domenica 18 agosto 2024

49-51.Dai villaggi rurali alle luci di Kuala Lumpur: i mille volti della Malesia, tra amor fati, vertigine di libertà di Kierkegaard, storie di sangue e incontri felici
















16/8
Pantai Remis-Teluk Intan
90km

Piove forte per tutta la notte. Il mio raffreddore ed io ci svegliamo spesso, con la testa che esplode di muchi, nel caldo umido che esaspera e taglia il respiro. Poi finalmente la luce. Con la complicità del fuso orario mutato, quando ci alziamo riusciamo sempre a vedere il sole ancora basso, arancione acceso, color Tropico del Cancro. Ricorso l'anno scorso, in Messico, quando in Baja California abbiamo varcato la linea del tropico; il viaggio lentamente volgeva al termine, un po' come ora pian pianino sta accadendo qui. Si contano i giorni, i kilometri, le soste. Domani scoccherà il 50 di viaggio, su 66 che sono (66 e mezzo, per la precisione). Vuol dire che tra due settimane circa torneremo a casa. alle 19.20 del 1 settembre, ad essere esatti, toccheremo terra a Malpensa. Alle 9.00 del 2 sarò a scuola al primo collegio docenti di apertura d'anno. Che morte il solo pensiero! Ma siamo zen, ascoltiamo i consigli degli antichi poeti, cogliamo l'attimo. Che la Malesia e Singapore hanno ancora tanto da raccontarci.

Dopo una colazione rapida in camera, ci buttiamo per le strade di Pantai Remis, che sta cominciando a brulicare di motorini e bancarelle. Le tracce del monsone notturno sono evidenti, tutto è fradicio e pozzanghere grandi come laghi invadono la strada. Ma il sole risveglia i colori e scuote l'umidità di dosso. In lontananza si intravedono profili di alture che, mano a mano, si fan più vicine e incombono sul nostro passare, verdissime, coperte di palme da olio o vegetazione selvatica, e talora coronate di nubi lattiginose.







I primi 40km sono un susseguirsi di piantagioni di palma e paesini, ciascuno con la sua moschea e il suo monumento I love (toponimo). Mi fa ridere perchè spesso sono quattro case e due capanne, ma non mancano di scultura per selfie con tag e geolocalizzazione. Le amministrazioni locali hanno fatto un discreto investimento in questa trovata... Ricordo ancora le polemiche per una simile scritta collocata a Corbetta, un paese dell'hinterland milanese nella mia zona, per i costi esorbitanti sostenuti per realizzarla... Chissà come funziona qui la gestione della res publica, del denaro dei contribuenti, chissà se il livello di mugugno e borbottii è paragonabile a quello che sobbolle sempre da noi.




scuola cinese




La strada che porta a Sitiawan, cittadona di mezza tappa, si slancia in ponte su numerosi fiumi, alcuni dei quali veramente enormi, che raccolgono le acque di decine di affluenti e creano delta enormi e ramificati. Spesso ospitano porti, qui, nella fattispecie, uno mercantile e uno della marina militare.










Sitiawan, quasi 100.000 abitanti, è popolato per oltre il 56% da cinesi, o meglio, fuzhounesi, cioè taiwanesi (spesso cristiani) emigrati qui a causa delle persecuzioni in patria (soprattutto durante la ivolta dei Boxer, sostenuti dalla dinastia Qing). Inutile dire che gran parte delle tradizioni più radicate afferiscono proprio a questa componente etnica, dalla religione alla cucina alle leggende locali. Pare infatti che il toponimo derivi da setian kawan, cioè amico fedele, perchè qui un elefante rimase impantanato nel fango del letto di un fiume e il suo compare proboscidato si rifiutò di lasciarlo solo, e morirono insieme con l'alta marea. In effetti qui gli elefanti si usavano per trasportare gomma e stagno fino al porto, dove questi materiali venivano poi imbarcati e spediti a nord. Negli anni '70 dell'Ottocento esplose un'epidemia di vaiolo. Si racconta che, proprio dove oggi sorge uno degli incroci più trafficati della città, in corrispondenza con la stazione dei bus, lo spirito di un anziano vagolasse intorno ad un antico albero, proprio dove oggi un uomo di mezza età vende i biglietti. Non ci dilunghiamo nella visita della città, che oggi è più che altro uno snodo di traffico e commerci.





