venerdì 31 luglio 2020

27-28. Riga. Luci e ombre di una storia labirintica. Arte e ferocia. Ovvero. A chi piace la... tiri una...





30/7/20
giorno 27
Jelgava-Riga
56km

Oggi abbiamo pedalato poco e visto molto, preso parecchia acqua e raccolto catini e catini di storia che ci si è rovesciata addosso ora tiepida ora gelida, come una doccia fredda 
La mattinata è iniziata sotto una sottile pioviggine grigia grigia, che ci ha fatti bardare da palombari fin da subito, perchè sapevamo che poi sarebbe peggiorata, e così è stato.
Ciò, comunque, non ci ha impedito di visitare il centro di Jelgava; anche questa città ha una periferia oscena, degradata e disastrata nelle infrastrutture che pare il terzo mondo (e non può essere sempre e solo colpa dei sovietici, dopo trent'anni, dai). E un centro perfetto, tirato a lustro e netto come un gioiellino. 
Prima sosta: il monumento per i 100 anni di indipendenza della Lettonia,1919-2019. Sono dieci uomini (che specchiano il passante, undicesimo protagonista) con ciascuno 10 pietre sulla testa, che ricordano i passaggi salienti del secolo, per la nazione.  


Poi ci spingiamo in centro, dove si trova un isolato di casette antiche. Eh sì, perchè Jelgava affonda le sue radici profonde nel passato fertile.


Al centro di importanti vie di comunicazione, su un fiume e a breve passo da Riga, con i suoi mercati agricoli di cereali e lino e con le sue industrie tessili poi, la città ha vissuto giorni fiorenti e ancora oggi è la quarta della Lettonia per popolazione. Ed è stata sede dei duchi di Curlandia e Semigallia dal 1578 al 1795.


Il suo simbolo è questo bell'animale qua


e, nonostante le numerose invasioni, non ultime quelle russe e quella tedesca, conserva ancora molti edifici storici di interesse, come la chiesa luterana di Sant'Anna, in stile gotico, che ospita spesso concerti



il municipio


le soviet-case


e la soviet casa della cultura con vecia infloulardata a impreziosire il quadro.


Poi c'è il campanile della chiesa della Santa Trinità, con dentro il ristorante panoramico e opere di artisti locali, e fuori la statua di Janis Cakste, primo presidente della Lettonia, dal 1922 al 1927; è nato qui.


A questo punto è il momento di portarsi a Pasta sala, ovvero l'isola Pasta, che non è da mangiare e nemmeno l'imitazione italiona dell'Isola di Pasqua. Trattasi di isolotto sul fiume Lelupe, che attraversa la città, collegato da vari ponti, tra cui uno pedonale e artistico, il Gajeju. Bici a mano, perchè i cartelli lo impongono, e via. 


Accanto una sede della facoltà universitaria


e le architetture del ponte e del cielo



Sotto scorre placido il fiume, e galleggiano pedalò e improbabile imbarcazioni. Pasta sala è dedicata al turismo e alo sport, ha un palazzetto e diversi campi e, soprattutto, un museo a cielo aperto di sculture di sabbia. Che d'inverno sono sostituite da sculture di ghiaccio. Usti.


Sotto di noi una fontana che rappresenta un uomo con l'ombrello a cui piove sempre in testa (il che la dice lunga sul meteo locale)



e una fontana di zampilli a scroscio che gettano dalla strada nel fiume. Il che la dice ancora più lunga sia sulla qualità della pavimentazione sia sui millimetri di pioggia che ogni anno, ogni giorno, cadono su questa fetta di mondo.





Non mancano sculture di gusto vario e talvolta dubbio




e piacevoli scorci sul Lielupe


sotto lo sguardo attento di Konrad von Mandern, fondatore della città e maestro dell'ordine livoniano, e di Biron, granduca di Curlandia che fece costruire il palazzo.




Quale palazzo?
Ma ovviamente questo palazzo, che oggi ospita museo e università locale.


Mentre le nuvole corrono e fanno mutare il colore del cielo, dell'acqua, e delle mura, noi ammiriamo la facciata barocca dell'edificio costruito tra 1738 e 1772 dall'architetto italiano Rastrelli. E' il palazzo barocco più grande dei paesi Baltici ed è stato la residenza dei duchi di Curlandia.


