18/8
Vientiane-Luan Prabang
350km in auto, treno, van, piedi
La notte dormo poco, tra vicini francesi molesti che litigano per chi sta usando più erba e incombenze logistiche mie da sistemare. I prossimi giorni, pur non pedalando, sono impegnativi perché tutto è un'incognita già di per sé, figuriamoci qui in Laos. Alle 6 mi preparo e, quando si avvicinano le 7, scendo nella hall in attesa del transfer per la stazione. Per 26km calcolano un'ora, e non perché ci sia traffico, ma per la condizione delle strade. Piove. Il receptionist, un volto nuovo, mi vede e fa una telefonata dicendo che tra poco mi passano a prendere. In effetti in qualche minuto arriva un taxi nuovo, bello, privato. Mi sa di strano, io ho pagato poco, per un pullmino condiviso... In effetti, il receptionist non aveva capito, e nella sua testa doveva solo chiamarmi un taxi... Da pagare, per un servizio già pagato in hotel! Per fortuna mi accorgo subito dell'inghippo e ci chiariamo senza attriti, mi carico in taxi e inizia un'ora di guida lenta e a sobbalzare verso la stazione. Io non so se qui sono rincoglioniti e basta, o cercano ogni volta fi fregarti, basandosi sul fatto che le cifre sottratte sono talmente piccole (pochi euro) che il turista medio, per evitare casini, è disposto a sborsare. Però che fatica dover sempre stare attenti a tutto, anche quando ti stai af-fidando.
In ogni caso arrivo in stazione con discreto anticipo e ho tempo di affrontare i numerosi controlli senza fretta. Il concetto è simile a quello degli aeroporti: controllo passaporto e biglietto, scansione su nastro di tutti i bagagli, metal detector e sommario controllo della persona da parte della sicurezza (tutte donne). Pare che nel tempo le maglie siano diventate più larghe: a me fanno passare delle forbicine e una bottiglia grande d'acqua, cose che ho letto esser state problematiche per altri viaggiatori, in passato. Motivo per cui ho spedito gran parte del bagaglio, oltretutto. La stazione è nuovissima, moderna, pulita e scintillante, anche se un po' vuota. Ci sono alcuni baretti e negozi duty free cinesi, ma la spazio è occupato principalmente dalla grande e silenziosa sala d'attesa. C'è poco Laos e tanta Cina qui, insomma. Mi siedo vicino ai pannelli degli arrivi e delle partenze, anche se qui è tutto piuttosto facile: su questa linea passano solo i treni che da Vientiane vanno a Boten, in Cina, e tornano indietro. Vengono continuamente passati annunci che spiegano, in inglese, lao e cinese, quali siano le regole e le tempistiche per l'imbarco. A 20' dalla partenza del treno, viene chiesto ai passeggeri di mettersi in fila per un ulteriore controllo dei biglietti. Qui incontro una famiglia di italiani, giunti da Bangkok e diretti a Vang Vieng, dopo sosta a Vientiane, che mi dicono di essere stupiti di quanto in Laos tutto funzioni bene. "OH! Benissimo!" penso tra me e me, sapendo che il Laos non è (solo) il resort nella capitale e poi il glamping nella città fighetta. Ma son contenta per loro. Fatti i controlli, i passeggeri vengono smistati sul binario a seconda della carrozza su cui devono salire, e quindi le procedure di imbarco e sbarco sono molto fluide.
Il treno è stracolmo, e si sente tutta l'idea di spazio personale che hanno in questa fetta di Oriente. I sedili sono piccoli piccoli e stretti stretti, si sta inscatolati come sardine e, al carico umano, si aggiungono bagagli curiosi: pacchi di carne, di frutta, di tessuti, piatti street-food da asporto pieni di aulentissime salsine e bollitori colmi di riso. La cosa che mi stupisce di più è la libertà con la quale ci si libera dei gas corporei, in un concertino senza imbarazzi di rutti e scoregge sonore. E poi le dita, con le unghie sempre molto lunghe, sottili, giallognole e sporche, finiscono alternativamente nel naso e tra le dita dei piedi, in uno scaccolarsi diffuso e soddisfatto. Attacca bottone anche un omino pieno di amuleti di Buddha e monaci, che mi dà cattive sensazioni. Fingo di essere sordastra e non capire, e lui allora punta una poveretta seduta di fronte, e per tutto il viaggio si allunga e la sfiora e la fissa. Incrocio lo sguardo di lei qualche volta, per capire se abbia bisogno o le vada bene così, e pare proprio la seconda. Oh, chi sono io per giudicare?! Altra cosa che mi stupisce è il bagno, estremamente pulito e con la turca. La turca è cosa intelligente, ragazzi, e più igienica. Squatty batte potty 1-0. Passano i carrelli e i vassoi delle cibarie, mentre lo staff in livrea percorre le carrozze e sistema i bagagli nelle cappelliere, controlla che sia tutto in ordine e riprende i passeggeri casinisti. Continuano a passare anche security e addetti delle pulizie, e in effetti il clima generale è molto confortevole, a parte quei dettagli corporali spiegati prima. Non ho preso il treno ad alta velocità, ma quello normale. Il viaggio dura due ore e mezza, durante le quali leggo la guida e preparo sia la visita a Luang Prabang sia il trasferimento a Muang Xay. Dal finestrino vedo cambiare rapidamente il paesaggio: ora siamo tra i monti, e sono verdissimi, coperti di foresta, e selvatici. La connessione si perde.
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cucù |
Quando arriviamo, appena scesi dal treno, si crea un panico generale di corse e sprint verso l'uscita. Capisco in un attimo il perché. Per arrivare in città dalla stazione bisogna percorrere circa 15km di strade scassatissime, tutte tornanti e buche. Non ci sono mezzi pubblici che coprono la tratta, ma una schiera di minivan da 12, che puntualmente diventano 15 posti, ad attendere i passeggeri. I van partono appena sono pieni, ma non partono finché non sono pieni. Ciò significa che se resti nell'ultimo sfigato che non si colma a stipo, devi aspettare che arrivi altra gente con il treno successivo. Perciò tutti sgomitano e si precipitano furiosamente al parcheggio, dove alcuni "parcheggiatori" smistano le persone. Io vengo indirizzata a un van, ma è pieno, poi a un altro, ma è pieno anche quello. Alla fine mi carico di prepotenza sul primo dove intravedo un posto libero, e spero di non aver separato una madre dal proprio bambino o un anziano in demenza dall'acconpagnatore. Ma qui se fai il gentile la prendi in quel posto! Si parte, e quei 15km richiedono quasi un'ora di viaggio perché davvero il fondo stradale è improponibile, aggravato dalla pendenza della strada e dai tornanti mezzi franati. Non c'è modo di prenotare la fermata.
