenienze diverse e i dialetti e i costumi e gli dei dai diversi nomi, lo sanno i malesi dalla pelle scura e dal sorriso largo, lo sanno le etnie indigene delle foreste di montagna e delle isole, lo sanno i discendenti dei coloni, e lo sanno i bangla appena immigrati in cerca di lavoro nei campi, e tutti coloro che da questa mescolanza meravigliosa sono nati, come prima, seconda, terza o millesima generazione. Questo viaggio nel Sud Est asiatico mi ha messa di fronte a culture millenarie, stratificate, un fittissimo ricamo che contiene mondi interi. In questo viaggio sto imparando tantissimo, messa a confronto con l'alterità. Qui ci sono profumi, colori, musica, abiti, volti per me completamente nuovi. Altro che gli States, o il nostro vecchio e grigio continente. Qui c'è vita. Pur con tutti i problemi, e le ingiustizie e la crudeltà che l'esistenza inevitabilmente (a quanto pare) porta con sè. Ma qui c'è tanto da scoprire, per mettersi in discussione, e scoprirsi minoranza, al margine. Noi occidentali tendiamo a sentirci addosso il maledetto "fardello dell'uomo bianco", come se l'unico punto di vista giusto sulle cose fosse il nostro, e il centro dell'universo il nostro ombelico. Invece abbiamo solo avuto potere, economico, politico, militare (e chissà per quanto ancora, ma pare non molto). E questo ci ha resi egocentrici ed egoriferiti. E così vuoti, e spenti, capaci di crederci meglio, anche adesso che la nave sta affondando. Oh ma il mondo è molto più grande. Molto, molto più vasto di così. E per fortuna c'è molto altro, al di fuori di noi. Oggi a Kuala Lumpur ho visto una quantità di cose degne di attenzione che, in media, si vede distribuita su mesi e mesi. Se penso che in certe tappe di traversata degli Stati Uniti la cosa più interessante erano le feste dei migranti messicani, la sera, quando calava il buio e ci trovavamo a mangiare tortillas con povera gente impiegata nei campi di soia del Kansas... Qui invece ad ogni angolo sta accadendo qualcosa, di continuo, tutto insieme, contemporaneamente. Una festa di negozianti cinesi con tamburi e dragoni, qui, un matrimonio hindu con riti complessi, là, mercati, artisti, un muezzin che canta, enormi centri commerciali ultramoderni tutti luci e consumismo, le torri in vetro e acciaio contro le cupole del palazzo dei raja, l'incenso per gli antenati e una scimmia che si arrampica sulla statua di Ganesh. Tutto nello stesso istante, moltiplicato all'infinito, mentre un milione di tonnellate di riso saltano in padella nelle bancarelle dello street food e sette milioni di anime respirano in questa città incredibile.
Non ho intenzione di stilare una guida turistica dettagliata della capitale malese. Mi limito a raccontarvi cosa abbiamo fatto noi, e perchè, sperando possa essere utile a chi dovesse trovarsi qui per la prima volta.
Essendo città estremamente "dispersiva", estesa, e impensabile da girare a piedi per intero, decido che una prima "sgrossata" si può dare con un tour guidato che ci porti da punto a punto senza perdite di tempo. Dopo un'approfondita ricerca, ho optato per un tour operator locale, senza passare da aggregatori come Booking, Agoda o Tripadvisor, che gonfiano a dismisura i prezzi e offrono pacchetti di cui, onestamente, mi interessa poco. Il tour prescelto si può prenotare fino alle 21 del giorno prima per le 8 di mattina del giorno dopo. Costa 15 euro a persona, dura 5 ore e prevede la visita alle Batu caves e ai principali monumenti di Kuala Lumpur. Fin dalla prenotazione, che si fa online con grande facilità, sono in contatto con l'autista che ci prende in carico. Stamattina scopro che il tour di gruppo in realtà è privato, perchè non ci sono altri iscritti e quindi siamo solo Gigi, io e Sri, un omone dalla pelle di cuoio, ben pasciuto, che parla bene inglese e passa a prenderci in anticipo, dicendo che è qui da un'ora e ha fatto in tempo a far colazione, ma ora possiamo andare. Pronti!
Mentre andiamo (il sito si trova a 13km a nord di Kuala Lumpur), e diluvia potentemente, Sri ci racconta tutto ciò che sa delle Batu Caves. Sono un insieme di grotte all'interno di una collina, chiamata mogote, calcarea, in cui si trovano numerosi templi hindu, punto di riferimento per la comunità Tamil e sede della grande festa Thaipusam, che porta oltre un milione di fedeli a recarsi, nel corso di tre settimane, alle celebrazioni in questo luogo sacro. Il culto principale è quello della dea Murugan, la cui statua dorata di 43 metri sorveglia l'ingresso (cui si accede comunque arrampicandosi su per 272 scalini colorati a mo' di cascata arcobaleno).