Prima qui si trovava un castello dell'Ordine teutonico e vi passò pure Cagliostro, nel 1779. Quando la Curlandia passò in mano russa, in questo palazzo trovò rifugio la famiglia reale francese dopo lo scoppio della Rivoluzione, portandosi dietro cortigiani e merletti per non rinunciare alla vita in stile Versailles.
Quanta storia d'Europa è passata di qui, portata da sovrani ed eserciti?



Uscendo dalla città incrociamo il castello Valdeka, appena restaurato e sede della facolt universitaria di architettura.





Poi via, verso nord, sempre, verso la capitale, prima su ciclabili e marciapiedi sempre più scassati, poi di nuovo sull'autostrada


Nonostante la pioggia, a tratti scrosciante, siamo stati fortunati: un lungo tratto di autostrada era dirottato su una sola corsia, essendo l'altra occupata da un cantiere infinito e deserto. Così noi, a parte qualche kilometro in ammollo nelle pozzanghere a bordo strada, a prendere acqua dal cielo, dalla tarre e dalle ruote dei camion, abbiamo pedalato su una tripla corsia dall'asfalto liscissimo, appena rifatto, e chiusa ai veicoli. Una figata indicibile da fremere come le betulline al vento.




Purtroppo il cantiere, a una certa, è finito, ma la strada è tornata a occupare tutte e quattro le sue corsie ed è comparso un bel bordo largo e sicuro. Vento in poppa e raggiungere Riga è stato un soffio rapido.




Siccome l'orario del check in in appartamento eran le 14, ed era ancora presto, ne abbiamo approfittato per un primo ciclotour dei quartieri più esterni, e meno turistici. Quelli che, nel classco weekend fuori porta, si saltano. Ma nascondono gioiellini preziosissimi.
Il primo è la Biblioteca nazionale lettone, detta anche Castello di luce; una biblioteca nazionale esiste dal 1919, da quando la Lettonia divenne indipendente la prima volta, ma questa sede è stata costruita solo nel 1989 ed è stata inaugurata 6 anni fa.



Oltre al ruolo fondamentale di diffusione e conservazione della cultura e delle informazioni (fornisce anche accesso ad internet, per dire) è simbolo della resistenza orgogliosa della cultura lettone. Quando il paese fu invaso dai nazisti ('41) furono fatti sparire tutti i testi e i riferimenti sia alla cultura lettone sia a quella russa; lo stesso fecero i sovietici, che dal '46 all'88 passarono del bel tempo a controllare e rimuovere dagli scaffali gli autori considerati sovversivi e pericolosi.
Ora invece questo enorme mostro di cultura, che si rifà alla montagna di vetro della mitologia lettone, si staglia sulle rive della Daugava e conserva tutto, tutto protegge e tramanda, in formato cartaceo e digitale.


Di fronte si staglia la grigia sagoma del ponte autostradale


e davanti due curiosi figuri seduti su una sorta di altalena.
Il primo ben grande


l'altro piccino. Sono invero la stessa persona, ovvero lo scrittore lettone Rainis.




Il secondo punto di interesse è il parco della vittoria, che ospita il sovieticissimo monumento ai liberatori di Riga.
Su google maps la parola liberatori è stata messa tra virgolette e qualcuno ha ribattezzato il complesso come "statua agli invasori di Riga".


Tre soldati dell'Armata rossa, un obelisco pirotecnico con stelline di 79 metri e una donna, la Lettonia libera.
"Libera". Con la data 1941-1945, anni dell'occupazione nazifascista.



Come da tradizione russa, il 9 maggio, giorno della vittoria, vengono deposti fiori sul monumento, che sta qui dal 1985.
Nel '97 il gruppo neonazi lettone Perkonkrusts ha tentato di bombardare il sito, senza successo. Due nazisti son rimasti uccisi e sei son finiti in carcere.


Attraversiamo quartieri meno turistici e più popolari, che stanno cercando di scrollarsi di dosso il degrado post sovietico ma spesso non ci riescono, fino a raggiungere l'isola di Kipsala. Questo quartiere è tutto a strade in pavè e casine di legno, sembra la Finlandia dicono, sì ma la Finlandia di Stalin.


