venerdì 12 luglio 2019

11-12. Dalle ciclabili con coyote alla Mother road, la Route 66. Il deserto ci chiama



10/7
Los Angeles - Glen Helen Park
108km

E così abbiamo lasciato anche Los Angeles e le sue contraddizioni, prima che la città ci mangiasse vivi e ci risputasse incapaci di distinguere ciò che è umano da quel che, invece, non lo è.
In verità temevo che uscire dall'intrico di strade fosse più complesso, stressante e faticoso. Poichè oggi abbiamo mosso i pedali verso San Bernardino, nella valle San Gabriel a est di LA, in un continuum di cittadine e paesi, c'era il rischio di passare l'intera giornata in ammollo nei fumi e nei rumori del traffico.
Invece, al contrario, è stata una tappa tranquillissima e lontana da motori e smog.
Esclusi i primissimi kilometri per uscire dai quartieri centrali di Los Angeles, sono infatti iniziate piste ciclabili semideserte e lunghissime, tutte intrecciate una all'altra per uno sviluppo, testato oggi, di oltre 100km.

Prima abbiamo imboccato una sorta di alzaia del Rio Hondo, attraverso El Monte






e ci siamo subito accorti che il clima e il paesaggio stavano cambiando in fretta. Niente più bruma mattutina, niente vento umido, niente nuvole grigie nè freddo. Anzi, un caldo cui non eravamo più abituati e un sole alto e feroce ci hanno accompagnati per tutta la giornata, costringendoci a vari bagni nella crema solare. L'ambiente, intorno, si è fatto via via più arido, a tratti già semi-desertico, con la terra rossa punteggiata di cespugli. Silenzio, interrotto dal fruscio delle ali degli uccelli e dai clacson lontani.





 Qua e là si intravedevano pozzi d'estrazione, alternati ai ponti e ai sottopassaggi in cui vivono comunità di senzatetto di periferia.





Ai bordi della ciclabile, oltre alle file di casette tutte uguali, si susseguono anche fattorie e stalle, moderni ranch che riportano all'anima antica di questi luoghi.






Per alcuni tratti la ciclabile attraversa dei veri e propri paesi, tutti simili e tutti vuoti di gente, forse perchè è l'ora panica e fa davvero troppo, troppo caldo. Balwin Park, Covina città di arance, Charter Oak. Sono cittadine più pulite e ordinate di LA, i senzatetto sono pochi e numerose invece le villette da benestanti. Non mancano però quartieri latini dove accanto al McDonald's c'è il ristorante di cibo messicano. Abbondano anche gli studi di chi dice di saper leggere la sorte nelle carte o scritta sul palmo della mano.
Nemmeno le chiese mancano, di tutte le confessioni possibili e immaginabili. Che poi non c'è molta differenza, tra una cosa e l'altra.









Decidiamo, siccome siamo in anticipo e la strada sembra clemente, di fermarci all'ombra di un parco a riposare un po'. Godiamo del verde fresco e del fruscio sacro delle foglie, beni così preziosi, più dell'oro dei magi, quando il sole non dà tregua.





Ci rimettiamo in moto e raggiungiamo San Dimas, paesino che fu del Far west, di pionieri e cercatori d'oro. Oggi gli edifici vogliono richiamare quegli anni di polvere e pepite, e c'è persino l'acquedotto che mi ricorda i cartoni della Warner Bros.
ll nome della città deriva dall'omonimo canyon San Dimas, localizzato sulle montagne San Gabriel a nord del centro abitato. San Dimas (San Disma in italiano) è il "buon ladrone" crocifisso alla destra di Gesù ricordato nel Vangelo di Nicodemo.



