mercoledì 21 giugno 2023

0. Messico e nuvole in bici! Imparare la lentezza e che "amar es combatir"


"Ogni aspetto del Messico sembra voler ricordare a chiunque che la velocità, in qualsiasi occasione, serve solo a farci arrivare prima alla tomba. La lentezza è forse la cifra interpretativa che contraddistingue la
mexicanidad, questa filosofia del vivere adagio che fa fare le cose meglio - e più durature; tanti stranieri faticano a comprenderla e ad adeguarvisi, finendo spesso per cedere all’ansia, per fare ogni cosa peggio e in modo meno efficace.”

Con queste parole, che leggo in un saggio di Pino Cacucci in “The passenger - Messico”, mi sono convinta definitivamente che il Messico sia la meta perfetta per un viaggio in bici. In realtà mi era già bastato leggere nella guida Lonely Planet che, quando si è invitati a casa di un messicano, è buona regola tardare di mezzora almeno, perché arrivare puntuali è considerato scortese. Io, che nell’efficientissima macchina tritacarne milanese che gira ad ansiolitici e cocaina sono un ingranaggio poco oliato, scopro che in Messico sarei la più cortese e beneducata di tutti!

Questa idea del rallentare il tempo mi affascina ed è qualcosa che si radica a fondo nella mia consapevolezza della finitudine. Colpa di Seneca? Colpa di Orazio? Non si tratta solo di cogliere l’attimo, vivere il presente e abitare ogni singolo grano di sabbia della clessidra come fosse un intero pianeta. Si tratta anche di rallentarne la caduta. Di estendere nel tempo quell’inarrestabile scorrere. E come si fa?

Per me la risposta è semplice: saltare in sella, iniziare a pedalare. Scoprire universi nuovi. Incontrare persone che vivono in modo diverso dal mio, e paiono lontane, ma poi si riconoscono in una umanità dai mille volti che prova a campare in questo mondo grande e terribile.

Quindi quest’anno si va in Messico ad imparare la lentezza. Lentezza che significa anche cura, attenzione ai dettagli. E’ una forma d’amore. 

Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.
(Arminio, Cedi la strada agli alberi)


Ma in Messico ci sono anche altre millemila cose che mi affascinano e mi chiamano.

La storia, ad esempio. Questa complessa stratificazione millenaria che ha visto le popolazioni autoctone sviluppare proprie civiltà, poi sottomesse ai grandi imperi (maya e aztechi per citarne solo due). Poi i conquistadores, quell’incontro fatale tra Cortés e Montezuma, il vicereame spagnolo, l’indipendenza, la rivoluzione di Zapata… Ogni millimetro di questa terra è coperto di tracce di ciò che è stato. Si trovano nella pietra delle “piramidi” (teocalli), nel cibo e nel tequila, nelle molteplici lingue parlate, nella musica, nel sincretismo tra cattolicesimo e religioni precedenti, per cui la Virgen de Guadalupe è una ripulita Tonantzin, dea azteca di creazione e distruzione.

La storia è anche quella di ingiustizia e tentativi di riscatto, di rivolte nate dal basso, dalle popolazioni indigene, dalle donne che cantano sin miedo, dai migranti che cercano di raggiungere l’ingombrante, seducente, altero vicino di casa.

La storia è quel filo rosso che collega gli tzompantli, torri di teschi di prigionieri o sacrifici umani, diffusi nelle civiltà mesoamericane, e le fosse comuni delle vittime dei narcos; entrambe affiorano dalla terra appena si scava di qualche metro, entrambe sono frutto di una cultura che stratifica, sedimenta, erige e sotterra, chiede sangue.

Che altro? Delle bellezze naturali nemmeno sto a dire. Andiamo dalle spiagge considerate tra le più belle al mondo alla giungla, dalle mangrovie alla foresta nebulare in altura, dalle barriere coralline fino al deserto della Baja California, con una biodiversità di fauna e flora di ricchezza unica.