Dopo aver percorso un tratto di stradone one one, che in effetti è un'autostrada che fino a qualche kilometro prima è anche vietata alle bici, ma non da dove la imbocchiamo noi, decidiamo di fare sosta presso una stazione di servizio con pompe di benzina, minimarket e bagni, ovvero tutto il necessario per noi. La sosta, anche oggi, si prolunga a causa di un continuo susseguirsi di brevi acquazzoni. Dopo un po' si palese una signora ben vestita, con velo e modi urbani, che parla un buon inglese. Si presenta come la proprietaria di tutta la baracca, benzina, market e compagnia bella. Ci chiede se ci piacciano i rambutan. Le dico di sì, ma certo. Ci dice di aspettare. E chi si muove? Torna poco dopo con un sacchettone stracolmo di frutti peluti. Si giustifica dicendo che magari non sono bellissimi a vedersi, perchè sono quelli dell'albero del suo giardino, ma sono maturi e buoni. E ci augura buona salute e buona strada. La ringrazio, ma se ne è già andata.



Dopo questa piacevolissima sorpresa, torna il sole e ci rimettiamo in sella. Mancano meno di 20km. Lasciamo lo stradone per buttarci in una viuzza che diventa sempre più stretta, e poi sterrata. Dobbiamo andare a prendere un traghetto, cioè un barchino. "Guai a voi, anime prave!". E il molo è in mezzo alle piantagioni di palma e alla giungla popolata di scimmie e varani, che davvero, qui, oggi, abbondano.










Le scimmie qui non sono abituate ad interagire con l'uomo, sono proprio selvatiche, e tendenzialmente scappano quando si passa troppo vicini. La cosa che fa ridere davvero è vederle tuffarsi in acqua, spesso con qualche reticenza e un poco di timore, perchè vivono soprattutto intorno ai fiumi, che sono gonfi dell'acqua dei monsoni, e sommergono gli alberi per metà altezza. Ma alle scimmie interessa relativamente. Dai cavi elettrici e dai rami alti si tuffano a quelli più bassi, poco importa se sono metà nell'acqua. E quindi, quando passiamo, è tutto uno SPLASH! di scimmiette che finiscono in ammollo. Uno spettacolo!
La stradina corre tra molte palme. E dico MOLTE. MOLTE MOLTE. Palme.











A tratti si intravede, quieto, il fiume Perak, che costeggiamo. A breve lo attraverseremo. Ogni tanto si intravede una capanna, o una palafitta. Ma non ci sono villaggi, solo case sparse. Compare anche un cimitero musulmano microscopico, rimangiato dalla vegetazione, che si intuisce appena. Le scimmie stanno appolliate sui cippi funerari. E' una scena abbastanza straniante, ma indimenticabile. 






il cimitero con le scimmie

Dopo gli ultimi tratti sterrati e ben fangosi, incredibilmente ci compare davanti l'inatteso molo di imbarco. E c'è pure un ampio parcheggio gremito di motorini e una tettoia con diversi passeggeri in attesa. Davvero non ci speravo più, dopo 10km in mezzo al nulla, senza che anima viva, se non con la coda prensile e qualche cromosoma di differenza da noi, transitasse. Temevo di dover tornare indietro sullo stradone e trovare un'alternativa. E invece! Appena giunti, vediamo il barchino di legno avvicinarsi, carico di passeggeri e motorini, quasi tutti contadini. Come pure quelli che aspettano insieme a noi, molti vestiti da lavoro e con roncole e spruzzatori sulla schiena.









Le operazioni di imbarco sono rapide. Il barchino attracca senza spegnere i motori. Il capitano, che indossa numerosi cappelli uno sopra l'altro, allunga una passerella strettissima, e poi si occupa personalmente di caricare i motorini, prima, e le nostre bici, poi, sul ponte. La corsa costa 0.35 euro a testa, compreso il trasporto velocipedi. Due ragazzi sul traghetto, uno in sella al suo motorino, l'altro appollaiato sul tetto della cabina di comando, non resistono e ci fanno un sacco di domande nei pochi minuti che dura la traversata. Da dove veniamo, che viaggio abbiamo fatto, quanti kilometri percorsi e da percorrere, quanti al giorno, dove eravamo stamattina, dove ci fermiamo stanotte, quanti anni abbiamo. Due cose li colpiscono soprattutto: la durata del viaggio e l'età di Gigi. Sono proprio sconvolti dal fatto che a 71 anni riesca a fare ciò che sta facendo. Si complimentano con sincera ammirazione, e più volte.





Sbarchiamo (e per poco la bici di Gigi non finisce nelle acque basse). Il molo dal lato della città pare un altro mondo. Ci sono persino agenzie turistiche che vendono gite sul fiume al tramonto e battute di birdwatching (per un turismo locale e localissimo, eh, ma comunque...). In un attimo siamo nel centro di Teluk Intan, che è la quarta città più popolosa dello Stato di Perak, con i suoi 172.000 abitanti.





