giovedì 20 agosto 2020

46-47. Fiordi, renne in spiaggia e neve sulle cime. Norvegia, amore a prima pedalata.






18/8/20
giorno
Karigasniemi-Lakselv
105km

Oggi sì, oggi è stata proprio una bella giornata in cui fatica e bellezza raccolta per via son rimaste in equilibrio, e ogni goccia di sudore è stata ripagata da gemme di meraviglia, piccole pietre preziose color verde e blu.
La mattinata è iniziata con gran calma: attraversando la frontiera norvegese, nel primo kilometro, avremmo guadagnato un'ora con il fuso, tornando in linea a quello italiano. E quindi ci siamo goduti per bene il calduccio della nostra casetta di legno, e la pace della cucina con terrazza panoramica sul fiume Karasjhoka, che segna il confine Norge-Suomi.







Pronti, partenza... Saluto al nostro amico cicloturista finnico, che ci ha seguiti ancora, e... Via!
E' bastato un minuto per capire alcuni dettagli meteo: il vento a favore, da sud, non freddo. La temperatura decisamente più mite (massime a 15 gradi, una goduria). Nuvole spesse che oscurano la luce ma non foriere di pioggia. Tutto perfetto insomma.
Così salutiamo la Finlandia, così meravigliosa e dolce, ora, ora spietata, impietosa, grandissima di natura e orizzonti. Con la sua gente che saluta e sorride, che ama il silenzio e i boschi ed è fatta di acqua, di vento, di linfa. La Finlandia terra promessa per il cicloturismo, e per un futuro felice, fatto di cose piccole e curate, belle, piene di senso. Piene di grazia. In mezzo ad una natura che mi ricorda dama Galadriel quando Frodo le offre l'anello: "Avresti una Regina! Non oscura, ma bellissima e terribile come l'alba! Infida come il mare! Più forte delle fondamenta della Terra! E tutti mi ameranno, disperandosi!".
Eh sì, così è.
Kiitos Suomi! Nakemiin!
Grazie Finlandia! Arrivederci!





Al confine non c'è alcun controllo, nessun poliziotto, nulla di nulla. Meglio così, meglissimo. Non amo quel genere di formalità. Ci si para davanti una terra verdissima di verde cupo, di alberi neri come sagome in un teatro delle ombre.





E poi eccola, definitivamente, la Norvegia.
Decimo e ultimo stato di questo viaggio tutto europeo. Anche se qui non siamo in Unione e nemmeno in zona euro.




Norvegia, terra di siberiani emigrati, di sami, di vichinghi, sottomessa alla Danimarca e alla Svezia, dal 1814, anno della prima costituzione, indipendente nel 1905, occupata dai nazisti e passata dall'essere un paese rurale ad uno industrializzato e avanzatissimo ricchissimo per il petrolio e il gas, primo per Isu e indice di progresso sociale. Un regno che crea grandi aspettative insomma. Una terra da togliere il fiato per tanto che è bella. Sono certa che non ci saranno delusioni, cara Norvegia. Ora facci entrare, che il nord, ormai vicino, chiama.






Seguendo le strette anse del fiume arriviamo a Karasjok, considerata capitale lappone pur non avendo questo gran numero di sami residenti. Qui si trova la chiesa inlegno più antica del Finnmark, che risale al 1807 ed è l'unica cosa sopravvissuta a incendi e bombardamenti della Seconda guerra mondiale. 


E' c'è pure il record della temperatura di -51 gradi, nell'inverno del 1988; di solito arriva solo a -40.







In questa ridente cittadina, poi, ci sono il parlamento Sami, la biblioteca sami e una radio in lingua sami. E poi c'è il parco-museo che illustra cultura e tradizioni sami. C'è una statua dei sami. Mancano solo i sami in carne ed ossa praticamente, rari come i liocorni, anche se qualcuna con il foulard tradizionale s'è intravista.