La tribù indiana dei Tongva ha abitato l'area in cui oggi sorge San Dimas insieme ad altre popolazioni per oltre 8.000 anni. Sul finire del XVIII secolo questo territorio venne occupato dai coloni spagnoli della Missione San Gabriel. I primi Europei giunsero in queste aree nel 1774, quando Juan Bautista De Anza attraversò queste terre durante una delle sue spedizioni.
A partire dal 1837 alcuni proprietari terrieri messicani si stabilirono qui, in particolare il primo ranch fu il "Rancho San Jose", fondato da Ygancio Palomares. I residenti del ranch si occupavano sia di allevare bovini e pecore, sia della coltivazione dei campi. Però a partire dal 1860 una grave siccità decimò il bestiame, inoltre Ygancio Palomares morì nel 1864. La vedova di Palomares vendette il ranch nel 1865 a due mercanti di Los Angeles: Isaac Schlesinger e Hyman Tischler. Nel 1866, Schlesinger e Tischler vendettero il ranch a Louis Phillips.
Nel 1887, con l'arrivo della linea ferroviaria di Santa Fe, San Dimas (che all'epoca si chiamava La Cienega Mud Springs) venne mappata per la prima volta. La San Jose Ranch Company costruì qui le prime vie di comunicazione di una certa importanza, attirando nella zona alcuni piccoli uomini d'affari; di lì a poco l'insediamento prese un nuovo nome: San Dimas. La crescita fu rapida e San Dimas divenne presto una comunità di agricoltori che coltivavano grano, aranci e limoni. La costruzione della route 66 fece il resto.
San Dimas venne riconosciuta come città nel 1960.



Mi colpiscono anche le casette di legno tutte allineate in fila indiana, addobbate con bandiere e coccarde a stelle e strisce, che sembrano assopite nel sole del primo pomeriggio. In giro soltanto alcune auto, qualche ciclista e poco più. Ma dove sono tutti?







Prosegue la strada e la ciclabile torna ad isolarsi dai paesi. Intorno iniziano a stagliarsi le sagome delle prime montagne: domani scaleremo il primo passo, La Junta, si 1200 metri, per uscire da questa valle e buttarci verso il Mojave, lungo la Historic 66. Fa talmente caldo che i profili dei monti, in realtà vicini, si intravedono appena, azzurro su azzurro, tra i vapori che esalano dalla strada.



coyote!

Io viaggio con un foglio di scottex sotto al casco, per ripararmi la capoccia, e con un triplo strato di crema solare sul collo (ustionato a fettine rosse rosse ieri a LA). Gigi, oltre alla crema, adotta un'ingegnosa soluzione: la foglia para-naso!



Tra palmine, casette e ciclabili deserte






ma attrezzatissime di pulsanti e bottoni per attraversare le strade in sicurezza



superiamo anche Rancho Cucamonga, che è proprio pieno di vuoto









e imbocchiamo gli ultimi stradoni, questa volta un poco trafficati (anche se non sembra), che, con un continuo, leggero, pedalabilissimo falsopiano ci portano proprio ai piedi del passo, prima a Nealeys Corner, minuscolo paesino, poi al parco Glen Helen, che sta a 600 e passa metri di altezza (tutti conquistati senza alcuno sforzo, perchè la pendenza è spalmata su oltre 100km). Qui so esserci un campeggio che ci evita di entrare nella caotica San Bernardino.








Dopo qualche rampetta raggiungiamo il campground, per altro gratuito (a parte la doccia calda: 1 dollaro per 5 minuti) e montiamo la tenda nell'ultimo sole, che ammicca e sparisce dietro ai vicini monti.



Si cena (con le buonissime insalate e paste fredde di Sprout, un supermercato mezzo veg/bio scoperto oggi) e si leva il primo canto delle cicale e anche il vento, oggi sempre a favore, si placa. Non resta che rintanarsi in tenda, senza nemmeno sacco a pelo (il caldo impregna anche la sera e la luna ne sembra imbevuta). Domani si scala un poco, e poi sarà davvero il deserto.
Ah, siamo a 1002km! Primi tre zeri raggiunti!


11/7
Glen Helen Park-Barstow
121km

Ragassi, che giornata spettacolare! Pesante il giusto, avventurosa, da sfida che inizia, da viaggio che parte davvero. Siamo nel deserto della California, fa un caldo dell'osti, abbiamo scalato un passo per arrivare in questo braciere di sabbia e rovi e stiamo percorrendo la mitica Mother road, la route 66! Che figata! Altro che la noia delle ciclabili urbane.
Ma andiamo con ordine.
Stamattina ci siamo svegliati assai rincoglioniti: il campeggio era purtroppo vicino a uno snodo ferroviario di treni merci che, per tutta la notte, sono passati strombazzando forte. In più intorno alle 3 si è alzato un vento pazzesco che ha fatto precipitare la temperatura nel giro di un attimo. Prima caldissimo da tenere mezza aperta la tenda e dormire mezzi gnudi, poi freddissimo polmonite rincobronco assideramento con i senzatetto.

