Mi alzo, sarà il caso di bere un caffè e svegliarsi fuori. Ho preso la forma di queste poltroncine ormai. L'aeroporto di Pechino è immenso e deserto, sembra una cattedrale nel deserto. I negozi sono tutti chiusi, ad eccezione di un paio di caffetterie dove gruppetti di italiani e spagnoli fanno un casino disturbante, lontano, fuori luogo. Dove ho dormicchiato in queste ore, invece, si sentiva solo una leggera musica classica in sottofondo, generica. Non riconosco compositore e brani, sembra quasi generata con IA. Chissà perché poi in Cina c'è questa predilezione, con tutta la tradizione musicale millenaria che hanno loro. Fa raffinatezza, cultura, alti studi. Immaginatevi se da noi a Malpensa sparassero brani di folkore cinese... Sono passati ormai 4 giorni dal mio arrivo ad Hanoi, e, come sempre, non ho più trovato le energie per scrivere. Voi non ci crederete, ma è la cosa più faticosa. È più difficile mettersi ad aggiornare il blog, paradossalmente, quando la meta è raggiunta, e ci si riposa, che quando invece si deve ancora pedalare e le giornate sono lunghe e dense. È una questione mentale, di stanchezza che emerge. Ma questi ultimi giorni, pedalati e non, meritano comunque di non cadere nell'oblio, di essere raccontati. Quindi, da questo aeroporto sconfinato e vuoto dove devo attendere 8 ore, prima di imbarcarmi per un volo da 11 ore (dopo averne fatto uno da 3 con altrettante di attesa, prima di andare direttamente a scuola), scrivo.
27/8
Phu Yen-Than Son
73km
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su Komoot vedo le ultime due tappe... Incredibile, siamo già qua |
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gli effetti del danno di ieri |
Anche oggi partiamo male. Dal quarto piano ho modo di vedere la massa bianca di nubi scendere veloce dalle cime delle montagne intorno e inghiottire tutto, come una marea montante e inesorabile. Ormai ho capito che è inutile sia affrettarsi, sperando di anticipare la pioggia, sia attendere che smetta. Perché non smette. Il temporale si è annidato qui, si è seduto, sta comodo e non ha alcuna intenzione di levare il disturbo. Quindi con calma faccio colazione, mi vesto già con pantaloni antipioggia e k-way e mi preparo a un'altra giornata da trota salmonata. Prima di uscire pulisco un poco catena e forcellino: sono una massa unica e orribile di fango e grasso. La Signorina sta facendo davvero i miracoli, quest'anno. Nemmeno un problema meccanico, nemmeno una foratura, un cambio ancora registrato e freni che sì, stanno tirando gli ultimi, ma fanno ancora il loro sporco lavoro. Quando è il momento, parto. Il primo impatto con il muro di pioggia è sempre un gran disagio, ma anche indossare scarpe e abiti ancora fradici da ieri non è stato un Carnevale, quindi poco male. Oggi ho alcune salitelle di un certo impegno perché ripide, ma non passi, non ascese lunghe di kilometri lenti. La strada è fradicia, l'aria pregna di umidità. Ben presto, salendo, mi ritrovo di nuovo immersa nelle nuvole, e tutto è bianco intorno, e ovattato. Si stagliano solo i profili degli alberi scuri e grondanti pioggia, e le altere sagome dei monti che, pure immensi e vicini, si intravedono a malapena nella foschia.
Salgo e scendo a più riprese. Dopo l'ultimo picco approfitto di una tettoia di rami e foglie, dove probabilmente di norma si trovano bancarelle di street food, per cambiarmi e indossare uno strato asciutto prima della discesa. Accanto a me scorre un torrente gonfio di fango, che vomita acqua e rami, pietre e rifiuti. È impressionante.
Scendo e mi ritrovo in valloni tutto coltivati a risaie, che disegnano forme irregolari e ipnotiche con i loro gradini dei terrazzamenti. Anche qui l'acqua si è presa tutto, straborda, esagera. Ci sono ancora diverse colline da affrontare, con rampe brevi ma ripidissime. Mano a mano che, in generale, perdo quota, più mi pare che il cielo si faccia meno cupo, e le nuvole intorno si diradino al punto da permettere di vedere il paesaggio.