A Karasjok ritiriamo anche un po' di corone, perchè, a quanto sappiamo, qui in Norvegia i prezzi sono tutt'altro che popolari -giustamente rapportati ai salari- e, come ha detto il pisano l'altra sera "Gratis è una parolaccia". Ci ha infatti detto che, pur vigendo il diritto di ogni uomo, per cui si può piantar la tenda sulle terre non recintate, non ci sono laavu, capanni e posti attrezzati come in Finlandia o in Svezia. E, se ci sono, si pagano.
Ripartiamo, dunque, e subito son salite e discese, lunghe e morbide. Eolo oggi si è pentito e ci dà una gran mano.
Intorno, nel grigio su grigio spettinato dal vento, si intravedono laghi d'argento come specchi magici, che bevono le profondità altissime del cielo e ne ripetono il canto.






Profili di monti, ornati da chiazze di neve che splendono come gemme, si alzano all'orizzonte. E' la Terra di Mezzo? Un mondo altro? Un regno di fiaba?
Il cielo si fa mare e onde le nuvole. Con cresta e risacca si muovono sopra di noi, ed è uno spettacolo grandioso e inquietante a un tempo.









Di città non ce ne sono, oggi, fino all'arrivo a Lakselv. Solo un paio di villaggi sami, tra cui Skoganvarre, nel pieno di un enorme parco naturale tutto boschi e laghi e fiumi, dove restano alcune tracce di un ospedale da campo nazista, rimasto ad arrugginire e a farsi mangiare dal muschio.


Giungiamo a Porsanger, che è la terza municipalità più grande della nazione (ma non arriva a 4000 abitanti), e non si basa tradzionalmente sulla pesca, come la gran parte dei villaggi qui, ma sull'allevamento di renne (che sono tre sullo stemma). Area sami, è stata poi popolata da Kven, finlandesi che, dal XVIII secolo, si son trasferiti qui in fuga da guerra e carestia, trovando sul fiordo la pace. Tre le lingue ufficiali: norvegese, sami settentrionale e kven/finlandese.
A Porsanger c'è anche l'azienda vinicola più a nord, che non usa uva ma bacche simili al mirtillo (empetro nero).


Ma soprattutto qui c'è un'enorme base militare dell'esercito norvegese, che ospita una guarnigione e il più grande campo d'addestramento del paese. Inutile dire che sono vietati video, droni, foto, e tutto è chiuso da flo spinato e guardiole.
Mi stupisce veder uscire, da uno degli edifici, una ragazzina in maglia rosa glitterata e leggings azzurr, avrà quindici anni, con un trolley.
Mi sovviene "La bussola d'oro" di Pullman, letto e riletto alle medie, e gli esperimenti del Magisterium per separare i bambini dai loro daimon. Se non sapete di cosa stia parlando, vi consiglio la lettura della trilogia "Queste oscure materie"!
Magari quella ragazzina è proprio Lyra, o una amica della strega Serafina Pekkala e dell'orso corazzato Iorek...

Spinti dal vento avanziamo rapidi e intorno la luce è sempre più scura.
Arrivo alla sera ad essere completamente intontita da questa semioscurità protratta, quasi spossata da una febbre che è fame di luce.
E anche un po' satura del'odore pungente di pesce e di salmastro che ci accompagna da ore; ma forse siamo noi a puzzare così.



Presto e non sfatti di fatica arriviamo a Lakselv, cittadina con aeroporto (anche militare) e servizi di ogni genere, compresi tre supermercati (per 2000 abitanti), benzinaio, due ristoranti, di cui uno pizzeria sami "Oregano" e strutture ricettive che richiamano numerosi pescatori per le trote e i salmoni del fiume vicino.
Inoltre qui inizia, o finisce, il fiordo di Porsanger, lunghissimo, immenso, che costeggeremo praticamente fino al tunnel di Capo Nord, per entrare sull'isola di Mageroya.
Prendiamo una stanzetta nel campeggio sulle rive del fiordo, che ha tanto di spiaggia con sauna






Poi si va a far la spesa in centro, al Rema 1000, supermercato descritto come economico. Alla faccia!


Si torna in campeggio per una bella doccia calda, un lavaggio vestiti luridi nell'attrezzatissima lavanderia e la cena, nella cucina linda e deserta, salvo un motociclista tedesco che, via Skype, sta organizzando, con un amico americano, una festa di compleanno per una certa Gigi qui in Norvegia.