Quindi… siamo in partenza! Gigi, che compie oggi settant’anni, è più pronto che mai; ha studiato spagnolo negli ultimi mesi e si è allenato ogni giorno in sella. Ormai è pure lui, come me, una bestia da viaggio, da soma, un ulisside insonne, un avventuriero. L’assetto è il solito: la bici è la Signorina felicita, che per il sesto anno mi porta in gita per il mondo e ha già affrontato i territori impervi dell’Islanda, le grandi distanze statunitensi, le alture andine e l’impenetrabile Amazzonia peruviana. Viaggiamo carichi, con i fedeli borsoni (panniers, come va di moda dire ora, ma va pronunciato con le labbra strette a culo di gallina) Ortlieb in cui starà tutto il necessario per i due mesi e mezzo di viaggio unsupported che ci siamo concessi per attraversare il Messico (che è grande più o meno come tutta l’Europa! Mercalli mente).


Partiremo da Cancun, per muoverci attraverso i luoghi più interessanti, dal punto di vista storico e naturalistico, di Quintana Roo, Yucatan e Campeche. Poi scenderemo attraverso il Tabasco in Chiapas, per conoscere le realtà indigene e quelle zapatiste (EZLN). Attraverseremo monti e valli dell’Oaxaca, di Puebla e fino a Città del Messico, per poi spingerci di nuovo verso la costa, passando per Guadalajara. Da lì, in nave, raggiungeremo la penisola della Baja California, che sarà l’ultima grande meraviglia con cui concludere il viaggio.

Il percorso è molto, molto indicativo e spannometrico. Serve solo per avere un’idea del kilometraggio globale. Nel tempo ho imparato l’arte dello studio in loco e della quasi improvvisazione, che permette di creare la traccia man mano, con le informazioni fresche raccolte per via e la possibilità di cambiare programma ogni volta che si vuole. Le gabbie, anche logistiche, restano a casa.

Una delle domande cui vorrei trovare risposta, in questo viaggio, è se sia possibile un turismo sostenibile, equo, rispettoso della natura e delle comunità che ci vivono, in un paese noto per gli hotel ecomostruosi delle località balneari, per le trovate quantomeno discutibili di una politica spesso cieca, come il dibattuto “Treno maya” e per l’inquinamento della sua capitale. Ci proveremo. Proveremo a ridurre al minimo la nostra impronta ecologica.

Verrà con me anche Octavio Paz, autore messicano, Nobel per la letteratura nel ’90. Lascio tre assaggi, ma ne riparleremo. 

La vita, quando fu davvero nostra?
Quando siamo davvero ciò che siamo?
A ben guardare noi da soli siamo
nient’altro che vertigine e voragine,
ghigni dentro lo specchio, orrore e vomito,
mai la vita è nostra, è degli altri,
la vita non è di nessuno, tutti siamo

la vita —pane di sole per gli altri,
tutti gli altri che siam noi—,
son piú miei se sono anche di tutti
perché io possa essere devo esser altro,
uscire da me, cercarmi tra gli altri,
gli altri che non sono s’io non esisto,
gli altri che mi dan piena esistenza,
non sono, non v’è io, siam sempre noi,
son altro quando sono, i miei atti
la vita è un’altra, sempre là, piú lungi,
fuori di te, di me, sempre orizzonte,
vita che ci svive e ci fa estranei
che ci inventa un volto e lo sciupa,
fame d’essere, oh morte, pane di tutti.


L'amore è uno degli esempi più evidenti di quel duplice istinto che ci induce a scavare e ad affondare in noi stessi, e, contemporaneamente, a uscire da noi e a realizzarci nell'altro: morte e ricreazione, solitudine e comunione. Ma non è il solo. Nella vita di ogni uomo c'è una serie di momenti che sono anch'essi rotture e unioni, separazioni e riconciliazioni. Ciascuna di queste tappe è un tentativo di trascendere la nostra solitudine, seguita da immersioni in ambienti estranei.
Octavio Paz, Il labirinto della solitudine, “La dialettica della solitudine”

 

Amare è lotta, quando due si baciano
il mondo cambia, i desideri si incarnano,
anche il pensiero incarna, un paio d’ali
spuntano sulla schiena dello schiavo,
si fa concreto il mondo, il vino è vino,
prende sapore il pane, l’acqua è acqua,
amare è lotta, è spalancare porte,
non essere più fantasma con un numero
a perpetua catena condannato
da un capo senza volto;
Octavio Paz, Pietra del sole (Piedra de sol), 1957, vv. 365-374

