mercoledì 29 luglio 2020

25-26. Siauliai, volpi d'acciaio e la Collina delle croci. Lettonia, eccoci!






28/7/20
giorno 25
Kaunas-Siauliai
155km

Oggi tappissima lunghissima e agile, benedetta dal dio del sole e del vento buono, dal dio dell'asfalto liscio e da quello del traffico quasi inesistente. Perchè qui tutto è pieno di dei, e se esistono quelli dei crocicchi e dei boschi, allora esisteranno pure quelli sopra citati, cui siamo devoti.

Siamo partiti con calma da Kaunas, quasi pigramente, in un sole morbido che rendeva sfumati i contorni e addolciva gli spigoli. Avevamo intenzione, di base, di fare una tappa non enorme, di poco più di 100km, perchè poi non ci sarebbe stato più nulla per fermarsi fino a Siauliai, oltre 150km da Kaunas. Ed è sempre bene non essere hybristes, tracotanti, arroganti, come insegnano gli antichi. Perchè poi un dio punisce e abbatte il superbo, umilia l'eccesso. Infatti noi abbiamo volato basso, siamo stati schisci nei progetti e nelle intenzioni, e abbiamo avuto fortuna.
Che poi il sale del viaggio è proprio questo equilibrio mobile tra progetti grandi e capacità di pensare in piccolo. Sognare migliaia di kilometri, immaginare mete lontane e altri mondi, e poi adeguarsi metro dopo metro a ciò che la strada offre, nel bene e nel male.

Dunque, dicevo, siamo partiti con calma da Kaunas che era già piena mattina. Come sempre la prima fatica è stata richiudere le borse con la mutanda ritrovata, poi portare giù per le scale i bagagli, e le bici, e noi stessi. E infine caricare tutto e partire.
Siamo tornati verso il centro e ci siamo lasciati, con un ultimo saluto, il castello e le torri. Poi via sul ponte oltre il fiume Neris




e ad affrontare la periferia industriale della città. Bruttina e squallida come si può immaginare, e trafficata di traffico pesante, puzzolente, grigio, nervoso. Ma poi, mano a mano che ci si lasciano alle spalle gli ecomostri ex sovietici, si incrociano quartieri nuovi e più freschi, con cantieri aperti, casette in costruzione e persino qualcosa che assomiglia a parchi e piste ciclabili. Qualcosa di umano e vivibile, qualcosa di nuovo.






In breve arriviamo a superare anche il Nevezis, affluente del Nemunas. In lontananza si staglia la sagoma chiara della fortezza di Raudonvaris.




Poi iniziano i campi, e le praterie. Le distese di fieno profumatissimo, di spighe mature e di terra fertile. Per tutto il giorno sarà questo paesaggio ad accompagnarci e a sfilarci ai bordi del campo visivo, ora luminoso e fulgido sotto i raggi del sole, ora scuro e spento sotto a nuvole di passaggio.





Il traffico si dissolve all'improvviso e si fa silenzio. Un silenzio grande, di vento che sussurra nelle orecchie e rondini che garriscono nei loro voli bassi. Sfioriamo una grande riserva naturale, fatta di paludi, minuscoli laghi, betulle e conifere.
E poi di nuovo distese di campi, frumento, orzo, raro mais e patate, spinaci a perdita d'occhio ed erba da pascolo. Di mucche nei prati ce ne sono tante, di ogni dimensione e colore, qualche volta cavalli e capre. Sempre sotto lo sguardo attento delle cicogne, che son sempre numerose e qui tutt'altro che timide. Restano a bordo strada anche quando passiamo vicini, e ci scrutano con aria serissima. Sembrano fatte di gomma, come quei polli che fischiano se li si schiaccia. Magari pure queste cicogne hanno un fischietto nel culo, chissà.


Passiamo una serie infinita di microscopici villaggi: due, tre casette in legno con il tetto di eternit, tutte storte e mangiate dal muschio. Molte sono abbandonate, molte sembrano tali, ma le tendine bianche e pulite e i vasi di fiori alle finestre raccontano un'altra storia.
Una storia di Europa che sì, è tale e la storia ce lo insegna, forse ancor prima della geografia. Ma Europa dove molte abitazioni non hanno il bagno in casa, ma ancora in cortile, ed è un buco in terra. Europa senza allacciamento del gas, con l'acqua e la corrente elettrica forse. Europa che prova a crescere e a lasciarsi il passato recente alle spalle, ma non sempre ci riesce. Non per tutti, più che altro.