Intanto cala la sera  e questo è il massimo del buio che riesco ad immortalare, prima di ritirarmi per l'ora tarda e la necessità di organizzare i prossimi giorni. Perchè ormai ci siamo, manca davvero poco!






19/8/20
giorno 47
Lakselv-Repvag
120km



La tappa di oggi, da sola, potrebbe valere tutto il viaggio. Al di là dei numeri, delle mete simboliche, al di là di tutto. 




Perchè la Norvegia è meravigliosa oltre ciò che si riesce a dire. E' un continuo spettacolo immenso, e la bellezza sta nell'infinitamente piccolo, nella bacca di un rosso perfetto, nella foglia geometricamente impeccabile, e nel grandioso, maestoso, mozzafiato aprirsi di montagne e mare, di blu profondo e azzurro finissimo.



Questa mattina siamo partiti sotto la benedizione di un sole che non pareva nemmeno vero. Da quanto mancava questo azzurro steso? Non ho nemmeno messo gli occhiali da sole per fare una scorpacciata di luce e berla a sorsi grossi, senza perderne nemmeno una goccia, oromiele.



E che colori! Quante tonalità di verde e blu, che tavolozza palpitante di vita! Per non dire delle temperature, più che raddoppiate rispetto ai giorni scorsi: 16, 17 gradi. Aria frizzantina di primavera, dopo i gelidi assaggi d'autunno che ci han rosicchiato le membra secche e simili al cuoio.
Colazione, foto al culetto del fiordo Porsanger e via, a costeggiarlo per tutto il giorno. Poteamo scegliere se fermarci a Olderfjord, a 68km, o tirare fino a Repvag, a 120km, e accorciare poi la tappa su Honnigsvag; ovviamente abbiamo fatto così, approfittando della giornata fantastica, con tanto di venticello a favore che non guasta mai.

Abbiamo salutato Lakselv in un tripudio di sfumature iridescenti


a sinistra la costa rocciosa dei monti, per lo più brulli, pietra su pietra, nudo sasso spazzato dal vento




a destra il mare, il fiordo grandioso, che beve al seno degli infiniti fiumi e torrenti che lo alimentano, mescolando acqua dolce al sale.






La strada, certo, non è mai in piano, ma le pendenze sono sempre accettabili e fanno solo sudare, senza sfiancare. Abbiamo assistito alla bassa marea del fiordo, che lascia scoperti ampi lembi di sabbia, di cui approfittano i gabbiani, che fan verso di mare





e persino le renne, spaparanzate al sole come fossero a Riccione. Anzi. A Rennone.



L'azzurro, acquacielo, è il protagonista assoluto della mattinata.







Passiamo la riserva naturale di Stabbursnes, in un susseguirsi di golfi, insenature e isolotti, promontori e scogli, ora spalancati alla vista, ora seminascosti tra cespugli e betulle piccine e ritorte dal vento.
Ci sono molti spiazzi a picco sul fiordo, dove i camper si fermano per la notte e si può campeggiare.





Mi ricorda un misto tra il Big Sur californiano, pedalato l'anno scorso, e la Liguria. Ma tutto è più puro e assoluto, definitivo. Uno di quei luoghi in cui, se per caso percepisci la fine, non ne hai paura e te ne vai con il cuore pieno e tondo come lo sfero di Empedocle.











All'altezza del villaggio di Indre Billefjord incrociamo il primo di numerosi greggi di pecore, che se ne vanno in giro bel belle da sole, senza pastore e senza cane.




Anche di renne ce n'è una quantità esagerata, di ogni colore e dimensione, ora selvatiche, ora con collare e campanaccio, comunque sempre libere e mai costrette a corde o recinti.


Per 70km prima e 50km dopo Olderfjord non ci sono città, ma casette sparse, bianche, grigie o rosse, capanne di pescatori con i graticci per stender le reti e mettere il pesce a seccare. Eremi, luoghi dell'anima, segno di una vita di vento e gelo, di mani spaccate per il sale e il freddo, di notti di neve e albe pirotecniche.