Quando vedo su Maps che l'hotel è vicino, con un "Hey!" chiedo all'autista di fermarsi e scendo. Fa un caldo impietoso e devo levarmi la felpa, finora necessaria per l'aria condizionata violenta dei mezzi. Cammino nell'aria abbacinante, rifiutando offerte di corse in tuktuk che mi arrivano come flatus vocis, senza che neanche io veda chi me le presenta. La sensazione è subito quella di città turistica, con negozietti e bandierine colorate e trappoloni di tour sovrapprezzati, ma anche qui, in giro, non c'è quasi nessuno, fuori da qualche ombra di turista occidentale che intravedo nei caffè e sui bus. Raggiungo l'hotel che ho prenotato ieri (8€, che ora, su Booking e Agoda, ne costa 130... Boh) e vengo accolta da nipotino, madre e nonna, tutte festose. Ricambio con entusiasmo, ma nel giro di poco questo si trasforma in incazzatura. Anche qui, come a Vientiane, mi dicono che la mia camera ha un problema (bagno rotto) e quindi mi "chiedono" (obbligano) ad andare in una struttura alternativa, a loro dire migliore, a 1km da lì, sul fiume. Ho appena pagato cash, ovviamente senza ricevute. Controllo location e recensioni del posto dove mi vogliono mandare e sembra effettivamente un boutique hotel molto figo, accanto al Palazzo Reale. Faccio comunque un grandioso concione, dicendo che non va bene usino piattaforme online per avere visibilità e poi non ne rispettino le regole, ma ovviamente non gliene frega nulla, anzi, ridacchiano. Il pistolotto prosegue quando il "servizio di trasporto gratuito" nella nuova struttura si rivela essere un omino su motorino scassatissimo, che carica me, le mie borse e altri bagagli suoi e parte a manetta. Caschi pervenuti: 0. Se mi faccio male in una situazione come questa mi incazzo veramente. Arrivo in hotel e mi danno la camera. Non posso lamentarmi, eh. Però davvero, troppi imprevisti, troppi cambiamenti di programma ogni minuto... È faticoso! Mi sento come, non so, uno svedese che cerca di cavarsela con i pullman e i treni in Italia, magari in periferia, dove nulla funziona come dovrebbe. Poi si arriva alla soluzione, ma con giri larghi e molti livelli di adattamento.
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dall'hotel si vede un tempio e ci sono in strada le crisalidi delle bancarelle del mercato notturno |
Mentre raffreddore spirito e cervella in camera, acquisto il biglietto del treno per domani, che mi porterà a Muang Xay, ultima stazione prima del confine cinese. Qui, se tutto va bene, dovrebbero arrivare (condizionale d'obbligo) anche la bici e le borse che ho spedito. Domani o dopo, vedremo. Mi preparo per uscire a visitare Luang Prabang. Alla reception c'è una persona diversa da quella che mi portata in motorino. Saluto, dico che ho bisogno di raggiungere la stazione domani. "Me ne occupo io, sono 60.000 kip. Ti vengono a prendere proprio qui". Ok. Dalla stazione erano 40.000, ma stiamo parlando di poco meno e poco più di 2€. Visto che questo receptionist è gentile, mi scuso per il mugugno di prima e gli spiego che non sono abituata a dover cambiare programma ogni 3 secondi. Lui dice che non ci sono problemi, capisce. E aggiunge un dettaglio super insensato e anche razzista: secondo lui i laotiani sono onesti e non fanno gabole. Sono i vietnamiti a voler imbrogliare i turisti e quindi cambiare le prenotazioni e spostare gli stranieri come bestiame da qui a lì, dove è più comodo, a prescindere dalle intenzioni del cliente. Non ho parole... Ste porcate in Vietnam non sono mai successe! E poi tu, che gestisci questo hotel, sei complice, connivente e coinvolto tanto quanto quelli che mi hanno dirottata qui! Allora stai ammettendo la colpa... Vabe', tengo queste considerazioni per me. Qui a Luang Prabang ci sono tantissime meraviglie da esplorare e non voglio perdere altro tempo con chi pensa di essere furbo e invece è un poveretto che fa mille capriole malandrine per due spicci.
Luang Prabang venne popolata fin dal preistoria e vide il susseguirsi di regni, imperi e dinastie dalla Cina e dal Siam, dal Vietnam e dalla Birmania. Ma il floruit si colloca tra il 1353 e il 1560, quando divenne capitale del regno di Lan Xang (regno di un milione di elefanti), che si estendeva nell'odierno Laos, in Thailandia settentrionale e oltre. Fu anche residenza del regno omonimi, nel Settecento, però vassallo del Siam e poi colonia francese.
Dopo l'indipendenza del Laos da Parigi fu il re di Luang Prabang a coprire il ruolo di capo di stato, fino al 1975, quando i comunisti del Pathet Lao lo costrinsero ad abdicare (e fecero morire lui e la sua famiglia di stenti).
Di tutta questa storia la città porta i segni e l'eredità. Innanzitutto, il centro è ben curato e piacevole esteticamente, con case coloniali ridipinte di fresco, fiori alle finestre e verandine a modo. I caffè e i ristoranti pure sono molto carini e puliti, e, in breve, non si ha quella sensazione di polvere, mucche che pascolano nella spazzatura e fango che caratterizza un po' l'ambiente urbano medio del Laos.