Così, belli rimbambiti e con gli occhi rossi e non per la cannabis legale di California, abbiamo fatto colazione con vista sul monte San Antonio, detto Baldy - la versione in rocce e terra del Cilead di Gta



Alle 7 del mattino faceva già un caldo malefico. Sicchè oggi, per la prima volta da che son giunta in Usa, ho messo il completo corto sopra e sotto. E due litri di crema solare, oltre all'affezionato scottex sottocasco (sì, lo stesso di ieri).
Uscendo dal campeggio cerchiamo una guardiola dove pagare (ieri siamo arrivati tardi e non c'era nessuno, nella notte ho incrociato una signora delle pulizie ecuadoregna che, dopo avermi raccontato la storia della sua famiglia mentre lavava i cessi -io dovevo solo fare pipì- mi ha detto che avrei potuto pagare stamattina). Non troviamo nulla di simile, nè un ranger nè altro. E così ce ne andiamo alla bella, senza sborsare un dollaro (se non quello per la doccia di ieri), considerando la gratuità come un risarcimento per il sonno disturbato.

La strada inizia subito ad arrampicare, e continuerà a salire per i successivi 27km, fino al passo Cajon, 1270 metri circa. Come si intuisce dai numeri, le pendenze non sono mai impegnative ma la strada sale e sale e sale per tutti quei kilometri, ostinatamente, con pervicacia, nonostante il caldissimo e il traffico asfissiante di camion della freeway che si può evitare solo per un tratto.

Tuttavia, un bel segno.



Iniziano a comparire sull'asfalto i famosi marchi della 66, che è uno dei tratti fortemente simbolici del nostro viaggio.
La 66 fu aperta l'11 novembre 1926 (anche se fino all'anno seguente non furono installati tutti i cartelli indicatori); fu una delle prime highway federali e originariamente collegava Chicago alla spiaggia di Santa Monica attraversando Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, Nuovo Messico, Arizona e California su una distanza complessiva di 3755 km.
Fu una strada usata per la migrazione verso ovest, specialmente durante il dust bowl, e supportò l'economia delle comunità attraverso le quali passava: le popolazioni prosperarono per la crescente popolarità della strada, ed alcune di queste combatterono per tenerla in vita dopo la nascita del nuovo Interstate Highway System.
Fu ufficialmente rimossa dal sistema delle highway nel 1985, quando assieme alle altre fu rimpiazzata dallo Interstate Highway System. La strada esiste attualmente con il nome di historic Route 66. Che è proprio questa qui, di cui percorreremo qualche centinaio di kilometri fino a Williams, prima di muovere a nord verso il Grand Canyon e la Monument Valley.



La strada sale e passano accanto treni merci lunghissimi, che collegano la valle di San Bernardino e Los Angeles al nord, dove stanno Las Vegas e tutto il resto.



Incontriamo anche Marc, ciclista paffuto con barba bianca che sta scendendo, ci supera e risale un pezzo per salutarci, perchè gli è venuta la curiosità di sapere da dove veniamo e dove andiamo (un fiorino!). Dice di aver fatto a sua volta alcune gare di più giorni e diversi viaggi, sempre negli Usa però, ed è un host che ha aperto la sua casa ad altri cicloviaggiatori. Peccato! Siamo appena partiti e non possiamo fermarci. Lui sta facendo un giretto "Perchè se non faccio almeno 30 miglia al giorno, anche piano piano, sto male". Anch'io neh.





Non passa più arrivare al passo, con questa pendenza piccola che, con il peso delle borse, rallenta molto, ma costringe a un purgatorio indeterminato nel tempo e rovente come il Flegetonte, ma di asfalto che cuoce.










Le montagne brulle di San Gabriel, intorno da ogni lato come in un catino rovente, osservano sonnacchiose il traffico e noi che ci arranchiamo su e su, sudando forte.