Poi, improvvisamente, smette proprio di piovere. Smette e basta, così, come se fosse una cosa normalissima. Come se non fosse l'evento più atteso e desiderato degli ultimi giorni. Mi fermo e constato che davvero non piove più. Non piove più! La Garuda è tornata con il ramo di ulivo, il diluvio è cessato! Gli dei non sono più in collera! Questo dettaglio cambia sostanzialmente l'umore e quindi l'energia che sento di poter investire in questa tappa, che come una molla sembrava lunghissima e invece ora si è ridotta e pare breve breve. Non mi disturbano neanche i quattro ragazzotti che, all'inizio di una salitella, mi urlano versi da scimmia, per invitarmi a fermarmi (anche no, grazie) e poi seguitano quando mi raggiungono e superano. Per la prima volta mando a fare in culo qualcuno dritto in faccia, in questo viaggio dove ho incontrato solo persone gentili. "Fuck off!" dico a denti stretti. "Fuck too!" risponde il più macaco della compagnia. Sembra ubriaco o alterato in qualche modo 'sto cojone. Per fortuna passano e vanno. A ogni scollinamento mi fermi a fare una foto delle belle vallate intorno, e a ogni pausa compare qualcuno (un ragazzo con la sindrome di Down, un uomo con palese ritardo cognitivo, una signora che sbraita da sola) che, scusate la battuta politicamente scorretta, pare appena scappato da un reparto psichiatrico o dalla Corte dei miracoli. Tutti carinissimi con me, eh. Vengono lì, mi salutano, mi stringono dieci volte la mano, mi risalutano, mi fissano, mi ristringono la mano... Vabe', facciamo che per oggi basta foto, magari.
Più la strada scende più incontro paesini e paesotti. E tanti adolescenti in bici e motorino che vanno e vengono da scuola, e mi affiancano per salutarmi e chiedermi quel che riescono: nome, provenienza, età... Quattro, a coppie su moto elettriche minuscole, dopo questo consueto rito dei punti interrogativi, mi lasciano andare avanti, poi mi ri-raggiungono e uno allunga la mano per darmi qualcosa. Senza pensarci, prendo il misterioso pacchettino eeeee... Sono 20.000 dong! Circa 0.8 euro. Subito cerco di restituirli e dire "No no no no no grazie ma non mi servono!", ma i quattro stanno ridendo tutti eccitati mentre sgasano via, e quello che mi ha consegnato l'obolo, bello in carne e tutto orgoglione, mi grida allegro: "Banh mi! Banh mi!" (letteralmente: "panino!"). Ma che cuori!
Da lì poi arrivare è un attimo, tra tappeti spessi di verdissimo riso e cappellini che spuntano in questo oceano di linfa. I monti intorno hanno ceduto il passo a colline morbide e striate di terrazzamenti, che stanno larghe all'orizzonte e non si assiepano fitte intorno alla strada.
Tanh Son mi attende, con il suo albergo tutto nuovo e pettinato dove il mio arrivo porta quantità di fango e odori molesti che qui non sono di casa. Fervono laboriosi preparativi per il 2 settembre, il National day, 80° anniversario della dichiarazione di indipendenza del Vietnam dalla Francia, letta da Ho Chi Minh in persona ad Hanoi, nel '45. Ci sono furgono da cui lo staff scarica poltrone imbottite da sistemare in una sala ricevimenti, palchetti in allestimento, trapani che forano e cacciaviti elettrici che avvitano. Insomma, tutto è in fermento, tra bandiere rossi, stelle, falci, martelli e faccioni dello zio Ho. Io mi godo non solo la stanza pulita e netta, ma anche un supermercato, un supermercato vero e proprio, grande, fornito, che si trova proprio accanto, e ha pure una panetteria che sforna pizzette e panini all'uva caldi e profumatissimi. Ne ho mangiati tanti? Sì. Me ne pento? Assolutamente no. Anche perché ho perso molto peso e non sarà certo questo carico di meraviglia d'arte bianca a crearmi problemi. Poi oh, domani è l'ultima tappa. Domani arrivo ad Hanoi!Tanh Son mi attende, con il suo albergo tutto nuovo e pettinato dove il mio arrivo porta quantità di fango e odori molesti che qui non sono di casa. Fervono laboriosi preparativi per il 2 settembre, il National day, 80° anniversario della dichiarazione di indipendenza del Vietnam dalla Francia, letta da Ho Chi Minh in persona ad Hanoi, nel '45. Ci sono furgono da cui lo staff scarica poltrone imbottite da sistemare in una sala ricevimenti, palchetti in allestimento, trapani che forano e cacciaviti elettrici che avvitano. Insomma, tutto è in fermento, tra bandiere rossi, stelle, falci, martelli e faccioni dello zio Ho. Io mi godo non solo la stanza pulita e netta, ma anche un supermercato, un supermercato vero e proprio, grande, fornito, che si trova proprio accanto, e ha pure una panetteria che sforna pizzette e panini all'uva caldi e profumatissimi. Ne ho mangiati tanti? Sì. Me ne pento? Assolutamente no. Anche perché ho perso molto peso e non sarà certo questo carico di meraviglia d'arte bianca a crearmi problemi. Poi oh, domani è l'ultima tappa. Domani arrivo ad Hanoi!