Questo, rispetto a Kaunas, sembra un altro mondo.
E' un altro mondo.
E non basta la strada asfaltata di fresco ad appianare la differenza tra chi vive qui e chi vive in città. Certo è un primo passo, ma non sufficit.

Alcune case sono state ristrutturate, e rese graziose, abbellite, ridipinte





altre invece son proprio cadenti, catapecchie che non rispettano alcuno standard igienico e di sicurezza. Dalle foto non si coglie la situazione. Ma tant'è. Sembra la Russia, solo che non siamo (più) in Russia.






Tra paesini, laghi, laghetti e boschi, campi e strade deserte,

 





 


raggiungiamo Betygala e, attratti dalla chiesa, decidiamo di fare qui la sosta di metà giornata. Fa ben 488 abitanti quindi è una metropoli, da queste parti.
Nel XIII e XIV secolo fu avamposto e fortezza contro i Cavalieri teutonici e qui fu costruita una delle prime chiese cristiane di Lituania.

Oltre alle belle casette un po' meno storte delle altre


c'è l'immancabile statua di Vytatuas



la biblioteca/ casa della cultura





e la chiesa con il suo campanile, che tante sorti ha vissuto, di decadenza e splendore.




Ci fermiamo a mangiare un po' di frutta nel parco al centro del paese, che è pure dotato di bagno pubblico, segnalato da cartelli, tanto ne sono orgogliosi.


Trattasi della classica turca alla russa/cantrasiatica. Na ulitsa. Però in muratura. Questa è la civiltà.




Riprendiamo la marcia, dopo aver deciso che forse forse, se la strada rimane così, e il cielo non cambia idea, ed Eolo continua a sostenere la nostra causa, forse forse, possiamo osare il tappone da 150 e passa kilometri. Ho già individuato un ostello a Siauliai che a il caso nostro, 20 euro per una tripla e passa la paura. Sta proprio nella periferia sud, da dove arriviamo noi, per non esagerare con le distanze.

Ci fermiamo a fotografare le fermate dell'autobus in mezzo al nulla, proprio come in Russia. Servono le case sparse qui attorno, che vicine non sono. Ci si fa a piedi anche 2-3km per prendere la corsa. E se d'estate può essere una piacevole passeggiata agreste, d'inverno, con la neve e il ghiaccio, il fango e diversi gradi sottozero, bello non deve essere affatto.


ci imbattiamo anche nella città natale del poeta Maironis, pseudonimo di Maciulis, nato qui, a Pasandravys, nel 1862, e morto a Kaunas nel 1932. Ieri abbiamo visto la sua tomba infatti. Presbitero, scrittore, professore universitario e araldo del risorgimento della nazione, è considerato uno dei maggiori poeti nazionali e il suo bel faccione stava anche sulle banconote dei litas, prima che entrasse in vigore l'Euro.


Poi casette e campi ancora, e un sole caldo ma non troppo che ci accarezza, nell'assoluto, sacro silenzio di questa zolla fertile di terra umida.




 

Imbocchiamo i 5km di ciclabile più nuova di Lituania e più inutile del globo. Qui passa un'automobile ogni 27 anni e un trattore ogni lustro, cui prodest quest'opera? Noi, ligi e rispettosi, comunque la percorriamo, per non invadere la carreggiata. Per un senso nostro delle cose, per un ordine e una legge degli spazi organizzati, più che altro.



Lasciamo la contea di Kaunas ed entriamo in quella di Sialuiai. Ci accoglie il parco naturale della regione di Tytuvenai, per il quale passa pure il cammino di Santiago locale, segnalato dalla nota conchiglia e da sculture inquietanti di diavoloni e mietitrici che emergono dalla roccia viva.



In un volo siamo a Tytuvenai, la città ultima oltre la quale ci aspetta la tappissima. Fermarsi ora o tirare altri 40km. Decidiamo per la seconda, e approfittiamo delle condizioni perfette di tutto, meteo vento strada, per portarci avanti.
Passiamo davanti al monastero cinquecentesco, iniziato in periodo di controriforma e finanziato dal tesoriere del granduca. Negli anni '20 questa città, incastonata tra laghi, fiumi e foreste, era meta di villeggiatura.
Non si è salvata tuttavia dalle nefandezze dei nazisti, che hanno massacrato tutti i numerosi ebrei che vivenao qui di agricoltura e piccoli commerci. Dopo averli radunati nella sinagoga, li hanno caricati sui camion e portati nella foresta, dove han sparato loro. Gli altri cittadini furono costretti a scavare le fosse e seppellire i cadaveri.