Tutto ciò che si vede è piuttosto moderno. Queste grotte erano utilizzate dai nativi come riparo, mentre, nel corso dell'Ottocento, i cinesi cominciarono a usare per estrarne guano, ottimo fertilizzante. Gli inglesi ne studiarono caratteristiche geologiche e di flora e fauna (la biodiversità è incredibile qui, essendo la collina coperta di foresta tropicale) e solo nel 1891 fu completato il primo tempio per volere di un mercante indiano tamil, tale K. Thamboosamy, che vide nell'ingresso della grotta la forma della punta della lancia della dea e fu ispirato a dedicarle un tempio. Fino agli anni '20 del Novecento non c'erano scale, e bisognava arrampicarsi su per la scoscesa collina rocciosa. Poi furono installate scale di legno e, già marce e pericolanti negli anni Trenta, e negli anni Quaranta costruite queste di cemento, ridipinte nel 2018. Da qualche mese si parla pure di un eventuale ascensore. La statuona, invece, è del 2006.
Si viene colpiti da molte cose, tutte contemporaneamente. Che è un modo per dire che non si sa dove guardare, e si vorrebbero avere duecento occhi per non perdersi nulla. Oltre agli edifici sacri, all'arte e alle statue, che raffigurano, divinità, demoni, scene del Ramayana e animali sacri, e sono tutti coloratissimi, ci sono le scimmie. Sono macachi, sono tanti e non hanno alcuna vergogna. Vengono nutriti dagli abitanti dei dintorni e da chi lavora al tempio, e corrono e schiamazzano e litigano tra loro, o tentano di derubare i turisti ignari. Ce ne sono di grandi, piccoli, maschi, femmine, più o meno intraprendenti, più o meno schivi. Se ne vedono ovunque, tra le statue e le colonne, sulle scale, sulle piante. Io potrei guardare anche solo loro, ed esser contenta. C'è la grotta, con stalattiti e stalagmiti, pipistrelli, radici di piante che penzolano dal cielo e confondono cielo e terra. Poi, soprattutto, ci sono le persone. Turisti, sì, occidentali, asiatici muslim (chissà le donne velate e gli uomini in barracano, fedeli ad Allah, che pensano di tutto questo) e non, anzi, alcuni sembrano idol del k-pop (con otto mascherine e orripilati dalla mancanza di igiene). Ma soprattutto indiani. Fedeli che vengono qui a pregare, a fare offerte, e prostrarsi completamente sdraiati davanti alle statue di eroi nerboruti, baffuti e con un filo di kajal agli occhi. I sacerdoti portano le braghe patellone e stanno a petto nudo, e alcuni sfoggiano complessi tatuaggi tradizionali (sak yant). Poi ci sono le guardie armate di bastone e fionda antiscimmia, e i venditori di offerte, ghirlandone di fiori e frutta e cibo da dar da mangiare alle statue, perchè il concetto di divino è multiforme. Si svolgono riti che non comprendo. Sicuramente prevedono offerte in oggetti e denaro. Ovviamente si viaggia a piedi nudi, e certi punti a terra sono pulitissimi, altri no. Ci sono, in ammollo nelle pozze della caverna, immondizia, frutta marcia, cacca di scimmia e guano. Eh sì, perchè ci sono anche stormi di piccioni e diversi galli, belli, fieri e ruspanti, che cantano a cadenza regolare e si aggirano per le grotte. Tutto questo è quanto di più indiano io abbia mai esperito in vita mia. Credo che il livello successivo sia accessibile solo in India stessa.
somiglianze |
la panchina di chi attende |
Dopo aver esplorato per bene l'interno delle grotte, scendiamo di nuovo in un tripudio di macachi, in una fiera di scimmie, e visitiamo più rapidamente i templi che si trovano ai piedi della collina, attorniamo da bancarelle che vendono cibo, bevande, amuleti, oggetti sacri e offerte. Vanno alla grande anche i tatuaggi all'henne, quelli veri, rituali.
un grande Hanuman verde perchè sì |
La nostra visita dura circa un'ora e mezza, durante la quale Sri, l'autista, ci aspetta al parcheggio. Quando siamo così frastornati da muovere la testa a destra e sinistra come fanno gli indiani anche qui, torniamo da lui per un momento di tregua da colore e movimento, e per trasferirci alla prossima tappa. Destinazione: palazzo nazionale (istana negara), cioè la residenza ufficiale del re di Malesia. Questo edificio è stato iniziato nel 2007 e completato nel 2011 e sostituisce il suo simile antico. E' costato 812 milioni di ringgit e mescola elementi architettonici islamici e malesi. 100 ettari, 22 cupole, tre sezioni (amministrativa, privata reale e formale). Cancelli molto chiusi. 4 guardie all'ingresso, due a cavallo e due no. Una si sta letteralmente addormentando in piedi: è un ragazzino, tiene gli occhi chiusi, ondeggia da una gamba all'altra, si scuote, lotta per non crollare. Con questo caldo, poi, e l'uniforme... Fa grande tenerezza.