28/8
Than Son-Hanoi
87km
Mi sveglio. Non piove. Anzi, c'è una parvenza di sole. Incredibile. Mi fa finire il viaggio all'asciutto! In realtà questa previsione è decisamente affrettata, visto che per tutto il giorno si susseguiranno piovaschi brevi ma intensi, il giusto per infradiciarsi, asciugarsi un po' e inzupparsi ancora. Ma non importa. Oggi basta arrivare. Oggi si scrive l'ultimo capitolo di questa avventura incredibile.
La strada che porta alla capitale, per sé, non ha nulla di memorabile. Corre per lo più in pianura, tra città sempre più grandi e frequenti. Attraverso di nuovo il Fiume Nero, e poi lunghissime strade costellate di rivendite di latte e prodotti affini. I temporali si inseguono, con tuoni, lampi e raffiche di vento, ma tra uno e l'altro esce persino il sole. Ormai non mi fermo nemmeno, se non per indossare il k-way, a bordo strada, insieme ad altre decine di motoviet che passano le loro giornate a mettere l'antipioggia e toglierlo, come una pratica zen.
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sữa significa latte |
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tutti fermi a bordo strada a indossare i k-way |
Altre cose notevoli sono il numero e la dimensione dei convogli militari che incontro. Da tutte le caserme del Paese si stanno radunando militari, poliziotti, forze dell'ordine generiche per la grandiosa parata che si terrà in centro ad Hanoi lunedì, il primo giorno di settembre. E quindi ecco file da centinaia di pullman, intervallate da jeep e camionette, tutti addobbati con striscioni a tema, carichi di militari in alta uniforme che guardano annoiati fuori dal finestrino. È un dispiegamento, per fortuna pacifico, incredibile, tanto che per 50km tutto intorno alla capitale sono disseminati agenti che gestiscano i flussi di queste colonne di autobus che si estendono per kilometri. Fatto ancor più interessante è che, qua e là, sui marciapiedi, mi imbatto in famiglie e gruppi vestiti di rosso, con bandiere e cartelloni, adesivi in volto e sciarpe come a una partita della Nazionale. Attendono il passaggio dei militari per festeggiarli. Sicuramente andranno poi ad Hanoi a loro volta per le grandi celebrazioni.
Tutto questo gioioso e frizzante clima di festa si interrompe bruscamente, purtroppo, dopo aver superato i confini della città. Mancano 20km all'arrivo. Il traffico, già impegnativo, si intensifica, e poi si blocca del tutto. Capisco solo più tardi perché: alcune strade principali sono allagate e i mezzi, motorini, auto, furgoni, camion... Bici! Devono trovare una loro via per guadare tra acqua alta, buche e melma. Sono i regali lasciati dal tifone. Dopo aver analizzato un attimo la situazione dall'ultimo punto asciutto, capisco che non ho alternative. Devo procedere a piedi entrando in acqua, che occupa ogni millimetro di strada dai muri delle case da un lato ai muri delle case dall'altro, sommerse le corsie, i marciapiedi, tutto. Bisogna fare come i local. Per fortuna, procedendo piano, pur senza vedere dove metto piedi e ruote (nel terrore di finire in un cratere o inciampare in qualche gradino) riesco ad avanzare con l'acqua che mi arriva, al più, al ginocchio. Le borse anteriori finiscono inevitabilmente in ammollo. E sì, è l'ennesima occasione in questo viaggio nella quale metto i piedi in acque dove non vorrei, dopo le paludi del Mekong, gli acquitrini con i percolati delle discariche a cielo aperto, il fango laotiano e vietnamita. Le scarpe ormai sono da bidone dei rifiuti tossici, quelli con il teschio e la scritta biohazard! E anche le zampe andrebbero svitate e lavate bene. Non avendo alternative, comunque, procedo lenta e inesorabile, a falcate decise man mano che trovo punti di appoggio sicuri. Alcuni tratti sono in parte pedalabili, restando magari in una striscia piccina di corsia tutta a sinistra. L'acqua arriva a metà ruota, al disco del freno, ma permette di procedere. E anche gli altri che guidano sono comprensivi e non lamentano il mio invadere corsie che non mi spetterebbero, ma son le uniche libere dall'acqua. Su questo i vietnamiti sono dei grandi. Generosi, disponibili, capaci di intuire la necessità altrui e mettere un attimo da parte la propria fretta.
