Santa Teresa - Palma Real
68km pedalati (Quillabamba)
L'Amazzonia è difficile in bicicletta. Direte voi: ma va'? Che scoperta! Era necessario andarci?
Sì. Perchè oltre che difficile, è pure incredibilmente maestosa, potente, bellissima e terribile.
La difficoltà è, prima che fisica, mentale. Sulle Ande, in altura, pedalare era impresa titanica, mancava l'aria e faceva freddo. Tuttavia l'ambiente era pressochè asettico, un meraviglioso contenitore vuoto e perfettamente sterilizzato dal clima stesso. E se stai sulla strada, a terra, esposto a tutto, ciò è bene.
Qui no.
Qui fa caldo, molto, ed è umido. Tutto prolifera. I batteri, le micosi, le infezioni. Tutto marcisce e pullula di insetti e uova e larve. I cani hanno le croste sanguinanti della rogna. La frutta ronza e pulsa. L'immondizia e le carogne dei perri investiti puzzano di decomposizione avanzata. La nostra pelle stessa porta i segni gonfi e pruriginosi delle punture di zanzare e pappataci, e sa dio quale altra porcheria, nonostante le precauzioni. Ho già il cagotto di nuovo, e ho mangiato solo riso bollito e pasta scotta i brodo. Acqua in bottiglia. Mi sento esposta ad una quantità di agenti patogeni che fatico a gestire, mentalmente, perchè tutto è potenzialmente pericolosissimo qui, anche, anzi, soprattutto ciò che più è piccolo e non si vede.
E non sono ipocondriaca, al contrario, ho sempre grande fiducia ed ottimismo nel buon funzionamento del mio sistema immunitario. Però qui siamo oltre.
In ogni caso vale la pena fare questa esperienza, come sempre, e varrà la fatica inoltrarsi nel cuore ombroso di questa regione. Stamattina siamo partiti così, con un passaggio volante sull'auto più scassata che io abbia mai visto. Ad ogni curva temevo cadesse in pezzi, tra cigolii sinistri, tonfi e rumore di metallo in sofferenza. Già i giorni scorsi avevamo deciso di non ripedalare all'indietro tutto il tratto da Santa Teresa a Santa Maria; questa strada, percorsa in bici all'andata, ci avrebbe fatto perdere più di mezza giornata, a causa dello stato del fondo, delle salite e soprattutto delle chiusure alternate per i cantieri. Quindi abbiamo chiesto all'Eco lodge quechua di chiamarci un transfer per tornare in valle e riprendere la strada da dove l'avevamo lasciata per il desvio verso Machu Picchu.
Eravamo d'accordo per le 9, e alle 8.15 il conducente era già lì a metterci fretta, nel generale divertimento dello staff dell'hotel. Ho pensato pensieri un po' razzisti riguardo ad un certo modo di lavorare e una certa povertà diffusa, di spirito e materiale.
Poi s'era chiesto un carro largo, un'auto grande. E arriva questo macinino, per altro con già un passeggero, il quale portava in grembo un'enorme stampante, e il baule già pieno di cassette di avocado e banane. In ogni caso siamo riusciti a caricare tutto, in modo fortunuoso, con le bici tristemente buttate sulla parrilla, letteralmente la griglia, graticola portabagagli sul tetto.
La discesa è stata un rally. su quella che già i giorni scorsi vi citavo come una delle strade più pericolose al mondo. Curve in derapata, nuvole di polvere, voli sui dossi di sabbia e tornanti presi così larghi da quasi cadere, ma solo quasi. Io che ho sempre sofferto l'auto e avevo gli attacchi di panico pure sulla giostrina del brucomela, ho mantenuto un aplomb da premio Oscar.
Giunti a Santa Maria, stranamente vivi, l'autista ci ha lasciati nella piazza centrale. Mentre sleghiamo le bici ci chiede: dove andate, ora? A Cuzco? "No, a Quillabamba e poi verso l'Ene". Anch'io vado di lì, vi porto a Quillabamba, sono 20km!", E così abbiamo allungato il passaggio e accorciato la tappa. Non sono mai entusiasta delle scorciatoie, ma oggi è stato troppo invitante e troppo conveniente.