Inizialmente questa città si chiamava Teluk Mak Intan, in onore di una mercante di etnia mandailing (Sumatra) ed era la sede dei regnanti di Perak, dal 1528 al 1877 (quando la corte fu spostata a Kuala Kangsar); durante il periodo del protettorato inglese, il toponimo fu mutato in Teluk Anson (Baia di Anson), in onore di un sir Archibald, vice-governatore di Penang, che, nel 1882, progettò il piano della moderna città. Nel 1982, per i cento anni dalla fondazione, il nome tornò a essere Teluk Intan (Baia di diamante). Gli anni del sultanato e quelli del protettorato videro la città al centro prima dei complessi sistemi politici di passaggio della corona dei raja, poi dei commerci di prodotti agricoli via mare e su rotaia. Qui, anzi, a Durian Sebatang, dove siamo passati tra le palme prima del traghetto, fu ordito il complotto per ammazzare il primo residente inglese della città (mentre faceva il bagno nel fiume). Sempre in queste zone, nel 1958, si svolsero gli ultimi importanti scontri tra Esercito di liberazione nazionale malese (composto per lo più da militanti comunisti) e inglesi. Dopo aver assunto grande importanza anche dopo l'indipendenza, essendo un porto fluviale di esportazione della gomma e dello stagno e dove attraccavano le petroliere di Shell Malesia, la città conobbe un lento ma inesorabile declino nel momento in cui l'erosione e l'accumulo di detriti resero inutilizzabile il porto, almeno per le grandi navi mercantili.  Dagli anni '80 la crisi è andata peggiorando: la stagnazione economica ha portato all'assenza di servizi, trasferiti in altre città più dinamiche, e i giovani sono andati a cercar lavoro altrove, lasciando i campi ai migranti da Indonesia e Bangladesh. Solo dagli anni Duemila, con le nuove highway che passano di qui, Teluk Intan ha cominciato a rinascere, per quanto l'economia ruoti attorno alle palme da olio (coltura e lavorazione), che sono di proprietà di grosse corporazioni. Ci sono anche alcuni cantieri navali, industrie tessili, centri commerciali, un cinema e locali che attirano gli abitanti dei villaggi vicini.
Il centro conserva tracce della complessa storia locale: ci sono shophouse cinesi in legno, edifici coloniali, un masso commemorativo per i caduti delle due guerre mondiali (la leggenda dice che era un sassolino, divenuto via via più grande, con l'aumentare del numero dei morti), una chiesa, diversi templi cinesi e hindu e diverse moschee, oltre ai resti del palazzo reale. Ah, qui è avvenuto anche il primo disastro ferroviario della Malesia, quando, nel 1894, un treno postale notturno è deragliato dopo un frontale con un elefante che proteggeva il suo gruppo.

E poi c'è la torre pendente, paragonata, e non scherzo, alla sorella pisana. Si tratta di un'opera di un architetto cinese che risale al 1885; prima acquedotto, poi faro del porto e torre con orologio che suona ogni 15 minuti, ha iniziato a inclinarsi dopo soli 4 anni dalla costruzione, a causa di un torrente sotterraneo che scorre proprio lì dove si erge la Menara Condong. Nel '41 si voleva abbatterla, perchè troppo visibile per i raid aerei giapponesi, ma poi è sopravvissuta a tutto, ed eccola qua. Onestamente, non faccio neanche la fatica di avvicinarmi a vederla. Va bene così.


Costeggiamo il fiume, uscendo un poco dal centro, per raggiungere il nostro hotel prenotato a cifra pop su Agoda. Ci accoglie un portale cinese, che porta a un tempio cinese, accanto a un ristorante cinese. Sì, anche l'hotel è di proprietà cinese, e il receptionist cinesissimo. Gli chiedo un "safe spot" per le bici e, a malincuore, ce le fa lasciare proprio alla reception, dove aver pavimentato il corridoio e la minuscola, disordinatissima e lercia hall con fogli di vecchi giornali, così che le bici non sporchino ciò che è sporco di altra lordura.


dalla finestra della nostra camera si vedono il tempio e il fiume



Siccome nei dintorni non c'è altro, e nemmeno minimarket, sul far del tramonto ci portiamo al "waterfront seafood reastaurant" cinese, intravisto prima. Sa di salmonella anche solo a guardarlo, ma abbiamo fame e il tentativo di ordinare con foodpanda, leader del delivery nel Sud Est asiatico, naufraga: troppa scelta, troppe cose, troppo troppo. Ci sono decine di ristoranti, ciascuno con decine di piatti, e di quasi nessuno conosco il significato, se non in modo spannometrico. Mi prende l'angoscia delle infinite possibilità ben descritta da Kierkegaard, la vertigine della libertà e la paralisi conseguente. Preferisco la salmonella. Il ristorante è una zattera sul fiume, cui si accede tramite pericolante passarella tenuta insieme dalla carta delle lanterne. Riversa tutto nel fiume, che già è una bella brodaglia di rifiuti.  
Ma di che vista si gode!