Per fortuna dopo qualche kilometro la condizione delle strade torna normale. O meglio. Finiscono i tratti allagati, ma il traffico è tutt'altro che ordinario. Nella capitale, già incasinatissima alla follia di norma, sta confluendo una folla di milioni di persone che vogliono passare il weekend di festa nel cuore dell'evento. E quindi, al normale flusso delirante di mezzi, si aggiunge quello dei turisti interni. E son tanti! Negli ultimi 10km l'attenzione diventa spasmodica. Ci sono motorini, auto, pullman, furgoni, ciclisti, pedoni e risciò, carretti e tir che si contendono le corsie, muovendosi jn modo caotico, senza un codice, solo la regola del flusso continuo. Mai fermarsi. Si sta attenti a chi c'è davanti. Chi è dietro farà lo stesso. Quindi non viene rispettata alcuna precedenza, le immissioni avvengono senza neanche guardare, i semafori e le rotonde hanno funzione puramente estetica e ci si ferma a bordo strada senza frecce né altre indicazioni. Il tutto mentre i più stanno al telefono. Un delirio!
Ma più mi avvicino alla centro più intuisco il motivo. Tutto è addobbato e abbellito senza risparmio, con bandierine a migliaia bandierone enormi, installazioni, pannelli, cartelloni, palchi ad ogni incrocio. Ci si prepara a una celebrazione maestosa, in pompa magna, di fasto spropositato. E lo capisco ancor meglio quando, finalmente, imbocco le vie della Old Town, che riconosco, pur agghindate e tormentate di traffico. Mi dirigo al ponte di legno sul Lago dove ho scattato la foto di inizio viaggio. Voglio farne un'altra uguale, sempre con il non la, che, pur un po' ammaccato, ho riportato "a casa". A distanza di due mesi, 5500km, una marea multiforme di vita vissuta. Mi trovo circondata da persone vestite con i colori della bandiera, con abiti tradizionali o patriottici, che si fanno foto nei punti più iconici di Hanoi. Anch'io sono qui per questo, e quanta strada ho fatto per questo scatto! Chiedo a un gruppetto di sciure tutte addobbate et voilà.
Anche questa è fatta. Ora sono stanchissima, lurida, con una montagna di abiti infangati e puzzolenti da lavare e la voglia di raggiungere l'albergo e appoggiare la bici per non riprenderla più per un po'. Ma queste incombenze basse non mi impediscono, per un istante, di percepire la magia del momento. Vedo il riflesso del ponte rosse vibrare sulla superficie del lago, verde che specchia gli alberi intorno. Sono colori già autunnali, e il sole si sta abbassando e abbraccia tutto con una luce morbida, ambrata, di miele. Sembra di essere in un quadro impressionista, di Monet. Qui il rumore del traffico, i clacson e i motori non si sentono. Solo un vociare soffuso, risate e chiacchiere leggere di una lingua che non comprendo ma ormai suona familiare. È un istante. Sono tornata. Lungo il fiume di questo tempo e queste strade ho raccolto tante storie, ho riempito le reti di volti e immagini e parole. E quanto sono fortunata, quanto sono ricca ora.
Vero zio Ho?