Tutte le informazioni che sto riportando vengono dal buon Sri, che, intanto, ci racconta un po' della sua vita, del traffico della capitale, dei piatti che ci consiglia e che gli fanno venire l'acquolina solo a parlarne. Ci spostiamo intanto al Tugu Negara, cioè il monumento nazionale dedicato ai caduti in guerra. Si ricordano i morti nei conflitti mondiali e per l'indipendenza della Malesia. Notevole, oltre alla rilevanza storica per sè, la vista che offre, trovandosi su una delle molte colline della città. Un dettaglio: la scultura dei soldati in ascesa è di Felix De Weldon, artista che ha realizzato la famosissima opera che ritrae i marines che innalzano la bandiera statunitense a Iwo Jima. In tutto ciò, ci imbattiamo in una famiglia di... ultranazionalisti malesi? Vestiti con abiti nobiliari tradizionali (gli adulti) e con completi a bandiera malese (i bambini).
La tappa successiva è forse quella che mi pesa di più da affrontare. Si tratta della modernissima Moschea nazionale di Malesia (Masjid Negara), completata nel 1965 dopo 5 anni di lavori. Il tetto rettilineo in metallo azzurro a 18 lati simboleggia le 13 divisioni del governo locale più i 5 pilastri dell'Islam e fa sembrare che la cupola galleggi nel mezzo di uno stagno bianco. Può ospitare fino a 8000 persone. Il minareto in gesso, bianco, di 72 metri, ospita il mausoleo degli eroi, i precedenti leader del paese. E', nemmeno a dirlo, la moschea più grande di Malesia, con tanto di sala conferenze e biblioteca. Dall'interno si gode anche di una gran vista sul centro della capitale e i suoi palazzi e le sue torri.
Il problema, però, è che, trattandosi di una moschea, il dress code è stringente. La visita è gratuita, ma bisogna registrarsi. Togliersi le scarpe. Poi le donne devono passare per un locale dove vengono bardate di tutto punto: in caso non si abbiano i vestiti adatti, vengono forniti hijab e mantelli lunghi con cappuccio, viola, stile Harry Potter, anzi, Strega Salamandra del Fantabosco. Io ho i bracaloni lunghi (messi apposta), la felpa (portata per aria condizionata e altre maledizioni che calano dall'alto) e una pashmina multiuso. Mi copro e una signora, molto gentile, mi sistema il velo, regalandomi tanto di spilletta a forma di fiore. Fa un caldo che sembrano due. Ma potranno le donne far sta vita pe'na vita?
Liberatami finalmente da tutto il troppo addosso, viene il momento di raggiungere il cuore della città, dove la Malesia è nata, primo palpito. Si tratta di Piazza Indipendenza (Merdeka. No battute scemine sulla cacca, le abbiamo già pensate tutte, con vergogna). Qui, dove sorgevano gli edifici ottocenteschi del governo coloniale inglese, noti come "palazzo del sultano", in mezzo al campo da cricket davanti al Royal Selangor Club, accanto alla chiesa anglicana, fu innalzata la bandiera della Malesia indipendente, per la prima volta, a mezzogiorno del 31 agosto 1957. La confluenza dei fiumi di Kuala è qui accanto, infatti la zona è abitata fin dai primordi da comunità cinesi e malay. Tutto intorno, tra edifici coloniali e palazzi moderni, ci sono le sedi di alcuni ministeri e musei. E quante, tante!, bandiere. Una, su tutte, svetta a 95 metri di altezza.
Siamo quasi alla fine del nostro tour con Sri. Ci porta ora ai due simboli contemporanei di Kuala Lumpur, che sono due torri: la KL tower, del 1995, con i suoi 421 metri
e le famosissime Petronas Twin Towers, che, con i loro 452 metri, sono state l'edificio più alto al mondo dal 1998 al 2004. Impressionante opera dell'ingegno umano di certo, ma non mi smuove alcuna emozione. Anzi, mi sa di hybris, di sfida al cielo, di tracotanza, di qualcosa di prometeico. Però magari dicevano così anche delle cattedrali, qualche secolo fa, chi lo sa.
