domenica 16 luglio 2017

Sedicesima tappa. Dio sta in alto, lo zar è lontano, se ti pieghi a novanta... Da Ufa a Novostroy





Dio sta in alto, lo zar è lontano
se ti pieghi a novanta lo pigli nell’a…

No, forse non era proprio così la citazione dell’autore settecentesco russo Fonvizin, uomo con una gran faccia da batrace ma che ha saputo dire cose belle.
Come questa: “E’ tutta questione di metro. Se segui la natura non sarai mai povero. Se segui le opinioni umane non sarai mai ricco”. O no?

Ora mi trovo nella ridente località di villeggiatura alpestre più amata dai russi, più baciata dal sole e dunque più densamente abitata, con palazzoni e centri commerciali e teatri e stadi.
Sono a Novostroy e la sua frazione Sanga.
Sono qui.




















Eh sì, è andata così. Ma per scelta, sia chiaro. La meta, stando ai piani stabiliti a casa, doveva essere Asha, città davvero di villeggiatura, famosa per i suoi impianti e le piste da sci. Ma. Tutti gli alberghi costano cifre esagerate (e per esagerate intendo più di 20 euro per un letto) e, per di più, mi sarei dovuta smazzare 20km (in salita) oggi e 20 domani (in discesa) per la deviazione necessaria a raggiungere la città. Siccome sono in modalità risparmio, energetico ed economico, Asha anche no. Tanto di storico e culturale e pure paesaggistica non ci sarebbe stato alcunché, tanto più che ha diluviato tutto pomeriggio.
Quindi eccomi a Novostroy, precisamente nella sfarzosa magione del Malina (e daje con ‘sto nome, che significa lampone). Per fortuna qui non ci sono orsi tristi in giardino, come nell’altro omonimo motel.
Il concetto è sempre il solito: gostinitsa, ristobar, benzinaio, officina e parcheggio per camion, tutto comodamente affacciato sulla strada. La camera privata, con tutti i comfort, bagno compreso, costa ben 10 euro, ed è bellissima così e ci puoi portare dentro pure la Signora, tanto lercio per lercio nessuno si lamenta.









 (c'è anche il giardino all'italiana!)


Si cena con 4 ricchi euro, e tutto è buonissimo: le due insalate pasticciate (russe, of course), lo shwarma (spiedino) alla griglia che non avete idea di quanto sia morbido e speziato e meraviglioso, il pane, i crostini, le schifezze. Tutto è bene.









Anche la tappa è stata tranquilla.
Colazione con il gelato più buono e gigante del mondo (panna noci e caramello)



e ho salutato Ufa, un po’ a malincuore perché è stata una delle città più splendide (e a sorpresa) visitate in questo viaggio. Se ne esce in fretta, su stradoni lisci lisci e con un traffico rado, attraversando i due fiumi, la Belaja




e l’Ufa.



Poi via lungo la nuova arteria che seguirò da qui fino al confine con il Kazakistan, la M5. Sua sorella, la M7, che mi ha accompagnata come una corrente di fiume fino a qui per oltre 1000km, l’autostrada “Volga”, è ormai alle spalle. Ora si passa alla “Ural”, che si spera sia altrettanto benevola. Oggi sì, con tanto di cascata di luce e sole caldissimo, a dispetto delle previsioni. Le mie preghiere animiste all’astro di fuoco (e i moccoli al pantheon delle religioni tradizionali) funzionano!







Lungo la strada si trovano tantissimi venditori di miele, che, s’è detto, è uno dei prodotti tipici della Baschiria. E’ miele selvatico, per lo più di tiglio, pianta qui diffusissima. Infatti il profumo dolce e selvaggio dei suoi fiori è una costante, portato dal vento e sparso con generosità tra terra e cielo.
I paesaggi, oggi, si sono trasformati rapidamente da campi e prati a boschi e zone incolte, mano a mano che le pendenze aumentavano e si passava da colline morbidissime a rilievi più elevati.


















 (almeno un acquazzone al giorno dev prenderlo, mannaggialapupazza ecc ecc)





Poi, finalmente, in lontananza, loro: gli Urali. Eccoli lì nella loro silenziosa ombra azzurra. La vecchia spina dorsale dell’Eurasia, i mansueti monti antichi che, secondo una tradizione ottocentesca cristallizzata ormai nei libri di testo, segnano il confine tra i due continenti (ma ne parleremo a tempo debito). Non manca molto a passare di là. Domani e dopo sarò impegnata su queste montagne russe, su e giù attraverso i pendii e le valli, le betulle, i pini e i fiori spontanei.





