martedì 26 giugno 2018

0. TEHERAN. Mano sul cuore, pietra antica, luci e ombre di un altro mondo




Eccoci qua, pronti per la vera partenza, quella in sella.
Questi primi due giorni a Teheran sono stati necessari per acclimatarsi all’ambiente, alla cultura, ai profumi e alle luci. Al velo. Ad un altro dei mondi possibili, ad un’umanità che brulica sopra alle pietre levigate da diecimila anni di storia.

In God we trust sugli specchi della camera d'albergo


Andiamo con ordine.
Raymond ed io ci siamo trovati all’aeroporto di Orio, armati di scatoloni biciferi e voglia di partire. 




Salutati i genitori, è stato un attimo volare su Istanbul, giusta porta per chi va ad oriente, e poi alla capitale iraniana. Prima di scendere dall’aereo ho indossati i bragaloni, che già di norma porto, quindi nema problema, una maglia a manica lunga e dalla lunga storia, XL, che mi fa da vestito, e l’hijab, o presunto tale, cioè il velo. Sapendo di non saperlo indossare come si deve, mi sono fatta rasare la capa come un monachello buddista, così che non mi si possa dire “Sorella, pecchi d’indecenza: una ciocca sfugge alla censura!”.




Siamo arrivati alle 3.30 di notte ma l’aeroporto era tutt’altro che addormentato: le nostre bici erano già pronte ad attenderci e gli addetti, gentilissimi, ci hanno aiutati a caricarle e scaricarle su e giù dal carrellino per tutti i controlli e le formalità. Il visto, di 30 giorni, è piaciuto alla guardia, le porte scorrevoli si sono aperte e… Iran! Caldo, umido, profumo di pane, odore di dopobarba e sudore, ombre di donne sotto stoffe sgargianti, uomini baffuti in camicia.
Appena raggiunto l’ingresso dell’aeroporto siamo stati avvicinati da un numero inquietante di loschi figuri: hey, turisti, vi serve cambiare valuta? Serve SIM card? Serve taxi? Serve qualunque cosa -basta che ci diate un po’ di euro? Un po’ il non aver dormito, un po’ il fuso (2.5 ore, neanche chissà che), un po’ la capacità di questi omini di stordirti con mezzi inchini, mano sul cuore, parole in otto lingue diverse… Non ci stava a capi’ na mazza. Tenete conto che ci sono due ulteriori problemi da non sottovalutare: primo, non solo le lettere, ma anche i numeri sono scritti in farsi, o persiano, la lingua locale, e paron culetti e sgorbierelli. Secondo, in Iran ci sono due valute: quella ufficiale, il Riyal (1 euro vale tra i 50.000 e gli 80.000 riyal) e il Toman, che corrisponde a 10 Riyal (sicchè 1 euro è 5.000-8000 toman). Le monete non ci sono, solo banconote, e solo Riyal; però gli iraniani, quando indicano o scrivono i prezzi (soprattutto per grosse cifre), tendono furbescamente a non specificare quale delle due valute intendono. Anche in banca! E questo dà agio, se c’è cattiva intenzione, di tirar scemo il turista occidentale allocco, di imbesuirlo e farsi dare cifre con uno zero in più. Che rubare è peccato e si tagliavano le mani per questo, ma portare a casa il pane raggirando l’europeo tardo e distratto, no.
Fatto è che comunque un primo tot di soldi lo si è cambiato così, brevi manu, al nero, nascosti dietro gli scatoloni delle bici. Non prima di aver chiesto conferma e benedizione ad un annoiato impiegato del regolare ufficio cambio dell’aeroporto. Cambio molto favorevole per noi, tra l’altro: in questi giorni in Iran si sta aggravando la crisi economica e l’inflazione galoppa, ci sono proteste per le strade e i commercianti spesso aprono i negozi solo per poche ore. Quindi tutti cercano di mettere le proprie manine appiccicose su valuta estera, soprattutto euro e dollari. Perché gli americani fanno schifo, ma la loro moneta no.