Mi interessa qui vedere il memoriale di Zanis Lipke, coraggioso lettone che, a differenza di molti suoi connazionali collaborazionisti, salvò oltre 50 ebrei dai nazisti, nascondendoli in un bunker sotto al suo capannone. Uno di quegli atti di umanità che tengono accesa la fiammella della speranza anche nell'ora più buia.



Siamo infreddoliti, fradici e infangati ed è quasi ora di prendere possesso della nostra cameretta in appartamento condiviso. Attraversiamo il ponte Vansu, che porta direttamente alla Vecriga, la città vecchia.




e voliamo attraverso Centrs, il bellissimo quartiere ottocentesco dalle mille facciate Art Noveau. Ci lasciamo scorrere addosso tutta quella meraviglia, che approfondiremo domani con calma, e salutiamo di fretta anche il monumento alla Libertà, che è un po' il simbolo di questa città.
Così arriviamo nel quartiere russo, nella piccola Mosca, dove si trova il nostro appartamento. Il tempo di portare su bici, bagagli e culi stanchi, di farsi una doccia e scaldarsi, e siamo già in strada di nuovo, questa volta in veste di turisti.
In realtà siamo sufficiente ronci e barbonanti da confonderci bene con il panorama umano che ci circonda: io in pantaloni di tuta adidas e kway di due taglie più grande, sporco di fango. Gigi in tuta e kway, berretto con visiera all'indietro per non farselo portare via dal vento e occhiale da sole tamarro (quello da bici).
Siamo una squadra fortissimi, il latvian dream team.

Il Maskavas Forstate, quartiere russo, è un mix di edifici austeri, case marcescenti, monumenti che ricordano tappe importantissime dalla storia locale, mercati colorati e umanità varia, varissima, più o meno dolente.
Se il centro è ormai una meta turistica pop, lucido a specchio come una bomboniera, qui si respira un'aria decisamente più autentica, meno posticcia, dove il passato recente e difficile di Riga, pedina strategica contesa tra superpotenze, schiacciata e oppressa tre volte, si respira senza filtri.

Due popoli, due regimi, due bandiere, due dittature: questo raccontano le strade e le piazze, questo resta nascosto e anzi, si vuole nascondere agli occhi del turista europeo. La dama più bella del Baltico non vuole mostrare le sue cicatrici, ma son proprio questi strappi e queste suture le linee che meglio descrivono la storia del secolo scorso.
Il nome del quartiere significa "sobborgo di Mosca", e qui vivono per lo più russi. Per le strade è il russo che si sente, molti cartelli in carattere cirillico, russi sono i colori cupi e grigi nelle case, ma sgargianti di oro e azzurro nelle cupole delle chiese, russi i volti, russa la vodka che annacqua gli sguardi.
Decadente e romantico, questo quartiere del '400, di poco posteriore alla città vecchia, mantiene saldissimo il legame con la Grande Madre, e San Pietroburgo è vicina. C'è qualcosa di eroico e furibondo in questa radice che non si spezza, di tragico e dolcissimo a un tempo. Qui ci son figli lontani, esiliati della storia, un numero esagerato di morti e tanta polvere di fabbriche dismesse.

Proprio accanto al nostro appartamento ci sono le prime due cose interessanti: una bella chiesa ortodossa in legno, dai tetti verdi e blu






con le indicazioni anti Covid: non baciare le icone, mannaggia!



E la "torta di compleanno di Stalin". Proprio di fronte, ironia della sorta, classica contraddizione russa di fede profonda e rurale, viscerale com eil sangue e il fango, e ateismo del buon compagno.



La torta di compleanno di Stalin è, in realtà, il palazzo dell'accademia delle scienze e si vede da ogni punto del quartiere. Trattasi di sgradito dono del baffone alla città di Riga -ultimato solo nel '58, quando era già morto e stecchito. E' copia quasi perfetta del palazzo di Mosca, con tanto di falci, martelli, guglie e finestroni; mi ricorda molto anche il suo cugino di Varsavia. Certo è che questo imponente edificio dal dubbio gusto si impone allo sguardo e non passa inosservato. Sulla cima c'è una terrazza panoramica.