E poi ci sono i templi. Tantissimi. Uno accanto all'altro, con strade che li collegano e giardini pieni di statue, incenso che arde a ogni altare e scintille oro, rosse, blu e verdi che danzano nei riflessi del sole sui mosaici. E in tutti vivono e studiano comunità di monaci, spesso composte da bambini e adolescenti che portano avanti così il loro percorso di formazione. Ci sono tonache color zafferano stese ovunque ad asciugare, e si intravedono monaci ad ogni angolo, presi nelle loro attività quotidiane. Le vibrazioni sono quelle di una "città santa", e gli orari delle attività ancora ruotano attorno a quelli delle pagode. All'alba si apre per la questua (ormai spettacolarizzata dai turisti come fosse una sfilata di moda) e alle 23 tutto chiude e si impone il silenzio. Gran parte della mia visita si focalizza proprio sui templi, gran parte dei quali si trovano sulla penisola creata dalla confluenza dei fiumi Mekong e Nam Khan. Sono quasi tutti templi antichi, che risalgono al Cinquecento, pur rimaneggiati e ricostruiti a più riprese. Il bello è che ancora oggi sono veneratissimi e meta di pellegrinaggio, tanto che, in tutti, in imbatto in gruppi di fedeli che portano offerte, pregano, e poi si fanno foto e selfie davanti agli altari e alle statue del Buddha. Vi lascio la carrellata, senza entrare troppo nello specifico per evitare pesantezze. Nell'ordine sono: Wat Sensoukharam, Wat Sop Sikharam, Wat Si Moung Khoun, Wat Sibohueneuang, e, dopo un passaggio lungo il Mekong, dove noto che non tutti i leoni vengono col buco, il Wat Xien Thong (con ingresso a pagamento).
Quest'ultimo merita una parola perché è uno dei luoghi più sacri del Laos, nonché il tempio reale che, dal 1560 al 1975, è stato teatro delle incoronazioni, degli eventi ufficiali e di quell'intreccio saldo tra monarchia e buddhismo che caratterizza la storia del Laos (e non solo). È un'enciclopedia di arte e architettura laotiana, di cui custodisce esempi finissimi, ed è scrigno di reliquie e oggetti sacri ancora oggi estremamente venerati. In effetti si respira una quiete quasi mistica tra queste statue e questi edifici ornati, pieni di divinità danzanti e sembrano muoversi con i riflessi del sole sulle tessere specchiate dei mosaici. Il tempo pare fermo, sospeso. Anche le volute di fumo dell'incenso paiono immobili. Mi godo per bene la visita, mentre apprezzo che i laotiani rivolgono preghiere non solo a Buddha, ma pure ai naga, ai demoni guardiani, alle statue di pavoni ed elefanti. Tutto è sacro, gli dei stanno ovunque. Quanto radicato è l'animismo tradizionale delle tribù degli spiriti della natura e dei morti, che ancora vivono nelle etnie minoritarie qui tra i monti!
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ma il bufalo che annusa il culo al pavone? |
Proseguo lungo il Mekong fino al Wat Xieng Mouane e il Wat Choum Kong, collegati da vialetti interni dove gruppi di monachelli preadolescenti chiacchierano e ramazzano i cortili ombrosi e profumati di fioriture perenni.
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amaca su jumbo e via di pisolini |
A questo punto mi dirigo al Palazzo Reale, che richiede rigido dress code, pantaloni lunghi, spalle coperte, giù il cappello, via le scarpe, niente borse né alimenti né bevande all'interno, niente foto... Tutto per, diciamocelo, un edificio del 1904 piuttosto spoglio e polveroso, che dà l'idea di una monarchia, almeno nel Novecento, pulciosa, ridotta a buffa marionetta, insignificante nel suo credersi qualcosa. Una questione di sola facciata e neanche troppo grandiosa. Portantine da elefante, trono e corona, ma tutto in tono minore, con poi una residenza modesta, mobilio umile, auto normalissime... Tutto degno di un qualsiasi borghese europeo negli stessi anni. Interessanti piuttosto il Teatro nazionale, ancora in uso per spettacoli tradizionali, balletti e concerti, e il grande giardino, un po' inselvatichito ma piacevole.
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le barche reali... che ciofeche! |
Finita la visita a questo simbolo di un non-potere che però voleva distinguersi alla gran massa del popolo in miseria (e infatti il re poi è crepato di fame sotto le grinfie del Pathet Lao), è il momento di salire sulla collina Phu Si, che si trova proprio nel centro esatto dell'abitato. Ci si inerpica, dopo un biglietto da 1€, su per 300 gradini, con 100m di dislivello quasi verticali, tra statue di divinità guardiane e piccole stupa. Quasi fino in cima si è completamente immersi nella vegetazione, cosa che rende il caldo umido ancora più impegnativo da affrontare.
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night market che pian piano si prepara |
Ma una volta in cima a togliere il fiato è la vista incredibile, che spazia su tutte le verdissime alture circostanti e permette di vedere da un lato il fiume Nam Khan, dall'altro il Mekong. È qui che io lo saluto per l'ultima volta, in questo viaggio. Lui, la spina dorsale di tanta strada, la presenza costante, il filo d'Arianna da seguire dal suo delta in Vietnam fino a qui, attraverso la Cambogia e il Laos, lungo il confine thai. Migliaia di kilometri, un'infinità di barchini e barconi, villaggi e mercati galleggianti, pescatori e popoli dell'acqua, leggende legate al fiume e disagi per le sue piene. Ciao Mekong, sono contenta di salutarti qui, dove la natura meravigliosa e sacra ti incornicia e fa bello, qui dove si dice vivesse una principessa naga, metà donna, metà serpente. Ora io vado tra i monti. Tu salutami l'oceano, e portagli un palpito pulito che ti affido qui.
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il Nam Khan, affluente del Mekong |
Tutta la poesia si infrange con l'arrivo di rumorosissimi turisti cinesi e occidentali, e capisco che è ora di scendere, anche perché si stanno accendendo le prime luci e tra poco sarà buio. Imbocco il sentiero he porta dal lato opposto rispetto a quello dove sono salita, e mi imbatto in un manipolo di giovanissimi monaci intenti a sistemare la strada, tra fumi di legna che arde, risate e giochi da ragazzini quali sono. Improvvisano scontri di arti marziali, stanno a petto nudo con gli occhiali da sole e mi pare, in generale, che vivano questo noviziato molto serenamente. Certo stanno anche lavorando, ma forse non fa male a quell'età, ogni tanto, chinare la schiena e constatare quanto sia bassa la terra! Certo mi resta un'immagine magica di tuniche arancioni su sfondo verde cupo di foresta, fumo e risate che salgono in ampie volute al cielo del tramonto, mentre le prime luci già sono accese. È proprio una città santa, questa.