Con questa consapevolezza di pienezza, inforco la bici. Mancano 500m all'hotel. Li percorro a rallentatore, godendomeli uno a uno. Ed eccomi alla reception, a chiedere alla ragazza gentilissima di custodire la bici nella hall e raccontarle da dove arrivi. Poi la camera, pulita e accogliente. La doccia calda. Il volo in lavanderia con tutti i vestiti lerci e maleodoranti, infradiciati e mai ben asciugati, sudati, infangati. La spesa ricca nei negozi ben forniti, le luci, la gente in giro nel clima di festa. Eccoci qua, nell'ombelico del mondo, con una storia speciale da raccontare, l'avventura fresca sulla pelle e quella sensazione di essere una goccia nell'oceano dell'umanità che tanto amo.
29-31/8, 1/9
Hanoi e rientro via Pechino
Solitamente non racconto gli ultimi giorni dopo l'arrivo a destinazione, quando la bici può finalmente riposare ed io mi ritaglio qualche attimo di vacanza all'interno del viaggio. Anche stavolta non ho intenzione di restituire una cronaca puntuale, ma ci tengo a lasciare qualche immagine, qualche riflessione.
Il primo giorno di sosta è dedicato interamente alla realizzazione del tatuaggio. Ora che è stato sveato al mondo (ovvero: alla mamma) posso parlarne senza aloni di mistero. Già prima di partire avevo in mente la posizione (collo, gola) e anche la consapevolezza che avrebbe avuto senso proseguire idealmente il sak yant realizzato a Singapore l'anno scorso. Durante il viaggio ho preso coscienza del simbolo più potente che avrebbe potuto riassumere un'esperienza così multiforme: il naga. Sono serpenti semidivini della mitologia vedica, nonchè spiriti della natura legati all'acqua e ai fiumi; per questo hanno una duplice natura: portano vita, fertilità e ricchezza, ma pure morte e distruzione con disastri come alluvioni ed esondazioni. Custodiscono l'elisir di lunga vita, per leccare il quale dal terreno si tagliarono la lingua, ora biforcuta, e diventano pericolosi quando l'uomo non rispetta la natura. Sono nemici giurati delle garude, ma la presenza di entrambi gli esseri mitologici garantisce equilibrio e pace (infatti nei templi spessi sono rappresentati entrambi). Siccome questo viaggio si è snodato per lo più tra i fiumi (in primis il Mekong) e l'acqua, tra tifoni, guadi, allagamenti e navigazioni, è stata elemento centrale, il naga è IL simbolo. Senza contare che è alla base di infinite leggende relative ai luoghi che ho attraversato, come quella della fondazione di Vientiane, ed è l'elemento decorativo più presente nei templi dei paesi visitati. Tra i naga gemelli, la scritta "amor fati". Ci ho pensato a lungo, perchè, nonostante sia un concetto da sempre intrigante, per me, e approfondito molto in questo viaggio, mi lasciava un leggero retrogusto amaro, di rassegnazione. Io credo molto nella volontà di autodeterminazione dell'individuo, nel valore della forza di volontà e nell'idea dell'homo faber suae fortunae. Ma proprio in questi mesi ho avuto una sorta di illuminata visione: queste due letture del reale non sono in contrapposizione, anzi, si integrano perfettamente. Solo accogliendo ciò che ci capita, sul quale non abbiamo potere, possiamo trarne qualcosa di positivo per operare il cambiamento nell'orizzonte delle nostre possibilità. Non è chiudendosi al reale, ma accettandolo per come accade, che si possono porre le basi per una comprensione profonda ed eventualmente una critica, e di conseguenza un tentativo di miglioramento.
Per la scelta dello studio a cui rivolgermi (ad Hanoi ce ne sono decine) mi sono basata su recensioni e foto dei lavori svolti; non ho cercato il più economico, perchè non credo sia un gran criterio. Devo dire che, fin dai primi contatti, tutti i membri dello staff del LaThanh Tattoo studio si sono rivelati super professionali, attenti e quasi maniacali nel voler raggiungere i risultati migliori. Via Whatsapp ci siamo sentiti per giorni, per preparare la bozza del disegno e curarne tutti i dettagli. Ma mi chiedevano anche, visto il meteo, se stessi bene, se ci fossero problemi... Come amici che si preoccupano della persona più che esercenti che contattano il cliente.
