domenica 15 agosto 2021

11-12. Nostos. Ritorno. Alla linfa, all'umano consorzio. Akureyri e il lago Myvatn.








13/8/21
10°km F821-Akureyri
81km

Oggi giornata campale, faticosissima fino all'ultimo istante, ora vuota di speranza ora colma. Sicuro, vittoriosa. Abbiamo superato il deserto, siamo usciti dalle highlands, siamo di nuovo sulla costa. A nord, una tacca sotto al Circolo polare artico, l'anno scorso superato e di parecchio, quest'anno soltanto sfiorato.

Stamattina la solita nebbia gelida che avvolge la tenda e le cose di notte si è ritirata, ma più lentamente del solito. Come buon auspicio, intorno alle 5 del mattino, un paio di uccellini sono venuti a trovarci, incuriositi forse dal profumo di pane e biscotti. Nel deserto di animali non ce ne sono, salvo qualche tedioso moscerino. Il fatto che qui ci siamo addirittura degli uccelli è un buon segno.



La luce caramellata del primo mattino fa sembrare dolci persino queste lande desolate, e questo pianoro sferzato dai venti polari potrebbe essere casa.



Partiamo presto, intirizziti dal freschissimo dovuto alla quota, alla latitudine e all'umidità, nonchè al vento, che anche oggi ha deciso di farci compagnia. Mannaggia a lui. Forse riusciamo ad anticipare di un giorno l'arrivo alla città, forse riusciamo a recuperare l'asfalto già oggi. Lo speriamo forte ma i primi kilometri sembrano indicare altro. In questi giorni ho spesso pensato: io voglio... andare, arrivare, ecc. Ma la strada, lei, che vuole? Vuole farti arrivare, andare, ecc.? A quanto pare, NO.







Come se vento, fondo di sabbia e sassi e salite non bastassero, oggi si aggiunge l'ulteriore imprevisto: pedalare IN una nuvola bassissima. Qui il cielo si schiaccia sull'orizzonte e le nubi corrono ad altezza della strada, e alla strada piace farsi fare il solletico da questi vapori freddissimi. E quindi ci si infila dentro a capofitto e noi con lei.






In un attimo siamo immersi nel vapor d'acqua, che fa l'effetto di una nebbia intensa in stile padano, di quelle che ci sono da noi a novembre. Il paesaggio si fa spettrale, a fatica si vede dove si pedala e i massi e i cairn sembrano figure vive, umani o esseri d'altra natura, che osservano e  si stringono tutt'intorno. La temperatura cala bruscamente e ci raffreddiamo all'istante.




Dico a Gigi che, se dovesse vedere una tavolata con nerboruti uomini dalla lunga barba in banchetto, be', allora siamo finiti nel Valhalla.




Ovviamente proprio mentre annaspiamo tra i vapori si concatenano una serie di problemi: discesa ripidissima e pericolosissima, mezza franata di sassi e sabbia. Guadi, tanti, e non tutti agevoli. Acqua in cui camminare gelida, che toglie sensibilità ai piedi dopo pochi secondi.





All'ennesimo fiume da attraversare Gigi ha un crollo nervoso, scatenato dall'aver perso, chissà dove, un guanto. Il nostro ottimismo e le nostre speranze di arrivare alla costa già oggi sembrano sfumare e prendere la stessa consistenza della nebbia in cui siamo calati.




Però.
Però d'improvviso, dopo una rampa quasi verticale che andava a tuffarsi nelle rocce del fiume, si apre davanti a noi una lunghissima valle, stretta e raccolta, ma verde. Verde di un verde che sognavo da giorni, dopo tante nere dune. Le nuvole bassissime la velano e ne nascono i confini, ma si capisce che qui, di sicuro, il deserto è finito.




Si prosegue in una discesa spesso difficile da controllare, sia per il fondo sconnesso sia perchè dai fianchi della valle scendono rivi e torrenti che allagano la strada. Nella foto sotto, a sinistra il fiume, a destra la pista. Quasi indistinguibili.




Scendendo (e io lo faccio ora a piedi, ora abbarbicata, avvinghiata al manubrio e ai freni e con le chiape strette) la vista si spalanca e tornano i colori. Ci sono erba, muschio e fiori roridi, uccelli di ogni genere e persino le batuffolose pecore dalle chiappe soffici!








Pedalare qui è uno spettacolo e il cuore beve questa linfa come un balsamo. Sono tornati, oltre ai colori, anche i profumi (che nel deserto mancano): terra umida e greve d'acqua, erba, dolciastro di pollini. Vita. VITA!