Scendo a vedo che i mercati notturni stanno aprendo, anche se di clienti a passeggio ce ne sono ben pochi. Io mi dirigo verso l'unico market che non sia proprio mini, il D&T, e vivo un'esperienza straniante. A primo impatto sembra un piccolo supermercato, con scaffali e frigoriferi. Ma, guardando meglio, si nota che la merce è disposta nel modo più casuale e caotico possibile. Si trovano alla rinfusa, buttati là, pannolini, biscotti, nastro adesivo e latte. Oppure patatine, dentifricio, ciabatte e salse. Ci sono i cartellini dei prezzi, ma ovviamente ai riferiscono a prodotti altri, passati per caso di là in un lontano passato. E si capisce solo per alcuni dettagli, come il peso delle confezioni, perché per il resto è tutto scritto esclusivamente in lao. Per trovare quattro cose servono ore, sembra più una caccia al tesoro che una spesa. Il tutto avviene con un ulteriore malus, il caldo. Il locale non ha aria condizionata, ventilatori e nemmeno finestre, e ci saranno 45 gradi all'interno. Forse la disposizione dei prodotti, così randomica da diventare artistica, è frutto di una protesta dei commessi, o forse i poveretti hanno subito danno neurologici per il troppo caldo e questo è il risultato. Per altro a lavorarci dentro sono in tanti, tutti presi a fare cose altrettanto casuali (tirare fuori i prodotti da un frigo e metterli in un altro. Osservare da vicino, con occhio vitreo, immobili, i surgelati. Scrivere a mano cartellini dei prezzi da appiccicare con il nastro adesivo su un prodotto ogni 1000). Così quando si va in cassa si deve attendere tantissimo, e si crea una lunga fila. Quando tocca a me, vorrei chiedere alla commessa se abbiano mai visto un supermercato normale, se sappiano come funzioni. Mi sembra come quando, alle corti europee, i sovrani ricevevano in dono animali esotici e li facevano crepare, non sapendo come tenerli, e in più i tassidermisti li impagliavano malissimo, non avendo idea di come fossero fatti un leone o una pantera. E così venivano fuori queste bestie deformi, solo vagamente somiglianti all'originale. Ecco, questo supermercato è così.
Torno in hotel stanchissima, tra bancarelle di cianfrusaglie e qualche timido stand di street food. Cena, controllo alberghi per domani (alcuni sono di gestione cinese solo per clienti cinesi, altri bettolacce, altri sovrapprezzati... Andremo a sentimento) e nanna, ché domani si riparte, verso nord.
19/8
Luang Prabang-Muang Xay
200km in van, treno, remork, piedi
Stamattina ho qualche momento da impiegare tra la colazione eccellente e inclusa nei 9 euro di hotel (chai latte, banana pancake con sciroppo di palma da zucchero e frutta fresca) e il passaggio alla stazione, fissato per le 10.
Sorseggio il tè nel bar affacciato alla strada, e i prodotti in vendita al mercato diurno, che si dispiega proprio a un metro da me e nelle vie del centro, mi incuriosiscono al punto che decido che sarà quella la mia attività: bighellonare tra le bancarelle. Dove ci sono. Se no tra i teli in terra su cui sono esposte le merci. Voi non siete pronti a ciò che sto per raccontare, come non lo ero io nel camminarci in mezzo, probabilmente con un'espressione di sbigottimento, curiosità e disgusto che non amo, ma è stata inevitabile. Premesse: non è un mercato per turisti, la gente viene a farci la spesa. Non giudico nulla delle consuetudini alimentari altrui, ma ne accolgo la distanza dalle mie. Non c'è puzza, l'odore prevalente è misto di coriandolo (che io non posso neanche vedere, è come l'aglio per i vampiri) e spezie o peperoncino. Lascio che parlino le foto, con qualche didascalia
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rane enormi vive, con la retina se no scappano |
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bacherozzi grassi |
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carne scuoiata misteriosa e pora bestia ammazzata di fresco |
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quelli che sembrano favi di miele sono nidi pieni di crisalidi, da cui la signora ciccia fuori dei larvoni |
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nei piattini, coperti da cellophane (l'igiene prima i tutto) ci sono ratti arrosto, crocifissi a forma di aquilone; sono a pancia in su con i dentoni bene in vista |
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pesci di fiume secchi e freschi |
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musi di maiale |
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pollastri |
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i banchi macelleria |
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quello tutto a sinistra è un feto di mucca o bufalo |
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sgusciando larvoni |
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la verduraia è anche onicotecnica e taglia le unghie direttamente sulla bancarella |
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rane, pesci e cocchi |
Potrei gironzolare e inquietarmi per ore, è estremamente interessante!, ma viene il momento di prepararsi. Alle 9.50 sono sulla strada e un minuto dopo l'autista del van, a piedi, mi viene a prendere; a bordo ci sono già un paio di laotiani, ma presto il mezzo si riempie, al punto che siamo in 1 su 12 posti; è identico a quello preso ieri per il tragitto inverso. Una volta alla stazione si vede che attendono i passeggeri dei treni successivi prima di tornare in città.
Una volta in stazione (sì, sono tutte identiche) le procedure sono uguali a ieri. Ormai le conosco quindi mi muovo più agile tra controllo passaporti, scanner dei bagagli, perquisa e check in. Il treno che devo prendere è proprio quello di ieri, che arriva da Vientiane e poi prosegue fino in Cina; io devo scendere alla seconda fermata. Noto che qui arrivano alcuni occidentali, ma ne ripartono ben pochi, anzi, solo io. Gli altri sono tutti laotiani o cinesi. Sto uscendo dal circuito turistico, di nuovo.