Da lì muoviamo verso il mercato centrale di Riga, che fa una doppia impressione: nelle parti coperte è molto pulito e ordinato, con standard igienici simili ai nostri. All'esterno decisamente meno. Dentro è simil-europeo, fuori è simil-ex Urss.
Viene venduto di tutto, dai vestiti all'oggettistica per la casa, dai fiori alle scarpe. Ma è principalmente dedicato ai prodotti alimentari: frutta e verdura, carne e formaggi, pane e dolci.








C'è molta gente e sono tutti locals. Si va dalla sciura che compra marmellata e sottaceti agli alconauti che cercano nella spazzatura un fondo di bottiglia o una cicca non fumata del tutto.








I corpi principali del mercato coperto sono hangar, tra la stazione centrale e il fiume, costruiti per la produzione di zeppelin, e usati dai nazisti come base militare; ognuno ospita un settore. Il più aulente è quello del pesce, con spratti e caviale, e codine e teste fritte.















Fuori ci sono gli ex mattatoi e magazzini della carne, nella zona di Spikeri; prima degradata e malfamata, oggi sta rinascendo e ognuno degli edifici in mattoni ospita spazi di co-working, negozi fighetti e barbieri molto hipster.






Seminascosto tra i vecchi magazzini c'è l'imperdibile museo del ghetto di Riga, che fu uno dei più grandi e dei più atroci. E se vogliamo dirla tutta, fu il prodotto sì dei nazisti, ma anche dei lettoni collaborazionisti che non aspettavano che un via libera per umiliare e poi massacrare gli ebrei della città.







Istituito a ottobre del '41, servì prima per i 30.000 ebrei di Riga, uccisi nei mesi successivi, poi, tra '42 e '43, fu ripopolato con altri 16.000 ebrei tedeschi, austriaci e di Boemia e Moravia. Fecero tutti la stessa fine, e dopo le medisme sofferenze.





Era l'8 luglio del '43 quando Himmler ne ordinò la liquidazione. Bambini, anziani e malati furono portati a Birkenau, gli altri a Kaiserwald e costretti al lavoro coatto.








Quando i russi liberarono la città, nel '44, erano rimasti solo 150 ebrei, molti bambini, scampati a livello individuale soprattutto grazie all'aiuto di amici nonmarchiati dalla stella gialla.




La lista dei nomi e le foto dei volti sono forse il documento che meglio dà la misura dell'orrore. Un muro di vite spezzate.



Con questo peso nel cuore ci spostiamo, tra case di legno e palazzoni, tra cemento e pavè cinquecentesco







sempre sotto lo sguardo dell'accademia delle scienze, tra anziane che frugano nei cassoni dell'immondizia


fino alla splendida chiesa luterana evangelica di Gesù, la più grande costruzione classica in legno dei paesi baltici.



Intorno, degrado post sovietico e tentativi di scrollarselo di dosso.




Raggiungiamo in breve il memoriale dell'Olocausto. C'è un monumento candido d'anime belle con i nomi dei cittadini di Riga che hanno aiutato gli ebrei durante l'occupazione nazista, salvando vite.



E poi ci sono resti della Grande sinagoga corale, che era maestosa, la più grande della Lettonia, in perfetto stile rinascimentale.




Restano le fondamenta, dopo il furore nazista che l'ha colpita nel '41. Tutte le sinagoghe della città furono bruciate, sotto l'occhio orgoglioso delle cineprese tedesche che documentavano il disastro. Tutte tranne una, che vedremo domani. In questa le fiamme divorarono anche 300 ebrei chiusi dentro. 



Inizia a piovere e troviamo riparo sotto agli alberi proprio di fronte al memoriale, insieme ad alcuni senzatetto. Impossibile non lasciarsi infradiciare lo spirito da questo panorama storico e umano.

Ripartiamo diretti all'ultima tappa del giro di oggi: il mercato nero, o mercato russo, o mercato delle pulci (non solo di nome). A causa del cattivo tempo e dell'ora tarda, molte bancarelle son già chiuse.




Ma basta poco a capire il genius loci di chincaglieria sovietica, bici e ricambi di dubbia provenienza e materiale elettronico di ancor più dubbia provenienza. Ringrazio i miei genitori di avermi vaccinata contro le più comuni malattie infettive.