Tra un lago, un bosco e una riserva piena di anime mescolate al fango, arriviamo svelti a Siauliai. 155km e senza nemmeno esser stanchi, e senza che sia affatto tardi.
Ho prenotato su booking un ostello che è proprio una gostinitsa russa, di quelle che costellano la Transiberiana. Posto da camionisti, basic, rozzo e zozzerello come piace a me. Ma con la camera grande, una cucina fornita e l'acqua caldissima in doccia.
Il ragazzo che viene ad aprirci puzza di alcol e parla più russo che lituano. Intravediamo nelle camere accanto le panze molli e tonde dei camionisti, tutti russi. Anche i cartelli e i messaggi appesi alle pareti sono scritti in alfabeto cirillico. Che flash dei viaggi degli anni scorsi.
Il posto sta accanto ad un'officina di auto e camion e lì lasciamo le bici, al sicuro in un garage tra motori e chiavi inglesi.
Nella struttura ci sono distributori automatici di caffè, bibite, dolcetti e tolle di caviale e spratti. Roba sopraffina insomma.





Andiamo a fare la spesa, che consta oggi di numerose prelibatezze tutte lituane (biscotti e brioscine alla marmellata sfusi e venduti al pezzo in sacchetti di plastica; panzerotti ripieni di funghi e bacche, che friggo in una padella bisunta di olii infiniti, esausti e adatti all'officina qui accanto, e zuppa lituana pure, buonissima, di ortaggi e panna).


Domani visiteremo Siauliai, che è la quarta città del paese per popolazione, e ha musei e un bel centro storico, ma soprattutto la collina delle croci.
Ne parleremo a tempo debito.
E poi domani si passa un altro confine! Entriamo in Lettonia, portandoci a ridosso della capitale.
Pensiamo di fermarci a Jelgava, che è interessante e dista un paio d'ore di pedale da Riga, così che per questa città, dove abbiamo previsto una sosta, ci siano quasi due giorni di visita. Perchè, ne son certa, merita.


29/7/20
giorno 26
Siaulpiai-Jelgava
102km

Dopo la nottata di pioggia che ha portato aria fresca, la mattinata si presenta limpida e il cielo lavato e luminoso d'azzurro nuovo.
Oggi ci attende una tappa breve ma intensa, con diversi luoghi da visitare e tanta storia e tante storie da leggere tra le zolle a la pietra.
Siauliai è la quarta città della Lituania per popolazione e viene menzionata per la prima volta in un documento dei cavalieri portaspada, dove si cita la battaglia avvenuta in queste zone nel 1236.
Dopo la battaglia di Tannenberg la città iniziò a svilupparsi e ottenne il diritto di Magdeburgo nel 1589. Nel '600 la chiesa di legno fu sostituita dall'attuale, imponente, in muratura. Dopo un periodo di relativo benessere, vennero le invasioni russe e svedesi del Diluvio, e poi la peste.
Vista la situazione di crisi, i contadini si ribellarono e la città venne riorganizzata secondo canoni urbanistici più moderni; divenne così un centro scolastico e culturale di rilievo, con tanto di industrie e collegamenti ferroviari. Passò in mano russa e fu gravemente danneggiata durante la prima guerra mondiale. Negli anni '20 era la seconda città per numero di abitanti dopo la capitale della neonata Lituania. L'economia però faticava a ripartire, vista l'interruzione dei rapporti con la Russia, mercato principale della città. Così ci fu un'apertura verso Occidente, e ben proficua. Tanta parte della popolazione era ebrea e, quando i nazisti occuparono la città nel '41, una manciata sola sopravvisse.

La città oggi è un tranquillo centro di numerosi interessi turistici, tra musei, negozi e laghetti. Ci portiamo verso il suo cuore e le vie sono ancora assopite nel tiepido del primo mattino.




Passiamo accanto alla statua e alla villa in stile art noveau di Chaim Frenkel, ricco avvoccato e collezionista d'arte. Oggi è un museo, con tanto di grazioso parco.



La via centrale di Siauliai, pedonale e piacevole tra negozi e locali, è purtroppo in piena ristrutturazione. E' letteralmente saltata per aria, ingabbiata tra transenne e pozze di fango, tombini aperti e chiasso di cantiere. Peccato!


Ci portiamo così alla chiesa cattedrale, che dal 1617 resiste nonostante incendi e devastazioni a più riprese in questi quattro secoli.