A questo punto Sri ci chiede dove vogliamo essere lasciati e, dopo saluti e ringraziamenti, ci fa scendere al mercato centrale, come da me richiesto. Dopo una mattinata culturale intensa, un po' di svago e magari dello shopping ci stanno perfettamente. Purtroppo il mercato centrale di Kuala Lumpur non è un mix di bancarelle e robivendoli caotico come immagino, ma un ordinato e pettinatissimo insieme di boutique e negozi di livello. Ci sono prodotti di artisti e artigiani sicuramente interessanti, ma sa di luogo posticcio. Ne usciamo in fretta, per dirigerci alla decisamente più verace e autentica Chinatown.
Percorriamo tutta Petaling street, la via centrale, chè è un immenso street market. Si va da bancarelle di borse, orologi, profumi e scarpe contraffatti a cibo cinese molto unto, da prodotti per la casa ad abbigliamento di ogni genere e forma. C'è di tutto, al dettaglio e all'ingrosso. Una chicca: la via, aperta e chiusa da portali con lanterne, è coperta per intero da una tettoia che serve a riparare sia dal sole sia dalla pioggia. Troppo avanti i cinesi.
A poca distanza si trova il più antico tempio hindu di Kuala Lumpur, che risale al 1873. il Sri Mahamariamman. La torre, decorata in stile dell'India meridionale, è stata affiancata negli anni '60 da un edificio più ampio con altari, statue e decorazioni. La dea cui è dedicato è una manifestazione di Parvati, una sorta di Madre Terra che protegge i Tamil che emigrano. Inizialmente era un tempio privato, ma dagli '20 del Novecento la famiglia che lo aveva fatto costruire lo aprì a tutti i fedeli.
Dopo un altro tuffo nella cultura indiana, usciamo ed abbiamo di nuovo un piede in Cina. Tutto questo è meraviglioso!
Da visitare, come ultimo tempio della giornata, ci resta il Sin Sze Si Ya, del 1864; voluto dal Kapitan China Yap Ah Loy, che ebbe un ruolo importante nel difendere Kuala Lumpur durante la guerra civile di Selangor, è dedicato a due divinità protettrici che in realtà sono due persone realmente esistite, un capitano e un fedele luogotenente di Yap, che lo aiutarono durante il conflitto. All'interno si respira una pace incredibile, nonostante i colori sgargianti. La luce filtra e gioca con l'aria gonfia di incenso, il cui profumo impregna il legno. Quasi non ci si accorge dei numerosi presenti, tutti intenti a fare cose: piegare fogli di giornale in forma di lanterne, impacchettare bastoncini di incenso, contare fogli, contare banconote. Qualcuno, anche, prega.
Dopo quest'ultima visita siamo veramente cotti, bolliti, brasati, fritti. Abbiamo bisogno di riposare, prima di tornare ad esplorare la città in notturna. Tento, fallendo, di rientrare all'appartamento usando i mezzi (il bus in particolare). I biglietti non si fanno a bordo, e nemmeno nei negozi vicino alle fermate, ma solo in alcune stazioni specifiche, perchè si tratta di card ricaricabile. Dopo alcuni tentativi, mi viene in mente quel che ci ha detto oggi Sri. Ha parlato di "taxi oppure Grab". Grab è l'app di delivery, vuoi vedere che gestisce anche i passaggi tipo Uber? Leggo alla veloce su Google e sì, è così. Scarico l'app e, dopo la registrazione di qualche minuto, sto già prenotando una corsa verso casa. Cioè non casa-casa. Casa-qui. 8km costano 2.5 euro, da dividere tra me e Gigi. Grab viene eletta ad app definitiva per gli spostamenti, infatti ora sono una professionista totale.
In camera ci facciamo una necessaria doccia, perchè quel che i nostri piedi nudi han toccato nei templi lo so solo io, e il caldo umido oggi è micidiale. Pisolino, e via che è ora di cena. Propongo a Gigi di buttarci nel cuore dello street food, il night market di Jalan Alor. Siamo sempre in zona Chinatown, nemmeno a dirlo.
La scelta di rivela benedetta. Non solo ci sono ristoranti e bancarelle di ogni tipo, specie e genere, con cucina cinese, thai e malese tra cui scegliere. Ma finiamo pure nel mezzo di una celebrazione di cui capisco poco e nulla. In un edificio ci sono anziani vestiti in abiti tradizionali sontuosi che lanciano caramelle sulla folla, mentre un'orchestra suona musica cinese. Intorno ci sono quelli che paiono i premi di una lotteria, altari con incenso e offerte di cibo, giocattoli, dolciumi, candele e una distesa di maiali interi cotti tipo porchetta, coperti da sacchetti di plastica. Su tutto svetta la pignatta di una divinità mostruosa verde.