Prendiamo un tavolo proprio affacciato al tramonto: il locale è grande e ci sono solo altre due coppie di uomini, cinesi, che hanno più bevuto birra che mangiato, ed ora ruttano, guardano video sul telefono a tutto volume e si scaccolano le dita dei piedi annerite e buie appoggiandole sulle sedie vicine. Le grandi casse vicino al bancone sparano musica pop cinese. Nell'insieme è tutto perfetto. Intendersi con i camerieri è complicato, parlano solo malese e un pochino ino di inglese mandarino, talmente accentato da risultarmi incomprensibile. Siccome siamo affamati e dopo non ci sono "rinforzini" da poter acquistare, non ci facciamo problemi a ordinare tutto in misura XL: noodles con pollo, verdure, gamberi e uova alla "malese" (ma lese), da condividere (una vasca!), per Gigi frittata alle cipolle da molte uova e pe me tofu fritto alla thai, cioè con quella salsa di miele e peperoncino che in Thailandia accompagnano alle pastelle, e mi piace da matti. In effetti, tutto è buonissimo. Perchè a casa il tofu è sempre così triste e insapore, se non puzzolente, mentre qui è ambrosia degli dei?



Dopo aver spazzolato anche le briciole, e pagato, per tutto questo bendiddio, 45 ringgit (9 euro, bevande incluse, da dividere in due), ci godiamo lo spettacolo dell'ultima luce che scivola di là dal fiume, tra i ricami delle palme e i primi fari che si accendono, specchiandosi nelle acque viola e rosse. Per un attimo, un istante di grazia, ho la sensazione che qui ci sia una verità, e che questo luogo me la stia raccontando. Così sperduti, lontani da ciò che è noto, che è turistico, che è facile da raccontare. Così vicini, però, alla sensazione che alla fine siamo tutti sulla stessa barca, e non parlo di questo ondeggiante flottante ristorante, no, parlo dell'umanità, diversa, multiforme, ma mossa da dinamiche tanto simili in ogni angolo del mondo... In questo momento ho amici a New York, a Tokyo, in Islanda, a Mosca e a Ulan Bator. Stanno tutti vedendo gente che mangia, che lavora, che ride o piange, che è felice, oppure non lo è. Famiglie, anziani, bimbi, persone sole, gruppi di amici. Cambiano i colori e le forme, le lingue, gli abiti, gli odori. Ma siamo veramente tutti la stessa cosa. Che piaccia o meno. Le differenze, che a noi paiono abissali, e a volte lo sono al punto da causare guerre, morti, discriminazione, razzismo in senso lato, dovrebbero apparirci  impercettibili come i dettagli che distinguono la livrea di un tipo di moscerino dall'altro. Importanti da apprezzare per godere dell'unicità delle culture e degli individui, sì, ma assolutamente non dirimenti rispetto alla base dell'essere esseri umani. Homo sum, humani nihil a me alienum puto diceva Terenzio.





Ce ne torniamo in camera a finire i rambutan, che sono il rambutan sulla torta di queste considerazioni. Domani possiamo scegliere se fermarci a Sekinchan, a 73km, o spingerci fino a Kuala Selangor, a 100km. Ciò che non pedaliamo domani, andrà ad aggiungersi ai kilometri di dopodomani, per entrare nella capitale. Personalmente, preferirei non avere una tappa lunga per raggiungere il centro di Kuala Lumpur, perchè sarà bella incasinata e stressante. Ma quando si è in viaggio, come pure nella vita, molto non dipende da noi, ma da incognite solo parzialmente prevedibili o governabili. E' tutto un grande esercizio di amor fati. E ora, intasata di raffreddore, rincoglionita di muchi nel cervello e forse pure con un po' di febbre, me ne buonanotto via con le falenottere azzurre, nel nero mar di inchiostro della notte, dove nuotano seppie e calamai.