Dopodichè si è tentato, nell’ordine, di comprare una Sim e chiamare l’autista dell’albergo, ma né l’una né l’altra cosa sono state possibili: dopo esser stati avvicinati da mille omini che volevano ancora cambiarci soldi o darci Sim “poco usate”, siamo passati al numero largo di presunti taxisti, uno dei quali ha pure fatto finta di chiamare per noi l’hotel, o forse l’ha chiamato davvero e dall’hotel gli hanno dato l’ok, perché qui pare che una mano lavi l’altra e via così. La cosa bella è che l’auto di questo taxista era piccola, troppo piccola per portare due persone e due bici smontate; ma nessun problema! Tutto si risolve, in qualche modo, da queste parti. Si respira nell’aria quell’arte di arrangiarsi che mi piace tanto. E via di corde ed elastici per assicurare gli scatoloni sul tetto dell’auto.




 Fuori le prime luci d’azzurro polvere sui tetti di Teheran, ad illuminare la sagoma dormiente dei monti Elburz, che abbraccia l’orizzonte della città. Dall’altra parte c’è il deserto sterile, kavir. Nonostante l’ora e 1200 metri cui sorge la città, caldo. Si parte, in auto, verso l’hotel centralissimo prenotato da Raymond. Il traffico non è congestionato ma caotico, con motorini strombazzanti, birocci, auto vecchie e scassate o nuovissime e tamarre. Per fortuna pare che qui ci sia differenza tra strada e autostrada, sicchè in bici non dovremmo incappare in quel misto unico intasato di tir che c’era in Russia (ultime parole famose?!). La periferia è enorme, non a caso stiamo parlando della più grande città dell’Iran, dove si concentra la stragrande maggioranza delle attività economiche. Il boom demografico si è registrato sia quando è diventata capitale, nel 1786, sia nel 1974, con l’aumento dei prezzi del petrolio. Mentre guardo il cielo farsi sempre più chiaro ci addentriamo nelle vie del centro, fino ad arrivare in hotel. L’autista ci fa parlare intanto con un suo amico che vuole venire a “conoscerci” di lì a poche ore per cambiare altri euro in Riyal. Intanto prendiamo possesso delle camere, nonostante sia prestissimo, e piazziamo le bici in un ripostiglio pieno di bandiere. Ci dicono che ci offrono la colazione nonostante non si sia pagata la notte. Il ragazzo della reception, sosia di Paolo Ruffini ma in versione persiana, mi chiede cosa significhino “nihil” e “chaos”, i tatuaggi che ho sulle mani. Tento di spiegarglielo ma ci separa un mondo e lui resta confuso, benchè affascinato. E questa è l’ultima cosa che ricordo prima di crollare nel letto, per ben tre larghe, upime ore di sonno.
Sveglia, il sole è già altissimo, caldissimo, implacabile. Scendiamo a far colazione e ci viene presentato un tè con lavash (il pane – foglio di carta che ho mangiato già tante volte in russia), miele, marmellata, datteri dolcissimi, pomodori e cetrioli, formaggetto, burro, halva -che ormai trovo ovunque nei miei viaggi (dai Balcani alla Siberia, fin qui). Buona questa cucina persiana (tapparella, imposta –ma scelta)!





Nemmeno il tempo di bere il tè che ci chiamano dalla reception: “Il vostro amico è arrivato”.
E chi è? Ah! Il cambiavalute della Banda Bassotti, che si presenta come Reza, grassoccio, strizzato in una camicia sudatissima ma sempre affabilissimo. Con lui l’autista, che assiste a tutta la transazione. Cambiamo una discreta cifra e ci lascia una borsa piena di Riyal, tutti in tagli piccoli, roba da veri malavitosi. Ci lascia il suo numero, che abbiamo usato il giorno successivo, cioè oggi, per cambiare un altro po’ prima di lasciare Teheran. In realtà ieri, sbagliando a contare, credevamo ci avesse truffati con il gioco dei Toman, quindi lo abbiamo chiamato per tentare di farci ridare i soldi. Poi Raymond, ricontando tutto, si è reso conto che non ci aveva affatto truffati, anzi, aveva tenuto un cambio molto buono per noi, quindi quella che doveva essere una sorta di incontro-minaccia-non ti alzi di qui finchè non ridai ciò che ci devi è diventata una pacifica e rilassata ulteriore transazione. “reza per servirvi, 24/7, per qualunque cosa”. E bene così.