Così, in un attimo, siamo alla prima città della jungla. In quechua significa "pianura della luna", anche se qui la popolazione di origine andina è solo una parte: gli altri sono indigeni d'Amazonas. Nonostante si trovi intorno ai 1000m di quota (in basso ma neanche del tutto) è detta la città dell'eterna estate per il clima particolarmente caldo tutto l'anno. Ne abbiamo subito un assaggio: non siamo tarati su queste temperature e il morso del sole ci prende subito alle tempie e alla gola.
Oltre al turismo, soprattutto d'avventura, un capitolo importante dell'economia è l'agricoltura: caffè, tè, cacao, coca e frutta tropicale. Infatti è un susseguirsi di negozi che smerciano questi prodotti a km0. Sull'arco di ingresso in città c'è una scimmia. Le strade sono caotiche e invase da mototaxi, ma di fondo si respira una gran calma e la musica inonda ogni vicolo, tra palme e fiori d'artificio.
Facciamo una sosta per riempire le borracce e siamo pronti a pedalare. L'outfit consiste di: completo estivo da bici, sotto; sopra, pantaloni bracaloni, lunghi ma leggeri, con polpaccio elasticizzato per non finire nella catena, e maglia leggera a maniche lunghe. Il tutto condito da litri di repellente antizanzare e antiproiettile, DEET 50%. Fa comunque caldo, anche così, senza l'invernale che abbiamo dismesso ieri per la prima volta dopo un mese e mezzo. Siamo sufficientemente protetti dagli insetti. Ha senso e ci si pedala comodamente. Si va.
L'intera tappa, per quanto tendenzialmente in discesa (da 1000 a 700m) si rivela mossa di continue gobbette; piccole salitelle, piccole discesine. Seguiamo il corso dell'Urubamba, che ormai ci guida da giorni; qui è largo e torbido e ha scavato un grande letto di sassi chiari.
Quando la vegetazione non è particolarmente folta, sembra in qualche modo di essere in Liguria. O forse quando si è in Liguria sembra di essere in Amazzonia, non so. Alcuni tratti più aridi e spogli sembrano l'entroterra del Ponente, non fosse che compaiono murales piuttosto espliciti su chi abiti queste lande.
Tutto il distretto di Echarate è disseminato di comunità di nativi, che si riconoscono anzitutto per l'essere quasi invisibili, nella vegetazione, e poi per le strade sterrate che le collegano a quelle principali, pure a tratti non asfaltate. E dire che qui le risorse non mancano: oltre alla natura ubertosa, ci sono gas e idrocarburi... Ma appartengono a Shell
Pedaliamo sotto ai raggi spietati del sole immenso, ma c'è meno umidità, meno afa di quel che pensassi. Anche perchè si leva un vento rovente e asciutto che, nemmeno a dirlo, ci è contrario e ci sputa addosso mulinelli di polvere e foglie secche. L'Urubamba ci accompagna con la corrente inesausta.
Intorno si levano alture verdissime, rigogliose di ogni bendiddio di linfa e corteccia. Il profumo di terra umida, fiori dolciastri e banane mature impregna l'aria.
Dai rami giungono canti e grida di uccelli che non so. Volano avvoltoi in larghi cerchi e due quasi mi sfiorano, levandosi dalla strada a una chioma ombrosa. Vedo un altro (è il secondo) simil-zibetto morto a lato carreggiata. Con un po' di fortuna incontreremo le simiae!
Alla periferia di Quellouno, dove troneggia nel nullapampa il monumento agli armadilli, facciamo una pausa gelato.
In questa assolata e assonnata cittadina le sagre di paese si risolvono con grandi sfide di tiro con l'arco, con la popolazione in abiti tradizionali che richiama i bei tempi in cui le frecce si intingevano nel veleno della schiena delle raganelle mortifere.
Noi incrociamo solo ragazzini in uniforme che escono da scuola e una simpatica gelataia che ci fa mille domande sul viaggio.
Ripartiamo e siamo tra fiume e cascate. Decine. D'altronde il santuario nazionale di Megantoni è qui a un passo, dove vivono a Machiguenga, etnia amazzonica di pescatori che non usa costruire abitazioni e dorme sotto al cielo stellato. Per loro questo luogo è sacro.
