domenica 25 luglio 2021

19. Paestum-Qualiano (Napoli). Pedalando nel Flegetonte, sopravvivere

23/7/21
Paestum-Qualiano
116Km





Quella di oggi è stata una giornata infernale. Una discesa all'abisso, repentina e senza dazio a Caronte, un biglietto di sola andata per decidere che no, l'Italia non è un paese per ciclisti.

Sapevo che attraversare Napoli non sarebbe stata una passeggiata, ma non pensavo che l'ignoranza e la maleducazione potessero giungere a un tale segno. Vivo a Milano, che notoriamente non è particolarmente bike friendly. Ho attraversato in sella città come Mosca, Teheran, Ulan-Bator, Los Angeles e New York, ma pure Belgrado, Ashgabat e Tashkent, Novosibirsk e Istanbul. E vi giuro che in nessuna di queste metropoli ho rischiato la vita quanto nel capoluogo campano e periferie. Qualquadra non cosa, e non è colpa dello stato, di dio o del fato. No no, è proprio la gente.
E non venitemi a dire che questa è una frase razzista, magari leghista, da polentona. No cari, nulla mi è più distante. Il mio sguardo è sempre il medesimo, oggettivo per quanto posso e trasparente come una goccia d'acqua, in tema di origine e provenienza, etnia, religione o colore della pelle o dialetto. Non mi interessa chi sia a fare le cose, mi limito a registrare ciò che accade.

E ciò che è accaduto oggi ha la forma dell'incubo.

Stamattina mi sono scattata una foto che per qualche motivo mi ricorda quella famosa di Christopher McCandless davanti al Magic bus, in Alaska. Ottima come testina per l'articolo di nera in caso di incidente.


In realtà la mattinata è cominciata abbastanza bene. Forse per l'ora non tarda, forse per la scelta della litoranea, ci siamo trovati a pedalare su una strada solo moderatamente trafficata, chiusa tra il mare, le dune e la pineta, da un lato. E dall'altro campi di pomodori pieni di ragazzi neri con le schiene piegate, montagne di immondizia, prostitute veramente veramente derelitte e cani randagi, in un unicum di degrado interrotto solo da qualche paese. Il primo si chiama "allevatori di castori" (sic), poi Foce Sele, notoriamente paludosa e malsana e le propaggini di Battipaglia. All'interno Eboli, quella dove si è fermato Cristo. Perchè pure lui, con tutto il bene...

A bordo strada, lato pineta (non lato prostitute) ci sarebbe anche una ciclabile, che è talmente larga e ben pavimentata da risultare letteralmente impercorribile, nonostante i nostri plurimi tentativi. Ma, come dicevo, il traffico qui è ancora decente e senza troppe bestemmie si arriva al Golfo di Salerno, con la città in vista davanti a noi.


La periferia, come ogni periferia, bella non è. Ma qui troviamo un negozio di bici che prende in carico quella di Gigi. Si è rotto la molla del freno posteriore e va assolutamente sistemata. L'operazione richiederà due ore e mezza perchè il buon meccanico, non avendo in negozio il pezzo di ricambio, va a recuperarlo a 15km di distanza, chiedendo poi una cifra misera nonostante abbia lavorato anche in pausa pranzo.



Mentre Gigi resta al negozio e intanto incontra un amico d'infanzia che vive qui a Salerno, io ne approfitto per un giro in centro. Davanti, azzurra nella distanza, si staglia il profilo della Costiera Amalfitana, con i suoi golfi e le sue rocce a strapiombo sul mare.


Salerno ha conosciuto un momento di grande splendore come capitale del principato longobardo. Dal VI secolo a.C. osca-etrusca, poi sannita, e romana, è sempre stata una città multiculturale; era infatti un cuscinetto tra papato e impero, tra oriente bizantino e islam. Saltando tanto avanti nel tempo la si ricorda come Manchester delle Due Sicilie, per le numerose fabbriche alla metà del 1800 e luogo dello sbarco alleato e capitale sotto Badoglio, durante la Seconda guerra mondiale.

Di tutto resta traccia, ma il centro storico è di impianto medievale. Sopra svetta il Castello degli Arechi. Sotto le porte e le viuzze strette



e la raffinatissima Scuola Medica, fondata nel IX secolo ed estremamente all'avanguardia per l'epoca, prima istituzione nel mondo occidentale per l'insegnamento della medicina. La leggenda vuole che ad aprirla siano stati 4 maestri: un ebreo, un arabo, un latino e un greco. Onde il titolo di hippocratica civitas.


I muri danno voce ad Alfonso Gatto, poeta originario di Salerno, e questa è la street art che ci piace!






In centro, accanto al tempio di Pomona


si trova la cattedrale. La facciata anonima, barocca di un barocco senz'anima, non deve ingannare;


e nemmeno la piazza, dedita più al culto della squadra locale che non a quello dei santi tradizionali.