Non procediamo spediti a causa del fondo e delle pendenze, ma nemmeno a rilento come i giorni scorsi. Forse, ma forse, riusciamo davvero ad arrivare ad  Akureyri.



Più si scende più la valle si apre, come un abbraccio grande che raccoglie tutta l'acqua di questi monti e tutti i colori e la vita che fino alla valle prima mancavano del tutto.



Scendiamo e scendiamo, e le pecore si chiamano da una riva all'altra. Ci sono diversi guadi e siamo congelati dal freddo e dall'umidità, ma il desiderio di proseguire e scendere al mare insieme al fiume è inarrestabile. Il fondo migliora. Ci sono cartelli (e ne troveremo molti, così, con date antiche o recenti) che indicano case o fattorie distrutte dall'acqua, dal fuoco, dalla neve o dai terremoti.



Poi, improvvisa, la presenza umana stanziale. Una fattoria, un'altra. Fienili, stalle. Cavallini. Oh sì. Cavallini, voi lo sapete! Lo sapete di essere vicini al nostro rientro al consorzio umano!




La strada, pur non ancora asfaltata, diventa liscissima di terra battuta e infila case sparse che si moltiplicano mano a mano che si scende verso la costa.


Poi, finalmente, l'agognato asfalto. Eccolo qui, che torna, dopo circa 400km di futura fisioterapia.


Facciamo i conti: mancano 42km alla città. Vorremmo arrivarci, ma questo desiderio fortissimo confligge con la stanchezza, il livello di energie bassissimo (per tenerci caldi il nostro corpo ha dato fondo a tutte le riserve) e il vento contrario, teso, cattivo, che spira e cospira. Il vento puttano.
Ci costa fatica spropositata percorrere questi 42km.
Solo la ferrea volontà di raggiungere la meta ci spinge a proseguire. Devo fermarmi più volte a mangiare, sono in crisi di fame totale. Ma pianino pianino, chini verso nord, si arriva, e non è un sogno.



Il fiordo disvela la cittadina con il suo lungomare


e gli edifici, gli alberghi, panchine e noleggi di surf e windsurf




Il centro della "capitale del nord", detta anche città del sole di mezzanotte è minuscolo, ma i pochi bar e i negozi bastano per stordirmi. Non sono più abituata a vedere così tante COSE e così tante persone tutte vicine e tutte insieme. La sensazione però è piacevole, una sorta di ritorno, di nostos a lieto fine, di eroe che alla fine del film, quando lo si crede morto, compare, lacero e ammaccato, tra le nebbie e i fumi della battaglia. In effetti mi sento un po' fuori luogo, come un reduce che torna in pace, come un Ulisse rientrato ad Itaca dopo tanto mare.



Vedo la gente, i turisti, un fast food e una biblioteca. L'uomo è un animale strano e fantastico, e orribile anche, a ben guardare. Ma quanto può, minuscola formichina, per una sola, profonda, disperata volontà d'amore.



Ci accampiamo nel centro, dove un camping veramente minimal nei servizi ci dà alloggio. Accanto sorge una piscina con scivoli e, mentre noi congeliamo, ci sono ragazzini che si divertono in acqua e fuori. Proprio vero che l'estate è uno stato dell'anima, non una stagione Ci sono anche le oche e ciascuna ha una sua casetta di legno. Laviamo noi stessi e i vestiti luridi e puzzolenti oltremodo, ceniamo, riusciamo ad accedere a internet di nuovo (altro che digital detox) e a riconnetterci a chi sta vicino e lontano. E' bello tornare.



14/8/21
Akureyri-Reykjahlidh (lago Myvatn)
106km

Akureyri è una città molto carina, di per sè. Conta quasi 19.000 anime che vivono appollaiate sul più grande fiordo d'Islanda, l'Eyjafjordur, in cui sfocia il fiume che ieri abbiamo seguito dalla sorgente. Qui vivono enormi colonie di uccelli di ogni genere, che approfittano dell'acqua salmastra e calma; è anche pieno di cartelli stradali che invitano a non stiacciare con l'auto le papere.



La città è abitata sin dal IX secolo ma si è sviluppata a fasi alterne solo tra la metà del '700 e la metà dell'800. Il suo importante porto (e centro di pesca) è stato usato dagli Alleati come base, durante la II Guerra mondiale; poi si sono trasferiti qui in tanti, nell'esodo dalle campagne alla città. Siamo a meno di 100km dal Circolo polare e si sente. Stanotte eravamo immersi in una sorta di nebbia gelida, stamattina un timido solicello cerca di spuntare ma fa un fresco non indifferente.