Qui ad ogni osservazione si contano centinaia di specie nuove tra farfalle, pesci, fiori... E noi muoviamo in mezzo a tutta questa vita che cresce ed esce dal bozzolo e srotola il germoglio della foglia a spirale.
Il vento contrario e il caldo ci affaticano. Gigi ha i freni completamente andati, io la pancia in subbuglio. Cominciamo a sentire il desiderio di arrivare alla meta, di riposare, di toglierci dalla strada per qualche ora.
Ma è la strada a decidere, e ci regala ancora scorci spettacolari di luce obliqua tra i rami, inseguimenti di perri e coltivazioni di cacao e banane.
Ci lasciamo alle spalle Illapani, minuscolo aggregato di baracche e negozietti ai piedi dell'omonima cascata. Qui siamo guardati come alieni: di ciclisti non se ne vedono e cicloturisti gringos men che meno.
Gli ultimi kilometri sono un sogno di luce bassa e rifratta, in un caleidoscopio di rami, nubi e gocce di sole.
Passiamo alcuni pueblos scalcinati, dove, in mancanza di muri su cui scrivere, i candidati alle politiche fanno campagna elettorale su ciò che qui abbonda: gli alberi! Fioriti di bandiere, nomi di liste, simboli.
Ultimi strappi, ultimi scorci di fiume con i suoi spiaggioni candidi. Ci siamo quasi.
Palma Real finalmente ci accoglie, prima con la sua frazione di lamiere e legno marcescente, cani crostolosi e bimbi che giocano nel fango, poi con le piantagioni,
e, infine, con il centro abitato, piccolo ma a forma di città vera e propria. Ad esempio quasi tutti gli edifici hanno i muri, le pareti, e non solo il tetto, come invece usa nei pueblos visti oggi.
Prendiamo alloggio nell'hostal più decente, 40 soles e tutti i conforti, tranne l'acqua calda (che non usava sulle Ande sottozero, figuriamoci qui che fa caldo). Ripariamo i freni di Gigi e ci intratteniamo con l'anziano proprietario, che un po' è sordo, un po' in demenza... Vi lascio immaginare il dialogo.
Dalla finestra della camera, però, si vedono uccellini dal petto giallissimo, meravigliosi.
Per cena ci buttiamo in uno dei numerosi ristoranti. Scegliamo il più affollato e la signora ci offre la "cena" a menu fisso, 6 soles (1.5 euro), due portate. La sopa e la carne con il riso. Tutto eccellente.
Domani andremo ancor più verso le radici di questa regione, a Kiteni, luogo di terroristi (Sendero luminoso), narcos della coca, e nativi della foresta. Il VRAEM ci attende, con le sue molte ombre e la sua altissima luce che filtra tra i rami.
Venerdì, 19/8
Palma Real - Kiteni
64km
La notte trascorre fresca e senza troppi insetti: c'è aria di pioggia. Non facciamo in tempo a recuperare una cioccolata e qualche biscotto per la colazione (il paese ancora dorme) che iniziano a cadere grossi goccioloni tiepidi, prima radi, poi sempre più fitti. E la foresta nebulare cede così, letteralmente, il passo a quella pluviale.
Siccome non fa freddo e soprattutto non spioverà, se non nel pomeriggio, l'idea di pedalare sotto questo diluvio equatoriale non ci spaventa. Chiudiamo bene le borse, ci vestiamo con il corto e sopra il completo antipioggia, e ci tuffiamo nell'aria così umida che quasi è acqua in cui nuotare come pesciolini a rotelle. Per strada non si vede nessuno. Sono tutti rintanati sotto alle numerose tettoie (muri no, ma ripari per il maltempo sì, ce ne sono), in infradito e braghette, ad aspettare che smetta. E se non smette, pace. Le cose si faranno domani.
In un attimo Palma Real è alle spalle, e le ultime bandiere elettorali e le casette si perdono nell'oceano verde di foglie fradicie. Le nuvole bassissime che diventano tutt'uno con la foschia che si leva da terra. Noi pure ci trasformiamo in breve in esseri dilavati e diafani, quasi spettrali, che attraversano il mistero della foresta.