17/8
Teluk Intan-Kuala Selangor
100km

Quella di oggi è stata una tappa di trasferimento fatta e finita, soddisfacente e nemmeno troppo faticosa. Come si intuisce dal kilometraggio, siamo effettivamente arrivati alla meta più distante, così, domani, da avere solo 71km tra qui e l'appartamento prenotato per tre notti nella capitale malese. Ho anche scattato pochissime foto, in parte perchè, per gran parte della tappa, sono stata impegnata a tenere il cervello acceso, anche al minimo, nonostante il potentissimo raffreddore con annessi malesseri; in parte perchè siamo rimasti su stradoni, pur deserti, e i paesaggi sono molto simili a quelli dei giorni scorsi: palme, moschee, palme, villaggi, palme.

Questa mattina svegliarmi è faticoso, perchè, per come mi sento, starei a letto altre otto ore, mi metterei in malattia proprio. Ma qui non funziona così. Oltretutto dobbiamo far colazione al primo locale sulla strada perchè con noi non abbiamo nulla di utile. Quindi chiudiamo le borse, portiamo giù tutto per le molte rampe di scale, montiamo le bici... Devo anche sorbirmi le elucubrazioni dell'anziano, magrissimo, scuro che pare un pesce di fiume essiccato cinese che sta alla reception. Dalle 6 del mattino guarda video a volume improbabile e ha svegliato tutti gli ospiti dell'hotel, cioè me e Gigi. Ora, in inglese mandarino, mi chiede se siamo scozzesi o australiani, poi mi dice che a lui la bici fa schifo, ma vorrebbe fare un viaggio in moto, in Harley, e mima il gesto di stare in sella reggendo il manubrio. Fa vroooom vroooom con la bocca, e pe fortuna non con altri orifizi. Poi mi guarda e mi chiede se parlo inglese. Ma stiamo parlando in inglese! Vabe', ciao vroomvroom. Partiamo, tra canetti rognosi che ci inseguono e una brezza quasi fresca, ancora.


Dopo un paio di kilometri, finalmente, sosta colazione. Con un litro di caffè in corpo si riparte, e già va meglio. Poco dopo, mentre ancora costeggiamo il fiume diretti verso il mare, trovo l'ennesima bandierina malese, e ovviamente la raccolgo e carico. E sto lasciando tutte quelle malridotte, eh! 




Da qui i primi 70km sono un volo. Seguiamo la highway 5, che corre sempre vicina alla costa e raccoglie poco traffico (le grandi arterie restano più all'interno, e collegano città più grandi, mentre qui ci sono solo paesi e villaggi). Qualche minareto, qualche scuola cinese, molte piantagioni di palme da olio, un caldo che sale in fretta e mi rincoglionisce del tutto.




Facciamo sosta alla solita stazione di servizio, anche in questo caso con gli scaffali mezzi vuoti e i prodotti sistemati larghi nel vano tentativo di riempirli. Mi colpisce sempre questo dettaglio. Questo senso di inadeguatezza rispetto a un mondo che richiede sempre abbondanza, cornucopie di roba, di merce, di cose da vendere, cose da comprare, in un circolo di crescita che in realtà è un uroboro, un serpente che si mangia la coda, destinato a implodere. Anche qui compare la solita gattina affamata e coccolona, ma stavolta non hanno nulla di adatto per lei. Le do un po' di latte, che gradisce assai. Sono solo le 13.30 e siamo già quasi a Sekinchan. Decidiamo quindi di proseguire fino a Kuala Selangor, anche perchè non ci sono monsoni in vista. Individuo alcune strutture, ma non prenoto. Decideremo là per là, quando arriviamo.




Gli ultimi 30km si fanno più impegnativi per il fondo ammalorato, la mancanza di bordo strada e il traffico più intenso. Nell'opposta direzione di marcia si crea una coda infernale dovuta a un'incidente, ed è tutto uno strombazzare di clacson e un urlare di sirene di ambulanze e polizia. Noi s'è dato, eh. Moschee, templi hindu, stradone, caldazza. Altra sosta. Altro gatto della pompa di benzina. Abbiamo proprio l'abbonamento!