6 commenti:


  1. Prendo appunti e note
    Più o meno dolenti
    Spunti di ogni genere
    Dipende dai momenti
    Briciole di vita che raccolgo ogni giorno
    Cose che per caso mi succedono intorno
    Metto lì da parte ogni straccio d'emozione
    Che finisco poi per buttare in una canzone
    Sempre questa folla di pensieri nella mente
    Và rumoreggiando come pioggia battente
    Sempre questo giro di musica e parole
    Che se parte bene poi arriva dritto al cuore
    Prendo appunti e note
    Io lo faccio per PIACERE
    E mi piace molto come puoi vedere
    Io sono sempre qua
    Con questo spirito che ho
    Tutto l'amore che ho dentro
    Più qualche cosa che spiegar non so
    Io sono sempre qua
    Che spingo il giorno un po' più in là
    Rubando cielo al tramonto
    Ci guadagnerò un bel po' di luce in più... in più
    Chi lo sa cos'è che continuo a cercare
    Dentro certi viaggi dalla terra alla luna
    Chi lo sa perché non mi posso mai fermare
    Neanche dopo tanti atterraggi di fortuna
    Forse perché in fondo a ogni storia nuova
    Manca quella frase che non ho scritto ancora
    Io sono sempre qua
    Con questo spirito che ho
    Gambe che inseguono il vento
    E mani pronte ad afferrarne un po'
    Io sono sempre qua
    Che spingo il giorno un po' più in là
    Rubando cielo al tramonto
    Ci guadagnerò un bel po' di luce in più
    Finchè vivo, finchè potrò
    Quel che ho io do
    Io sono sempre qua
    Con questo spirito che ho
    Tutto l'amore che ho dentro
    Più qualche cosa che spiegar non so
    Io sono sempre qua
    Che spingo il giorno un po' più in là
    Rubando cielo al tramonto
    E se ho fatto bene il mio conto
    Ci gadagnerò un bel po' di luce in più, in più... si
    Fonte EROS RAMAZZOTTI

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  2. Buon viaggio a voi e per me un'altra estate di letture avvincenti

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  3. Tanta saggezza permea le tue parole..

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  4. Buon viaggio mia musa ispiratrice, buon viaggio a Gigi che porta il mio nome e tutti i miei anni, Messico Novole!!

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  5. La volpe 🦊 inizia con Seneca Orazio e sincretismo,aaah che bei compiti che ci dà la prof. Ho cercato notizie di Seneca, è nato 4 anni dopo Gesù e probabilmente si sono incontrati. Gesù viaggiava . Seneca la pensa quasi come Gesù, solamente che pare contraddittorio,perché tiene i piccioli,e gli piace la bella vita , mentre Gesi si è fatto ammazzare per 30 denari,mentre Seneca si autoflagella

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  6. Osho dice a parole sue di vivere la vita,dice che la vita è una danza e ogniuno danza a modo suo,la volpe e il Gigi da anni stanno danzando per il pianeta ,provate mettere insieme tutti i loro percorsi,i tornanti,le salite,,vedremmo un lungo serpeggiare su salite e discese. Chi non ha sentito la canzone di Venditti? Che fantastica storia è la Rita.

    MI CHIAMO GIGI faccio l'allenatore
    E mio padre e mia madre mi volevano professore
    Ho sfidato il destino per il primo viaggione
    Ho salutato gli amici,ho capito l'amore
    E quando penso che sia finita
    E'proprio allora che comincia la salita
    Che fantastica storia è la Rita
    Mi chiamo Rita
    E sono laureata
    Dopo 1000 concorsi
    Sono impiegata
    E mio padre e mia madre
    Con la loro pensione
    Fanno crescere i miei mici
    I miei unici amori
    A volte penso che sia finita
    Ma è proprio allora che comincia la salita
    Che fantastica volpe è la Rita
    Che fantastica storia la Rita

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