sabato 23 giugno 2018

LA VIA DELLA SETA. Pedalando tra deserti e vette innevate dell'Asia centrale





Questo è Raymond, bretone, veterinario specializzato in cammelli, ora in pensione.
Cicloviaggiatore da mezzo secolo.
Indossa la giacca Colnago che gli ho regalato la scorsa estate, quando l’ho incontrato in Siberia; pedalava solo, come me, e stava andando in Giappone -in t-shirt, braghetti e sandali Shimano.



Questa sono io, che, da volpe, divento fennec del deserto e provo il piacere della frescura che dà questo outfit “islamic republic style”.

Questa è una linea sulla mappa, un progetto, un’idea nata sulle sponde del Bajkal, la scorsa estate.



Dopo tanta pioggia e troppo freddo, abbiamo sognato il deserto, il caldo asciutto e il sole che abbacina. Perché i climi temperati are for boys. Dalla Siberia ai deserti dell’Asia Centrale is for men.
Così si è messo su carta un itinerario ambizioso.
Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Kazakistan.
Una parte della Via della seta.
Ci si è lavorato a lungo, in questi mesi, e non sono mancati i problemi organizzativi. I visti, ad esempio, sono stati il solito casino immane; soprattutto quello per il Turkmenistan che tuttora, ormai in partenza, non ho. Per Iran e Uzbekistan non è stato poi complesso avere il prezioso adesivo sul passaporto, ma per quel lembo di sabbia rovente che separa i due stati sono stata rimbalzata tra consolato di Parigi e consolato di Roma per oltre un mese, e tutto per finire con un forse foglio di application che forse arriva per e-mail ma forse no, e forse in frontiera vale per ottenere un visto di transito (5 giorni, oltre è necessario acquistare un tour con guida 24 ore su 24; non è possibile girare liberamente per il paese). Forse. Forse il limbo, forse il carcere, forse una banconota allungata a chi di dovere, forse davvero a Roma hanno fatto il loro. Speriamo!

L’itinerario, quest’anno, è solo abbozzato: non ho avuto tempo, ahimè, di studiare tappa per tappa l’intero tragitto.
Certo è che il primo mese (2500km circa) sarà in Iran; partiamo da Tehran, capitale in bilico tra due mondi e due ere, dove arriveremo nella notte tra domenica e lunedì; da lì si scende a sud fino a Shiraz, capitale persiana a metà del ‘700, ma che compare già nelle iscrizioni cuneiformi del III millennio a.C, perla di fontante e giardini; a 50km da lì sorgono i resti di Persepoli, una delle cinque capitali dell'impero achemenide prima grande meta di questo viaggio. Il tragitto da nord a sud passa per Qom, seconda città santa dell’Iran, dove pulsò il cuore della rivoluzione islamica e dove folle di pellegrini e studiosi sciiti si radunano, nella penombra delle scuole e delle moschee. Anche per Esfahan passeremo, Esfahan nesf-e jahān, metà del mondo per le bellezze che ospita, i giardini, i palazzi e i minareti. Fino a qui saremo in zone piuttosto popolate e turistiche. Poi verrà il deserto. L’idea è quella di attraversare la nazione passando per il suo centro, Yazd. E’ centro vitale dello zoroastrismo e 3000 anni di storia sono incastonati tra fango e sabbia, nelle crepe sui muri, tra le torri del vento, la sabbia e la paglia impastate da mani antiche. Vi si rifugiarono i superstiti all’invasione di Gengis Khan e ne parlò Marco Polo:

“Iadis è una cittade di Persia molto bella, grande, e di grandi mercatantie. Quivi si lavora drappi d’oro e di seta, che si (chi)ama ias[d]i, e che si portano per molte contrade. Egli adorano Malcometto.
Quando l’uomo si parte di questa terra per andare inanzi, cavalca 7 giornate tutto piano; e non v’à abita[zione] se no in tre luoghi, ove si possa albergare. Quivi àe begli boschi e piani per cavalcare; quivi àe pernice e cuntornici asai. Quindi si cavalca a grande solazzo, quivi àe asine salvatiche molto belle.”

E se si cavalca a grande solazzo le asine selvatiche, direi che merita una visita.

Una volta al confine con il Turkmenistan si apre il grande forse. Certo è che, se non altro, che si esce dalla repubblica islamica per entrare nei vari -stan, paesi che facevano parte dell’Unione sovietica e ne sono usciti alla più o meno. Se tutto va bene, potrò finalmente tornare a vestirmi come si deve. Che un po’ di ateismo di stato, nella storia, ha fatto solo che bene (uh! Komuni$ta!).

