giovedì 5 agosto 2021

1-2. Islanda pedalanda. L'ultima Thule, vichinghi in bicicletta



 


3 e 4 / 8 / 2021
9 e 51km
Keflavik-Reykjavik

Siamo in Islanda da poco più di 24 ore e già ho imparato alcune semplici ma importanti nozioni di base:

1. la strada è lunga e quasi sempre ha lo stesso colore del cielo; noi invece è meglio essere ben visibili




2. C'è luce a quasi tutte le ore del giorno e della notte; secondo voi questa foto è stata scattata al mattino o alle 23.30? Esatto, la seconda


3. Tutto è estremamente bike-friendly, è pieno di ciclisti, di cicloturisti, di cicloviandanti e ciclodisperati, e persino all'aeroporto c'è uno spazio dedicato a chi arriva e deve montare il mezzo, ma pure l'intero. Dall'abbigliamento potete capire quanto faccia caldo e immaginare quanto poco si sia sofferto lo shock termico, visto che fino a un minuto fa si era a Santa Maria di Leuca e in altri posti poco settentrionali.


4. La terra è nera. E non è terra, ma un misto di roccia e sabbia che deriva dall'ininterrotta attività vulcanica di quest'isola, che è fuoco e ghiaccio. Questa era lava, e nemmeno troppo lontano si vedono sbuffi di geyser confusi alle nuvole. Qui il pianeta è un continuo sobbollire, è un pentolone di minestra infernale, o un sasso con il mal di pancia.



5. Ovunque è pieno di cairn, gli omini di roccia impilata. Nella penombra che finora ci ha accompagnati, con la stanchezza, sembrano veramente persone. E magari nelle brevi notti estive prendono vita davvero, e sono elfi, o nani, o demoni-giganti. Ho letto un po' di cose in merito alla mitologia norrena. E' molto, molto, molto più di quanto pensassi immaginifica e densa di meraviglia antica che sgrana gli occhi difronte al cosmo, grande e terribile. E' un susseguirsi di storie affascinanti che legano la natura al mito e alla religione. I due testi da cui maggiori informazioni si traggono sono gli Edda, in poesia e in prosa, entrambi del XIII secolo, entrambi islandesi. E non manca nemmeno l'audacia di legare le divinità vichinghe agli eroi omerici, pensate un po'!



6. L'asfalto è cosa rara. Anzi, di fatto l'unica strada interamente asfaltata è la cosiddetta "ring road", la 1, ovvero il percorso che corre tutt'attorno all'isola e la cinge come il serpente marino di Midgard, figlio di Loki dio del caos e di una gigantessa, fratello del lupo Fenrir e della dea dei morti Hel, che circonda l'intera terra nel profondo degli abissi, dove Odino lo ha confinato per neutralizzare il suo veleno. Thor più volte si scontra con lui, ma la lotta finale avverrà con il Ragnarok, e la Bestia del mare dell'Apocalisse può solo imparare. Saghe e seghe a parte, basta uscire dalla 1 ed è subito fango, sabbia, sassi, ghiaia, bestemmie.



7. Contrariamente alla mia arida e ignorante aspettativa, ci sono i fiori. Gli alberi no. Infatti le case sono in stile scandinavo ma non in legno, bensì in lamiera. Però ci sono i fiori. Gialli, viola, fucsia. Resistono al clima, al vento, al freddo, e sfacciatamente fioriscono. Qualcuno impollinerà anche, per quanto di insetti non ci si sia che vaga traccia. 




8. Oltre ai fiori, fioriscono anche innumeri papere. Multiformi. Ovunque. Nei cimiteri, nei laghi, in riva al mare. Il mare che è ovunque, specchio d'argento vivo, e soprattutto è nel vento, con il suo odore di alga e salmastro. Ah no? No, non è mica mare questo. E' oceano.





9. Non per altro questa terra, circondata dall'oceano e lontana da tutto, è stata abitata in maniera stabile solo a partire dal IX secolo. I romani forse ci hanno messo piede (sono state trovate delle monete) ma non si sono assolutamente fermati in un luogo tanto inospitale. Gli eremiti irlandesi stavano qualche tempo come prova di fede. Ma solo i vichinghi, popolo del mare, hanno fondato qui insediamenti. A loro si deve, per chi li considerasse bestie incolte, uno dei più antichi parlamenti d'Europa, l'Althing, fondato nel 930 circa. Ancora oggi questo è il nome del parlamento islandese.