A tratti lo sguardo si apre sulla valle dell'Urubamba, che oggi ancora, e per l'ultimo giorno, seguiamo, fedeli alla corrente.
Gli alberi spontanei si alternano a coltivazioni ricchissime di frutti: banane, cacao, agrumi, aguaje... Nel verde spiccano pennellate di giallo, arancione e rosso, oltre ai fiori coloratissimi che bucano ogni grigiore.
Pur seguendo il corso del fiume, la strada non corre in piano, ma è un susseguirsi di salitelle e discesine. Non c'è vento, per fortuna. La temperatura è gradevole, fa caldo in salita, ma non troppo; fresco in discesa, ma non freddo. I primi kilometri scorrono tranquilli sotto alle ruote e presto ci abituiamo ad essere zuppi; una volta effettuato il passaggio di stato, dall'asciutto al bagnato, il gioco è fatto, si ricrea una situazione di omeostasi.
Oggi non sono previste vere e proprie città, e nemmeno paesi degni di tale nome. E' foresta, e strada che l'attraversa. I rami sono una festa d nidi, di rifrulli d'ali, di canti incredibili di uccelli coloratissimi. Qui vivono quasi 400 specie di uccelli. Vediamo avvoltoi neri e bianchi, una via di mezzo tra il tucano e il merlo, gialli e blu scurissimo, passerotti piccoli e minuscoli, dal marrone al rosso al verde, pappagalli color menta e altri con una sorta di cresta a coroncina, più scuri. Fanno verso che paiono suoni eletronici campionati, schiocchi di corrente, fischi umani.
Spesso la strada rientra, rispetto al corso del fiume, e segue come dei piccoli fiordi, per aggirare i numerosi affluenti e attraversarli là dove sono più stretti. Ad ogni curva interna una tavernetta improvvisata, un baracchino che vende cibo, bancarelle di frutta con donne imbacuccate che paiono un po' le mummiette inca.
dialogo della natura (banane) e del vittuonese |
Tutt'a un tratto la pioggia cessa, e lascia solo qualche sparso sgoccioli e qualche nuvola appoggiata e confusa alle chiome degli alberi. Passiamo, senza nemmeno intravederle, alcune comunità di nativi di Amazonas, segnalate da cartelli sulla strada e perse nel folto della vegetazione. Sono certa che noi non vediamo loro, ma loro vedono noi. E pensano che siamo strane scimmie colorate, probabilmente.
A nemmeno 30km dalla partenza veniamo investiti da un treno di stanchezza che ci accompagnerà poi per tutta la tappa. Forse, nel caso mio, è l'effetto della dissenteria di ieri, sommato alla cervicale galoppante di oggi. Lo so, sono un catorcio ormai, un relitto sulla via dell'occaso. Decidiamo di far sosta in un negozio incredibilmente fornito per il luogo in cui si trova, che spara musica smielata di canzoni d'amore latino a tutto volume. Probabilmente la signora che lo gestisce combatte così il senso di piccolezza e solitudine assoluta che si deve provare a vivere qui, minuscoli frammenti di esistenza in un oceanico sconfinato mondo vegetale.
Purtroppo anche oggi i mali perri sono una croce, e ad ogni casetta, ad ogni pollaio, ad ogni baracca siamo inseguiti in una caccia spietata di queste bestiacce che ormai, davvero, non sopporto più. E ancor meno sopporto i loro padroni, che, nel vedere la scena, o sogghignano o, al più, richiamano svogliatamente i loro cerberi del demonio.
Riprendiamo la strada con pesante lentezza. Qualcosa, da quando siamo nella foresta, ci rende pesanti le gambe. La bici sembra incollata a terra e ogni minima pendenza diventa un valico insormontabile. Forse è l'umidità soffocante, forse il caldo cui non siamo abituati. Forse il senso di amechania, di impotenza, di ridicola pochezza di fronte a tale vastità viva e pulsante. Fatto sta che la fatica è una morsa da cui non ci si riesce a divincolare.
Si sale e si scende, si vede il fiume e si perde di vista. Si è immersi nella vegetazione, o lo sguardo si apre. Si va avanti, piano piano, respirando polline e linfa, diventando nebbia nella bruma.
