venerdì 6 agosto 2021

3. Pietra e acqua, vulcani e vichinghi. Il circolo d'oro da Reykjavik a Geysir

5/8/21
Reykjavik-Geysir
112km





Eccoci qua, dopo la prima vera giornata interamente pedalata in terra d'Islanda. Giornata benedetta, con tanto sole e poca pioggia, un vento debole e a favore e un assaggio della bellezza che ci aspetta.

Stamattina ci siamo svegliati con un sole inatteso (ieri sera ha molto piovuto e molto ci siamo bagnati). Abbiamo fatto colazione, salutato i molti vicini di tenda avventurieri e chiuso i bagagli per bene, per una vera tappa di oltre 100km.



L'idea è quella di iniziare per gradi a prendere le misure di questa terra e nostre. Quindi abbiamo deciso di non buttarci subito nel selvaggio entroterra, sterrato, deserto, solitario, dove bisogna bastare a se stessi, ma di esplorare sì l'interno, ma nella sua parte un pochino più antropizzata. E questo è possibile nel cosiddetto "circolo d'oro", un percorso non distante dalla capitale, con strade asfaltate e un minimo di servizi per turisti e viaggiatori. Tra l'altro inanellando una serie di interessantissimi luoghi che non voglio perdermi (e di cui vi parlo ora, man mano). Una premessa: ho letto in molti racconti di cicloviaggiatori che queste strade sono molto trafficate e le attrazioni sono affollate da pullmanate di gente. Se è così, siamo stato fortunati. In tutta la giornata saranno passate 20 auto e i vari punti panoramici erano quasi deserti.
Uscire da Rejkyavik, sì, ha tratti pericolosetti. Probabilmente, nascoste tra le case, ci sono anche le ciclabili. Ma non volendo perdere troppo tempo e seguendo semplicemente le arterie principali, per i primi 10-15km si è immersi nel rumore assordante di auto e tir con le gomme da neve e offroad.
Poi, però, viene il momento di lasciare la ring road, la 1, e di deviare sulla via che porta a Thingvellir, il primo angulus che ci sorriderà oggi.
Il cielo minaccia ma non mantiene, per ora, e noi ci troviamo a pedalare immersi in una valle tra costoni ora verdissimi ora brulli e neri.




Facciamo conoscenza dei primi cavallini islandesi, unica razza indigena dell'isola. Sono piccoli ma resistenti. Nella mitologia norrena sono oggetto di venerazione.
Cito da Wikipedia: " Intorno al 900 d.C. furono tentati incroci tra cavalli islandesi e di altre razze provenienti dall'Oriente come l'Arabo, ma il tentativo ebbe come unico risultato una degenerazione della razza islandese. Nel 982 l'assemblea Althing dell'allora Stato libero d'Islanda approvò leggi che vietavano l'importazione di cavalli in Islanda, terminando di fatto possibili incroci con razze esotiche: per questo motivo la razza islandese è rimasta pura per oltre mille anni I cavalli, che i Vichinghi veneravano come simbolo di fertilità e che erano soliti sacrificare alle divinità, ebbero un ruolo importante nella mitologia norrena: Sleipnir, il leggendario cavallo a otto zampe di Odino, che era in grado di cavalcare tra i Nove mondi; Skalm, la prima giumenta islandese di cui ci è stato tramandato il nome, e che appare nel manoscritto anonimo medievale Landnámabók, il cosiddetto Libro dell'Insediamento secondo il quale un guerriero di nome Seal-Thorir fondò un insediamento nel luogo in cui Skalm si era fermata e sdraiata. I cavalli svolgono un ruolo chiave anche nella varie saghe degli islandesi, come la Saga di Hrafnkell Sacerdote di Freyr, la Saga del rogo di Njáll e la Saga di Grettir. I cavalli erano spesso considerati il bene più prezioso dagli islandesi medievali: indispensabili per i guerrieri, quelli selezionati per la battaglia venivano talvolta sepolti accanto ai loro cavalieri caduti in combattimento, e le saghe spesso raccontano le gesta di destrieri leggendari. Gli islandesi organizzavano lotte tra stalloni sia come forma popolare di intrattenimento che come momento di scelta dei migliori animali da allevamento, così come è stato descritto nella letteratura e nei documenti ufficiali del periodo dello Stato libero d'Islanda tra il 930 e il 1262 d.C. Questi combattimenti erano parte integrante della cultura autoctona."