Durante la tappa di oggi ho fatto un incontro straniante, del quale purtroppo non ho testimonianze fotografiche. Stavo pedalando in uno dei pochi punto davvero dissestati e pericolosi della strada, pianissimo e pensando le peggio cose dei camionisti, degli autisti e dell’umanità tutta, quando, d’un tratto, mi sento toccare una zampa. Mi volto e vedo accanto a me un ragazzo a torso nudo, senza gambe, che spinge una hand-bike con tre ruote lungo il bordo fangoso e sconnesso dell’autostrada. Viso slavo, occhi azzurrissimi, pochi denti, ancor meno dita, cappellino con bandiera russa ormai liso e scolorito dal sole.
Ha attaccato a parlare in russo a manetta e, un po’ per il casino dei camion che ci facevano il pelo, un po’ per la fatica, non ho capito quasi niente. Solo che era russo, stava andando in Kazakistan (come me!) e che voleva mi spostassi sulla sinistra. Na lieva na lieva! Ma a lieva dove che passavano dei tir grossi come balene a tre centimetri da noi!
Fatto sta che, alla prima salita, l’ho perso di vista. Credevo fosse dietro di me, infatti ho tenuto un passo lento, invece no. Quando mi sono voltata già era fuori vista.
Questo incontro mi è servito.
Mi stavo lamentando della strada scassata dei sassi e dei solchi profondi e continui dell’asfalto grattato, dei camion e della fatica di pedalare in quelle condizioni.
Ma pensiamo a quell’omino sdentato che se la stava facendo tutta sulle mani, alzando il braccio destro in segno di vittoria ogni volta che qualcuno gli strombazzava contro con il clacson.
Che ho da lamentarmi io, che ho le gambe?
Grande piccolo uomo sdentato dagli occhi azzurri. Davvero grande.

Pedala pedala, passati motel con moschea e altri venditori di miele, mi sono ritrovata nel mezzo di un temporale e sul confine tra Baschiria e Oblast di Cheljiabinsk, città che raggiungerò tra qualche giorno. Si tratta di una regione amministrativa stesa tra Asia ed Europa, appoggiata sugli Urali e sulle loro risorse minerarie, tra cui carbone, ferro e oro. Di qui passa la Transiberiana, infatti siamo già in Siberia occidentale  E’ una regione tanto bella e ricca dal punto di vista paesaggistico quanto inquinata e sfruttata.

 (lo stemma dell'oblast è tutto un programma... Altro che truppe cammellate! Però significa che sono sulla strada giusta... E poi non c'è tutta questa differenza tra l'animale sopra e la Signora sotto)

Durante il Medioevo qui vivevano tribù baschire staccatesi dalle Orde d’oro e Nogai; tutta l’area fu annessa alla Russia durante il XVI secolo, ma a colonizzazione russa vera e propria si svolse solo a partire dal Settecento con fortezze, poi diventate città, e mercati, istituiti a seguito della spedizione di Orenburg (1734). A metà del secolo si svilupparono qui diverse industrie.
Anche qui arrivò la rivolta di Pugachev di cui abbiamo parlato ieri e anche qui fu stroncata e il sangue bagnò il fango.
Intanto l’economia, trainata dai poli industriali sempre più numerosi, diveniva via via più prospera, tanto da attirare molti abitanti dalla Russia europea; poi furono costruite la Transiberiana e altre grosse arterie per i traffici di qua e di là dagli Urali.
Durante gli anni Trenta del ‘900 l’economia crebbe ulteriormente, poiché l’industrializzazione della regione era un obiettivo primario dei primi piani quinquennali; in questo contesto nascono la Magnitogorsk, centrale elettrica e di lavorazione d’acciaio e ferro, e gli impianti per la costruzione di trattori e metallurgici di Cheljiabinsk, divenuta capitale dell’oblast.

Durante la Seconda guerra mondiale furono qui trasferite molte fabbriche spostate dal fronte; la Magnitogorsk produsse un terzo di tutto l’acciaio usato dalle forze militari sovietiche, mentre a Cheljiabinsk si costruirono gran parte dei carri armati, tanto che assunse il nome di Tankograd. Sempre negli anni ’40 iniziarono qui ricerche ed esperimenti nucleari segreti, che proseguirono a spron battutto durante la Guerra fredda. Naturalmente ci fu anche l’incidente grave, nel 1957, alla centrale nucleare di Mayak, tanto che l’intera regione restò interdetta a tutti gli stranieri fino al 1992, con l’eccezione di un team di medici inglesi, nell’’89, a seguito del disastro ferroviario di Asha. Due treni carichi di famiglie che andavano e tornavano dalle vacanze sul Mar Nero saltarono in aria per l’esplosione di una nuvola di propano e butano fuoriuscita da un gasdotto; le scintille prodotte dal passaggio dei convogli sulle rotaie innescarono l’esplosione, paragonata a quella di 10.000 tonnelate di Tnt. 600 morti, 800 feriti gravi.
Del meteorite parleremo a Cheljiabinsk.
Qui i musulmani tornano ad essere una minoranza rispetto ai cristiani (ortodossi o di altre confessioni) e agli atei.

Qui si crede, evidentemente, nella terra e nel cemento, si crede nelle api, nei laghi e nelle ciminiere, si crede che davvero dio sta troppo in alto e lo zar troppo lontano perché possano cambiare il fango in oro e i fiumi in latte.
Qui siamo all’estremo lembo d’Europa  e i miracoli non avvengono. Ci sono i monti e il vento e la terra rimane bassa, nonostante il cielo altissimo. Qui il vecchio continente cede il passo ad un continente ancor più antico e tutto si trasforma, immobile, in un movimento lentissimo come tutte le giostre di soli e lune. Il pastore errante di Leopardi continua a cantare e a chiedere, ogni notte. E  non si sente risposta alcuna, se non lo stormire delle foglie d’argento e il profumo dei tigli, in una nebbia surreale e candida che ora si è levata e copre tutt. Pare dicano che forse non è così funesto a chi nasce il dì natale, se si ha il senso della terra e la linfa nelle vene.






1 commento:

  1. Enormi e continue distese di terreni, alcuni coltivati, la maggior parte incolti (o mi sbaglio?), ma con tanti fiori spontanei. Comunque tutto trasmette quiete. Sila

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