martedì 3 settembre 2019

63-64. Filadelfia e Kingston. Tra libertà e massoni, e la storia riflessa nei vetri dei grattacieli



31/8
Philly

La nostra giornata di visita a Filadelfia inizia come il più classico dei viaggi, da una stazione, a guardar correre i binari che si perdono oltre l'orizzonte, pensando:anche  noi andremo là; invero subito fuori casa, nel quartierino pettinato dove non si sente nè si vede nessuno, abbiamo preso un pullman che ci ha portati qui in stazione. Dove di pettinato non c'è più nulla ed è un fiorire di homeless che frugano la monnezza, ubriachi e alienati che parlano da soli,  oltre a gente che va a lavorare, con un sacchetto di plastica in mano, probabilmente il pranzo, e non in giacca e cravatta. Come al solito, sono quasi tutti neri. Molto gentili fra l'altro: anche il più tossico dei tossici ci dà indicazioni e fa un poco di conversazione. Insomma, tutto il mondo è paese e la stazioni sono un crocevia di umanità dolente. Poi arriva il treno, e via che si parte.




Scendiamo in centro, alla stazione Jefferson. Da qui ho pensato di cominciare il nostro tour di visita, che comprende i luoghi storici, sacri per un americano, e altri meno seri. In primis e sopra a tutto la scalinata e la statua di Rocky Balboa, che sono proprio qui. Adrianaaaaaaaaaaaaa!!!

Prima due dritte due su questa città. E' la sesta degli States per popolazione (supera il milione e mezzo) ed è stata fondata nel 1682 dal quacchero William Penn, quello che ha dato nome alla Penn-sylvania.
Filadelfia è una delle più antiche città degli Stati Uniti d'America, e fra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX è stata la città più grande del Paese. In quell'epoca vi son state redatte redatte la dichiarazione di Indipendenza (1776) e la costituzione statunitense.
Filadelfia sorge sulla riva occidentale del fiume Delaware, ed è attraversata da un suo affluente, lo Schuylkill; il centro storico della città è compreso fra questi due fiumi ed è definito il miglio quadrato più ricco di storia degli Stati Uniti.
Il nostro giro inizia inevitabilmente da Chinatown, dove ripasseremo anche più tardi; non ha nulla a che vedere con quella di San Francisco, qui siamo "sulla costa lontana" per chi viene dall'Asia; ma ci si passa attraverso ed è bello anche così.




"Prima dell'arrivo degli europei, nel luogo oggi occupato da Filadelfia sorgeva un nucleo abitato da nativi della tribù dei Delaware (o Lenape), nota come Shackamaxon. I primi colonizzatori, guidati dal missionario svedese Johannes Campanius, giunsero nella zona nel 1646: nel 1669 l'area era nota come Nuova Svezia ma negli anni immediatamente successivi passò rapidamente sotto il controllo britannico. Quando nel 1682 William Penn fondò Filadelfia (in greco antico, amore fraterno) lo fece con un preciso piano urbanistico, sperando che la capitale della sua nuova colonia (la Pennsylvania) fondata su principi di libertà e tolleranza religiosa servisse da modello concreto di questa filosofia. A livello pratico, il progetto seguito da Penn lasciava ampi spazi fra le costruzioni, allo scopo di controllare meglio gli incendi e le epidemie (che all'epoca erano i più gravi problemi delle grandi città come Londra).
Penn ebbe successo, e, nella seconda metà del XVIII secolo, Filadelfia era diventata la seconda città d'America (dopo Città del Messico) e dell'Impero britannico (dopo Londra).
Filadelfia fu uno dei centri più importanti della Rivoluzione Americana e la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America (4 luglio 1776), nonché la Costituzione degli Stati Uniti (1787) furono firmate nella Independence Hall.
Nel 1790, a seguito di un accordo fra un gruppo di rappresentanti degli Stati del Sud ed Alexander Hamilton (potente Segretario del Tesoro del governo federale) che prevedeva la costruzione nel Sud della nuova capitale di Washington, la sede del governo federale fu spostata dalla Federal Hall di New York alla Congress Hall di Filadelfia, che divenne così capitale (provvisoria) degli Stati Uniti, titolo che perse nel 1800 con l'inaugurazione del nuovo Campidoglio di Washington DC.
Filadelfia divenne successivamente uno dei centri principali dell'industria ferroviaria, ospitando ad esempio la Baldwin Locomotive Works, il principale costruttore mondiale di locomotive a vapore.
Nel 1876, in occasione dei 100 anni della Dichiarazione di Indipendenza, Filadelfia ospitò un'esposizione universale, così come nel 1926, in occasione dei 150 anni. Tuttavia nel 1976 il centro delle celebrazioni per i 200 anni di indipendenza non fu Filadelfia bensì New York." (Wikipedia)
Insomma, qui si è fatta la storia.
Passeggiando verso sud lungo Arch Street si cammina all'ombra dei grattacieli come in una selva, ma non è oscura; sopra splendono strisce di cielo limpidissimo e il sole filtra dove può in lame oblique. Ci sono dei pannelli che permettono di cogliere il volto delle vie, ieri e oggi, in cosa è cambiato e in cosa è invece rimasto uguale. 




questo è un carcere, in pieno centro!