Ho appuntamento alle 10 del mattino e lo studio è a poche centinaia di metri dall'hotel. Faccio due chiacchiere con la receptionist gentile, che mi offre un caffè con latte condensato e una banana, e mi racconta che anche lei ha dei tatuaggi ma non in parti visibili, perchè, per il lavoro che fa, non sarebbero accettati. Esco e faccio due passi in questa Hanoi così addobbata, e mi stupisce davvero percepire un senso di unità e appartenenza, orgoglio patriottico e consapevolezza storica da parte dei tanti vietnamiti giunti qui per le celebrazioni. Da noi riusciamo ancora a far fazioni e darci addosso pure per un 25 aprile, e scommetto che tanti italiani non sappiano esattamente cosa si festeggi il 2 giugno...
Lo studio, in pieno centro storico della Old Town, occupa tre piani di uno stabile alto e stretto, incastrato tra ristorantini e locali per turisti. Ha i muri tutti decorati, ma all'interno è estremamente pulito e ordinato, e, dove si tatua, ogni cosa è avvolta nella pellicola trasparente e sterile. Entro alle 9.30. Uscirò alle 19. Tra conoscenza dello staff e dell'artista, realizzazione dello stencil definitivo, tatuaggio vero e proprio e pause, la giornata vola via. Mi offrono di continuo snack, panini, aranciate e succhi di frutta, nel tentativo di mettermi a mio agio. Sono tutti molto apprensivi e si prendono cura di ogni passaggio del lavoro. Questo, e la bellezza del risultato, compensano il male che fa avere aghi conficcati nelle parti molli del collo e della gola per così tante ore, passate in posizioni fatali per chi, come me, soffre di cervicale. Ma alla fine è una tale figata!!!
Dopo aver fatto impazzire il tatuatore per fare qualcosa di simmetrico su un corpo come il mio che è tutto storto a livello di spalle, schiena e collo, con i naga più pazzeschi del mondo in bella vista, me ne esco in una rossa Hanoi già illuminata; prendo un piatto di spaghetti di riso con frutta secca e olio piccante da mangiare in camera, incappo in un acquazzone che mi infradicia completamente, e finisco così la giornata,
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Il giorno successivo, sabato, devo cambiare hotel, e recarmi in quello dove ero stata i primi giorni, a giugno, dove mi hanno custodito gli scatoloni. Faccio check out e lascio bici e bagagli nella hall del primo albergo; la gentilissima receptionist, in cambio, mi chiede una recensione positiva sui vari social, specificando il suo nome "così mi rinnovano il contratto". Non è la prima volta qui ad Hanoi che mi viene detto. Tante sono le falci, tanti i martelli, ma la concorrenza spietata del capitalismo è di casa. Dedico la mattinata a girare per il centro e per mercati, coperti e non. Ci sono in giro folle oceaniche ed è molto più interessante assistere allo spettacolo umano di questi giorni id festa, che non chiudersi in qualche museo.
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lavare i piatti e le padelle del ristorante sul tombino |
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mercati coperti |
Intorno al Lago della Spada restituita iniziano ad aprire stand di prodotti vietnamiti che regalano campioncini e assaggi, e attirano famiglie e gruppi e soprattutto volpi. Caffè freddo gratis? Eccomi qua. Incontro anche Tom, novenne dalla parlantina sciolta che viene portato in giro dal padre, timidissimo e orgoglioso, a far pratica di inglese con gli stranieri. Mi bracca esattamente sulla stessa panchina dove, a inizio viaggio, ero stata approcciata dai due fratellini con lo stesso obiettivo. Tom prima mi mette alla prova con battute su Hitler e il nazismo, poi mi fa mille domande sull'Europa e sull'Italia, poi parla male dei francesi (giustamente), per quel che hanno fatto nelle colonie d'Indocina. Conclude quindi con una serie di frasi che lo fanno sembrare molto, ma molto più grande dell'età che ha: "La storia fa paura, è piena di orrore e tragedie", "Alla base dei rapporti umani c'è la voglia di sfruttare gli altri e trattarli come schiavi"; quando il padre, che è seduto a breve distanza, gli chiede se voglia un involtino di riso, risponde, a me prima che a lui: "Ora non voglio mangiare, ma ciò non significa che io non abbia fame. Ogni cosa ha il suo momento adatto e ora stiamo conversando".