Ci lasciamo alle spalle un'area di fattorie e pascoli, per addentrarci tra le prime colline. Il cielo muta rapido in una giostra di nuvole e la luce non è mai la stessa. Anche la temperatura cala o si alza bruscamente in pochi attimi, e così il paesaggio appare come nuovo ogni volta che si alza lo sguardo.







Risaliamo la valle sotto allo sguardo placido di queste alture e constatiamo che qui l'acqua non manca. Tra fiumi e laghi l'acqua canta sui sassi e poi tace, e poi di nuovo riprende la sua nenia antica.





Proprio all'altezza di uno specchio d'argento, occhio spalancato nel verde sul cielo, il Leirvogsvatn, incontriamo i primi esemplari di pecora islandese. Sono gonfissime di lana e hanno corna ricurve, ma soprattutto delle chiappette pelose che si fa fatica a non toccare. Pascolano libere, nei prati e a bordo strada, e non ci temono. Leggo che da giugno a settembre questi batuffoli ambulanti sono liberi di gironzolare per tutta l'isola, mentre, quando arriva la brutta stagione, dopo esser scese a valle per proprio conto, vengono radunate dai pastori e redistribuite ai proprietari grazie ai microchip. Per capire di chi siano gli agnelli nati in estate e senza chip, usano un metodo infallibile: separano i cuccioli dagli alti e lasciano che siano le mamme pecore a riconoscere la prole. Poi vengono tosate e, alcune, macellate (proverò la testa di pecora, servita intiera à la normanna, prima di tornare a casa? Probabilmente NO).





Con l'andare del tempo, tra vento, fatica e zuccheri bassi, comincio a vedere pecore ovunque. Ma spesso sono rocce raminghe. Tra l'altro questi gomitoli ambulanti, a volte neri ma soprattutto bianchi, sembrano i fiocchi del cotone selvatico che cresce anche qui, e che ritrovo a distanza di un anno dopo averne visto tanto nel viaggio a Capo Nord.






La strada serpeggia tra laghi e oceani di verde, sotto  un cielo basso, e non è mai in piano; ma senza troppa fatica si giunge al Þingvallavatn (la prima lettera dovrebbe, se ho ben capito, suonare TH), il lago naturale più grande d'Islanda. 




Quest'acqua copre e sutura la lunga frattura tra placca eurasiatica e placca nordamericana, che qui frizionano creando spaccature nella roccia, visibili ai bordi del lago. Di origine glaciale, è stato poi modificato dalle eruzioni dei quattro sistemi vulcanici attivi tuttora qua intorno. Le isole, ad esempio, sono lava solidificata. L'acqua dei ghiacciai che alimenta il bacino filtra attraverso la pietra lavica, porosa, e si arricchisce di minerali che permettono la vita a fauna e flora uniche. Per questo qui si trova anche un vasto parco naturale.






Noi ci godiamo lo spettacolo del caleidoscopio di luci e ombre che riflettono sulla superficie, mentre un inatteso tepore scalda l'aria. Abbiamo negli occhi lo stesso incantato stupore di quei capi vichinghi che decisero, un millennio e un secolo fa, di riunirsi qui in parlamento, l'Althing.
Infatti, a breve distanza, tra neri mucchi di lava che chiudono l'orizzonte, inquietanti sotto al cielo sempre più imbronciato







giungiamo a Thingvellir, luogo esatto dove si riuniva l'Althing, a partire dal 930 d.C. Qui facciamo una rapida capatina, fuggendo poi dalla pioggia che incalza. E non ci facciamo mancare un caffè in coppa normanna (no crani di nemici uccisi, solo una tazzona grande ma senza manico, per scaldarsi i palmi). Compro anche, al costo di un rene come tutto qui, un pacchettone di caramelle miste a base di liquirizia salata, che anche qui, come nei paesi scandinavi, piace assai. Anche se paiono i sassi e i minerali che abbiamo visto a bordo strada, sono i soldi meglio spesi della giorata.