E davanti a uno dei simboli di Reykjavik, la Hallgrìmskirkja, si staglia la statua di Eik il rosso, sì, il condottiero normanno che per primo giunse nel continente americano




10. Piove. Bisogna farsene una ragione. Non piove ininterrottamente, non è il girone dei golosi. Ma comunque non passa mezza giornata senza che piova almeno 3 o 4 volte. I vestiti sono umidi, le scarpe sono umide, tutto è impregnato d'acqua, l'aria in primis. Si vive in una boule à neige, per fortuna, in agosto, senza neige. Però siamo attrezzatissimi e nuotiamo pedalando








Ora, in sintesi estrema, una breve cronaca di questi primi giorni islandesi.
Perchè l'Islanda? Perchè ho già visto tutto il resto d'Europa e in giro per il mondo non si può andare. Avrei preferito la Cina, Avrei preferito il Messico e il centro America, ma sono anni così. E chiamalo ripiego. Questa è terra di cicloavventurieri, di orizzonti mozzafiato, di estremi. E quindi sì. Islanda.

Il percorso è stato preparato già da tempo, ma poi la strada si fa e si disfa man mano. In copertina c'è un'idea di traccia. Devo ringraziare tanti viaggiatori di cui ho letto i racconti, in primis Dino Lanzaretti.
Poi, tornati dal "giro d'Italia", abbiamo avuto una settimana per fare tutti i preparativi del caso. Lo scatolone per imballare la bici (trasportato sempre alla speroindio, con bagagliaio chiuso con vecchie camere d'aria.


Signorina Felicita rimessa a nuovo grazie a Mario e Massimo Boglia, con tanto di copertone aggressive per gli sterrati di queste terre selvagge.



Bagagli pronti, inscatolati e trasportati a moccoli fino a Malpensa



dove abbiamo incontrato due altri matti pedalatori della Val di Susa. Mille documenti richiesti. Ansia a pallettoni. Oltre ai minima moralia per imbarcarsi, si sono aggiunti: green pass, certificato di tampone negativo fatto non più di 72 ore prima, preregistrazione su sito apposito del governo islandese. Fetta di culo.


L'aereo ha accumulato più di un'ora di ritardo e questo ha decretato un immediato cambio di programma (in realtà non c'è un programma, o meglio, non c'è una tabella di marcia giornaliera. Troppi sono gli imprevisti, dal vento al maltempo, dalla qualità del fondo della strada alla nostra voglia di macinare kilometri). Niente arrivo a Reykjavik subito questa sera ma sosta da qualche parte.

Sbarchiamo, recuperiamo le bici



e le montiamo alla veloce nel Bike Pit, dove troviamo un ragazzo che deve partire stanotte e ha deciso che dormirà lì dentro. Ci regala anche una bombola del gas per il fornello. La stessa cosa succederà anche altre mille volte nelle successive ore: chi parte vuole liberarsi di una cosa che non può essere imbarcata ma è preziosissima se si vive on the road.


Ci bardiamo con l'invernale, perchè la temperatura non supera i 10 gradi; e nell'aria che sa di mare e novembre iniziamo a pedalare. C'è luce, per fortuna. Ma ci sono anche vento e pioggina fresca. E le gomme sono un po' sgonfie, ahimè, e il manubrio montato male. Insomma, qualche piccola difficoltà si presenta. Inoltre le coperture da MTB danno sensazioni molto diverse rispetto ai Marathon cui sono abituata. Mi sembra di rimbalzare con la bici sulla strada e gestire il peso delle borse (siamo carichi, in tutti i sensi, morale e fisico) non è facilissimo.
Dopo 9km ci fermiamo di fronte ad una montagnola nera dai sassi squadrati che ricorda un po' certi paesaggi irlandesi. Qui due cicloturisti tedeschi, diretti all'aeroporto, si fermano a chiacchierare e ci raccontano la loro esperienza. Sono le 23 circa. Ci dicono che sta arrivando un temporale. E con questa parola poniamo fine ai sogni di gloria e ci fermiamo nel primissimo campeggio che troviamo, proprio lì accanto (Happy campsite). Montiamo le tende giusto in tempo per evitare il piovone, e si testa tutta l'attrezzatura: tenda top, sacco top, materasso top, sonno top.