Ma torniamo a ieri.

Dopo queste faccende di natura pratica s’è deciso di iniziare a visitare la città.

Breve parentesi storica per capire meglio (grazie Wikipedia!) corredata di foto esplicative. 

Teheran nasce come insediamento per sfuggire al caldo che trasforma, d’estate, il sud in una piana rovente dove la sabbia vetrifica; poi, piano piano, è diventata un centro importante per i commerci, e così è citata dalle fonti intorno al XI-XII secolo; si coltivavano frutta e verdura per il clima più mite e la presenza di acqua.
Dopo la distruzione di Ray, città storica poco distante, da parte dei Mongoli, nel 1228, Teheran acquista importanza, accogliendo i superstiti con i suoi giardini e canali di irrigazione. Nel XIV secolo la popolazione e i commerci crescono, come testimonia anche  don Ruy Gonzáles de Clavijo, un ambasciatore castigliano, primo europeo a visitare Teheran, soggiornando nel 1404, durante un viaggio verso Samarcanda (allora capitale mongola). La descrisse come una grande città con una residenza reale. A partire dal periodo timuride (quello turco-mongolo di Tamerlano, dal 1370), la città di Teheran inizia a svilupparsi a nord. Shah Tahmasp I, secondo sovrano della dinastia dei Safavidi, fece costruire tra il 1553 e il 1554 un bazar e una cinta muraria con 114 torri (a seconda del numero di sure del Corano). La scelta dei Safavidi ricadde su Teheran per molteplici ragioni: il fatto che un antenato dei Safavidi, Sayyed Hamza fosse stato sepolto a Ray, e che Teheran per diversi secoli fosse stato un rifugio per gli sciiti sono stati sicuramente elementi importanti, ma furono soprattutto situazioni storiche che portarono alla fortificazione della città. Shah Tahmasp era stato costretto a spostare la sua capitale da Tabriz a Qazvin a causa della minaccia ottomana. La città fortificata di Teheran, 150 km ad est di Qazvin, quindi, forniva un rifugio in caso di pericolo. Durante l'epoca safavide, Teheran era il centro amministrativo regionale, tuttavia, la città non disponeva né di moschee, ne altri elementi di urbanizzazione dei Safavidi. Shah Abbas II risiederà un paio di volte a Teheran, facendosi costruire una residenza, mentre Shāh Suleymān fece erigere un segretariato imperiale nel centro della città. Fu in questo luogo che l'ambasciatore del sultano ottomano Ahmet III incontrò nel 1721 lo Shah Huseyn, ultimo sovrano della dinastia Safavide prima dell'invasione dell'Afghanistan. Alla fine del XVIII secolo, Teheran non era più una piccola città di provincia, ma aveva già guadagnato importanza per i governanti persiani. Nel 1722 le truppe di Mir Mahmoud Hotaki invasero Esfahan e tutta la Persia entrò in un periodo di disordini, che colpì anche Teheran e la sua regione. Sotto la dinastia Zand, Teheran divenne un centro militare mentre le dinastie Qadjar e Zand lottavano per prendere il potere nel paese. Tra il 1755 e il 1759 Muhammad Karim Khan volle fare di Teheran la capitale del paese, e fece costruire degli edifici entro le mura cittadine. Il quartiere reale acquisì tutte le caratteristiche dell'Arg, quartiere reale fortificato. Infine, Karim Khan preferì porre la capitale a Shiraz. Alla sua morte nel 1779, Teheran viene disputata tra Qafur Khan (fedele agli Zand) e Agha Mohammad Khan Qajar. La città cadde nelle mani di un alleato dei Qajar nel 1785, e Agha Mohammad Khan Qajar, il primo re della dinastia, entra in città nel 1786 e ne fa la sua capitale. Lo status di capitale della Persia era conseguente ad una preoccupazione di tipo geostrategico: con i russi a minacciare il confine settentrionale e i turkmeni nel nord-est, Teheran godeva di una posizione privilegiata, al crocevia tra est ed ovest, ai piedi degli Elburz e lungo le strade che portavano alle oasi della Persia centrale e ai bacini di Fars. Fath Ali Shah (1797-1834) è il principale costruttore di Teheran. Abbellisce l'Arg, e fa costruire l'Emarat Bādgir e il Takht-e Marmar (trono di marmo) all'interno. 