Compare un centro poblado, Sungabodini. La gente sta in ciabatte nel fango. Molti sembrano ubriachi, ma hanno solo lo sguardo completamente perso nel vuoto. Sono sconvolti dalla durezza dell'esistenza, svuotati nell'anima, con l'occhio vacuo. Sembrano statue intagliate nei tronchi scuri.
Nei punti più alti della strada la valle si mostra nella sua grandezza fitta fitta di foglie e corteccia. Quel che sembra mare è nebbia, mentre il cielo lascia intraveder qualche lembo di luce e d'azzurro. Il sole, oggi, non si vede per l'intera giornata. Così però si attenua quella sensazione di marcescenza e putrefazione infetta che ho avuto ieri. Anzi, scompare del tutto. Senza luce calda le cose fermentano meno.
A tratto le anse dell'Urubamba disegnano curve che paiono tracciate con il compasso, tanto sono perfette. I vestiti un poco asciugano e qui sì, inizio a sentire forte quel senso di meraviglia che mi ha condotta in Amazzonia in bicicletta, cosa che, a pronunciarla, pare una barzellettina assurda.
Spesso gli avvoltoi volano vicinissimi alle nostre teste, e ci scrutano in giri stretti torno torno. E' una giostra spettacolare, che rimarrei a osservare per ore. Nelle due foto sotto si vede un avvoltoio in planata, a sinistra, poco sopra la linea dei monti verde cupo.
qui invece si vede un Gigi in salita, sempre a sinistra |
Dopo un'infilata di salite ripide e strade sterrate trasformate in paludi di fango dai temporali, arriviamo alla nostra meta, esausti. Kiteni, una cittadina piccola ma dotata di ogni servizio necessario, ci accoglie con il suo grigiore un po' decadente, un po' già decaduto.
Prendiamo una camera vicino alla piazza centrale, e organizziamo i prossimi giorni, che sono complicati, perchè prevedono frequenti cambi di mezzo. Infatti domani entreremo nel VRAEM, la Valle de los Rios Apurimac, Ene y Mantaro. Qui ci sono due cose degne di nota: i narcotrafficanti che producono pasta di coca e la esportano via fiume in Colombia (cui il Perù ha sottratto il primato in quantità e volumi); i terroristi di Sendero Luminoso, fu gruppo armato di estrema sinistra, ora braccio destro dei narcos. Proprio in questi giorni sono in corso operazioni di guerriglia, attacco e contrattacco tra senderisti e militari.
Tra qui e la prima città con strutture ci sono 150km e una salita a oltre 2000m di quota. Non siamo in grado di coprire questa distanza in una tappa sola e no, non abbiamo intenzione di piantare la tenda tra basi dei narcos, zone minate e accampamenti dei terroristi. Quindi fino a Pichari prenderemo un passaggio. Ne abbiamo già trovato uno. Qui è tutto molto informale: auto di privati si offrono di trasportare persone e merci a pagamento. Si parte alle 4. Costo 100 soles (25 euro) su un pickup dove ci stanno anche le bici e i bagagli.
Da Pichari pedaleremo lungo l'Ene, che andrà poi attraversato in chiatta. Come, dove, quando? Non è dato di sapere. Sono i traghettatori a decidere di momento in momento, non c'è alcun tipo di forma stabilita nè ufficialità. Si arriva al primo porto, si chiede e ci si accorda. Se non va, si passa al secondo porto, e così via. Certo è che dovremo arrivare, domani o dopodomani, a Puerto Anapati, e da lì riprendere il percorso regolare, in bici, senza più trasferimenti se dio vuole, fino a Lima.
La cervicale mi funesta e ceniamo presto, per andare a nanna presto. La sveglia suona alle 3.30, domani. Buonanotte Kiteni, arrivederci Urubamba!
È proprio sacro quel posto, pare che solo li, il creatore si sia divertito a riempirlo con razze diverse.
RispondiElimina... Questo è l ombelico del mondo
RispondiEliminaE voi state pedalando....
I cani molesti, specie se sono più di uno, fanno davvero paura. E i loro proprietari spesso non fanno nulla per fermarli, anzi si gustano la scena sogghignando. Trovo che la miglior difesa siano i petardi. Pesano pochissimo e sono molto, molto efficaci
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