Ce ne andiamo verso lidi più sicuri, sotto lo sguardo perso nell'alcol e in chissà cos'altro dei rari avventori e dei venditori, poco abituati a vedere turisti da queste parti.
A fare la spesa andiamo in uno dei grandi centri commerciali super chic che sorgono tra la stazione e i quartieri turistici che vedremo domani: Centrs e Vecriga. Gigi ne approfitta anche per acquistare un nuovo paio di scarpe da battaglia: le sue, che lo hanno accompagnato anche nella ciclotraversata degli Usa, non hanno retto al maltempo e al fondo dell'est Europa. Rip scarpe.

Nel tempo libero prima di cena organizzo la visita di domani e studiamo il percorso che ci porterà a Tallinn. Dopo lungo studio e numerose letture, prendiamo la decisione: non la strada più breve, da 300km, che è tutta Baltic highway di camion e smog, ma l'Eurovelo 10-13 (Baltico e Cortina di ferro) costiera, con solo brevi tratti su strada trafficata e più lunga di circa 150km. Non più 3 ma 4 giorni per raggiungere la capitale Estone. Ma siamo in largo anticipo sui tempi, quindi va bene prendersela comoda, evitare la muerte stiacciati dallo Scania a cent'allora e vedere il mare e le spiagge di sabbi ancora un po'.
Poi in Estonia il campeggio libero è sempre permesso e ci sono un sacco di aree attrezzate, nelle pinete sulla riva, tra profumo di salsedine e resina, dove nasce l'ambra d'oro.
Ho altissime aspettative, sarà una figata pazzsca!
E Riga, domani, anche. 

31/7/20
giorno 28
Riga
15km a piedi

La giornata di oggi è stata dedicata all'esplorazione a piotte dei due quartieri storici più turistici di Riga: Vecriga, il cuore antico della città, patrimonio Unesco, e Centrs, il quartiere in stile art noveau.
Due premesse: 1. Riga è bellissima. Meriterebbe più tempo; ogni piazza, ogni scorcio può essere ammirato per ore, sotto la luce mutevole delle nuvole in corsa.
2. Parlarne, come mi accingo a fare, è inevitabilmente superficiale rispetto alla profondità e alla vastità e alla complessità della storia che è trascorsa su queste pietre e su questi tetti.

Diciamo che scriverne è follia e preferirei concluderla con l'inevitabile battuta volgarona "A chi piace la f*** tiri una Riga". Ma no, dai, imbarchiamoci nell'impresa.

Quando ci svegliamo piove forte ma basta il tempo della colazione per far sì che smetta e si possa uscire tranquilli. Passiamo di nuovo accanto all'umanità varia della stazione e del mercato


poi dei centri commerciali un po' moderni un po' soviet, i multisala e il canale che fa da romantica cerniera tra i due quartieri che ci interessano oggi.






Passiamo accanto all'unica sinagoga sopravvissuta a Riga, immersa tra i palazzi già eleganti e raffinati che preludono alla bellezza che verrà dopo, spettacolo pirotecnico di architettura.



Da lì ci portiamo sul fiume e, con lo sfondo delle arcate del ponte ferroviario, incrociamo il monumento ai combattenti del 1905; durante la domenica di sangue del 9 gennaio di quell'anno centinaia di lavoratori in protesta furono uccisi dalle truppe zariste, a San Pietroburgo. E qui, a Riga, in molti si riunirono in sciopero per mostrare solidarietà ai colleghi e compagni ante litteram. Anche qui la Daugava si tinse di rossosangue, con quasi 100 morti e 200 feriti.


Arriviamo poi al controverso monumento dedicato ai fucilieri lettoni. Controverso perchè trattasi di motivo di orgoglio, un corpo scelto e famoso, brutale e infallibile, ma per un motivo poco felice poi per la città: erano comunisti che combatterono insieme ai bolscevichi durante la guerra civile russa, guardia scelta di Lenin. La statua si trova, ironia della sorte, proprio accanto al museo dell'occupazione, che narra le difficoltà della Lettonia tra nazisti e sovietici.





Rita kafija!


Dietro al nero cubo del museo dell'occupazione si apre quella che forse è la più bella piazza dell'intera capitale: la piazza del municipio.





Qui ci sono, oltre al municipio stesso, la casa delle teste nere, la statua di Rolno e il monumento che ricorda il prmo albero di Natale addobbato al mondo.