Dopo esser rimasti nel vivo di questa azione complessa di cui capiamo poco, ma ci piace, ci sediamo a cenare. Pollo agrodolce con riso, per Gigi, e tofu fritto con salsa al miele e peperoncino, più verdure saltate, per me. Una delizia sontuosa.
Ma non è mica finita qui! Dopo cena passeggiamo e ci rendiamo conto che si sta preparando una sfilata con bandiere, dragoni di carta, dragoni di peluches e stoffa, maschere tradizionali, statue portate in processione e musica a palla. Attendiamo un po', mentre la folla si fa più densa e l'aspettativa cresce. Poi tutto comincia. Una sfilata. Dragoni e bandiere, manovrati da decide di ragazzi. Figuranti in maschera, con i volti dipinti, che mettono in scena piccole azioni, balletti e acrobazie a suon di musica. Suonatori di tamburi e strumenti cinesi. Un casino incredibile, ma di una bellezza! Vivere tutto da dentro, tra le urla eccitate della gente, essere qui, adesso, sotto alle spire colorate dei draghi, è qualcosa che non posso neanche descrivere dal punto di vista emotivo. Razionalmente è quel che è, una festa. Ma ho la sensazione di star vivendo con pienezza il mio tempo. Di non sprecarne nemmeno una goccia. E questo è un sinonimo di felicità.
La sfilata si conclude con due camion in tutto simili ai nostri carri di Carnevale, con musica tamarra a cassa dritta e gente in maschera che balla, sopra e sotto. Noi seguiamo il corteo, perchè una cosa del genere va gustata dall'inizio alla fine. All'altezza dell'edificio dove lanciavano le caramelle, i dragoni e i figuranti si soffermano più a lungo. Poi inizia a piovere. Coprono tutto con sacchi di plastica trasparenti e ripartono, ballando ancora più forsennatamente di prima. La sfilata si conclude con urla, canti e uno spettacolo di fuochi d'artificio. Mi spiegano poi che, a quanto pare, è una festa per l'inaugurazione di un nuovo negozio. Serve per il feng shui, per procacciarsi buona sorte negli affari. Alla faccia!
Noi, storditi, sazi di mente, di corpo e di spirito, ce ne torniamo a casa con un bel Grab notturno, mentre le luci della capitale sfilano davanti ai nostri occhi e si riflettono sui vetri dell'auto. Pare di vivere in un film. Io così tanti grattacieli illuminati, tutti insieme, per così tanti kilometri, non li ho visti mai, nemmeno negli States. Per non parlare del nostro appartamento... Davvero, non mi pare reale. E' un set? Un sogno lucido? Eppure questi sono i miei glauchi piedi. E' tutto vero!
20/8
Kuala Lumpur
Secondo e, purtroppo, ultimo giorno nella capitale. Ieri abbiamo vissuto una giornata densissima e oggi siamo un po' stanchi e abbiamo voglia di fare le cose con calma, riposandoci anche. Il viaggio, infatti, è tutt'altro che finito, e per pedalare le centinaia di kilometri che mancano dobbiamo essere in forze, soprattutto adesso che la stanchezza di fine avventura comincia a emergere dalle profondità della coscienza. Facciamo colazione in camera, senza sveglie, e ci prendiamo del tempo per pulire e oliare le catene delle bici, ed esplorare le aree comuni del palazzone dove si trova il nostro appartamento. Ci sono uffici, sale riunioni e per co-working, aree studio, palestra, piscina e sala per yoga e pilates. Chi non ha tempo da perdere, e nemmeno da guadagnare, potrebbe non uscire mai dal palazzo e avere tutto qui, considerando anche il bar, i due ristoranti e il minimarket al pianterreno.
Organizzo la giornata (mezza) di visita alle ultime cose che ci interessano. Con un Grab ci portiamo al Museo nazionale; non è imperdibile, ma mostra in ordine cronologico lo sviluppo delle civiltà e delle culture in Malesia, con alcuni reperti interessanti e il punto di vvista dei colonizzati, per tutta l'epoca in cui portoghesi, olandesi e inglesi allungarono le loro zampe avide su questa terra ricca. Poi diluvia, non si può troppo stare in giro.