La mattina dopo ci svegliamo che ancora piove, ma poi con calma smette e subito ne approfittiamo per rivestirci, smontare, chiudere le borse, pagare, farci offrire un caffè alla reception e partire alla volta della capitale.
Come detto sopra, ci appare subito un paesaggio lunare, fatto di lava nera e sbuffi di geyser. Per quanto possibile evitiamo lo stradone asfaltato, finendo impantanati in una serie di offroad su cui testiamo l'assetto delle bici. Le abbiamo risistemate prima di partire e ora sono al loro meglio.



Si incrociano tracce di storia recente. Qui durante la Seconda guerra mondiale hanno avuto base inglesi e poi statunitensi, nonostante un primo tentativo di neutralità. Però l'Islanda ne ha approfittato, nel 1944, per dichiararsi indipendente dalla Danimarca, occupata dalla Germania nazista.




Si prosegue lentamente e con un leggero vento contrario, ma il paesaggio è talmente nuovo e affascinante da distrarre dalla lenta fatica. 


Passiamo una città che nel cartello d'ingresso vanta di essere vichinga, e un'altra che si presenta ufficialmente come dimora di elfi. Sì.


Poi con un colpo di reni finale su salitelle poco simpatiche si arriva all'attrezzatissimo campeggio di Reykjavik. Per la prima volta in vita mia ricevo uno sconto perchè viaggio in bici e sono ecologica; per la prima volta vedo un campeggio enorme con solo un paio di camper e una distesa di centinaia di tendine di avventurieri e sportivi. Che meraviglia!
Doccia, cambio per mimetizzarsi con la fauna locale



e si parte, in bus e poi a piedini, verso il primo museo, il Perlan, che mostra le estreme e selvagge meraviglie di quest'isola: i ghiacci e il fuoco, le aurore boreali e la roccia a picco sull'oceano. 










Dal museo siamo poi scesi attraverso una serie di sentieri e strade 





fino alla Hallgrìmskirkja, altissima e massiccia chiesa luterana. Qui ci sono alberi che fanno semi come i pioppi, ma non sprecano energie a spargere piumini a destra e a manca, tanto che cresce? E così lasciano cadere interi viluppi a terra, con pigrizia e mala grazia.








Questa chiesona, spoglissima dentro rispetto a quelle cattoliche, è stata pensata nel 1937, iniziata nel '45 e finita nell'83. Ha due organi a canne, di cui uno ne vanta 5275. E poi è così gaia da avere la bandiera arcobaleno sulla scala che porta all'altare e tutte le bandierine delle varie sottocomunità LGBTQ+


Da fuori è una supposta missile tassellata.


E, come detto prima, davanti si staglia la figura di Erik.






Scendiamo poi attraverso il centro storico, con le casette di lamiera (e non in legno, pochi alberi qui!)





fino al museo d'arte



e il laghetto Tjornin (con l'umlaut sulla o)









Da lì in un attimo si arriva alla cattedrale luterana, neoclassica, del 1796, eretta dopo la distruzione, causa terremoto, dell'edificio precedente.




La chiesa sorge accanto al parlamento, l'Althing






il quale a suo volta si trova accanto al museo dell'insediamento (vichingo)


e alla cattedrale di Cristo Re. Che è di culto cattolico, neogotica, consacrata nel 1929. Qui si celebrano messe in islandese, polacco, latino e inglese. Nel caso.






Dalle "vie dello shopping" (un po' meste, per il vero), transitiamo in fretta, diretti al porto.


Passiamo dal mercato delle pulci, il più fighetto in cui mi sia mai imbattuta,


e arriviamo così al cuore di questa città. Che è un cuore salato di onde e grida di gabbiani.





L'Islanda non ha risorse naturali se non il pesce. E' un'isola. E' abitata da gente nelle cui vene scorre acqua d'oceano. Ci sono persino state tre guerre del merluzzo, con l'Inghilterra, fate voi.

Non a caso un altro simbolo della capitale sorge affacciato alla costa.


E' l'Harpa, futuristica sala concerti e centro congressi che ha segnato la ripresa dopo la crisi economica del 2008-11.


Richiama un caleidoscopio sghembo e riesce a catturare ogni goccia di luce per farne gioco di colori e riflessi.


Intorno, sugli scogli, dimora degli elfi, cumuli di pietre che orsservano in silenzio l'orrizzonte.








La città moderna, da un lato



e il ricordo di come si è arrivati fin qui, all'ultima Thule, dall'altro.



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