Ci dirigiamo al "miglio quadrato più ricco di storia" e iniziamo ad orientarci al visitor center, dove è possibile recuperare una mappa e diversi sconticini sui vari ingressi ai musei che qui no, non sono tutti gratuiti come a Washington.
Ci imbattiamo in Ben Franklin, vera celebrità qui. Il padre fondatore e poliedrico scienziato dall'accattivante taglio di capelli è uno dei più veraci locals e il suo corpo è sepolto qui a pochi metri, nel cimitero della Christ Church.


Poi c'è anche la mascotte dei Phillies, perchè l'America è così.


A questo punto è il momento di addentrarci nelle pagine più splendenti e cupe della storia americana, a partire dal Liberty Bell center. Qui è custodito uno dei simboli di libertà più cari agli americani: la campana che radunò i cittadini di Filadelfia il 4 luglio 1776, per la pubblica lettura della Dichiarazione d'Indipendenza. Fu poi spedita per tutti gli stati ad annunciare la buona novella. Dal 1837 fu adottata come simbolo anche dalla società americana contro la schiavitù ed è così diventata simbolo di lotta per la libertà e patriottismo.












Tutti coloro che hanno lottato per l'uguaglianza e per i diritti di quel "We the people" che via via ha abbracciato volti di ogni sesso e colore, tutti sono passati di qui. Dalle suffragette a Martin Lither King, dalle femministe alle associazioni LGBTQ+, dal Dalai Lama a Mandela. Insomma, i rintocchi di questa campana incrinata hanno salutato alcuni dei passaggi più felici e alcuni dei personaggi più grandi della storia, nazionale e non. Questo sì che è un simbolo, altro che le bandiere nere dei caduti, altro che i carri armati.












Ed eccola qui, alla fine, la Liberty bell, posta di fronte alla Independence hall; è vecchia e spaccata, la campana, ma non ha ancora finito di fare il suo dovere. Deve restare qui, come monito, e suonare ancora, se necessario.




Dopo questa boccata di ossigeno puro, una bella storia di un simbolo ancor più bello, ci dirigiamo proprio verso Independence hall e il complesso di edifici circostanti. Passiamo per caso accanto a quella che credo sia l'ambasciata italiana. I passaporti ce li ho ancora? Sì, bene, allora via diritti.





Giungiamo così ai palazzi che ospitano la Philosophical society, il vecchio municipio





e il luogo dove furono firmate la Dichiarazione d'Indipendenza, prima, e la costituzione degli Stati Uniti, poi.













il calamaio con cui i documenti furono firmati



Washington, che non stona mai



E così in un'aura di rispetto sacrale da parte degli americani e di caciara dei turisti (molti italiani), abbiamo colto il primo fiore della storia a stelle e strisce, e battaglie di diritti e rovesci combattute prima con le armi e poi con penna e inchiostro.





A questo punto manca il terzo luogo che mi pareva importante visitare qui, il National Constitutional center. Per arrivarci, ripassiamo davanti alla Liberty bell, dove un gruppo di orientali medita nel prato.



C'è anche un sito dedicato al ricordo degli schiavi e alle gabbie, materiali o meno, in cui furono rinchiusi in troppi.




C'è una statua brutta di Rocky, che pare abbia un incidente,


e una coppia di simpatici personaggi vestiti per un Carnevale che dura tutto l'anno.



Poi, finalmente, eccoci al National Constitution center.



che sta proprio di fronte ai siti storici che abbiamo appena visitato, secondo quella planimetria a griglia voluta da Penn (che diede mandato di chiamare le strade con i nomi di alberi, ordinati dal legno più duro al più morbido).



Il museo è una grande lezione di storia e legge; che parte dall'approfondimento su cause e conseguenze della Guerra civile





















si concentra sulla successiva ricostruzione e la vita dei neri una volta abolita la schiavitù.














c'è il bagno per i maschi, quello per le femmine e quello gender neutral. Bravi. Almeno qui è dovuto!