Costruì molti altri importanti edifici, palazzi e moschee. 
























La città attira un numero sempre maggiore di abitanti e la popolazione raddoppia in 20 anni. Tuttavia, nel 1834, alla fine del suo regno, molte costruzioni non sono ancora completate. Sotto Muhammad Shah Qajar (1834-1848) hanno luogo le prime edificazioni al di fuori delle mura. Le residenze reali sono costruite nel nord della città. Nasser al-Din Shah Qajar (1848-1896) fa diventare realmente Teheran da capoluogo di provincia a capitale.





















Con l'avvento al potere di Shah Reza Pahlavi nel 1925, lo Stato diventa un attore importante nell'architettura di Teheran, dove la modernizzazione è una parte integrante del programma voluta dal nuovo re per il suo paese. Le mura costruite da Shah Nasseredin vengono distrutte nel 1932 e sostituite da ampi viali rettilinei. Una sola delle porte rimane. Lo Shah Reza fa appello ad architetti stranieri e iraniani per la costruzione di molti edifici durante gli anni 1930. Liceo, musei, gallerie, università, poste, uffici di polizia, palazzi di governo… Le nuove strade della città consentono il traffico veicolare e trasformano il tessuto urbano.

















 Nel 1943 la città ospita la conferenza di Teheran, in cui si riuniscono Roosevelt, Stalin e Churchill. Questa conferenza prefigura le decisioni che saranno prese alla Conferenza di Jalta. Essa garantirà l'indipendenza e l'integrità territoriale del paese (che no era schierato ma manifestava simpatia per i nazisti). La città si sviluppa fortemente dopo la Seconda guerra mondiale, in particolare a partire dagli anni ‘60. Nel 1966 la famiglia reale abbandona il distretto centrale di Teheran per spostarsi a Niavaran.








Seguendo la tendenza iniziata nel XIX secolo, la parte sud continuò ad accogliere le classi più povere, la parte nord quelle più ricche, la parte orientale le classi medie. La zona industriale di Karaj si sviluppò molto rapidamente lungo la prima autostrada costruita in Iran. L'espansione economica che seguì il boom petrolifero del 1974 accelerò lo sviluppo urbano. Durante il periodo della rivoluzione iraniana si espansero ulteriormente le periferie, anche con la costruzione di nuove abitazioni senza licenza, o edificazioni su terreni acquistati senza formalità. Questa è l'ambasciata americana dove furono presi in ostaggio i funzionari; non mancano pannelli e graffiti che enumerano i crimini statunitensi e confermano fieramente tutto quel che è stato fatto.






Nel 1985 Teheran venne colpita per la prima volta dall'inizio della guerra tra Iran e Iraq. Altri attacchi avvennero nel 1988. 





Chiusa parentesi.