Quando arrivo a Muang Xay, dopo un'oretta e mezza di viaggio che passo a scrivere, la sitazione è meno caotica di ieri. Non ci sono i van, ma i tuktuk e i remork. Gli autisti accalappiano clienti alle porte della stazione e iniziano a caricarli sui loro mezzi. Quando son pieni, partono. La corsa costa 2 euro, come ieri, ma qui non sono 15km, solo 4. Certo ci stanno meno passeggeri su ogni biroccio... Evidentemente non si paga la benzina e nemmeno il tempo, ma il servizio per sè.
Io finisco su un remork insieme a una ragazza con due bambini e un'altra signora da sola. Mentre si aspettano altri eventuali clienti, noto che nel parcheggio si aggirano tanti ragazzini e anziane che vendono pacchetti di snack, cianfrusaglie, frutta... Ne ho già visti sia in Cambogia sia In Laos di bambini così, che lavorano in strada, con gli occhi tristi e il muso sporco, ma ogni volta mi colpisce.
Mi faccio lasciare presso una guesthouse in centro che ho selezionato per i commenti positivi su Google. Qui non si può prenotare nulla online, e forse è meglio così, viste le beghe che poi sempre occorrono. La struttura è una vecchia casa coloniale fatiscente e cupa, ma per 7 euro si può avere la stanza con bagno privato, ventilatore e acqua calda. I proprietari sono due anziani molto gentili, anche se un po' laconici e vagamente tristi. La stanza è piena di insetti e ha le finestre che non si chiudono, per cui dalla strade arriva tutto il casino, e dai tubi dell'acqua dei piani sopra idem. Ma chissenefrega, spero di dover stare qui solo oggi. Spero. Spero forte. Perchè non ho ancora ricevuto nessun messaggio di conferma della consegna della bici, quindi probabilmente non è arrivata... Magari domani, dai. Vedremo. Mi butto sul letto e mi appisolo un attimo, i trasferimenti mi stancano e ho un mal di testa che quando pedalo non mi viene mai.
Intorno alle 15 decido di fare un giro per ammazzare il tempo e smorzare l'ansietta dell'attesa. Temo che, se entro un paio d'ore non ricevo il messaggio, si va direttamente a domani. Mannaggia speriamo di no... Sarebbe tutto tempo sprecato in un posto dove c'è ben poco da fare! A proposito, ho visto su Maps che la città di Muang Xay ha un museo. Ebbene sì. Non si sa su cosa, ma c'è uno spazio espositivo in cima alla collina proprio alle spalle dell'hotel. Vuoi perderti l'esperienza?
Questa è la strada che porta al museo. Iniziano benone.
Quando penso ormai che non esista alcun museo, e che questa salita sia valsa giusto per la bella vista sui monti, eccolo! Un edificio donato dal Vietnam, guarda un po'. Ed è anche, incredibile visu, aperto! Nei commenti di Google ho letto che si ha solo un 20% di possibilità di trovarlo così, di solito è chiuso, ma non in orari e giorni precisi. Completamente a caso, come molte cose qui in Laos.
Entro e la signora in cassa è così stupita di veder qualcun che si spaventa. Poi mi sorride e mi indica un cartello con il prezzo: 10.000 kip, neanche 0,5 euro. Mi scrive il biglietto a mano, e lo firma, e chiede un autografo anche a me. Meraviglioso, da conservare come ricordo di questo luogo assurdo.
Una volta dentro, devo trattenermi a forza per non ridere sguaiatamente. Il museo è così spoglio, brutto, mal tenuto e insensato da scatenarmi un'ilarità irrefrenabile. E' così orrendo che fa il giro e diventa bellissimo. Come ieri facendo la spesa mi chiedevo se i gestori avessero mai visto un supermercato vero, qui mi chiedo se i "curatori" (AHAH!!!) abbiano mai visto un museo vero, sappiano come funzioni, che scopo abbia.
Onestamente non saprei descrivere il tema dell'esposizione del pian terreno. Ci sono foto di politici e ritagli di articoli di giornale con membri del partito, falci, martelli gran strette di mano. Zero didascalie, neanche in laotiano. Poi, sempre con sentore di propaganda, ci sono quadri, stampe, cartoline e anche album privati di foto del secolo scorso, con matrimoni, feste ed eventi politici. Immaginatevi di svuotare la casa di un nonno nostalgico e buttare tutto su un tavolo. Ecco.
Seguono polverose uniformi chiuse in un espositore, armi, videocassette e proiettori, macchine da scrivere e tecnologia da Guerre d'Indocina. Ma son tutte supposizioni le mie. Visioni, sensazioni.
Il piano superiore, dove la signora corre ad accendermi la luce, sarebbe anche interessante perchè si occupa delle etnie di minoranza presenti in questa regione montuosa. Già da Luang Prabang ho notato stili e abiti diversi, colori, ricami, copricapi distintivi delle diverse genti... Qui sarebbe bello approfondire. Stupisco nel trovare delle didascalie in inglese, anche se paiono scritte da un bambino molto piccolo e molto dislessico. Il colpo d'occhio generale, comunque, è piuttosto triste: le tribù sono rappresentate con manichini tutti rotti, a cui mancano ora un braccio, ora la testa (per renderli realistici viste le mutilazioni da ordigni inesplosi, suggerisce mio papà da cui ho ereditato il black humor), e quattro attrezzi di uso quotidiano. Qui siamo nella zona dei lao song (lao alti) di etnie mong-yao e tibeto-brimana, distinti dai lao loum, gli abitanti delle pianure, maggioranza, di etnia simile a quella thai. Il Governo cerca di non usare più questa classificazione, che implica discriminazione (anche perchè le minoranze, come sempre, sono svantaggiate dal punto di vista economico e sociale), e distingue in base alle lingue parlate. Ma i laotiani sono abituati a chiamarsi così, quindi riporto l'uso comune.
Quando esco sono ilare e per un attimo ho dimenticato l'attesa della bici. Mentre scatto qualche foto al panorama intorno, vengo richiamata dal saluto di un omino che mi raggiunge e si presenta. Il nome non saprei trascriverlo, ma significa "occhi neri" Parla un po' di inglese quindi riusciamo a capirci. Mi mostra la sua casa, palesemente una piccola depandance del museo, che lui sta riadattando ad abitazione. A un tavolo fuori è seduto il padre, un po' svanito, che continua a fargli segno che vuole bere un alcolico (fa proprio il gesto dello shottino), mentre l'omino occhi-neri lo ignora. Dice di essere un barbiere, come suo papà, e di essere nato in un villaggio a metà strada tra qui e Luang Prabang. Chiede di me ed è tutto entusiasta. Poi ci tiene a dirmi che ha tagliato con il machete tutte le piante davanti a "casa" per aprire la vista sul panorama. E vuole che ci si faccia una foto, e ride ed è un gioione.