Finalmente eccoci, dopo tante terre del pesce e del riso, a destinazione. Passiamo il Selangor, che dà nome allo Stato e all'abitato (Kuala significa estuario). La città, fino al XVIII secolo, era parte del Sultanato di Malacca, fino a quando, nel 1784, cadde nelle mani degli olandesi. Per un certo periodo fu anche conquistata dai buginesi gruppo etnico indonesiano del Sud Sulawesi. Oggi la città è famosa per le lucciole: pullmanate di turisti dalla capitale vengono qui ad ammirare queste mosche dal culo luminoso a bordo di barchini. Inizia a piovigginare: sopra di noi si sono addensate in un attimo nuvole nere e minacciose, che ci fanno accelerare il passo e deviare al primo hotel, un posto da sciuri, roba da ben 20 euro a notte. Nella divertita curiosità generale, che suggeriscono gli sguardi sotto ai veli, prendo una camera deluxe, appunto da 100 ringgit, perchè, a quanto pare, le standard da 75 son finite. Secondo me la receptionist si è limitata a guardare il cielo e ha capito che mi avrebbe convinta facilmente. Issati i bagagli su per le solite infinite rampe di scale, doccia e via subito a cercare un buon alloggio per le tre notti che, da domani, passeremo a Kuala Lumpur. Non ho la guida della Malesia, non so nulla di utile in termini "turistici" riguardo alla capitale e quindi mi baso su ciò che trovo online, comparando resoconti di viaggiatori, informazioni didascaliche ed enciclopediche e offerte degli aggregatori. Dopo numerosi passaggi al setaccio, sempre più fine, del discernimento, ecco il nostro luogo: un appartamento nel quartiere KLCC (city center), fornito di cucina attrezzata e lavatrice, in mega palazzone ultramoderno con tanto di palestra e piscina. Il tutto per 20 euro a notte. Ma di cosa stiamo parlando? Prenoto SUBITO. E, di conseguenza, posso fare la traccia, aiutandomi ancora una volta con Komoot. Un po' mi inquieta vedere quella ragnatela di stradoni giganteschi a più livelli, sopraelevati e sotterranei... Speriamo in bene! Sono solo 72km, possiamo prendercela con calma. Inizio anche a dare un'occhiata alla logistica per i due giorni di sosta e visita. Ci sono tantissime cose interessanti, davvero c'è solo l'imbarazzo della scelta.



la mia ampia collezione di bandiere (una gigante ancora confezionata trovata in mezzo a un campo) e bandierine, e altri reperti raccolti per via

Ceniamo in camera, facendo la spesa al vicino minimarket (il nostro preferito qui è 99speedmart); per curiosità, accendo la tv. E' la prima volta in 50 giorni di viaggio. A casa nemmeno ce l'ho, non che mi manchi, ma mi intriga vedere quel che guardano i malesi all'ora di cena. La tv dell'hotel è bloccata su un canale solo, l'1. Passano i titoli di coda di una serie poraccia low budget tipo Gli occhi del cuore. Poi una pubblicità che invita i cittadini ad andare a votare e, a seguire, una sorta di video musicale sponsorizzato dal DIY, il Brico malese, che mostra cantanti e artisti malesi di diverse etnie, cibi, abiti e volti indiani, cinesi, malesi, occidentali, adulti, bimbi e anziani che, in coro, recitano "Siamo tutti uniti in una sola nazione" e simili, con una profusione di bandiere e immagini patriottiche. E lo capisco eh. Tenere insieme pacificamente una tale pluralità non deve essere sempre facile. Magari meno nazionalismo, eh. Però... Dopodichè inizia il tg, che ha lo stesso format dovunque. La presentatrice non porta il velo, e nemmeno la traduttrice in lingua dei segni; interessante segnale. Le notizie sono tutte di cronaca nazionale, e tendenzialmente ottimistiche: crescita economica, più laureati, cooperazione con paesi esteri, aiuti internazionali a Gaza ecc. Per capire, uso Google lens e traduco i titoli e gli strilli che corrono sotto al video. Finito il Tg inizia un programma di approfondimento politico simile ai nostri talk show, ma più dignitoso. Forse perchè non capisco cosa dicano. Basta così, ho visto quel che mi interessava vedere. Ora si scrive e poi a nanna, che ci aspetta Kuala, domani.


18/8
Kuala Selangor-Kuala Lumpur
74km

Questa notte il raffreddore mi lascia un po' più tranquilla: sta passando, finalmente. Deve aver piovuto: il sole illumina una Kuala Selangor ancora umida, con i segni di un temporale recente. Ma ora il sole è chiaro e pare un buon primo segno per l'importante tappa di oggi. Colazione, giù le borse, monta le bici, e via che si parte. Fa ancora quasi fresco, si sta proprio bene. E' una bellissima giornata! 



Uscendo da Kuala Selangor passiamo dalla moschea centrale, e poi ci buttiamo su stradine che portano in periferia, con tanto di pista ciclabile segnalata, e poi nei campi, che son coltivazioni di, indovinate?, palma da olio!



