E' interessante che, pur fondata dai vichinghi, la prima menzione scritta della città risalga al Cinquecento, in un documento di condanna di una donna per adulterio. Poi si stabilirono qui mercanti danesi, attratti dal porto naturale, che svernavano però sul continente. Il re di Danimarca cercò di promuovere lo sviluppo urbano ma con esito fallimentare, perchè la popolazione non riusciva a superare i 12 abitanti. Poi col tempo è cresciuta ed ora la città è centro culturale ed economico, con musei, biblioteche, teatro e festival vari, oltre alla grande offerta turistica (ad esempio, c'è un centro di whale watching). C'è anche un aeroporto internazionale, che abbiamo superato ieri.



Stamattina partiamo con calma, riordinando il contenuto delle borse. Non abbiamo più grandi scorte di cibo, perchè ora quasi tutti i giorni troveremo ciò che ci serve sulla strada. Però bisogna recuperare i vestiti antipioggia, chè non siamo più nelle aride highlands e qui l'umidità è infinita.
Però ci asciamo comunque tentare da un supermercato per una spesa di frutta e verdura che non vediamo da tempo. Poi si torna per qualche km sui nostri passi, ripercorrendo il fiordo all'indietro fino al grande ponte che permette di superarlo (ah,non si guada più? Ma gua(r)da!).




Poi è tutta salita terrificante. Perchè Akureyri è circondata da vette che superano i 1500m e da ripide colline che si sgretolano sotto l'azione dei fiumi che corrono dai nevai in vetta al mare.
Ci sarebbe pure un tunnel a pagamento, in cui corre la 1, ma è lungo 7,5km ed è vietatissimo alle bici (e ai cavalli, sic). Così, appena imboccata la Ring road, dobbiamo già lasciarla per un massacrante detour che pare il gran premio della montagna.

Verso la costa si trova ancora qualche fattoria e alcune case sparse





poi, man mano che si sale, solo pecore e solitari paletti che segnano il tracciato della strada quando mette neve. Ormai questi paletti sono polo dialogico e ci parliamo. Su alcune strade sterrate dei giorni scorsi qualcuno li ha spezzati tutti sistematicamente, preso da chissà quale furia. Probabilemnte è la stessa persona che ha investito una pecora su un sentiero... Ma come si fa, se non volendolo? Magari gli islandesi fanno così quando si accorgono che sui millemila tavoli e panchine pubblici possono giusto mangiarsi le mani, visto che per km c'è il nulla. E se vogliono mettere una tovaglia per questo pic nic, devono bullonarla al legno altrimenti il vento se la porta via.




Noi si sale e si sale, su pendenze pedalabili con il rampichini e un vento che muta, contrario o laterale, a seconda della direzione della strada. Ah, ho scordato un dettaglio: qui è sempre Natale!





Sali e sali, arriva poi anche finalmente il momento di scendere.
E' un volo in picchiata a valle, mentre nel fiume si vedono pescatori immersi fino alle cosce a cercar salmoni.



A questo punto penso bene che sia ora di cadere e farmi male, ma neanche oggi ci riesco. Premessa: Gigi sugli sterrati ha già accumulato sette baci alla strada, ma non si è fatto nulla. Io se cado mi frantumo i gomiti che son già tutti bionici e pieni di viti e ferri e placche. Breviter: salita, vento contro, velocità bassissima. Entrambe le scarpe agganciate ai pedali con le tacche, ormai un po' storte e piene di sabbia, quindi dure da staccare. Cambio e cade la catena Mi ritrovo ferma, impossibilitata a metter giù un piede perchè lo sgancio rapido non si stacca, con la bici che inesorabilmente si pianta a metà salita. Per fortuna l'auto che stava passando si ferma e mi lascia agio di occupare il centro della strada. Urlo come un'ossessa e mi pare di vivere uno di quei sogni in cui bisogna scappare ma non ci si riesce a muovere. Mi preparo all'impatto, vedo l'asfalto che si avvicina e CLAK! riesco a sganciare la scarpa un millesimo di secondo prima di finire a terra. Gigi intanto era corso indietro e quasi sarebbe riuscito a prendermi al volo. Mi fermo un attimo, con il cuore a mille e la sensazione di quei crack da ossa rotte nelle orecchie. Brrrrrr. stasera allargo gli agganci.