Gigi che valuta l'acquisto di una nuova bici dalla signora dell'albero della gomma |
Gigi che trova il mezzo ideale in una bici usata nella Seconda Guerra mondiale, durante l'invasione giapponese |
i berretti reali |
anche qui si punta molto sull'unione di molte differenti culture |
Il biglietto di ingresso costa 1 euro, e dà accesso anche a una mostra dedicata all'attuale re malese; è in sale sontuosamente allestite, con un dispiego di guardiani che ha fatto aumentare il tasso di occupazione di diversi punti percentuali. Ci sono in mostra corone, tiare, diademi, gli scettri della religione e dell'universo (che pare uscito da Sailor Moon), che indicano i due poteri che il sovrano detiene. E pure alcuni mezzi privati del re, appassionato di motori. E la sua prima bici, acquistata a sette anni rivendendo le bottiglie trovate nei dintorni del palazzo reale. Poverino, ha dovuto anche fare i lavoretti estivi!
Finita la visita e anche la pioggia, facciamo una lenta passeggiata negli enormi giardini botanici (92 ettari), il primo parco pubblico su larga scala dei molti presenti in città. Non entriamo nè al vivaio delle farfalle nè all'enorme voliera di uccelli tropicali, limitandoci al giardino delle orchidee. Anche qui, come già capitato in Perù e in Messico, i fiori sono di una bellezza piena, colorata e carnosa da rubare lo sguardo. Il caldo umido, invece, toglie il fiato.
Altro Grab, altra corsa. Abbiamo delle faccende da sbrigare. Gigi ha bisogno di un gel topico antidolorifico e antiinfiammatorio per il ginocchio incidentato. Camminando, si è gonfiato di nuovo e gli dà fastidio. Io, più semplicemente, devo tagliare i capelli, perchè la situazione è divventata ingovernabile. Quale miglior luogo per tutto ciò, se non il giganorme centro commerciale Pavilion? E' un luogo di perdizione. 10 piani, migliaia di negozi, soprattutto marchi id lusso. Per fortuna la corsa in Grab qui è divertente: l'autista, un indiano musulmano loquace, ci chiede del nostro viaggio, e poi ci racconto del suo in Europa. Qui è abbastanza diffuso fare viaggi di 2-3 settimane toccando le principali città di alcune nazioni. Lui è stato in UK, Spagna, Germania, Svizzera e Olanda. 2 o 3 giorni in ciascuno stato e via. E Amsterdam gli è rimasta molto impressa. Una città divertente, dove droga e sesso non sembrano un male. Mi racconta della sua esperienza con le torte di marijuana che lui neanche sapeva esistessero. Dice che per fortuna è rimasto solo due giorni, altrimenti avrebbe poi avuto problemi con... e indica il cielo con l'indice. Eh, caro mio...
In ogni caso, al Pavilion, troviamo la crema per Gigi, in farmacia, e un angolo di Giappone, ma non il parrucchiere. O meglio, ce ne sono. Ma un taglio costa quanto le 3 notti in appartamento qui in città. Anche no!
Optiamo per un molto più popolare parrucchiere sino-malese. E' estremamente loquace, anche se capisco metà delle cose che dice a causa del suo accento. Mi dice di amare la Thailandia e non avere alcuna intenzione di andare in Cina. E' stato in Europa anche lui, ma solo Germania e Svizzera. Però guarda i programmi più trash italiani e sa molto più di me a riguardo. E' anche ferrato sulle squadre calcistiche milanesi. Poi mi spiega che suo nonno è in Cina, lui è la seconda generazione e suo figlio la terza. Gli chiedo della festa di ieri sera e mi racconta tutta la storia del feng shui. Parla parla parla e intanto sforbicia. Io fatico a star dietro al suo, ormai, monologo, ma va bene così.
Alla fine fa il suo dovere ed io torno ad avere qualcosa con una forma sensata in testa. Con un Grab ce ne torniamo in appartamento, doccia, ultima lavatrice e preparo la traccia per domani, per uscire, si spera incolumi, dalla tentacolare capitale. Non seguiremo di certo la via più breve, ma abbiamo tempo. Torniamo sulla costa, a Morib. Domani rivedo il mare! E così sarà fin dopo Malacca.
Per cena scendiamo al pianterreno, dove un ristorante indiano aperto 24 ore su 24 ci attira da giorni con i suoi profumini irresistibili. Oggi è il gran giorno: assaggiamo il famoso roti canai, il pane speziato sottile, preparato al momento, che va alla grande in tutte le bancarelle dei mercati, anche in mezzo al nulla a bordo strada. Vedo che ce lo preparano davanti ai nostri occhi, e arriva in tavola rovente, squisito, con le sue salsine piccanti perfette. E poi via di biryani al pollo, per Gigi, e cendol goreng (verdure miste saltate con peperoncino) per me. Il tutto, incluse due lattine di Coca, per 4.5 euro.