Poi, attraverso il salone ovale agghindato a bandiere, si passa al piano superiore, dove viene approfondita la costituzione americana, articolo per articolo, mostrandone la storia, la nascita e i perchè, le battaglie che ha comportato e le conseguenze pratiche.










in versione "giudice della corte suprema"





Questo museo riesce a rendere "potabile" un documento giuridico, che di base è noioso e incomprensibile ai più, me compresa, soprattutto nei dettagli. E quindi bravi coloro che hanno costruito questo tempio dell'educazione civica. Chè gli americani peccano spesso di ignoranza in molte discipline, ma, di solito, conoscono bene diritti e doveri del cittadino, e la materia di legge..

La visita prosegue poi nella sala dove è stato ricostruito il momento esatto della firma della costituzione, con statue un poco inquietanti che però rendono bene l'idea di cosa possa esser stato quell'istante. Inutile dire che folle di turisti si accalcano per farsi selfie idioti, e tocca aspettare un po' prima di poter fare una foto senza intrusi in sandali e berretto.









Da ultimo si può approfondire il contenuto della Carta dei diritti, che, fra tutti, è forse il documenti che a me interessa di più perchè è decisamente più universale. O, almeno, dovrebbe esserlo. Emendamento dopo emendamento, viene spiegato "in parole semplici".










Con questo finisce il nostro tour della parte storica più antica, del cuore pulsante della città, che è riconosciuta come patria dei diritti e delle libertà. Dunque torniamo sui nostri passi e riattraversiamo Chinatown,





fino all'Arco dell'amicizia (giustamente, a Filadelfia).



Siccome è ora di pranzo, sembra logico gettarsi nella calca che profuma di ogni tipo di cibo che popola il reading terminal market, un mercato coperto quasi del tutto dedicato alla cucina etnica. C'è di tutto, dall'italiano al cinese, dall'olandese al brasiliano, e il cibo è di ottima qualità. Sicuramente migliore di quello dei fast food.


Gigi si fa tentare dai paninazzi degli amish, uno stand dove lavorano padre, madre e due figlie amish e un gruppo di latinos ad aiutarli. Che questo è uguale sempre dappertutto.







A pranzo finito, torniamo alla luce del sole e all'aria libera, per gli ultimi passi che ci separano dal municipio. Più si va in centro, più emerge la solita contraddizione che fa male al cuore: palazzi tirati a lucido, centri di finanza e potere dove vengono gestite dai pochi le sorti dei molti. E sotto homeless di ogni età, senzatetto, barboni, trafficoni, che si mescolano a colletti bianchi che corrono verso la metro o sfrecciano in monopattino elettrico.












La city hall, imponente, mastodontica, massiccia, sorge in quello che un tempo era il centro geometrico della città. Spicca, con marmi e statue, in mezzo ai grattacieli ultramoderni, slanciati, in vetro a specchio. Sono i simboli del potere di due diverse epoche. La city hall è l'edificio in marmo più alto del mondo e, fino al 1987, era il più alto di Filadelfia. Sulla sua guglia più alta, a 167 metri dal suolo, si erge una statua di William Penn. Comunque, nel marzo 1987 l'edificio in One Liberty Place (che attualmente è il secondo edificio più alto di tutta la Pennsylvania) infranse il gentlemen's agreement in base al quale nessun edificio doveva superare in altezza la statua di Penn e da allora dieci grattacieli hanno superato la City Hall. Curiosamente, è dallo stesso 1987 che le squadre professionistiche di Filadelfia non vincono più un titolo nazionale (tranne nel 2008 la vittoria dei Philadelphia Phillies nelle World Series), per cui si è iniziato a parlare della Maledizione di Billy Penn.


Proprio accanto, e non stupisce, ecco il tempio massonico, eredità dell'epoca della dichiarazione d'indipendenza. Molti padri fondatori erano framassoni. Dentro, fin dove ho potuto vedere, ci sono tappeti e tende viola e due sfingi dorate. Inquietantissimo.











Noi andiamo oltre, fino a imboccare la Franklin Parkway, un vialone diagonale immenso che infila un gran numero di musei, palazzi architettonicamente interessanti e parchi.



Qui, con questa (sotto) vista davanti agli occhi, resto incantata a seguire due musicisti (violino e violoncello) che suonano all'ombra dei grattacieli. E' incredibile percepire il contrasto tra l'appassionata, profonda umanità di quelle note, e il freddo, disumano, "altro" protendersi al cielo dei palazzoni, che sembra si stiano impadronendo degli spazi occupati dalle persone, e stiano divorando le case e le piazze. Percepisco come una preghiera, un canto della gente, "non diventiamo anaffettivi e muti come questo vetro, come questo cemento. Siamo caldi di pelle e sangue, siamo umani".





