Finalmente si intravede il passo Cajon e io, impanata nella crema solare e fritta nei miei umori, me la rido. Che immagino dopo tutta discesa.



Subito dopo c'è effettivamente un tratto a scendere. Entriamo in Hesperia, o meglio, ne sfioriamo un lembo scendendo su strade secondarie parallele alla 15. Ci accoglie il solito acquedotto alla Warner Bros




Al primo benzinaio ci fermiamo per rinfrescarci un po' e abbassare la temperatura corporea, oltre che per comprare qualcosa da bere (chè l'acqua del campeggio era assai sospetta, nel colore e nel sapore, e io ho avuto le prime avvisaglie spaventose dai bassifondi). Scopriamo che un litro d'acqua costa ben più di un litro di Coca cola, succo di frutta o energy drink. Ah.


le caramelline alla frutta life savers, nomen omen!

Mentre ci riposiamo all'ombra, tutti brutti e lerci e con su così tanta crema solare da sembrare paiassi del circo Togni, veniamo accalappiati da un branco di donne tutte vestite uguali, la maglia a righe rosa e bianche e i pantaloni bianchi. Alcune sono di colore, altre no, ed hanno età compresa tra i 60 e 20 anni. La matriarca ha i genitori italiani, fiorentini per la precisione, e là vivono ancora. La ragazza in foto ha un marito che corre in bici e ha pedalato spesso in Europa, Roma, Parigi... Lei parla un italiano buffo, un maccaroniglish, e ci fa mille domande perchè è presa davvero bene e ci stima molto. Poi vuole "prendere una foto" perchè siamo di ispirazione (eh là là) e vorrebbe avere la forza che abbiamo noi, dice. Ci raccomanda di stare idratati (è una frase ricorrente qui, ci viene rivolta spesso) e di stare attenti. Poi l'allegra combriccola parte alla volta della vicina Las Vegas.



Noi riprendiamo a scendere, tra paesini secchi secchi. Nell'ebbrezza della discesa toppo clamorosamente strada, e quindi, con meno ebbrezza, risaliamo un pezzo, nell'arsura del mezzogiorno, e torniamo indietro fino a riprendere la diritta via smarrita.



Passiamo dalla silenziosa, polverosa Mountain View Acres, che è la riprova di come siano dati a buffo i toponimi qui. Le strade si chiamano "winter night", "walnut", "apricot tree", "coyote", "desert rose" e così via. Bello eh. Evocativo. Pittoresco. Ma fa strano a noi che siamo abituati a vedere strade intitolate a chi ha scritto la storia.




Entriamo infine a Victorville e fa troppo, troppo caldo per proseguire. Così facciamo tappa all'ennesimo negozietto che vende alimentari (porcherie) e roba varia, sempre contrassegnato dal cartello "Liquor store". Qui finalmente assaggio un bel pezzettone di carne secca, che è chewy, gommosa, durett, super saporita, molto magra e molto proteica. La metterò sotto alla sella anch'io, come usavano i mongoli di Gengis!


La proprietaria del negozio è argentina e a Buenos Aires, da dove viene, ha dei grandi amici italiani, immigrati da tempo ma ancora in contatto con la loro famiglia milanese. Lei, Selma, ci racconta della sua vita, del marito Albert, di come siano brave persone che lavorano tutto il giorno. Ci fa mille raccomandazioni, mentre noi stiamo seduti come due barboni a terra, fuori dal market, con vista su parcheggio frequantato da tizi loschi e con i tatuaggi del Cartello e delle gang. Questi personaggi, per altro, ci raccomandano a loro volta di stare idratati e mangiare molte bananas. Un po' in english un po' in espanol.
Il culmine viene raggiunto quando un ragazzo veramente emaciato e zozzo, tipo metallaro di provincia roncio e magro, ci chiede chi siamo e cosa stiamo facendo, poi entra nel negozio, ci compra un biglietto della CaLottery, la lotteria di California, e ce lo regala, augurandoci che possa migliorarci la vita. Mi vien troppo da ridere. Ma siamo così conciati? Siamo messi tanto male da ricevere una specie di elemosina? In ogni caso non vinciamo una cippa, e amen.