Accanto sorge il municipio


tra casone orrende


e minuscoli cimiteri


non distanti dalla piazza della meridiana.




La statua dorata di un arciere, posta in cima ad una colonna di 18 metri, segna l'ora più o meno esatta da quando è stata costruita, nel 1986, per i 750 anni dalla fondazione della città.


Ricorda la battaglia del sole, che avvenne da queste parti e l'arciere, saulys, che dà nome al luogo.
Mentre ammiriamo la bella piazza due ragazzine in bici vengono a chiedermi aiuto: a una è caduta la catena, disastro! Ovviamente la aiuto e ammiro la sua intraprendenza e il suo discreto inglese coraggioso.






A breve distanza dalla meridiana si trova un placido laghetto le cui sponde sono condivise da papere assonnate e pescatori ancor più dormienti. Alla faccia del famoso detto che, chi dorme, non piglia pesci, se non con la sonno-lenza.



Qui si trova la statua della Volpe d'acciaio. Che sarei io praticamente.




Questa volpona, 7x25 metri e 7 tonnellate di roba, è simbolo di inventiva e furbizia, ovviamente e commemora il millesimo anniversario della nascita del nome "Lituania". E' qui dal 2009. Dove dovrebbe trovarsi il cuore è collocata una sorta di capsula del tempo per le future generazioni, protetta da strati di acciaio galvanizzato. Una figata galvanizzante, insomma!

Salutiamo il lago tranquillo sapendo che, d'ora in poi, per oggi, di tranquillo ci sarà ben poco. Dobbiamo imboccare l'autostrada, che qui non è vietata alle bici ed è l'unica via che mena a Riga senza deviazioni. Mi è già capitato più volte, in Albania, Russia, Iran e Mongolia... Ma stare nel traffico e tra camion e auto che sfrecciano a 120 all'ora a dieci centimetri dai prosciutti non è mai divertente.






Fortuna vuole che i primi 15km circa siano fiancheggiati da una salvifica lingua di cemento, una micro ciclopedonale che taglia i campi e tien lontani dai bolidi a motore.



Così, pacifici, arriviamo alla seconda meta di visita di oggi: la collina delle croci. Luogo di pellegrinaggio, meta turistica e cuore del cristianesimo pop nazionale, si tratta di una piccola altura su cui son state piantate oltre 400.000 croci di ogni tipo. Grandi e piccole, di legno e di metallo, artistiche o fatte con materiali di recupero, donate da corpi dell'esercito o da bambini delle elementari. O prontamente acquistate nelle botteghine dei mercanti al tempio, appena fuori dal sito. Non si paga il biglietto di ingresso ma il parcheggio, i bagni e tutto il resto sì.





La tradizione popolare di piantare croci in questo luogo sacro è iniziata qualche secolo fa, forse addirittura nel XV. Ma ancora nel 1900 c'erano "solo"130 croci. Poi è diventata simbolo della resistenza lituana e dell'identità nazionale. Infatti, durante l'epoca sovietica, per tre volte le croci della collina furono completamente abbattute con le ruspe per disposizione del regime comunista, ma ogni volta ricomparivano sempre più numerose. Oggi se ne contano più di 400.000.

La Collina delle Croci è stata visitata nel 1993 da papa Giovanni Paolo II e il crocefisso da lui donato è stato posto ai piedi della collina. Questo "cuore della Lituania aperto all'Altissimo",come è stato definito, offre uno scorcio veramente impressionante.








Oltre al colpo d'occhio da selva di croci, a metà tra un fumetto del calvario e un'impressione da girone dantesco, sono interessanti le migliaia di storie, private e non, che queste croci raccontano. Voti, famiglie, delegazioni ufficiali, corpi di eserciti locali e stranieri, lavoretti dei bambini... Nessuna sfumatura umana manca all'appello.






Non starò qui a dire di quanto io sia distante da questo simbolo, da come racchiuda un'ostentazione pornografica del dolore e di come sia stato compiuto il male nel suo nome. Resto convinta del fatto che, fossimo rimasti pagani, ora vivremmo meglio. Nella morale privata soprattutto. Ma qui il discorso è un altro. Qui si parla di resistenza, di libertà.