La cattedrale in sè, costruita dal 1084 per volere di Roberto il Guiscardo, presenta un meraviglioso quadriportico e un campanile in stile arabo-normanno. La pianta ricalca quella di Montecassino e dell'antica San Pietro in Vaticano.






Dopo aver girato per le vie del centro e del porto ed aver riposato al fresco del parco della Villa Comunale, mi ricongiungo con Gigi, che finalmente ha ripreso possesso della sua bici. Da qui inizia una sorta di folle volo al basso verso l'Averno. Non ho quasi più scattato foto perchè il traffico è stato tanto e tale da rendere impossibile qualsiasi sosta e da sfibrare ogni nervo e grammo di pazienza.

Usciti da Salerno ci inerpichiamo sulle colline che preludono ai monto della Costiera Amalfitana. Il paesaggio è stupendo, con le pendici ora di roccia ora grasse di bosco a picco sul mare, costellate di paesini che paiono sfondo di un presepe.
Passiamo accanto a Vietri sul mare, a Cava de' Tirreni e dalle due Nocere. La strada è un Flegetonte di asfalto rovente in cui stanno immerse le anime di guidatori violenti e maleducati. Non è semplice descrivere la situazione, se non la si vive dall'interno. Dal'inferno. Immaginatevi una bolgia indistinta di auto, furgoni, camion, moto e motorini, apecar e pedoni che si ammassano sulla carreggiata senza alcuna regola, mossi dal caos, dalla fretta, dall'ignoranza di qualsivoglia minima regola del codice o del buonsenso. Rotonde, incroci, semafori sono presi d'assalto senza logica nè senso. Il rumore di clacson è continuo e ininterrotto. Si parcheggia in seconda, terza, quarta fila e lo sport nazionale è aprire le portiere appena ci si passa accanto. Le manovre azzardate e pericolosissime sono la norma per tutti e si usa, ad esempio, accostare due motorini, con sopra tre persone ciascuno, nessuna munita di casco, e chiacchierare amabilmente, corsa,, nel mezzo nella strada. E giù di clacson, di precedenze mancate, di rossi bucati, di portiere aperte a un millimetro dalla faccia.

Come se tutto ciò non bastasse, la strada o è scassata o, come accade per DECINE di km da prima di Pompei fino a dopo Napoli, fatta a lastroni di pietra sconnessi. Braccia e schiena soffrono molto peggio di quanto accadrebbe su uno sterrato cattivo e siamo costretti a fare numerose soste per riposare la mente e riprendere fiato, prima di rituffarci nell'inferno.

Per fortuna, in tutto questo, incrociamo anche qualche goccia di splendore e di umanità che ridanno senso al nostro andare. Passiamo, ad esempio, da Pompei, con il suo santuario.



e la città romana sepolta dall'eruzione del Vesuvio nel 79° anno della nostra era. Ho già visitato questi luoghi qualche anno fa e rivederli mi placa il lago del cuore. E' un sorso di linfa fresca, un frammento di pace assoluta.






Passiamo poi da Ercolano, anch'essa ridotta ad un urlo muto e grandioso perenne dal vulcano. E poi si entra in Napoli. Qui il casino raggiunge il suo apice assoluto, perchè al traffico mosso da caos si aggiungono pedoni urlanti, venditori de laqualunque e umanità varia più o meno dolente che bighellona in giro e crea ulteriore entropia.



Per altro passiamo proprio dalla zona della stazione ferroviaria centrale e poi dall'aeroporto e dalle periferie conseguenti. Qui ci sono i quartieri malfamati, brulicanti di gente losca e invasi dalla monnezza. Siamo guardati con stupore e interesse, come fossimo animali strani, come vedere una giraffa a Cornaredo.

Siamo oramai cotti e non ne possiamo più. All'ennesima rotonda nella quale NESSUNO rispetta la logica delle precedenze e tutti si accalcano alla rinfusa per passare, tamponandosi e sclacsonando, ho un mental break down e invoco un intervento divino risolutore, un ventilabro che purifichi. Così no, dai, non è possibile. Meritiamo di essere considerati terzo mondo. Anche quarto o quinto. E la cosa bella è che, in tutto questo, nelle rotonde ci sono statue della Madonna o di Padre Pio o del Cristo. Perchè proteggano la gente CHE FA DI TUTTO per farsi e fare del male. Il Medioevo!

Ci lasciamo alle spalle, stressati ed esauriti, Napoli. Muoviamo verso nord, fino ad un albergo che ho trovato su Booking a una cifra ridicola. Poi ne capisco il motivo. Personale gentilissimo ma trattasi evidentemente di ex (o attuale) bordello, con camere con specchi ovunque, alle pareti e sul soffitto e luci dai colori ambigui. E questo genere d'opere d'arte realizzate con petali di rosa finti.