Per visitare la città, oltre a perderci tra vie e vicoletti, negozi, botteghe e botteghine, abbiamo individuato alcuni “imperdibili”: il quartiere moderno voluto dallo shah Reza Palhavi ad imitazione delle città occidentali, che ospitava uffici, stazione di polizia, quartieri cosacchi, ambasciate, biblioteca e musei. Qui di notevole ci sono gli edifici e la porta d’ingresso, oltre al museo di storia nazionale dell’Iran, l’unico da noi visitato.



ricostruzione 3D di donna morta 7000 anni fa (vedi foto sotto)... Velata!








statua di Dario I con stile e basamento egiziani, e scritte in geroglifico






uno di quei Parti da quelle parti in cui hanno ucciso Crasso

uomo con barba e capello fluenti, risalente al III secolo d.C., trovato stecchito ma parruccato in miniere di sale



Due chicche: lavoretti di bambini che hanno plasmato un falcone egizio e il busto dell'imperatore Adriano




Altra cosa da vedere è il palazzo del Golestan, residenza settecentesca degli Shah, e il bazaar, un labirinto di umanità e merci, luci, ombre, odori e voci che si estende tortuoso per kilometri (almeno dieci per lato ci hanno detto).












Va visitato al mattino. In questi giorni, comunque, molti negozi sono chiusi: tasse e inflazione stanno portando malcontento, al punto che ieri si è anche svolto uno sciopero con corteo e manifestanti (e polizia, ma senza scontri, anzi, tutto è stato molto pacifico). A spiegarci questa situazione sono stati un iraniano che ha studiato francese e si è messo a conversare con Raymond in pieno bazaar 




e Hossein, venditore di tappeti, che ci ha ospitati nel suo negozio, ci ha mostrato tutta la sua merce (ogni tipo di tappeto ha un nome diverso, ma tutti sono affascinanti, polverosi e costosissimi) e ha voluto il mio numero di telefono. Gli abbiamo spiegato che siamo in bici e non possiamo acquistare nulla, e quindi ha detto che mi avrebbe mandato le foto dei tappeti: se interessata, mando indirizzo e lui spedisce. Ci ha offerto dell’acqua (preziosa), mi ha riempito lo zaino di caramelle e ci ha fatto da guida per un po’.








Sono persone gentili e terribilmente educate, benchè la prima domanda sia sempre: in che relazione siete voi due promiscui europei? E la seconda, a me: quanti anni hai? Sei sposata?
Fun fact: poco dopo aver acquistato la sim iraniana ho iniziato a ricevere foto soft porn da numero iraniano sconosciuto, con messaggi in farsi. Utente bloccato e passa la paura… Ma come è possibile? Ho attivato il nuovo numero in un negozio, e nessuno, nemmeno il commerciante, ne aveva preso nota!











Quanto al cibo, nulla da dire: si mangiano principalmente riso (in bianco, con verdure, carne, zafferano) e kebab, cioè carne di vario tipo arrosto con salsine miste, speziate ma non piccanti. Gli standard igienici paiono decisamente buoni; ovviamente ci sono anche i luridi, gli zozzi e superlerci per strada, per terra e ovunque, con carrettini e sacchetti, buste e bidoni piene di cibo e liquidi non ancora identificati. Ma li lasciamo lì, che la salmonella s’è già sperimentata in Grecia e tanto basta.








Abbiamo già rimontato le bici, giunte senza danni, e domani si parte davvero. In due giorni saremo a Qom, seconda città santa dell’Iran, cuore della Rivoluzione e residenza dell’Imam Khomeini. Poi si muove a sud, versa l’antica città mercantile di Kashan e la bellissima Esfahan, dove arriveremo il 1 luglio e faremo una sosta da turisti. 



2 commenti:

  1. Gli occhi non basteranno per trattenere tutti i colori e i volti e le nuvole del cielo d'Oriente. Le mani non basteranno per carezzare la sabbia e le stoffe e i palazzi. Le orecchie non basteranno per le voci dei muezzin e il silenzio del deserto e i versi degli animali che ti guarderanno curiosi lungo la strada. Il cuore, solo il cuore riuscirà a trattenere ogni emozione. Allora tornerai con un grande tesoro, un tesoro da condividere con tutti. Ciò volpe, che il vento ti carezzi sempre le spalle.

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