Ci salutiamo e inizio a scendere di nuovo verso il paese. Nessun messaggio riguardo alla bici... Penso di fare ancora un giretto e poi passare comunque al caffè/ centro massaggi che funge anche da deposito merci di Hal Express, così, per farmi un'idea del posto.
Mentre le zone periferiche sono abitate più da cani randagi e galline, il centro è tutta una festa di bandiere, rotonde addobbate e striscioni. Muang Xay in effetti si presenta molto più popolata e vivace di quel che mi aspettassi. Ha un aeroporto piccino, tante attività commerciali, tantissimi alberghetti e ristorantini, ben due templi... Conta quasi 80.000 abitanti! Ma ha una storia strana. Dagli anni '90 ha cercato di promuovere il turismo, con l'idea di portare i visitatori alla scoperta della natura e delle etnie locali, con trekking, ecoproposte, corsi di cucina e artigianato tradizionali... C'è un ufficio del turismo, qui, finanziato dalla Germania, che si può contattare per queste esperienze. Ma il progetto non è mai decollato davvero, e di certo non ne hanno beneficiato le aree rurali. Qui la ricchezza sta arrivando sulle rotaie, dalla Cina. Da quando c'è il treno, la città, vicina al confine, si sta trasformando in un hub logistico per il trasporto merci. E in effetti ci sono interi quartieri cinesi di immigrati recenti, con i loo negozi, i loro alberghi e i loro supermercati, dedicati ai soli connazionali (lao e stranieri altri non sono accettati nè ben visti). Incredibile il soft power che Pechino esercita da queste parti...
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lo stadio |
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un gallo sullo stendino |
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il monumento alla vittoria di Vietnam e Laos nelle Guerre di Indocina... Dovrebbe chiudere alle 16, ma alle 15.30 il cancello è già ben serrato, sempre che sia stato aperto |
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è anche presidiato da cani super molesti e abbiaerecci |
Dopo aver girato praticamente tutto il paese in lungo e in largo, viene il momento di tornare. Non ho ricevuto alcun avviso di consegna, quindi, ormai, immagino che la bici arriverà, se arriverà, domani. Che palle dover passare un altro giorno intero qui, mentre davanti ancora ho tanta strada da percorrere! Decido comunque di affacciarmi al punto di consegna, chissà mai.
Il magazzino è uno stanzino umido e stracolmo di pacchi, e all'ingresso c'è un via vai di furgoni e motorini che prendono e lasciano scatole, buste, sacchi da spedire. Mi affaccio e noto subito una cosa: LA SIGNORINA FELICITA!!! E anche le tre borse!!! Ma allora è arrivato tutto, guarda qui!!! Il cuore mi si tuffa in pancia, che gioia!!! Con tutto quel che poteva andare storto... Potevano perderla, portarla in un posto sbagliato, rubarla, romperla, farla arrivare in ritardo di giorni... E invece no, eccola qui!
Mi metto in fila con le mie ricevute, felice come una felice Pasqua, e, mentre aspetto il mio turno, note che il manubrio è stato imballato e protetto con cartone e nastro adesivo nella parte centrale. Mi chiedo perchè, visto che ho tolto tutto, ciclocomputer, specchietti, portatelefono... Me ne accorgo dopo: hanno protetto il peluches della volpina. Ma possono essere più cuori di così? Non il forcellino, non il cambio e le parti delicate e importanti, ma la volpina pupazza. Amori! Quando tocca a me, mostro trepidante i codici a barre e, approvato il ritiro, mi faccio prestare taglierino e tronchese per spacchettare tutto, visto che anche le borse sono state chiuse e legate tra loro con una fascetta di metallo. Poi carico le borse sulla bici e pedalo i 700m fino in guesthouse con la leggerezza gioiosa del lieto fine di una fiaba. E il bello è che funziona tutto! Il cambio è registrato, i freni rispondono, tutto è in ordine!
Quando arrivo in hotel, l'anziano proprietario strabuzza gli occhi e allibisce. Non sa abbastanza inglese da farmi domande, ed è discreto, ma gli si leggono in faccio stupore e curiosità. Mi ha vista arrivare in remork, e ora questa bici da dove spunta? Me la fa portare all'interno, in un sottoscala, e a me vien da ridere pensando che riesco a stupire persino i local. Ormai ho masterato l'arte della logistica nel Sud Asiatico, sono quasi onnipotente!
Decido di andare a fare una spesa festosa nel supermercatino cinese e mi compro sia la cena sia qualche genere di conforto per i prossimi giorni tra i monti. Ci sono i paesi, ma in salita i dolcini non sono mai abbastanza e non sono certo io a far l'errore di restare senza zuccheri di rapido consumo di scorta.
Quando rientro, il sole sta calando.
Dopo aver rifinito le tracce per domani e dopo, mi concedo una sera di cazzeggio su YouTube, come faccio a casa, per rilassarmi. Non ho la Tv e questo è il mio intrattenimento leggero. Oggi è festa. Domani si pedala. E si tira dritti fino alla meta. C'è parecchio dislivello, ma, con tutte la gabole andate a segno, ho accorciato i kilometri da percorrere in bici e quindi ho più tempo per affrontare le montagne senza ansie. Domani e dopo saranno gli ultimi due giorni interi in Laos, prima di tornare in Vietnam. Domani mi attende una tappa lunga, da 100km, con 1000m di dislivello, molto spalmato tra qualche rampa iniziale e un'infinita serie di gobbette in due valloni, che, tendenzialmente, vanno a scendere. Dopodomani, invece, devo passare da una una valle a un'altra, e in mezzo c'è un panettone da scalare. In 15km sale di oltre 1000m, con tratti al 18-20%! Ma farà pochi kilometri, 37, dalla città ai piedi della salita a quella in fondo alla discesa di là. Anche perchè poi ricomincia la salita, altrettanto ripida, in cima alla quale si trova la frontiera. Il terzo giorno, dopo questa ascesa, arriverò in picchiata giù a Dien Bien Phu, città vietnamita dove i francesi sono stati sconfitti definitivamente nella Prima Guerra di Indocina. Da lì avrò ancora i 4 giorni previsti più i due bonus guadagnati ora per raggiungere Hanoi. Son sempre montagne, eh. Ma in un Paese molto meglio servito. In fondo il Vietnam fa 101 milioni di abitanti... Il Laos, che pure è più esteso, solo 7!!!