21/8
Kuala Lumpur-Morib
77km
Ieri notte sono stata sveglia fino a tardi a scrivere e ripensare, riordinare le immagini, foto e mentali, e lasciar sedimentare l'universo mondo oceanico travasato nei miei occhi con l'imbuto, in questi due giorni. Alle 2.30 ho spento. Sveglia puntata per le 7. Alle 6 il muezzin ci sveglia con il suo piglio neomelodico, e partito uno, attaccano in cento. Insomma, ho sonno quando tocca alzarsi. In silenzio, con gesti ormai automatici, irriflessi e rituali, ritiriamo gli ultimi panni stesi, i vestiti e le scarpe civili (non da bici) e mentre il tè raffredda un poco chiudiamo le borse. Si riparte. Un po' mi spiace lasciare questo appartamentino da film, ma la strada chiama. E noi siamo pronti a rispondere. Ciao casetta, sei stata una tana accogliente, un nido tra le luci alte di Kuala Lumpur.
Uscire dalla città si rivela molto più facile e meno stressante di quanto non sia stato entrarci. Innanzitutto, la traccia tiene conto delle conoscenze acquisite in questa breve permanenza, e quindi evita certi snodi e approfitta di molte più ciclabili. In secondo luogo, al mattino c'è molto, molto meno caos di traffico e ingorghi, rispetto al pomeriggio e alla sera. Tutto qui comincia dopo le 11, orario medio di apertura delle attività. Le 8 del mattino, che è quando appoggiamo noi il culo sulla sella, è ancora piena notte. Tertium datur, il grosso delle auto si muove in traffico inverso rispetto a noi. La cosa bella è che torniamo nei luoghi iconici visti i giorni scorsi da turisti, ma questa volta pedalando. Passiamo sotto alle Petronas twin towers, dove è inevitabile scattarsi qualche foto ricordo.
Ripassiamo da Chinatown, da Petaling Street e dal Mercato centrale, e rivediamo la 118 tower svettare sopra alle antiche shophouse annerite dallo smog.
Ad ogni semaforo, e sono decine, con lunghissime attese, attiriamo l'attenzione e il consenso tanto di cinesi quanto di indiani, che osservano le bici cariche e le studiano e commentano con ammirazione e cenni di assenso. Procediamo, in un clima uggioso, ma caldo, di pioggerelle e afa, sempre più verso la periferia, su ciclabili che corrono lungo i fiumi e vedono solo qualche raro motorino sfrecciarci sopra (mentre quelle solo disegnate, a bordo strada, non vengono minimamente tenute in considerazione: ci sono auto parcheggiate, mezzi pesanti in sosta, motociclisti che le usano come fossero corsie preferenziali...). Sembra quasi di pedalare sulle alzaie dei navigli milanesi, non fosse che qua e là compaiono un tempio hindu o cinese rosso di lanterne.
attraversamento "ciclabile" sopraelevato |
Lentamente, tra un saliscendi, un quartiere moderno e uno polveroso di baracche, cominciamo a vedere la fine del tunnel. Scompaiono i grattacieli, le sopraelevate, la monorotaia. Restano grandi arterie affiancate da stradine. Qualche moschea e le ultime tracce della capitale, con l'aeroporto come ultimo baluardo da superare. Tornano il verde e le palme, i varani, le scimmie e i villaggi di legno con le bancarelle del nasi goreng e del roti canai, del cocco da bere e del durian puzzone. Siamo usciti, incolumi. Kuala Lumpur ci ha lasciati andare.
Dopo una quarantina di kilometri, la città davvero è finita. Passiamo il fiume Langat e Banting è la pima cittadina che ci accoglie di nuovo sul versante della costa. Poi è un rapido susseguirsi di paesini come ormai ne abbiamo visti tanti, con le scuole segnalate da un esubero di bandiere, la moschea piccina in legno e qualche negozio, il tutto attorniato da una distesa oceanica di palme da olio. Anche qui non mancano i ragazzini in motorino che fanno a gare per salutarci ed avere la nostra attenzione, le sclacsonate e i pollicioni alzati di incoraggiamento e gli sguardi lascivi e giudicanti dei più rigorosi fedeli maomettani che vedono gambe e braccia e collo e per di più con tatuaggi.
Dopo aver superato un pullman a due piani caduto in orizzontale in un fosso profondo, con polizia e andirivieni di ambulanze a siene spiegate, che fanno temere il peggio, giungiamo alla nostra meta, Morib, primo paesino sulla costa con affaccio al mare. E' una tranquilla località di villeggiatura, con una spiaggetta adatta al nuoto, un resort con parco acquatico e alcuni ristorantini di pesce sul lungomare; pare che oltre 10.000 visitatori l'anno passino di qui tra agosto e periodi festivi, comprese personalità note come imprenditori e politici. Onestamente, tutto ciò mi rimane misterioso. Non so se c'è bassa marea ora, o se è colpa dei lavori in corso, ma la spiaggia non esiste e il mare si intravede in lontananza, lattiginoso come il cielo. Per centinaia di metri dalla battigia si estende una sorta di palude densa di alghe e insetti, molluschi e barche in secca. Sarà adatta al nuoto questa spiaggia, se si è specializzati nello stile libero nel fango e nei tuffi tra le conocchie. I ristorantini sono invece piuttosto popolati e il lungomare pedonale è apprezzabile.