Mentre riposiamo e Selma continua a parlare, dicendo che chiamerà i suoi amici italiani per dir loro che ci ha conosciuti (e sai loro quanto fregherà!), prenoto su Booking una stanza al Motel 6, la catena low cost di motel sparsi in tutti gli States. Ce n'è uno proprio a Barstow lungo la 66, dove stiamo andando noi, a 120km circa dalla partenza.
Ci rimettiamo in sella e attraversiamo Victorville.



Poi, in un soffia di vento bollente ma a favore, imbocchiamo la historic 66.
Patrocinata da Cyrus Avery, nativo dell'Oklahoma, nel 1923 quando si cominciò a parlare di un sistema di strade nazionali, la US 66 fu aperta al traffico nel 1926, ma la pavimentazione fu completata solo nel 1938. Avery voleva fortemente che questa strada avesse un numero pari e propose il numero 60. Nacque una polemica per l'assegnazione del 60, principalmente dai rappresentanti del Kentucky che volevano che la strada fra Virginia Beach e Los Angeles portasse questo numero e che la 62 collegasse Chicago a Springfield (Missouri). Argomentazioni e contro-argomentazioni si scontrarono fino a quando non venne presa la decisione finale di chiamare US 60 la strada fra Virginia Beach e Springfield e che la US 62 quella che collegava Chicago a Los Angeles. Fu così che Avery scelse il 66 (che era rimasto inutilizzato) perché pensò che la ripetizione del numero fosse facile da ricordare e piacevole da dire ed ascoltare.
Quando il sistema federale fu creato ufficialmente, Avery si adoperò per la creazione di un'associazione per la promozione della US 66 al fine sia di completare la pavimentazione da un'estremità all'altra che di promuovere i viaggi su questo percorso. Nel 1927 l'associazione venne creata con base a Tulsa, (Oklahoma) con John T. Woodruff (di Springfield) come presidente. Nel 1928 l'associazione fece la prima azione di propaganda della strada con il Bunion Derby, una gara podistica fra Los Angeles e New York. Era previsto che il percorso fra Los Angeles e Chicago fosse fatto sulla Route 66. La pubblicità fece il suo lavoro e molti personaggi celebri fra cui Will Rogers, salutarono i partecipanti in punti prestabiliti. L'associazione continuò il suo servizio di promozione fino a quando venne sciolta nel 1976.



Il traffico crebbe anche a causa delle zone attraversate. Larga parte del tracciato era pianeggiante e ciò la fece preferire dai guidatori di mezzi pesanti. Il Dust Bowl degli anni trenta vide molte famiglie rurali, principalmente dall'Oklahoma, Kansas e Texas, prendere la strada per cercare nuove opportunità ad ovest. La Route 66 divenne il percorso preferito da queste persone, spesso denigratoriamente chiamate Okies. Durante la Grande depressione, dette un minimo reddito alle popolazioni che vivevano lungo il percorso. La strada passava dentro molti piccoli paesi, ed il traffico crescente, aiutava a creare quelle piccolissime imprese familiari (mom-and-pop) fra cui stazioni di servizio, ristoranti e riparatori d'auto lungo tutto il percorso.
Come tutte le altre highways anche la 66 aveva il fondo in terra battuta. Grazie agli sforzi dell'Associazione della Route 66, divenne la prima completamente asfaltata nel 1938. Molti erano i punti pericolosi così che alcuni tratti la fecero conoscere come Bloody 66 (Sanguinosa 66), ma subito vennero avviati lavori per migliorare la sicurezza e togliere le curve più pericolose. Un tratto (attraverso le Black Mountains in Arizona) era costellato di tornanti e considerato così pericoloso che i primi viaggiatori, troppo spaventati alla prospettiva di guidare da soli su di una strada così pericolosa, spesso ingaggiavano piloti locali esperti del tracciato. Questo tratto rimase così fino al 1953 e nonostante questo pericoloso tratto la Route 66 rimase molto popolare.