Sono proprio contenta di ripartire. In questi tre giorni di pausa dalla bici, per quanto intensi, mi sono riposata e ricaricata. Le chiappe si sono risanate e sono carichissima. Annamiti, a noi!
20/8
Muang Xay-Muang Khua
102km
Pronti, via! Pellegrinaggio al tempio del caffè fatto a modo, in Amazon proprio davanti alla guesthouse, e si comincia la giornata, che è l'ennesimo nuovo inizio. Mi sento bene, fresca, riposata, in forze, mentalmente presente. Spariamoci questi 100km tra monti e valli! Monto le borse, che ieri ho risistemato bilanciando i carichi, e si va.
I primi kilometri in città sono un leggero saliscendi su asfalto perfetto, ma appena si esce dall'abitato ritrovo quel fondo esploso di buche, pozze, crateri, gobbe che ormai ben conosco. Qui è pure peggio, perchè, essendo la strada sempre in pendenza, o a salire o a scendere, negli avvallamenti si accumula acqua e son veri e proprio stagni paludosi. Fuori dalla città la vegetazione prende il sopravvento, e per tutto il giorno pedalerò in un oceano verde respirando vapori di linfa. Il cielo è coperto e le nuvole basse incoronano i monti, e l'aria sa di pioggia. Me l'aspetto, e infatti, a più riprese, arriva. E questo significa una sola cosa: fango.
Dove la valle si allarga un poco e lo consente, si spalancano coltivazioni a terrazzamento, riso in primis. Il mais viene piantato anche su pareti quasi verticali, a ricoprire intere colline, come ho visto in Perù. Nei primi 20km si susseguono brevi rampe che conducono a scollinare verso la città di Muang La. Salgo con il cambietto rampichino e le pendenze consentono una certa agilità di pedalata. Insomma, scalo bene queste prime salitelle.
Imbocco quindi la valle del Nam Phak; qui pioggia e tratti di fango appiccicoso e scivoloso si fanno più impegnativi, ed è quasi più difficile governare la bici in discesa che non pedalare in salita. Mi copro con il k-way perchè girano su queste valli dei temporali furibondi, con vento teso e scrosci, e la temperatura si abbassa di colpo. Procedo piano, cauta, e inizio a vedere i primi villaggi di queste zone. Sono davvero semplici, fatti di capanne e palafitte di legno. Non hanno servizi di alcun tipo, sono solo abitazioni e recinti per gli animali. Tutto è immerso nel fango. Mi stupiscono i vestiti lavati e stesi, sotto alla pioggia, alla mercè degli schizzi di palta di motorini e furgono che fanno girare le ruote a vuoto nelle pozze profonde. In breve sono anch'io completamente imbrattata, per non parlare della bici e delle borse. Per fortuna stamattina, indossando il completo da bici pulito, mi son detta: "Magari lo uso fino all'arrivo". Magari no.
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il Nam Phak |
Di tanti posti in cui si eviterebbe volentieri di prendere in testa un temporale, questo sta abbastanza in cima alla lista. Ma tant'è. Il bello è che nei villaggi, quando passo, divento per un attimo l'attrazione di tutto il paese (3 famiglie, 30 persone). I bambini strillano saluti e mi corrono incontro, gli adulti sorridono e buttano là dei "Sabaidee" (ciao). Noto che molti indossano gli abiti tradizionali e i copricapi distintivi della loro etnia, soprattutto le donne. Non li so distinguere, ma sono affascinanti. Ho la sensazione di trovarmi in un luogo remoto, di quelli che si vedono nei documentari. Una sensazione simile la ricordo in Amazonas, Perù, nel territorio degli Ashaninka (che però erano molto ostili e ci avrebbero fatto volentieri la festa. Qui invece sono tutti sorrisi ed hello-byebye).
Ora diluvia proprio e le strade sono ridotte a fiumi di fango. In certi tratti devo spingere la bici a mano, e anche così procedo a fatica. Queste scarpe non so se tornano a casa... La valle, qui piuttosto angusta, ha le pendici coperte da foresta, a sua volta velata dalle nuvole. E' tra il magico e lo spaventoso, ma che spettacolo grandioso questa natura selvatica!
Dopo un tratto dove una frana ha costretto a lavori di emergenza, alla buona, sulla strada, raggiungo lo snodo di Pak Nam Noy, che non è proprio un paese, bensì un incrocio tra le strade 1A e 2E (quella che sto seguendo io) con annesso mercato dei villaggi tribali dei dintorni. Vorrei fermarmi a comprare acqua e qualcosa da mangiare, e riposare un attimo, ma appena mi avvicino alle bancarelle vengo assalita da un nutrito gruppo di tribal sciure che vendono braccialetti fatti con i ritagli delle loro gonne. Mi circondano e mi annodano un milione di bracciali in poco secondi, una cosa pazzesca! Allora chiedo quanto vogliano, e, siccome non ho banconote piccole per tutte, ne lascio due grandi facendo segno che se le dividano poi tra loro. La zuffa che ne nasce per chi deve prendere in carico il denaro mi fa pensare di aver fatto un danno e non bene, ma poi vedo che si accordano e tornano alla carica, e se ne aggiungo altre, mi circondano, mi trovi altri mille braccialetti addosso, aiuto! Faccio una retro accorta e mi allontano senza aver preso nè cibo nè acqua, ma la situazione stava diventando ingestibile!
Poco oltre individuo un negozietto e, mentre scelgo cosa acquistare, compare la proprietaria, che era immersa nel fango fino alla vita a tagliar canne. Si palesa anche il suo minimicio ciarliero e coccolone e giocosello, che, appena riceve qualche coccola, si scioglie in una guazza di fusa.