Arriviamo al Franklin pkway e notiamo subito un bellissimo parco pieno di giochi, dal ping pong alle scacchiere, e sdraio e tavolini ad uso libero dei passanti; poi salta all'occhio la lunghissima coda di coppiette che vogliono farsi fotografare sotto alla scritta Love. Oh, il diabate, oh, la carie!






Stessa coda lunghissima davanti al I love Philly. Noi abbiamo di meglio da fare e andiamo verso la cattedrale cattolica, che è poco distante.







Qui sta arrivando la sposa e tutto è pronto per un matrimonio di gonne un po' troppo corte per essere in una chiesa. E non è bigottismo il mio, anzi! Ma se vuoi la benedizione del tuo dio, devi anche rispettarne le regole. O no?




Dopo la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo proseguiamo lungo il parkway e giungiamo a Logan square, una rotonda circondata da musei,






e con il Shakespeare memorial. Intorno, numerosi homeless, tutti giovani, ciondolano sul prato. Uno fa il bagno nella fontana. La strada non si è ancora presa tutto di lui.


Ci rendiamo conto, a questo punto, che il vialone si sta affollando e davanti a noi c'è quello che pare essere un megaconcerto. Frotte di ragazzi e ragazze conciati da darla via sulla statale, famiglie con il viso pieno di brillantini e il disegno della bandiera, trentenni tatuati, polizia a bizzeffe e su ogni mezzo, a cavallo, in bici, in moto, a piedi e sui mezzi blindati. Eh sì, c'è un concerto. Nella fattispecie, è il Made in America, appuntamento annuale che di solito cade in concomitanza con il Labor day e attira fiumi di giovani e non. Oggi, per esempio, la guest star è Cardi B. Il casino si sente già da molto lontano, tra bassi pompatissimi e urla di folla. Ecco perchè gli ostelli erano tutti pieni! Ora capisco. E bene così, noi tanto giriamo larghi, stiamo andando altrove. Passeggiando, non lontano dall'ingresso del concerto, vediamo un gruppo di paramedici intorno a un ragazzo, capelli lunghi, magrissimo, a torso nudo, che sta mezzo riverso a terra. La festa è già finita, per lui, che ha esagerato con qualche pasticca di troppo.





Ci allontaniamo dal bordello festaiolo e finalmente raggiungiamo la meta agognata che io NON VEDEVO L?ORA di esplorare. Si tratta dell'Eastern state penitentiary. Il vecchio carcere, insomma, attivo dal 1829 al 1971.







Questo carcere fu costruito con un'idea nuova e diversa rispetto alle prigioni dell'epoca: ogni detenuto doveva stare solo, in isolamento, a lavorare e meditare, in modo da potersi pentire dei propri reati e diventare una persona migliore. C'era l'idea del riscatto, del tornare nella società civile rieducati.


Purtroppo, però, isolamento e silenzio portavano molto spesso alla follia, più che al pentimento. L'edificio, oggi, è stato allestito in modo da raccontarne la storia, e le storie dei carcerati, quelli ignoti e quelli famosi. Uno su tutti, Al Capone. E' stato dato anche un tocco gotico, condito da storie di fantasmi e altre puttanate, per soddisfare tutti i palati dei turisti paganti. Comunque, il risultato, è davvero emozionante.




































Sono interessanti anche gli spunti di riflessione sull'attualità, spesso fortemente critici. C'è una sezione dedicata a Guantanamo, ad esempio


e una in cui diverse testimoni raccontano episodi di stupro e violenze subite da parte delle guardie.



Ci sono i sistemi dei prigionieri per comunicare tra loro, da cella a cella,



e i tentativi di fuga


ma soprattutto un'esposizione assai interessante che mostra come il numero dei carcerati sia aumentato esponenzialmente dal 1970 ad oggi, e di come questa incarcerazione di massa, spinta da molti politici per assicurarsi il favore popolare, non sia servita a nulla, se non ad aumentare i costi della gestione delle carceri.










Poi si passa ai carcerati famosi: dal cane "assassino di gatti"



ad Al Capone, e le gang di ieri e di oggi







la cella di Al Capone


A questo punto manca solo una cosa: raggiungere il museo di arte (già chiuso) e la statua di Rocky.
Con immensa tristezza, dovrò accontentarmi di Giovanna d'Arco. Infatti la scalinata famosa e la statua del pugile sono irraggiungibili a causa delle transenne del concerto. Potrei piangere! Era il clou della visita, io sono una superfan della trashissima serie di Rocky! Eh via, toccherà tornare.