Durante la seconda guerra mondiale, la Route 66 vide il passaggio dei molti che si recavano verso le industrie di materiale bellico in California. Route 66 completamente asfaltata, già famosa divenne una delle strade più trafficate e servì anche per spostare materiale militare. Nei pressi di Fort Leonard Wood nel Missouri, posizionato vicino alla highway venne costruita una vera autostrada con corsie separate per aiutare a smaltire l'intenso traffico.
Negli anni cinquanta, la Route 66 divenne la strada preferita da chi si spostava verso Los Angeles per vacanza. La strada passa attraverso il Painted Desert (Deserto dipinto) in Arizona e nei pressi del Grand Canyon. Meteor Crater, il celebre cratere meteoritico dell'Arizona, era una delle altre attrazioni che punteggiavano il viaggio. L'aumento vertiginoso del turismo dette l'impulso alla nascita di molte attrazioni commerciali lungo tutto il tracciato: si va dai motel a forma di tepee (la capanna indiana), negozi a forma di budino, negozi che vendono cianfrusaglie pellirosse e fattorie specializzate nell'allevamento di rettili. Il locale Meramec Caverns vicino a San Louis iniziò a fare pubblicità proclamandosi come il nascondiglio di Jesse James. Il ristorante The Big Texan pubblicizzava che avrebbe regalato una cena con bistecca da 2 kg (72 once) a chiunque fosse riuscito a mangiarla completamente in un'ora. È sulla 66 che è stata anche inventata l'industria del fast food con il Red Giant Hamburgs a Springfield (Missouri), che fu il primo drive-in, ed il primo McDonald's a San Bernardino. Cambiamenti come questi al paesaggio hanno cementato la reputazione della 66 come un esempio quasi perfetto del microcosmo culturale dell'America, adesso strettamente legato all'automobile.



Intorno, intanto, veniamo abbracciati dal deserto. E' quello California, che diventa poi Mojave (ci passeremo domani). Torno nel deserto dunque, dopo quello iraniano dell'anno scorso. Torno nel deserto immenso di strade infinite, nel deserto dove tutto punge e morde, anche il sole, anche l'aria che attacca in gola tanto è calda. Siamo nel braciere che purifica, che fa esalare come vapore tutto l'inutile. Resta l'essenziale, secco, asciutto, ridotto al minimo. Non ci sono profumo, non ci sono rumori. C'è il deserto, che è come il mare, con le sue bestie e il suo azzurro e l'oro. Sono felice. Mi esplodono gli occhi dal caldo, ma qui c'è senso, quell'essenziale invisibile agli occhi del Piccolo principe.


La prima città che incrociamo è Oro Grande, nome che la dice lunga sulla suo origine. Non è nemmeno una città, o un paese. Sono tre case e un negozio, l'ultimo per i successivi 50km.






Poi c'è il deserto, punteggiato a tratti da un ranch o da un rudere abbandonato.
L'inizio della fine della Route 66 fu nel 1956 quando Eisenhower firmò il Federal-Aid Highway Act. Eisenhower era stato generale durante la seconda guerra mondiale ed aveva combattuto in Germania ed era stato impressionato dalle autostrade tedesche (le autobahn). Ritenne che si potesse applicare un sistema simile anche negli Stati Uniti, che permettesse di spostarsi da uno stato all'altro senza fermarsi e permettere anche di spostare rapidamente truppe in caso di emergenza nazionale.
Durante i suoi quasi 60 anni di vita, la Route 66 fu in costante mutamento. Come l'ingegneria delle costruzioni civili è progredita e sono aumentate le necessità di trasporto, gli ingegneri hanno costantemente studiato soluzioni per realizzare collegamenti sempre più diretti fra città e paesi. L'aumento del traffico portò ad un costante miglioramento della 66, in particolare l'Illinois subito dopo la guerra iniziò ad allargare la strada portandola a quattro corsie praticamente su tutto il territorio dello stato da Chicago fino al fiume Mississippi appena ad est di San Louis e vennero realizzate circonvallazioni di tutte le città e paesi. Nella prima metà degli anni cinquanta anche lo stato del Missouri portò il tratto 66 che la attraversa a quattro corsie e completò tutte le circonvallazioni. Larga parte delle sezioni realizzate a quattro corsie poi vennero integrate nel sistema delle Interstate negli anni che seguirono.