Ripartiamo controvento, e riusciamo anche a finire, di nuovo, in una spettrale nuvola bassa, che ruba i colori e ci infradicia di goccioline gelide. Bella questa sera di fine novembre, bella davvero!




Per fortuna siamo ormai in zona cascate di Godafoss, a Fossholl, e qui, dopo aver ammirato il canyon e il volo dell'acqua alle rocce, troviamo riparo nel cafè gift shop.


"Il nome di questa cascata deriva da una leggenda secondo la quale, nell'anno 999 o 1000, il Lögsögumaður Þorgeir Ljósvetningagoði fece del Cristianesimo la religione ufficiale dell'Islanda. Dopo questa conversione si dice che - tornando dall'Alþingi - Þorgeirr gettò le sue statue degli dèi nordici nella cascata. La storia di Þorgeirr è conservata nell'opera di Ari Þorgilsson Íslendingabók.
Una vetrata della chiesa di Akureyri ricorda questa leggenda.
Probabilmente il nome "cascata degli dei" era già usato antecedentemente, si narra infatti che gli antichi abitanti dell'Islanda la considerassero sacra poiché nei tre getti principali vedevano rappresentata la sacra triade: Odino, Thor e Freyr.
Come le altre grandi cascate islandesi, anche questa diede il proprio nome alle prime navi della nascente marina mercantile islandese nella seconda metà del XIX secolo." (Wikipedia)


Mangiamo qualcosa, beviamo il caffettone che Gigi riscopre sempre orribile al suo palato (è una sorta di americano lunghissimo e amarissimo) e ci scaldiamo. Siamo  metà strada e sono già le 17, ma oggi è il primo giorno dopo il deserto e va bene anche prendersela comoda.
La nuvola si è diradata e la strada prosegue in un continuo saliscendi mai impossibile, tanto più che ora il vento è mutato e ci aiuta a procedere spediti.


Quasi con il sole si arriva alla città di Laugar e poi al lago Masvatn, che è albergo di oche selvatiche rumorosissime e starnazzanti varietà di uccelli acquatici. Sembra quasi di essere tornati in Finlandia, solo che qui gli alberi, aghifoglie, sono piantati con estrema cura, a rettangoli di verde, per evitare che le colline si sbriciolino in frane sopra ai paesi.




Poi, finalmente, il sole. E questa inondazione di luce mielata inonda la valle del lago Myvatn, meta di oggi.





"È situato in un'area estremamente vulcanica, che ha visto dal 1975 al 1984 nove eruzioni. Sulle sponde sono presenti formazioni laviche create dalle colate incandescenti a contatto con l'acqua fredda, che in alcune zone hanno formato strutture alte anche decine di metri, dette "castelli neri" per il colore della roccia lavica, oppure labirinti nei quali si diramano sentieri percorribili. In altre zone vi sono formazioni dette "pseudo-crateri" create da violente esplosioni di lava bollente, sopra i 1000–1100 °C, spinta con forza nell'acqua fredda; esse si diramano verso lo specchio d'acqua, dando origine in alcuni casi a collinette che dominano il lago e l'area circostante. A breve distanza si possono scorgere pennacchi di fumo bianco proveniente da piccoli crateri comunicanti col sottosuolo e la sagoma del principale vulcano attivo della regione: il Krafla.
Poco distante dal lago corre la Dorsale Medio Atlantica, la faglia che divide le placche continentali di Europa e America e che attraversa l'intera isola da nord a sud per poi proseguire lungo il fondo dell'intero Oceano Atlantico: essa è in perenne attività allontanando Europa e America al ritmo di dieci-venti millimetri l'anno." (Wikipedia)






"Le acque del lago sono popolate da una quindicina di specie diverse di anatre, in colonie di centinaia o addirittura migliaia di individui, che si nutrono degli insetti – specialmente moscerini – che abbondano sulle sponde del lago, il cui nome Mývatn in lingua islandese significa appunto lago dei moscerini."








Con l'acqua blu cobalto a un lato e formazioni di nera roccia e fumate roventi dal cuor della terra, avanziamo sempre preceduti dalle nostre ombre lunghe.





Tra vulcani e caldere giungiamo alla cittadina di Reykjahlid e al suo campeggio a gradoni con vista sulla valle e sul lago. 




 
Le docce roventi di acqua sulfurea ci rimettono al mondo, e questa terra dei ghiacci non è poi così inospitale come sembra.

2 commenti:

  1. Due intrepidi ragazzi vanno forte come I razzi....fantastica sei perché gigi c è che combatte con te e a fianco a te :)

    RispondiElimina