Smette di piovere e ripartiamo, costeggiando le rive settentrionali del lago. La varietà di arbusti, muschi e fiori è incredibile, così come incredibile è la forma assunta dalle rocce. Sembrano quasi, dice Gigi, rovine di costruzioni antiche, divorate dal tempo. E invece questa è tutta opera di natura. Di sommovimenti tettonici, di vento e intemperie, di vulcani indemoniati e ghiacci che divorano tutto.






Il continuo saliscendi permette di avere sempre vedute panoramiche pazzesche, sul lago e sui costoni di roccia. Mi ricorda in qualche modo il paesaggio dei fiordi norvegesi, ma qui è tutto più dolce. Meno aguzze le cime, meno spogli i fianchi, e senza neve.




La natura vulcanica del luogo si fa via via più evidente avvicinandosi a Laugarvatn, letteralmente "lago delle sorgenti calde".




punto di riferimento per gli amanti dei bagni termali fin dal Medioevo. Qui scorrono infatti acque calde usate dai primi cristiani per il rito del battesimo e qui sono stati sepolti alcuni illustri personaggi dalla curiosa vita, come Jòn Arason, l'ultimo vescovo cattolico fino al 1923, e i suoi figli (sic). Poeta, ha introdotto la stampa in Islanda ed è stato decapitato dal re di Danimarca per aver disobbedito all'imposizione del luteranesimo come religione di stato.

Noi qui ci limitiamo a prendere l'unico, forte, rovescio del giorno.






Per fortuna il tempo cambia in fretta e, come rapidamente peggiora, altrettanto improvvisamente si rimette al bello. Tra vento e sole ci troviamo asciutti di nuovo e secchi come prugne Sunsweet nel giro di poco. E dopo una vasta zona agricola abitata principalmente da cavalli e pecore, arriviamo alla meta di oggi: Geysir. 


Cito la guida Lonelyplanet: "Una delle attrazioni turistiche più famose di tutta l’Islanda, Geysir è la sorgente d’acqua calda per antonomasia, quella da cui tutti gli altri geyser del mondo hanno preso il nome. Un tempo era il grande Geysir a emettere getti d’acqua alti fino a 80 m, ma purtroppo è inattivo dagli anni ’50, per la quantità di pietre che i turisti vi gettavano all’interno nella speranza di "azionarlo". Alcuni forti terremoti nel 2000 sembrano aver parzialmente rimosso l’ingorgo, perché ora il geyser riesce a eruttare di tanto in tanto. Fortunatamente per i visitatori, il geyser più affidabile del mondo, Strokkur, si trova proprio lì accanto. Di rado i turisti devono attendere più di sei minuti per vedere l’acqua gonfiarsi e salire con uno zampillo alto dai 15 ai 30 m".



Lo "sbuffo" più alto di vede a distanza di kilometri, ma la cosa che colpisce avvicinandosi è che tutta la collina ribolle ed erutta ed esala un fumo dall'odore acre e pungente.



C'è qualcosa di infero e ultraterreno in questa manifestazione del vero "cuor della terra", quello su cui ognuno sta solo.









Restiamo a lungo ad osservare questo incredibile spettacolo che si offre con cadenza d'orologio, come un respiro profondo di creatura dormiente. I numerosi cartelli di pericolo invitano a non toccare l'acqua



e i vapori roventi si fondono alle nuvole in una nebbia d'altri mondi.





So che le foto sono molte ma anche questo è un fenomeno indescrivibile a parole. Come indescrivibile è la tenuta al calore di questo corvo, grande come un tacchino e nero lucido laccato, che sguazza a zampe nude nell'acqua sulfurea e bollente.





per poi posarsi, con grande spregio, sul cartello che indica di prestare massima cautela alle acque che possono bollirti all'istante. Non per altro nella mitologia norrena i corvi sono animali sacri e due in particolare, Huginn e Muninn, pensiero e memoria, siedono sulle spalle di Odino dopo aver raccolto informazioni dall'alba al tramonto, per tenerlo aggiornato sui fatti del mondo. Odino stesso, in perifrasi poetica (kenning) è chiamato dio-corvo.



Dopo una giornata di lava e vapori, domani ci attendono fiumi e cascate. Perchè questo è l'Islanda, terra di estremi e di terribile meraviglia.

 



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