Il proprietario ci accoglie ricordandoci che siamo nel pieno della tristemente nota Terra dei fuochi. Oh, benone!
In ogni caso abbiamo portato a casa la pelle anche stasera e domani dovrebbe essere meno tragica la rotta. Entreremo in Lazio per il penultimo giorno di queste tre settimane di raid italico. Puntiamo a Terracina. Da lì muoveremo su Roma, tappa finale. Ho già prenotato un Flixbus diretto su Milano, notturno, da Tiburtina a Lampugnano. Così chiudo idealmente il mio personalissimo "Giro d'Italia", iniziato quasi dieci anni fa con il primo viaggio "lungo" in bici, un Milano-Roma che mi ha iniziata a questa vita seminomade cui non ho più voluto rinunciare. E sono solo all'inizio, c'è ancora tanto mondo, quasi tutto, da esplorare!

sabato 24 luglio 2021

18. Potenza-Paestum. Dalla roccia dei monti al marmo sacro che affaccia al mare.

22/7/21
Potenza-Paestum
109Km









Buongiorno Puteeeeenza!


La mattinata si apre come un sipario davanti a noi, con vista sull'Appennino dolce e terribile a un tempo. La luce ancora morbida smussa le asperità e gioca con le linee sinuose dei colli. Ma noi sappiamo, oh! Come sappiamo!, che le insidie di questa roccia non sono finite. Siamo nel mezzo, nelle fauci dei monti denti di pietra, e prima di tornare al piano dovremo affrontare rampe e tornanti impietosi. Poi sarà mare, di nuovo. Il terzo di questo viaggio: Adriatico, Ionio e ora Tirreno.


Oggi Google maps non ci farà scherzi. Dopo l'errore madornale di ieri, abbiamo studiato una rotta di strade secondarie e percorsi ciclabili. Tosta, impervia, ma sicura, lontana dagli stradoni e dal traffico. Seguiremo una larga parte del famoso tratturo degli stranieri, calcando sentieri percorsi per millenni dalle genti di qui, conquistati e conquistatori, vincitori e vinti della storia.



Dopo una discesa in picchiata dal centro storico di Potenza (ero troppo impegnata a tirare i freni per fare foto!) si ricomincia a salire. Ora con pendenze accettabili, ora meno. Intorno la terra bassa, che bassa resta anche in quota, con greggi e contadini già nei campi.


Passiamo il conurbato orrifico di Tito, un susseguirsi di centri commerciali polverosi e cadenti, palazzoni semiabbandonati e negozi dalle insegne ormai sbiadite al sole. E poi inizia la fatica, quella vera. La fatica delle bestie. Il tratturo degli stranieri consiste qui in discese ripidissime da far paura, che portano a fondo valle e immediate salite altrettanto ripide che permettono di scollinare nella valle successiva. Il sole picchia forte sulle teste e il fondo è piuttosto sconnesso. Pure con il rapporto più morbido si deve spingere sui pedali con una contrazione continua dell'intero corpo. 


Ogni fibra è tesa oltre il limite e pare che qualcosa, un tendine, un muscolo, debbano cedere, sfilacciarsi, di punto in bianco. E andando piano, pianissimo, il tempo della fatica si dilata in questo sole abbacinante che fa luce su tutto, in primis sulla nostra piccolezza di formichine che trasportano grandi carichi.
C'è il momento del rifiuto della fatica e del dolore, e un momento di accettazione serena. E' qui che il ritmo del cuore rallenta, il fiato si calma, si percepisce ogni goccia di sudore che esala, ogni fruscio di lucertola tra gli sterpi. E' qui che avviene la magia, l'alchimia opera al bianco. La coscienza abbraccia tutto, in un uno indistinto e fuso che vive e fluisce in armonia. I movimenti circolari delle gambe, come quelli dei dervisci, come i moti astrali, sono la chiave di accesso alla consapevolezza alta e panica. La luce mi attraversa come fossi un frutto d'acqua, come uno di quei pesciolini trasparenti di cui si vede il cuore pulsare. 


A volte si incontra una casa, un cascinale. Un gregge ci attraversa la strada, mentre il pastore, a torso nudo e con i sandali, capelli e barba incolti e pelle bruciata al sole, richiama le bestie. Potrebbe essere il Cristo o un poveraccio. Probabilmente è entrambe le cose.



Si sale e si scende. Si sale, si sale, si riscende. 


Sfioriamo Savoia di Lucania e le cascate del Tuorno





fino a giungere, dopo una discesa così ripida da mangiarci tutte le pastiglie del freno, fino a Vietri di Potenza, arroccata e arcigna come un nido d'aquila. Viene chiamata la porta di Lucania, perchè è la prima o l'ultima città che si attraversa per chi viene o va in Campania.


