Dio sta in alto, lo zar è lontano
se ti pieghi a novanta lo pigli
nell’a…
No, forse non era proprio così la
citazione dell’autore settecentesco russo Fonvizin, uomo con una gran faccia da
batrace ma che ha saputo dire cose belle.
Come questa: “E’ tutta questione
di metro. Se segui la natura non sarai mai povero. Se segui le opinioni umane
non sarai mai ricco”. O no?
Ora mi trovo nella ridente
località di villeggiatura alpestre più amata dai russi, più baciata dal sole e
dunque più densamente abitata, con palazzoni e centri commerciali e teatri e
stadi.
Sono a Novostroy e la sua
frazione Sanga.
Sono qui.
Eh sì, è andata così. Ma per
scelta, sia chiaro. La meta, stando ai piani stabiliti a casa, doveva essere
Asha, città davvero di villeggiatura, famosa per i suoi impianti e le piste da
sci. Ma. Tutti gli alberghi costano cifre esagerate (e per esagerate intendo
più di 20 euro per un letto) e, per di più, mi sarei dovuta smazzare 20km (in
salita) oggi e 20 domani (in discesa) per la deviazione necessaria a raggiungere
la città. Siccome sono in modalità risparmio, energetico ed economico, Asha
anche no. Tanto di storico e culturale e pure paesaggistica non ci sarebbe
stato alcunché, tanto più che ha diluviato tutto pomeriggio.
Quindi eccomi a Novostroy, precisamente
nella sfarzosa magione del Malina (e daje con ‘sto nome, che significa
lampone). Per fortuna qui non ci sono orsi tristi in giardino, come nell’altro
omonimo motel.
Il concetto è sempre il solito:
gostinitsa, ristobar, benzinaio, officina e parcheggio per camion, tutto
comodamente affacciato sulla strada. La camera privata, con tutti i comfort,
bagno compreso, costa ben 10 euro, ed è bellissima così e ci puoi portare
dentro pure la Signora, tanto lercio per lercio nessuno si lamenta.
(c'è anche il giardino all'italiana!)
Si cena con 4 ricchi euro, e
tutto è buonissimo: le due insalate pasticciate (russe, of course), lo shwarma
(spiedino) alla griglia che non avete idea di quanto sia morbido e speziato e
meraviglioso, il pane, i crostini, le schifezze. Tutto è bene.
Anche la tappa è stata
tranquilla.
Colazione con il gelato più buono
e gigante del mondo (panna noci e caramello)
e ho salutato Ufa, un po’ a
malincuore perché è stata una delle città più splendide (e a sorpresa) visitate
in questo viaggio. Se ne esce in fretta, su stradoni lisci lisci e con un
traffico rado, attraversando i due fiumi, la Belaja
e l’Ufa.
Poi via lungo la nuova arteria
che seguirò da qui fino al confine con il Kazakistan, la M5. Sua sorella, la
M7, che mi ha accompagnata come una corrente di fiume fino a qui per oltre
1000km, l’autostrada “Volga”, è ormai alle spalle. Ora si passa alla “Ural”,
che si spera sia altrettanto benevola. Oggi sì, con tanto di cascata di luce e
sole caldissimo, a dispetto delle previsioni. Le mie preghiere animiste
all’astro di fuoco (e i moccoli al pantheon delle religioni tradizionali)
funzionano!
Lungo la strada si trovano
tantissimi venditori di miele, che, s’è detto, è uno dei prodotti tipici della
Baschiria. E’ miele selvatico, per lo più di tiglio, pianta qui diffusissima.
Infatti il profumo dolce e selvaggio dei suoi fiori è una costante, portato dal
vento e sparso con generosità tra terra e cielo.
I paesaggi, oggi, si sono
trasformati rapidamente da campi e prati a boschi e zone incolte, mano a mano
che le pendenze aumentavano e si passava da colline morbidissime a rilievi più
elevati.
(almeno un acquazzone al giorno dev prenderlo, mannaggialapupazza ecc ecc)
Poi, finalmente, in lontananza,
loro: gli Urali. Eccoli lì nella loro silenziosa ombra azzurra. La vecchia
spina dorsale dell’Eurasia, i mansueti monti antichi che, secondo una
tradizione ottocentesca cristallizzata ormai nei libri di testo, segnano il
confine tra i due continenti (ma ne parleremo a tempo debito). Non manca molto
a passare di là. Domani e dopo sarò impegnata su queste montagne russe, su e
giù attraverso i pendii e le valli, le betulle, i pini e i fiori spontanei.
Durante la tappa di oggi ho fatto
un incontro straniante, del quale purtroppo non ho testimonianze fotografiche.
Stavo pedalando in uno dei pochi punto davvero dissestati e pericolosi della
strada, pianissimo e pensando le peggio cose dei camionisti, degli autisti e
dell’umanità tutta, quando, d’un tratto, mi sento toccare una zampa. Mi volto e
vedo accanto a me un ragazzo a torso nudo, senza gambe, che spinge una
hand-bike con tre ruote lungo il bordo fangoso e sconnesso dell’autostrada.
Viso slavo, occhi azzurrissimi, pochi denti, ancor meno dita, cappellino con
bandiera russa ormai liso e scolorito dal sole.
Ha attaccato a parlare in russo a
manetta e, un po’ per il casino dei camion che ci facevano il pelo, un po’ per
la fatica, non ho capito quasi niente. Solo che era russo, stava andando in
Kazakistan (come me!) e che voleva mi spostassi sulla sinistra. Na lieva na lieva! Ma a lieva dove che
passavano dei tir grossi come balene a tre centimetri da noi!