Originariamente era previsto che l'ultima parte della US 66 dovesse essere sostituita da interstate nel Texas, ma come succede molte volte ci furono ricorsi contro la costruzione di nuove autostrade. L'associazione della Route 66 si pose come portavoce di coloro che temevano di vedere una diminuzione dei propri affari con la costruzione delle nuove autostrade. Infatti dato che l'accesso alle interstate avviene con rampe ed interconnessioni, i viaggiatori non hanno la possibilità di entrare in contatto con le attività commerciali direttamente. Inizialmente era previsto di permettere, almeno alle catene commerciali più importanti, di avere spazi commerciali. Con una serie di ricorsi legali questo fu impedito a parte sulle strade a pagamento. Alcune città del Missouri minacciarono azioni legali, mai portate avanti, se l'amministrazione avesse rimosso i cartelli stradali indicanti il percorso. Alcune attività erano ben conosciute per il fatto di essere sulla 66 e venne allora avanzata la richiesta di chiamare Interstate 66 il tratto fra San Louis e Oklahoma City, ma anche questa richiesta venne respinta. Nel 1984 anche il tratto attraversante l'Arizona venne cancellato dalle mappe con il completamento della Interstate 40 attraverso Williams (Arizona). Alla fine con la decertificazione da parte della American Association of State Highway an Transport, l'anno seguente la US Highway 66 cessò ufficialmente di esistere.
Con la cancellazione della US 66, non venne creata una sostituta unica. La I-55 ricalca il tratto fra Chicago e San Louis; la I-44 fino a Oklahoma City; la I-40 ne ha preso il tratto più lungo prendendo il posto della 66 fino a Barstow (California); la I-15 porta fino a San Bernardino ed infine la I-10 porta i viaggiatori attraverso l'area metropolitana di Los Angeles fino a Santa Monica.


Nel 1990 vennero fondate due associazioni per la Route 66 in Arizona e Missouri ed altre ne nacquero di lì a poco. Lo stesso anno lo Stato del Missouri dichiarò la Route 66 come Strada di interesse storico. Il primo cartello indicante Historic Route 66 venne installato a Kearnery Street all'incrocio con Glenstone Avenue a Springfield (Missouri). Altri cartelli, a volte sporadicamente, segnano l'intero tracciato. Una sezione della strada in Arizona è stata registrata nel National Register of Historic Places; la Arroyo Seco Parkway, nell'area metropolitana di Los Angeles, e Route 66 nel Nuovo Messico sono stati segnalati nel National Scenic Byways; nel 2005 lo Stato del Missouri ha dichiarato la strada State scenic byway per tutto il tratto che gli compete. Nelle città di Rancho Cucamonga, Rialto e San Bernardino (tutte in California) sono stati installati cartelli della US-66 lungo il Foothill Boulevard.


Lungo la strada, dunque, che è una delle spine dorsali di questo paese, e basta leggere Steinbeck, è passato di tutto. Noi passiamo da Le Delta e Bryman, nomi sulla carta che corrispondono a un rudere in mezzo alle colline sabbiose. Fino all'Elmer's bottle tree ranch.




E' l'unica foresta che si può vedere da queste parti. Ci sono oltre 200 "alberi" fatti con pali della luce e cartelli stradali che han per foglie e rami bottiglie di soda e di birra. Si sentono gli uccellini cantare e un frullare d'ali rende vivo questo caleidoscopio di vetro e fantasia che riflette e rifrange il sole altissimo. L'ingresso è libero e gratuito. Mi fa pensare che chi vive da queste parti deve annoiarsi molto.








Poco oltre c'è Helendale, che si affaccia sui Silver lakes, invisibili dalla strada ma segnalati da un'improvvisa macchia di verde. C'è un club di golf ma non un locale dove trovare acqua.








La strada sembra correre all'infinito mentre sento la testa esplodere di caldo come un pop corn. Da domani bisognerà porre grande attenzione al razionamento dell'acqua e agli orari in cui si pedala. Serve cervello per attraversare un deserto.







indian trail!





Qualche casa abbandonata da lontano sembra un bar pieno di bibite ghiacciate, ma sono i miraggi del deserto, è la stanchezza che inizia a venire a galla come un ricordo improvviso.