Il Turkmenistan, che pure vanta una storia millenaria e fu centro di manicheismo e nestorianesimo, ha presidenti con il vizietto della dittatura e del culto della personalità Nyyazow, morto nel 2006, è l’esempio più lampante; ora dal monopartitismo si è usciti, ma insomma. Ashgabat, la capitale, parrebbe un bell’esempio di architettura stile realismo socialista cemento e dittatura del proletariato. La strada che attraversa ol paese è una e non si sbaglia, si arriva a Mary, non distante dall’antica Merv, città oasi sulla via della seta, crogiolo di popoli e incontri, forse il più grande centro urbano nel dodicesimo secolo.

Turkmenabat è infine l’ultimo porto dei turcomanni prima di entrare in Uzbekistan.
Qui le perle rare sono tante e tutte splendide d’azzurro e oro: Bukhara, gioiello di luoghi sacri e bazar, ma soprattutto Samarcanda la splendida.

“Non è poi così lontano Samarcanda
corri cavallo, corri di là
ho cantato insieme a te tutta la notte
corri come il vento che ci arriverà.”

Ed è un’altra tappa del cuore, un altro punto d’arrivo, un sogno di sabbia e cieli opachi che si fa realtà di voci e volti. Non può mancare poi una visita alla capitale Tashkent, prima di spostarsi ancora più ad oriente, verso il penultimo paese che attraverseremo, il Kirghizistan.
Di questa terra mi sono invaghita lo scorso anno, quando, di ritorno dalla Mongolia, ho fatto scalo a Bishkek. Abitato dagli sciti e poi dai persiani, seleucidi e parti, attraversato dalle correnti forti di buddismo, manicheismo, nestorianesimo e zoroastrismo, fino alle invasioni dei musulmani nell'VIII secolo. E ancora turchi e arabi, uiguri, mongoli, calmucchi, manciù… Di qui è passata come il vento la storia dell’Asia centrale, di nomadi e mercanti. Ritroverò i nomadi e le ger, o yurte, dei pastori, come in Mongolia, ma qui i monti sono più alti. Avremo almeno tre passi da scalare, tutti intorno ai 3500 metri. Spero che le strade siano pedalabili, per quanto sterrate, altrimenti l’opzione cammello a pelo lungo resta la più plausibile. E così si passerà tra rocce e radure, gole scavate dau fiumi e vette innevate all’orizzonte, fino ai laghi azzurrissimi di cielo enorme di Song-Kul Issyl-Kul;  da lì mancherà poco alla capitale Bishkek, cui avevo appunto promesso di tornare (benché sia un groviglio postsovietico di statuone e palazzoni e piazzone). A questo punto l’idea è di entrare per gli ultimi kilometri in Kazakistan e ripartire dalla modernissima Almaty, così, per salutare di nuovo la nazione dei nomadi cosacchi, dei falchi a volo radente e del sole alto sull’Asia centrale.

Tenterò di tenere aggiornato il blog il più possibile, ma sono regioni o poco aperte all’internet (per Iran e Turkmenistan sono già armata di VPN per bypassare i blocchi) o poco coperte dalla rete che unisce e stritola. Quindi…

Al di là delle idee di ciò che è giusto o ingiusto c'è un prato Incontriamoci là.
(Rumi)

Qui sotto la traccia su Maps:


11 commenti:

  1. Auguri! Buon viaggio! Ma il plurale che usi è riferito a te e alla tua amata bici, o sei accompagnata da qualcuno/a? Non ho capito se è l'amico francese, ad esempio.

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  2. Bella, ti seguirò anche questa volta con grande piacere!

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  3. Buon viaggio vulpecula..rubia ti leggerò con sommo piacere... attendo..

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  4. Ciò volpe, l'esercito dei furpisss ti seguirà un passo dopo l'altro. Le nuvole timide, lo stormire delle foglie dei pioppi, le garzette e gli aironi, l'acqua veloce del Ticino ti faranno compagnia nei sogni colorati della notte. E il vento, un vento leggero ti carezzerà quando ti sentirai stanca. Buon viaggio. A presto...

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  5. Vedo solo ora. Un bel viaggio. Ti terrò sotto controllo . Ciao Francesco

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