Passata questa prima area rurale, dove qualche casetta spunta tra la vegetazione e i contadini ci osservano incuriositi, mentre lavorano o pedalano sbilenchi verso i campi, passiamo una serie di paesini ben vivaci di mercati e bancarelle. Ci sono anche delle piste ciclabili, ma sono gremite di motorini che rombano a tutto gas e quasi risultano più pericolose delle strade stesse (ed in effetti Gigi ne sa qualcosa).




Poi, inaspettatamente, incappiamo in un enorme tempio cinese, tutto lanterne, dragoni e statue immense che mi richiamano certi personaggi di manga e anime, su tutti Dragon Ball (che in effetti è tratto da un poema epico cinese). E' tenuto in maniera impeccabile, pulitissimo, lucido a specchio. Nei bracieri arde incenso e ad ogni altare ci sono offerte di cibo, soprattutto arance ben impilate in piramidi ordinatissime.















Da qui in poi, e fino in centro alla capitale, noto che spesso, in terra, a bordo strada, in luoghi apparentemente insignificanti, si trovano mucchi di incenso che arde, o candele, accompagnati da offerte di cibo, spesso vaschette del delivery o da asporto, piene di riso e carne o dolci coloratissimi, lasciati lì a marcire e a riempirsi di insetti. E' per me mistero su cui indagare.

Per un po' di kilometri ancora la strada corre in zone rurali, di paesini, palme e mercati, moschee piccoline e minuscole scuole. Incrociamo diversi ciclisti in bici da corsa, tutti bardati con il lungo, e pure due cicliste, in lungo e hijab sotto al casco. So cosa significhi, ho pedalato così in Iran. Non proprio comodissimo, eh.




Incrociamo delle scimmie, e da qui si entra in periferia di Kuala Lumpur. Che è una città gigantesca e tutto meno che pianeggiante. I primi kilometri sono di insperata pace: attraversiamo quartieri bene da super ricchi, con ville e villini protetti da ettari di prato rasato filo a filo da schiere di giardinieri. muri e filo spinato e ancora tanti edifici in costruzione. Non passa un'auto, c'è un silenzio quasi surreale. Oh, se fosse tutta così la nostra traversata!











Purtroppo no. Ma ancora si pedala. Lasciamo la zona residenziale dei molto benestanti e, dopo qualche viuzza stretta che pare una scorciatoia per local tagliati, ci troviamo in una serie di quartieri etnici (che detto qui fa un po' ridere) di casine e capanne e baracche. Ben polverosi, con tanto di pollame a giro, cani randagi e generico odore di immondizia e frutta troppo matura. Passiamo una zona musulmana malese, una indiana, una cinese. E poi di nuovo, a giostra. Qui il traffico è intenso ma lento, e fatto per lo più di motorini guidati da adolescenti che sgomitano per salutarci e dirci qualche parola. Seguire la traccia, con un occhio, stare attenta alla strada, con l'altro, e a Gigi, con il terzo (che ognuno può liberamente immaginare dove sia collocato) inizia a essere pesante. Egli ogni tanto mi dimentica che qui la guida è all'inglese e prima mi ha imboccato una rotonda perfettamente contromano. Poi fa caldo ora. In lontananza si intravedono, azzurri, quasi un miraggio vago, i grattacieli della città.






Facciamo una sosta per riempire le borracce presso un minimarket di quartiere, dove tutta la comunità indiana di Kuala Lumpur stamattina sta facendo la spesa, con una sola cassa aperta. I camerieri del vicino ristorante cinese tempestano Gigi di domande. Non so in che lingua comunichino, ma la conversazione, vista da lontano, pare funzionare.



Ripartiamo, mancano 25km. Qui comincia la parte difficile, quella degli stradoni, dei grandi snodi, degli incroci infernali. L'attenzione è altissima, i sensi tesi, bisogna muoversi nella corrente di mezzi in corsa, tutti potenzialmente mortali. Basta un attimo. Il problema più grande sono le uscite. Noi siamo sempre sulla corsia più lenta, tutta a sinistra. Che è dove spesso i veicoli curvano per uscire dalla strada e imboccarne altre. Noi ci troviamo esattamente in traiettoria. Ma per fortuna il traffico, pur intenso, è ordinato, e composto da auto e moto. Niente camion, niente mezzi strani, tricicli, bancarelle a motore eccetera. Più si avanza verso il cuore della città, più si moltiplicano i palazzoni e i grattacieli rubano lo sfondo. Alcuni sono moderni e lustri, altri vecchi formicai anneriti dallo smog.