Fatto sta che, alla prima salita,
l’ho perso di vista. Credevo fosse dietro di me, infatti ho tenuto un passo
lento, invece no. Quando mi sono voltata già era fuori vista.
Questo incontro mi è servito.
Mi stavo lamentando della strada
scassata dei sassi e dei solchi profondi e continui dell’asfalto grattato, dei
camion e della fatica di pedalare in quelle condizioni.
Ma pensiamo a quell’omino
sdentato che se la stava facendo tutta sulle mani, alzando il braccio destro in
segno di vittoria ogni volta che qualcuno gli strombazzava contro con il
clacson.
Che ho da lamentarmi io, che ho
le gambe?
Grande piccolo uomo sdentato
dagli occhi azzurri. Davvero grande.
Pedala pedala, passati motel con
moschea e altri venditori di miele, mi sono ritrovata nel mezzo di un temporale
e sul confine tra Baschiria e Oblast di Cheljiabinsk, città che raggiungerò tra
qualche giorno. Si tratta di una regione amministrativa stesa tra Asia ed
Europa, appoggiata sugli Urali e sulle loro risorse minerarie, tra cui carbone,
ferro e oro. Di qui passa la Transiberiana, infatti siamo già in Siberia
occidentale E’ una regione tanto bella e
ricca dal punto di vista paesaggistico quanto inquinata e sfruttata.
(lo stemma dell'oblast è tutto un programma... Altro che truppe cammellate! Però significa che sono sulla strada giusta... E poi non c'è tutta questa differenza tra l'animale sopra e la Signora sotto)
Durante il Medioevo qui vivevano
tribù baschire staccatesi dalle Orde d’oro e Nogai; tutta l’area fu annessa
alla Russia durante il XVI secolo, ma a colonizzazione russa vera e propria si
svolse solo a partire dal Settecento con fortezze, poi diventate città, e
mercati, istituiti a seguito della spedizione di Orenburg (1734). A metà del
secolo si svilupparono qui diverse industrie.
Anche qui arrivò la rivolta di
Pugachev di cui abbiamo parlato ieri e anche qui fu stroncata e il sangue bagnò
il fango.
Intanto l’economia, trainata dai
poli industriali sempre più numerosi, diveniva via via più prospera, tanto da
attirare molti abitanti dalla Russia europea; poi furono costruite la
Transiberiana e altre grosse arterie per i traffici di qua e di là dagli Urali.
Durante gli anni Trenta del
‘900 l’economia crebbe ulteriormente, poiché l’industrializzazione della regione
era un obiettivo primario dei primi piani quinquennali; in questo contesto
nascono la Magnitogorsk, centrale elettrica e di lavorazione d’acciaio e ferro,
e gli impianti per la costruzione di trattori e metallurgici di Cheljiabinsk,
divenuta capitale dell’oblast.
Durante la Seconda guerra
mondiale furono qui trasferite molte fabbriche spostate dal fronte; la
Magnitogorsk produsse un terzo di tutto l’acciaio usato dalle forze militari
sovietiche, mentre a Cheljiabinsk si costruirono gran parte dei carri armati,
tanto che assunse il nome di Tankograd. Sempre negli anni ’40 iniziarono qui
ricerche ed esperimenti nucleari segreti, che proseguirono a spron battutto
durante la Guerra fredda. Naturalmente ci fu anche l’incidente grave, nel 1957,
alla centrale nucleare di Mayak, tanto che l’intera regione restò interdetta a
tutti gli stranieri fino al 1992, con l’eccezione di un team di medici inglesi,
nell’’89, a seguito del disastro ferroviario di Asha. Due treni carichi di
famiglie che andavano e tornavano dalle vacanze sul Mar Nero saltarono in aria
per l’esplosione di una nuvola di propano e butano fuoriuscita da un gasdotto;
le scintille prodotte dal passaggio dei convogli sulle rotaie innescarono
l’esplosione, paragonata a quella di 10.000 tonnelate di Tnt. 600 morti, 800
feriti gravi.
Del meteorite parleremo a
Cheljiabinsk.
Qui i musulmani tornano ad essere
una minoranza rispetto ai cristiani (ortodossi o di altre confessioni) e agli
atei.
Qui si crede, evidentemente,
nella terra e nel cemento, si crede nelle api, nei laghi e nelle ciminiere, si
crede che davvero dio sta troppo in alto e lo zar troppo lontano perché possano
cambiare il fango in oro e i fiumi in latte.
Qui siamo all’estremo lembo
d’Europa e i miracoli non avvengono. Ci
sono i monti e il vento e la terra rimane bassa, nonostante il cielo altissimo.
Qui il vecchio continente cede il passo ad un continente ancor più antico e
tutto si trasforma, immobile, in un movimento lentissimo come tutte le giostre
di soli e lune. Il pastore errante di Leopardi continua a cantare e a chiedere,
ogni notte. E non si sente risposta
alcuna, se non lo stormire delle foglie d’argento e il profumo dei tigli, in
una nebbia surreale e candida che ora si è levata e copre tutt. Pare dicano che
forse non è così funesto a chi nasce il dì natale, se si ha il senso della
terra e la linfa nelle vene.
Enormi e continue distese di terreni, alcuni coltivati, la maggior parte incolti (o mi sbaglio?), ma con tanti fiori spontanei. Comunque tutto trasmette quiete. Sila
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