Rientriamo a casa e scopriamo che la nostra host non solo ha sistemato l'acqua calda, ma ci ha anche fatto trovare un mazzo di fiori freschi, un biglietto di ringraziamento, il frigo pieno e un rimborso totale della prima delle due notti. Insomma, in breve: lei vive a Washington e ha qui una persona che si occupa della casa. Non si sa per quale disguido, ha pensato che noi arrivassimo oggi e dunque nulla era stato preparato. E così facciamo pace, e la serata si conclude serena. Domani si riparte: in due giorni saremo a New York. Non pare vero, eh? Due giorni ancora, soltanto, ed il viaggio sarà finito.



1/9
Filadelfia-Kingston
106km

Partiamo spediti, questa mattina, e salutiamo il quartierino pettinato e la nostra casetta in periferia di Philly.






Oggi seguiamo una serie di percorsi e strade ciclabili senza imboccare alcuna grossa arteria, in un continuo zigozago tra paesi, quartieri di lusso e blocchi degradati. La prima cosa da fare è raggiungere di nuovo il centro di Filadelfia, attraverso distese di pratini e casette della bambole. Bandiere ovunque per il Labor day e poca gente in giro: l'ideale per pedalare tranquilli!








In alcune ville i bambini vendono cianfrusaglie in cortile, mentre si respira un'aria già completamente autunnale. Nemmeno a dirlo, i negozi sono già addobbati con zucche e foglie secche di plastica (!) e nei supermercati sono in vendita le decorazioni di Halloween. Da Starbucks è tornato il capucciazzo alla zucca.



Rientriamo in Filadelfia e ci sono quartieri pazzeschi di case a schiera da sogno, tra parchi e grattacieli, e senza troppo traffico.










Attraversiamo il fiume sotto lo sguardo distratto dei palazzi




e, tra una chiesa e un grattacielo di questa Gotham city più luminosa, arriviamo nientemeno che




ad una delle case in cui visse Edgar Allan Poe, in pieno stile vittoriano e con tanto di corvo in cortile.






Poi ce ne andiamo davvero, e anche Filadelfia, con la sua storia, le sue carte e le sue battaglie per la libertà è un ricordo, ormai alle spalle. Iniziano i soliti quartieri commerciali affacciati sui vialoni, dove l'odore del fritto dei fast food si mescola a quello dei motori.





Iniziano anche a vedersi i cartelli che indicano New York, e in effetti quasi ci siamo. Pedaliamo comunque non la via più breve, ma la più sicura in bici, dove le strade hanno una ciclabile, o un bordo, e nessun ciclista, a parte noi. A grandi linee seguiamo il corso del Delaware, ma oggi mi serve il navigatore per non finire in qualche grossa arteria di traffico assassino.


Capita anche, a tratti, di imboccare un sentiero, di solito lungo i canali, ed è boccata d'ossigeno tra traffico e traffico.



Così, con calma e senza stress, arriviamo al ponte sul Delaware che fa entrare in un nuovo stato, il New Jersey (https://it.wikipedia.org/wiki/New_Jersey).






Ad accoglierci è Trenton, città ricca di storia ma pure di periferie degradate in cui è meglio non discutere di nulla con nessuno. I visi in giro non danno sicurezza. Ce ne andiamo rapidi, fermandoci giusto un attimo a salutare Washington e a leggere qualcosa sulla battaglia che qui ebbe luogo, sanguinosa, contro le forze della Corona britannica.


Lo stesso vale per Princeton, sede della famosa università dove anche Einstein fu professore. Qui resta il parco dove fu combattuta la battaglia che vide Washington vincitore e portò poi all'indipendenza. Qui si riunì per quattro mesi il congresso, rendendo questa cittadina capitale de facto.




Ci sono edifici sontuosi e negozi di lusso, studenti ricchissimi accompagnati dalle ancor più ricche famiglie e io, che passo lercia su una bici incrostata di fango, mi sento a disagio, ma mica in negativo. Quelli strani sono loro!




Ormai il pomeriggio declina e sul fiume la luce obliqua prende un colore di miele ramato. E' ora di trovare un tetto per la notte.






Optiamo per un extended stay poco fuori Kingston. Da qui potrò organizzare l'ultima tappa e il pernottamento soprattutto, che a New York non è mica facile. Non vedere il culo per permettersi un alloggio intendo!


Dunque, signori miei, domani sarà l'ultima tappa vera e propria, con le borse e tutto. Poi abbiamo in mente di visitare la Big Apple anche in sella, ma quella sarà la ciliegina sulla torta!