Riparto, ormai mancano solo 35km. Seguo sempre il Nam Phak, che, all'altezza dell'incrocio, fa una curva ad angolo retto per aggirare i massicci montuosi. Per ampio tratto pedalo accanto a coltivazioni di albero della gomma, con le bacinelle legate ai tronchi feriti per raccogliere la preziosa resina. Io sono veramente lercia, ma alla fine qui tutti sono nella medesima situazione, quindi non credo costituisca un gran problema.
In un continuo saliscendi, seguo le anse del fiume, e smette persino di piovere. Anzi, esce proprio il sole, ma non scotta. E' caldo, c'è afa, ma non quelle temperature improponibili che ho incontrato sulla costa vietnamita a sud, o nelle piane polverose della Cambogia.
Qui zebù, bufali, galline, oche e cani girano liberi. I cani sono quasi sempre pacifici, e quando non lo sono vengono prontamente richiamati dai padroni (per nulla scontato, di solito la situazione genera ilarità. Grazie!). Gli altri animali sono invece terrorizzati dalla bici, perchè non fa rumore e se la trovano vicina all'improvviso. Quando i bufali si spaventano e iniziano a correre disordinatamente, penso sempre alla tragicomica fine che potrei fare si mi investissero. Anche le ragazzine trasalgono quando passo loro accanto. Qui si cammina in mezzo alla strada perchè il traffico è quasi nullo, e quando passa qualche motorino lo si sente da lontano. Io invece sorprendo alle spalle, silenziosa. Ma, come faccio con i bufali, anche quando supero bimbi e gruppetti di fanciulle mi paleso con saluti e formule, in modo da evitare spaventi e incidenti.
Alla fine, superati i 100km ma senza grande stanchezza nè fisica nè mentale, raggiungo il paesino di destinazione, Muang Khua. Ha numerose strutture, tutte super basic, e un mercato, oltre a negozietti vari. Qui vengono a far spese e a vendere gli abitanti dei villaggi intorno, ed è la cittadina degna di tale nome più vicina al confine con il vietnam. Dove mi fermerò domani, ancora in Laos, è infatti un agglomerato di servizi di frontiera, ma non un abitato con la sua storia. Qui a Muang Khua, oltretutto, passa un traghetto che arriva a Nong Khiaw, soluzione apprezzata dai viaggiatori che vogliono esplorare il cuore verde del Paese, qui a nord.
Siccome la gran parte delle guesthouse non è recensita o è recensita male, opto per l'unica che invece è quotata soprattutto tra i cicloviaggiatori, al punto da essere segnalata su Komoot come luogo di interesse. La proprietaria parla un filo minimo di inglese e mi chiede se arrivi dal Vietnam. Sì, ma per la via lunga! Mi dà la stanza bella, quella con acqua calda e condizionatore, per ben 6 euro, mi permette di lasciare le bici nel suo cortile chiuso e mi dice che acqua, tè, caffè, zucchero e cucinino sono a disposizione. La ciliegina sulla torta è la terrazza con vista sul fiume. Che meraviglia!
Dopo una necessaria e accurata doccia, che lascia sul pavimento (non c'è il box) due dita di terra, esco a far spesa. Non ci sono negozi, quindi si va di bancarelle e mercato coperto.
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qui si vendono dei bacarozzi vivi grossi come prugne |
Con altri 4 euro metto insieme una cenetta degnissima, a base di insalatona di cetrioli (top la foglia di banano al posto del sacchetto di plastica!), pomodori, carota singola da 1kg e cipolla; noodles di riso piccanti, rambutan e longan. Cochina, caffè, acqua. E che si vuole di più?
Domani mi attende una tappa breve ma di salita ripida, con ampi tratti al 18%. Ci sarà del gran spintage e del gran smadonnage, ma mi serve a prendere le misure sui tempi di percorrenza, perchè anche dopodomani sarà uguale, ma con un confine in mezzo, proprio in cima, al passo. E devo regolarmi e capire come funzioniamo io, la Signorina, le pendenze e le strade di qui. Mancano 9 giorni pedalati, forse anche 8, al mio rientro in Hanoi. E domani sarà l'ultimo giorno intero in Laos. Ho sentimenti contrastanti a riguardo. E di certo non ho la percezione di essere in viaggio da quasi due mesi. Era ieri che ho imballato la bici e girato la chiave per chiudere la porta di casa, prima di andare in aeroporto...
Ci sono volte, certe volte che
RispondiEliminaLo sai vorrei essere un re perché
Sentirmi il primo in qualche cosa anch'io
Ma il re del niente sono io
… E se va bene ecco, sono qui
Non ci son trucchi ma l'inganno si
Sono le parole che mi invento
Che sono come foglie al vento
… Splendido niente
Di un uomo che cammina, un uomo in mezzo alla gente
Seguendo l'onda
In questo mare di giorni, che ancora non mi affonda
Io che voglio e vivo una vita normale
Che me ne accorgo cercando qualcosa di speciale
Io che non esisto, ma che non voglio morire
Sono il re del niente, statemi a sentire
… Capita a volte poi che la tristezza
Mi sfiori appena con la sua carezza
Ma in quel piacere dispiacere
Sai ho imparato anch'io a godere
… Splendido niente
Di un uomo che cammina, un uomo in mezzo alla gente
Seguendo l'onda
In questo mare di giorni, che ancora non mi affonda
Io che voglio e vivo una vita normale
Che me ne accorgo cercando qualcosa di speciale
Io che non esisto, ma che non voglio morire
Sono il re del niente, statemi a sentire
… Sono il re del niente
Vivo tra la gente
Ma non conto niente
Sono il re del niente
Sono il re del niente
Vivo tra la gente
Ma non conto niente
Sono il re del niente
Sono il re del niente
Vivo tra la gente
Ma non conto niente
Sono il re del niente
Fonte: Musixmatch
Compositori: Gianluca Grignani
Testo di Il re del niente © Universal Music Italia Srl., Falco A Meta' Srl., Universal Polygram Italia Srl Ediz Musicali, Falco A Meta