A little India ci sorprende un primo acquazzone. Facciamo sosta e ne approfittiamo per bere qualcosa di fresco e riposare un attimo. Il negozio in cui entriamo vende alimentari, prodotti per la casa, sari, spezie sfuse, gioielli e statue di divinità hindu, tutto insieme, tutto alla rinfusa.






Pare abbia smesso, ripartiamo, ma poco dopo si scatena di nuovo la furia del monsone. Troviamo riparo su una corsia dello stradone, sotto all'autostrada che corre sopraelevata, in una folla di motorini, soprattutto di foodpanda, che approfittano del riparo per indossare un k-way. Noi, che per fortuna non siamo schiavi di un algoritmo che decide del nostro stipendio, attendiamo che spiova. Troppo pericoloso muoversi qui, con questo traffico, e questa pioggia.




Quando smette, possiamo percorrere i 6km che mancano alla meta. Vediamo le Petronas Twin Towers, attorniate da numerosi altri grattacieli. Ma siamo troppo stanchi per soffermarci più di tanto: domani e dopo avremo modo di esplorare bene questa città multiforme. Ora vogliamo arrivare.






E arriviamo, in effetti, anche piuttosto presto. Ad attenderci, davanti alla lobby del mastodontico grattacielo nel quale si trova il nostro appartamento, c'è un omino in abito elegante e ciabatte, con il quale chatto da stamattina per i dettagli del check in. Ci viene incontro, ci fa lasciare le bici nel nostro posto auto in parcheggio custodito da guardie private con divisa e cappello piumato. e ci accompagna su al trentesimo (trentesimo!) piano, dove alloggeremo. Questo palazzone ospita centinaia di appartamenti e uffici per affitti a breve e lungo termine, per nomadi digitali, stagionali, studenti e turisti. Nella lobby, grande come quella di un mega hotel, c'è di tutto, di tutte le etnie e tipologie umane, hijab, turbanti, berretti centrasiatici... Per salire ci sono 8 ascensori velocissimi, che funzionano solo strisciando la chiave magnetica. Al secondo piano ci sono piscina e palestra. I corridoio, che si aprono anch'essi solo con la chiave, sono spogli e di grigio cemento, e paiono quelli di un carcere. Ma le abitazioni sono davvero belle. Questa è la nostra.






E' un monolocale ben arredato, semplice, pulitissimo e fornito di tutto. Letto, divano, tavolo e sedie, tavolino, cucina attrezzata, lavatrice, stendino... Insomma, che volere di più? E la grande finestrona si spalanca su una vista mozzafiato, che pare una cartolina. Non ho mai alloggiato così in alto, sembra una cartolina, una foto da rivista di hotel di lusso.





Dopo aver preso possesso dell'appartamento, facciamo subito due lavatrici di vestiti luridi e puzzoni che tali sono ancora da prima di passare il confine thai-malese. Poi scendiamo nel supermercato del pianterreno a far spesa per la sera, e, sbrigate queste faccende logistiche, posso dedicarmi ad organizzare la visita, partendo da domani: tour delle famose Batu Caves, e dei primi punti salienti della città nei quartieri storici. Poi si vedrà.




Intanto, dopo gli ultimi richiami alla preghiera, scende la sera e noi ci godiamo lo spettacolo delle luci che si accendono. Che dire? Il nostro soggiorno a Kuala Lumpur parte nel migliore dei modi, e il bello deve ancora venire!






2 commenti:

  1. Chi lo sa che faccia ha, chissa chi è,
    tutti sanno che si chiama Lupin,
    era qui un momento fa, chissa dov'è,
    dappertutto hanno visto Lupin.
    Ogni porta si aprirà, chissa perché,
    se l'accarezza Lupin,
    sto tremando qui dentro di me, chi lo sa,
    stanotte tocca a me,
    Se gioielli e denari e tesori non ho,
    a Lupin il mio cuore darò.
    Scivolando come un gatto se ne va,
    sopra i tetti sotto i ponti, Lupin,
    quanti cani poliziotti ha dietro a sé,
    ma sarà un osso duro, Lupin.
    Ruba i soldi solo a chi ce ne ha di più,
    per darli a chi non ne ha,
    sembra giusto però non si fa, neanche un po',
    a me però, però,
    è simpatico e non saprei dire di no,
    a Lupin il mio cuore darò...
    Ruba i soldi solo a chi ce ne ha di più,
    per darli a chi non ne ha,
    sembra giusto però non si fa, neanche un po',
    a me però, però,
    è simpatico e non saprei dire di no,
    a Lupin il mio cuore darò
    il mio cuore darò
    il mio cuore darò...
    Fonte: Musixmatch
    Compositori: Franco Micalizzi

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