Finalmente arriviamo a Barstow. Qui, per prima cosa, ci lanciamo nel primo "Liquor store" e sgargarozziamo a caso cose fresche. Poi mi cade l'occhio su uno scaffale con questa opera di pop art. Anzi por art.



Fuori alcuni senzatetto si aggirano nel filo d'ombra offerto dal negozio. Una coppia di loschi  figuri ci attacca bottone e ne nasce una piacevole conversazione. Lei, minigonna, super trucco e cafonaggine total body continua a strillare entusiasta e a dire che vuole venire in Italia e che potrò ospitarla. Lui invece ha l'aria un po' lenta e, con l'occhio da platessa scongelata, ricamato di tatuaggi molto aggressivi, continua a chiederci perchè pedaliamo, perchè stiamo facendo tutto questo, perchè in bici, perchè sta fatica vigliacca. Eh, mica scemo il ragazzo.



L'insediamento di Barstow iniziò ad esistere verso la fine degli anni 1830 nel Corridoio Mormone. Ogni autunno e inverno, con il tempo che si è raffreddato, la pioggia ha prodotto una nuova crescita di erba e ha reintegrato le sorgenti d'acqua nel deserto del Mojave. Persone, merci e mandrie di animali si sarebbero trasferite dal Nuovo Messico e successivamente nello Utah a Los Angeles, lungo l'Old Spanish Trail da Santa Fe, o dopo il 1848, sulla Mormon Road da Salt Lake City. I treni dei carri merci sono tornati a Salt Lake City e in altri punti all'interno. Questi viaggiatori seguirono il corso del fiume Mojave, annaffiando e accampandosi a Fish Ponds sulla sua riva sud, in un boschetto lungo il fiume di salici e pioppi, addobbato con uva selvatica, chiamato Grapevines (in seguito il sito di North Barstow). Nel 1859, la Mojave Road seguì un percorso che andò da Los Angeles a Fort Mojave attraverso Grapevines che collegava verso est con la Beale Wagon Road attraverso la parte settentrionale del Territorio del Nuovo Messico fino a Santa Fe.
Seguirono i problemi indiani con le tribù Paiute, Mohave e Chemehuevi e dal 1860 Camp Cady, una base militare dello U.S. Army a 32 km ad est di Barstow, fu occupato sporadicamente fino al 1864, quindi definitivamente, da soldati che occupavano altri posti sulla Mojave Road o pattugliamento nella regione fino al 1871. Furono istituiti trading post a Grapevines e Fish Ponds che rifornivano i viaggiatori sulle strade e sempre più i minatori che entravano nel deserto del Mohave dopo la fine delle ostilità con i nativi.
Le radici di Barstow si trovano anche nella ricca storia mineraria del deserto del Mojave, in seguito alla scoperta dell'oro e dell'argento nella Valle di Owens e nelle montagne a est negli anni 1860 e 1870. A causa dell'afflusso di minatori in arrivo a Calico e Daggett, furono costruite ferrovie per il trasporto di merci e persone. La Southern Pacific costruì una linea da Mojave, attraverso Barstow a Needles nel 1883. Nel 1884, la proprietà della linea da Needles a Mojave fu trasferita alla Santa Fe Railroad. La pavimentazione delle principali autostrade attraverso Barstow portò all'ulteriore sviluppo della città. Gran parte della sua economia dipende dal trasporto. Prima dell'avvento del sistema autostradale interstatale, Barstow era un importante fermata sulle Routes 66 e 91. Le due autostrade si incontrarono nel centro di Barstow e proseguirono verso ovest insieme a Los Angeles.
Barstow prende il nome da William B. Strong, ex presidente della Atchison, Topeka and Santa Fe Railway. Alcuni dei primi nomi di Barstow furono Camp Sugarloaf, Grapevine e Waterman Junction

Noi prendiamo posto nella nostra super stanza del Motel 6 che, a dispetto del prezzo, è davvero lussuosa, grande e con bagno privato e cucinino. Una roba che non si vedeva da tempo immemore!



Per cena, Gigi va di SPAM. Mi sembrava doveroso testimoniare.


Domani proseguiremo sulla 66, sempre più nel cuore del deserto. Si va ad est!

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