Mi ha stupito anche vedere decine di croci ormai marcite, distrutte, cadute. E tantissimi cristini in plastica o legno a terra, mescolati al fango, tra pezzi di rosario e schegge. Sic transit gloria mundi. Ma proprio per tutti. Anche quelli che dovrebbero essere al di là della finitudine e del tempo.
Sa dio, davvero, quanto siamo ridicoli, nel dire che colui che ha vinto la morte vive pure nell'effige di plastica che si decompone nel fango.


















scooby doo gesoo

















la croce del papa un po' lacco



Dopo questa selva di croci ripartiamo, e lacroce toccaportarla a noi, ora, per diverse stazioni.
Longa brevis: autostrada strettissima, senza bordo e con asfalto distrutto. Una corsia per parte, traffico importante, soprattutto di camion. Vento laterale bastardo. Camionisti che pur di non rallentare un secondo di sfiorano accelerando.
E' stato un incubo, veramente, una giornata pesantissima.d tensione continua, di bestemmie, di scommessa sulla vita.

L'unico momento di respiro è stato a Joniskis, ultima città lituana. Fondata nel XVI secolo, quando il vescovo di Vilnius venne a convertire i contadini di queste terre, che ancora adoravano Perkunas, il dio del tuono, e i serpenti e il fuoco.
E' un ammasso di stradine impraticabili, di pozze e sabbia, fango e radici, piastrelle sconnesse e buche. Palazzoni urendi tra cui si aggirano volti alienati, troppo magri o troppo gonfi, fiatelle alcoliche e ciabatte con calzino infangato.



Poi c'è il centro, che pare un'altra città, con due chiese, due sinagoghe (per i pochi ebrei sopravvissuti all'Olocausto) e una bella piazza su cui si affacciano case d'epoca.





Ma il sogno dura un palpito e siamo di nuovo in autostrada,con il vento e i camioni e i rosari e la triste  mietitrice che ci pedala accanto, ma non ci raggiunge mai.
Ed eccoci al confine con la Lettonia, finalmente.
Paese per me nuovo (da qui in poi lo saranno tutti, che bello!). Seconda delle tre repubbliche baltiche, di cui domani raggiungeremo la capitale. Sono curiosissima e nutro alte aspettative, che, sono certa, non resteranno deluse.


Foto-testina confinale di rito di Rita e un ciao con la manina alla pattuglia lituana che sonnecchia in auto. Nessun controllo, nessun posto di blocco, si va via lisci come l'olio. A parte la strada mortifera ed Eolo maledetto ovviamente.





Facciamo qualche breve sosta alle fermate del bus, unico slargo dove si può riprendere fiato. Non mi sento più le mani e le braccia sono indolenzite, la schiena bloccata, le gambe legnose. Lo stress ha bruciato ogni goccia oleosa di pazienza e ormai sfanculo tutti quelli che passano.


Fortuna siamo quasi arrivati. Ultimi kilometri fuori dall'autostrada, tra strade a sabbioni e asfalto esploso, ed eccoci finalmente a Jelgava, quarta città lettone per popolazione e antica capitale. Ma della storia di questa zolla di terra parleremo domani, visitando il centro.
Per ora ci fermiamo alla gostinitsa, l'ostello semiperiferico che ho prenotato ieri.
Lo gestisce una sciura dai mille figli biondissimi e tutti incollati alla tv o allo smartphone. E' la sua casa, con la sua cucina e il suo bagno, condivisi con vari ac divorsi ospiti. Una coppia di anziani lituani in vacanza. Una coppia di russi o bielo di mezza età, in viaggio non si sa come Covid nonostante.
Un rumoroso gruppo di operai ucraini, che girano a torno nudo e con le panze da birra ben in vista, e poi si piazzano in cucina a pelare patate e friggere cose.
Insomma, c'è un bel brulicare di vita anche qui. E anche qui il Covid non esiste: niente mascherine, niente distanziamento, nemmeno vecchi cartelli affissi alle porte del supermercato, affollatissimo.

Intorno, casermoni con la data orwelliana  1984



e ciminiere.


In vendita pescetti secchi e spratti, maionese all'aglio e al salame, in busta tipo mozzarella, vodka, birra e biscotti e caramelle sfuse. Inutile dire che pare di essere in Russia, ormai la sensazione è rciorrente, con buona pace dell'indipendenza  e della storia recente.


Domani visiteremo il centro della città e, dopo nemmeno 50km, saremo a Riga. Lì ci fermeremo un giorno, a fare i turisti e bere la meraviglia con gli occhi e la pelle. Poi sarà di nuovo strada, sempre verso nord, ormai quasi alla boa dei 3000km. Ma con calma, e un giro di pedale alla volta. Perchè tutto si tenga.

Nessun commento:

Posta un commento