La Casa delle Teste Nere risale alla prima metà del XIV secolo, ma venne più volte rimaneggiata. Nel 1886 gli ultimi lavori la trasformarono in una casa barocca. Inizialmente diverse corporazioni della città la utilizzarono come loro sede ma ben presto divenne il ritrovo dei mercanti celibi il cui patrono era San Maurizio, originario del Nord Africa, e per questo raffigurato all'ingresso con la pelle scura. Gli affiliati vennero chiamati quindi Teste Nere e la casa che li ospitava con il tempo si chiamò la Casa delle Teste Nere, sede di feste, gozzoviglie e ricchi affari. Il 28 giugno 1941, durante la seconda guerra mondiale, la Casa delle Teste Nere fu bombardata dai tedeschi, e rasa completamente al suolo dai sovietici nel 1948.  I lavori per riportare l'edificio al suo originale splendore furono eseguiti dal 1995 al 1999.

 La statua di Rolando ricorda invece il legame della città con la Germania. In diverse città tedesche nel XIV secolo furono erette delle statue in onore di Rolando, difensore degli accusati e giusto giudice. La punta della spada del paladino è il punto da cui vengono calcolate le distanze da Riga di tutte le altre città e paesi della Lettonia.












Ci spostiamo verso la cattedrale, passando per vie graziosissime e così perfette da sembrare finte







e parchetti stupendi con statue di animali e labirinti e rose dei venti tra cui giocano i bimbi







Eccoci finalmente alla cattedrale luterana, iniziata nel 1211 e rimasta la più grande chiesa gotica del Baltico. La visiteremo più tardi, ora è in corso un concerto d'organo.



Di fronte sta il palazzo della borsa, che ospita una galleria d'arte e tutto è incorniciato da facciate e colonne e guglie strepitose 








Raggiungiamo "i tre fratelli": le case in muratura più antiche della Lettonia (dal '400 al '700). Una è sede del museo di architettura.






In un attimo si arriva alla cattedrale di San Giacomo, cattolica, duecentesca, sede dell'arcidiocesi.




All'esterno si trovano subito il parlamento e il memoriale delle barricate del 1991.









Camminando verso il castello, ecco il monumento a Barenite, la bambina siberiana; o meglio, lettone deportata in Siberia, come 4000 bambini insieme alle loro famiglie.


Arriviamo così al castello, un tempo residenza del gran maestro dell'ordine livoniano e ora del presidente della repubblica






Accanto si staglia la sagoma bianca e azzurra della chiesa di Nostra signora dei dolori, cattolica.










Torniamo alla cattedrale luterana, che ora si può visitare, con il suo bel chiostro in cui sono conservate anticaglie secentesce e la statua del vescovo che fondò Riga, dopo esser giunto tra queste genti pagane a portare Cristo e la sua parola.




























Usciamo di nuovo tra i bei palazzi che fanno camminare a naso in su






fino alla porta svedese, unica rimasta  del periodo di dominazione scandinavo



con le antiche mura cittadine ricostruite e i loro fantasmi.








Si arriva così al museo della guerra e alla torre delle polveri del 1330, sempre parte del sistema di mura difensive svedese. Dal XVII secolo fu usata come deposito di polvere da sparo, onde il nome.



Mi calo un buonissimo cappuccino-marshmallow con vista torre





 e via di nuovo alla vicina casa del gatto. Pur essendo nella città vecchia è in stile art noveau e ha una simpatica storia da raccontare.

Quest'edificio fu fatto costruire da un ricco commerciante, che vedendosi rifiutare il permesso di entrare a far parte della Camera del Commercio Maggiore (e non potendo quindi godere dei relativi benefici), come segno di spregio, fece mettere sui pinnacoli della costruzione dei gatti tutti orientati con la coda alzata verso la Camera di Commercio Maggiore che si trova proprio di fronte, a mostrare i loro buchetti di culo. Pare anche che poi fu costretto a rigirare gli sprezzanti felini. 





Ci rituffiamo nelle vie del centro





fino alla duecentesca chiesa di San Pietro, con le sue bancarelle di venditori di matrioske e ambra


e la statua dei musicanti di Brema (perchè il vescovo fondatore di Riga veniva proprio da Brema... Sarà l'asino o il cane?)








sull'altro lato della medesima piazza si erge la chiesa luterana di San Giovanni, sempre del XIII secolo (qui i cattolici han perso delle belle pedine sulla scacchiera, con la riforma).