Infatti, lasciato alle spalle il paesino che pare sfondo di un presepe, scendiamo al Fiume Bianco che segna il confine tra regioni.



Scendiamo ancora giù e giù fino alle sponde del Tanagro. E poi risaliamo, ancora ma per l'ultima volta, fino a Zuppino e Scorzo, sui margini del parco nazionale del Cilento. I monti osservano, azzurri, il nostro faticoso andare. Guardano senza dire, e l'unico rumore è quello dei campanacci delle bufale.




Eh sì, perchè qui comincia l'ampia zona di produzione della famosissima e buonissima mozzarella di bufala campana. E Battipaglia, con la sua succosa zizzona, è vicina. Ci passeremo domani. Per ora dobbiamo scendere al piano, e farlo cautamente. Entrambe le nostre bici hanno problemi ai freni. Pastiglie consumate, filo da tirare, disco sporco? Fatto sta che scendiamo quasi a ruota libera. Il vento, contrario, questa volta un po' aiuta.


Dopo un tratto temibile di traffico (ahimè la Campania vince a mani basse la medagli d'oro per guida di merda) e strade dissestate, che dopo la fatica immane e bestiale della tappa risulta quasi insostenibile, arriviamo puntualissimi alla meta del giorno.


Che è meta nobile e spettacolare: Paestum. Il suo parco archeologico. Il suo museo.


Non è questa la sede per una lezione di storia. Basti dire che tre quarti dei siti archeologici che ho visitato in vita mia impallidiscono a fronte di una tale magnificenza. 



Tutte le civiltà e le culture che da qui sono passate hanno lasciato grandiosa traccia e dono di inestimabile valore. Dalla fondazione greca di Poseidonia all'epoca dei lucani, quando il luogo si chiamava Paistom, fino alla conquista romana di Paestum, qui nel marmo e nel "segreto dei pigmenti duraturi", per citare Nabokov, è sopravvissuta tanta bellezza, tanta grazia, da risultare ancor oggi salvifica. 




Nel parco spiccano i templi, scampati alla rovina del tempo e all'ignoranza, miracolosamente intatti, tutti di ordine dorico, dedicati ad Era ed Atena. Sono stati costruiti tra la metà del VI e la metà del V secolo avanti Cristo.









Ma ben visibili sono anche le architetture civili. Oltre alle mura, il foro, l'anfiteatro, le botteghe e le strade.


















E' difficile andarsene da tanta meraviglia, soprattutto in questa luce caramello che fa splendere la pietra come oro ramato. Ma tanto c'è ancora da vedere, nel museo adiacente.

Qui sono confluiti i ritrovamenti delle aree circostanti, soprattutto necropoli. Ci sono corredi funebri (vasellame, armi, gioielli) ma soprattutto lastre tombali affrescate.
C'è la celeberrima del tuffatore, del 480-70 a.C., che raffigura il salto tra vita e morte





ma anche una vasta raccolta di tombe affrescate del periodo lucano. I colori sono quelli di questa terra, e il melograno di Persefone torna spesso.








E così anche oggi abbiamo aggiunto un tassello preziosissimo al mosaico di immagini raccolte in questo lungo breve viaggio nel Bel Paese. Per la sera ci buttiamo nel primo campeggio, a nemmeno 1km dal sito. E' un postaccio zozzo e pieno di cafoni, di pieghe di carne grassa e sudata, di gente che sciavatta e urla. Nessuno è qui per il sito, ma tutti per il mare a buon mercato. C'è un'umanità varia e avariata che fino a tarda notte schiamazza. Cani, bambini, madri esaurite e padri volgari, adolescenti un po' sporchi, personaggi di dubbia finezza e palese ignoranza affollano le piazzole. E ovunque aleggia l'ombra di due figuri: il custode, più panza che uomo, in una divisa da vigilante vera come la moneta da 5 euro, e zio Peppe, un anziano così storto che cammina praticamente chinato. Sta in una tenda di fronte a noi. E' sempre in giro a torso nudo, con i calzoncini e un cappello fluo. Ne ha uno giallo e uno arancione e li alterna secondo una qualche sua legge morale. Sembra il più misero dei figuri, ma tutti si rivolgono a lui con devozione. Forse addirittura baciano le mani.
Nel profumo degli eucalipti, mentre ci godiamo lo spettacolo d'arte varia dell'umanità, arriva la notte.
Domani sarà tappa difficile: passeremo per Napoli. E si sa: "vedi Napoli e poi muori", soprattutto se sei un ciclista immerso nella jungle urbana di traffico. Ma vedremo Salerno e una delle città più belle del nostro paese, e tanto basta.