In attesa delle 14, ora in cui potrò trasferirmi nell'altro hotel, decido di tagliarmi i capelli (l'ultima volta è successo proprio qui ad Hanoi due mesi fa). Mi reco dal più vicino barbiere, che è casualmente accanto allo studio di tatuaggi dove ieri ho trascorso l'intera giornata. Scopro che con 4 euro ti lavano e tagliano i capelli, con 6 hai diritto anche a mezz'ora di massaggi alla testa e al viso. Vada per i 6 euro. Dopo il trattamento meravigliosamente rilassante, mi accomodo sulle poltrone in attesa del taglio. Ma si presenta un altro barbiere che mi dice di andare con lui, in uno studio associato, dove c'è meno coda. Quindi, con i capelli fradici e la mollezza del relax, mi carico in motorino (senza casco ovviamente) e sfrecciamo nel traffico folle fino all'altro negozio, che è fortunatamente a pochi passi dall'hotel dove ho lasciato bici e bagagli. Il parrucchiere passa il tempo a offrirmi birra e a far battute su come loro vietnamiti sembrino più giovani dell'età che hanno (anche se poi anticipano i tempi e a 30 anni hanno già 10 anni di matrimonio sulle spalle e 4-5 figli). Il taglio viene talmente bene che poi mi fa un intero servizio fotografico in una saletta adibita a studio, mi regala un ventaglio e mi chiede ovviamente la recensione positiva.
Due ore dopo sono nell'hotel nuovo, a piangere sulla consapevolezza che i miei bei cartoni, su cui tanto facevo affidamento, non ci sono più. I ragazzi dello staff mi spiegano che poche ore fa li hanno recuperati per farmeli trovare pronti ma si sono accorti che si erano bagnati per gli allagamenti del tifone ed erano marciti. Me ne hanno recuperati altri, ma piccoli. 5 scatoli. Oh, no! Che tristesse. Mi metto subito a brigare per tagliare e incollare insieme quel che c'è, in modo che, se proprio dovessi capire che non bastano o non ce ne si cava nulla, io abbia tempo domani di trovare alternative creative. Qui ad Hanoi centro, infatti, negozi di bici con scatoloni non ce ne sono, e in questi giorni di festa men che mai. Brigo, taglio e incollo, e poi esco di corsa a comprare uno scatolone per le borse, nastro adesivo e 4 sacchi di plastica telata che tengano insieme il mostruoso imballaggio che ho creato intorno alla bici come un Frankenstein qualsiasi.
Il risultato finale è brutto in modo disturbante, il pacco sembra un cadavere, una cara salma, una mummia trafugata. Però pare funzionale e solido. All'arrivo in Italia vedremo.
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c'è una via dove si vendono solo materiali da imballaggio |
Domenica, l'ultimo giorno intero in Vietnam, mi godo tutte le attività, i concerti e il generico casino colorato del centro. Partecipo ai giochi degli stand della fiera, vinco gadget e assaggi, mi mescolo ai local e respiro l'aria della festa. E' anche giorno di shopping, per acquistare qualche souvenir da regalare, al ritorno. Oggi un po' mi pesa la consapevolezza che me ne sto andando. Che devo lasciare questa vivacità, questi colori, questo popolo che ancora resiste all'egoismo, alla solitudine e all'atomizzazione della società, e che ha ancora un senso fortissimo di comunità, condivisione e appartenenza a qualcosa di cui l'individuo è parte non centro. Di questo modo di intendere la società, così diverso dal nostro, avrò modo di parlare dopo un'elaborazione più profonda e sedimentata. Ma ne ho già chiara consapevolezza ora.
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street-barbiere |
Lunedì parto. Il taxi grande, prenotato in hotel, riesce a fare lo slalom tra strade chiuse per la parata militare e traffico terribile, e mi lascia al terminal dei voli internazionali con il cadauere e i pochi averi che mi hanno accompagnata in questo viaggio. Tornano intatte le medicine e mai usati i ricambi per la bici, e questo è il meglio che potessi augurarmi. Il grosso del bagaglio che riporto a casa non è in queste scatole, ma sulla pelle e sotto, tra le costole e dietro le palpebre. Ciao Vietnam, è stato un piacere. Salutami i tuoi vicini Cambogia e Laos. Su queste strade ho sepolto tanti palpiti puri, che son già fioriti i ricordi indelebili. Grazie.