Ci portiamo verso l'explanade, il placido parco che costeggia il canale. Stiamo per passare al quartiere Centrs. Impossibile non notare l'Opera nazionale lettone, ottocentesca, che fa l'occhiolino a Mosca e Parigi.





il primo presidente della prima repubblica lettone




ed eccoci all'orologio della Laima, locale azienda di cioccolato e dolci. Risale al 1924. Durante l'occupazione sovietica era usato per diffondere messaggi politici, il più diffuso dei quali era l'inquietante "non fare tardi al lavoro!".




Di fronte sta il cuore del centro della città. Foto scema di rito



e si para davanti a noi il Monumento alla libertà. del 1935.Sul basamento sono collocate diverse statue che raffigurano il Popolo Lettone, il suo lavoro e il suo amore per la Libertà; la donna che innalza le mani al cielo, chiamata affettuosamente Milda dai lettoni, simboleggia la Libertà mentre le tre stelle che regge tra le mani rappresentano le tre regioni storiche della Lettonia, Kurzeme, Vidzeme e Latgale. Durante il periodo dell'Occupazione sovietica portare dei fiori a questo monumento, divenuto simbolo del desiderio di libertà e di indipendenza del popolo lettone, poteva portare all'arresto e alla prigionia nelle prigioni siberiane.Si può assistere al cambio della guardia ogni ora nel corso della giornata.






Da lì si raggiunge in un balzo la cattedrale della natività di Cristo, ricca e ornaya come una bomboniera. Evidentemnete ortodossa. E' in preparazione un matrimonio e uno degli organizzatori è intento ad accompagnare fuori gli anziani mendicnti.






Nel parco ci osserva il poeta Rainis

 
sotto il cui sguardo passiamo, verso l'accademia delle arti



un vago accenno a ciò che è successo i mesi scorsi


e la galleria nazionale d'arte.


Poi si srotolano ai nostri occhi le vie dell'art nouveau, che arrivò qui come in Russia, un po' in ritardo rispetto a Parigi e all'Europa occidentale, tra fine Ottocento e anni '20 del '900.
Non c'è nulla d dire, solo da ammirare passeggiando e assorbendo tutta questa meraviglia, luminosa nel sole caldo che è sbucato dalle nuvole.


















Torniamo in appartamento stanchi e felici. Usciamo subito perché abbiamo visto un ufficio cambiavalute e ne approfittiamo per riconvertire in uro i pochi zloty polocchi che ci sono avanzati. Spesa al mercato centrale e di nuovo a casa, a riorganizzare tutto per la ripartenza di domani. Se tutto va come previsto, già domani a fine tappa entreremo in Estonia. Da lì seguiremo la costa, saltando però le isole. Tra 4 giorni saremo a Tallinn. Giorno di visita e poi sarà tempo di imbarcarsi per Helsinki. E lì comincia tutta un’altra storia.

 

Una piccola considerazione finale su Riga. Come detto in premessa, è bellissima. E come si è capito dai pochi cenni che ho fatto, ha una storia complicata e labirintica. Le sue vie e le sue piazze son pertanto dense di contraddizioni. Viva i russi liberatori! Abbasso i russi invasori! Viva la cultura tedesca! Abbasso i tedeschi cattivoni! Cattolici, ortodossi, luterani, ebrei, atei, viva tutti, abbasso tutti! Insomma, qui si legge l’Europa del crocevia, un po’ come a Istanbul, ma più a nord. Qui Oriente e Occidente si sono incontrati e scontrati. Ci son state arte e cultura salvifiche e ferocia disumana. Ancora adesso la città, che fa 800.000 abitanti ed è la più grande sul Baltico, vive una dicotomia, un continuo ritrovare equilibri mobili tra poli opposti. I quartieri gioiellino e quelli marci, le boutique e i senzatetto. E questa è anche la globalizzazione. Il male assume un volto unico e comune. Però si vede la voglia di esserci, in un futuro nuovo e migliore, come stellina in cerchio nel blu d’Europa.

Ciao Lettonia, è stato davvero un piacere.