Finita la passeggiata costiera, ci rechiamo alla struttura individuata ieri come papabile alloggio; è un vecchio motel da poco ristrutturato, ben recensito, cheap, pulito, a 300m dalla spiaggia e sulla strada che percorreremo domani. In più ha un minimarket e un ristorante proprio alla porta accanto, uno a destra, l'altro a sinistra. Insomma, un'isola felice!
Facendo check in scopro che si tratta dell'ennesimo albergo a ore in cui alloggiamo in questo viaggio. E' gestito da cinesi, che forse hanno intercettato una domanda crescente in un paese a maggioranza musulmana che si sta secolarizzando. Bravi dragoni, voi sì che sapete come funziona l'economia e sapete lucrare sulla sessualità repressa! In ogni caso la receptionist è gentilissima e ci fa mettere le bici al sicuro. La stanza è pulita, verniciata e ammobiliata di fresco, e ci sono persino bollitore e caffè, oltre a un muezzin molto ispirato e a un coro di gatti sotto alla finestra.
Doccia, necessario riposo, e preparo la tappa per domani: arriveremo a Port Dickinson, che come qui, ha visto lo sbarco delle truppe anglo-indiane durante la Seconda Guerra mondiale. Prenoto un alberghino proprio sulla spiaggia, che in questo caso dovrebbe essere bella davvero, con la sabbia bianca e le palme che si specchiano in acque cristalline. D'altronde è una città dove hanno seconde case da villeggiatura sia i cittadini di Kuala Lumpur, sia quelli di Singapore... Saranno mica tutti amanti delle paludi e dei paguri!
Sul far del tramonto scendiamo a cena nell'unico locale della zona, indiano-musulmano a due metri dall'albergo. Siccome non hanno un menu, se non quello appeso al muro, e quattro camerieri ci stanno addossissimo con quell'assenza di rispetto dello spazio personale tipica degli indiani, non mi cimento nella minuziosa traduzione dei singoli piatti, che richiederebbe troppo tempo. Parlo con il boss, e gli chiedo se può prepararci qualcosa con verdure, riso e pollo, non piccante. Sono i tre ingredienti base, non credo di metterlo in difficoltà. Il paron ci prende gusto, e inizia a portarci al tavolo sempre più portate, tutte squisite. Diversi tipi di verdure saltate e speziate, quattro kili di riso bollito, una ciotolona di salsa al curry non piccante e due coscione di pollo fritte. Noi non sappiamo cosa aspettarci, e nemmeno come combinare le portate. Probabilmente sembriamo quei turisti che in Italia inzuppano la pizza nel cappuccino, ma chi se ne frega. E' tutto buonissimo e non lasciamo nemmeno le briciole, e ciò penso basti a far capire che abbiamo apprezzato. Essendoci affidati, non ho idea di quanto possa chiederci e temo un conto salato, come farebbe qualche furbetto nostrano con stranieri poco avvezzi alle consuetudini locali. Invece tutto il bendiddio che abbiam pappato costa 29 ringgit, cioè meno di 6 euro, bevande incluse. Lascio la mancia, perchè sì, queste sono onestà e professionalità. Viene molto apprezzata, con gran scuotere di testa e sorrisoni baffuti.
Gelato al supermercato e siamo già in camera, mentre la notte si riprende il cielo e intorno di accendono le poche luci del paese come occhietti vigili tra le palme. Il muezzin canta l'ultimo richiamo alla preghiera, ed oggi son proprio contenta perchè ho fissato pure l'appuntamento definitivo con il tatuatore a Singapore!
Che bellezza, e come la racconta la volpe,pare anche ben romanzata...ancora pochi post e poi l'avventura terminerà. Noi godiamo di queste belle immagini e parole,ma chissà loro! Non e' invidia,sono un vecchio cicloviaggiatore,ho girato solo l'Italia,ma consiglio a chi legge questo blog di fare cicloturismo ,come può,e dove può!
RispondiEliminaAffascinante, è sempre un grande piacere leggere ed essere rapiti dal viaggio, dalla descrizione dei luoghi, dei particolari, grazie, pedalo insieme a voi, buona strada ciao 👋🚴
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