E renne a giro. Stiamo pedalando in una cartolina, in un sogno che profuma di mare e muschio.




Una chiesa che ormai non accoglie fedeli, ruderi dai tetti crollati e negozi chiusi da anni fanno intuire che le nuove generazioni han trovato altre vie ed altri porti, e legni più lievi su cui navigare il tempo: non le notti a gettar reti e gli inverni a grattar via i cirripedi dallo scafo della barca. Questi villaggi di pescatori si sono svuotati e non resta quasi più nessuno, qui. Solo i duri, solo i forti.

Vediamo pure la chiesa di Kistrand, del 1856; il legno era inizialmente dipinto di rosso, ma dal 1883 è stato coperto di bianco e così è rimasto, nonostante l'uragano che l'ha distrutta a fine Ottocento e l'utilizzo come quartier generale per le truppe naziste in transito, nel '44-'45.





Arriviamo a Olderfjord, quasi 70km, che ancora presto. Subito decidiamo di non fermarci qui e di proseguire fino alla microscopica Repvag, dove so esserci una sorta di hotel. Però a Olderfjord dobbiamo fare la spesa per cena e colazione, perchè poi non ci sono più nè supermarket nè negozi di alcun genere.
Il minimarket è anche stazione di servizio, pompa di benzina e bar e ristorante, ufficio postale e bagno pubblico.
Oltre al cibo, vende di tutto per la pesca e per il campeggio, abbigliamento termico e attrezzi tecnici per la vita all'aria aperta. Comprerei tutto. Ci limitiamo comunque alle necessarie vettovaglie.
Oltre ai rudi locals che dai loro stivaloni di gomma scrutano i turisti, scatarrando e sorseggiando rumorosamente caffè nero, passano camper e motociclisti in viaggio, ma pure cicloturisti. Solo due invero.
Ragazzotti del nord della Finlandia che stanno pulendo e oliando la catena, di ritorno da Capo nord, dopo esserci giunti via Alta (la strada che faremo noi andando a Tromso). Sono partiti sabato. Ci parlano del famigerato tunnel ripidissimo che porta a 200m sott'acqua, e serve a raggiungere l'isola di Mageroya.Ci dicono di mettere luci ben visibili. E noi lo sappiamo, e siamo attrezzatissimi.


finto posto di blocco

Il tempo di far la spesa e bere un caffè e il cielo si annuvola di nuovo, e addio luce e addio colori. Rimane solo la grandezza vasta di questa natura poderosa.
Passiamo i microvillaggi di Russenes e Smorfjord, che han più lettere nel toponimo che abitanti. Le pochissime case son tutte dotate di graticcio per seccare il pesce e sauna in cortile.








Poi l'unica traccia di presenza umana resta la strada, sfruttata più dalle renne che dai veicoli. Ad un certo punto ho smesso di fotografarle, tanto eran numerose!








Il grigio e l'alta marea di nuvole tornano a dominare l'orizzonte, e l'acqua diventa una goccia di mercurio gelido stesa su uno specchio.



Cominciano i tunnel. La costa norvegese ne è costellata e alcuni son vietati ai ciclisti, altri pericolosi, altri han persino la corsia dedicata. Questi son stretti e a tratti sterrati, ma abbastanza illuminati. In ogni caso, per sicurezza, ci addobbiamo con tutte le lucine che abbiamo, e indossiamo abbigliamento catarifrangente e ad alta visibilità. Siamo alberi di Natale su ruote.






Fuori dall'ultimo tunnel di oggi, e non per citare Caparezza, la strada si fa ancora più sinuosa e costeggia fedelmente il fiordo, quasi ad accarezzarlo. L'acqua, per contro, lambisce gli scogli vicini a riva, li sfiora, sussurra loro parole antiche. Nel silenzio diventiamo partecipi di questo discorso che prosegue da millenni. A lato la costa dei monti è brulla e la nuda roccia appare stratificata, spaccata, sbriciolata: il vento, l pioggia e la neve, i fiumi e il sale corrodono e scavano anche la più solida delle montagne. Senza fretta.
A me questa roccia così stratificata ricorda i wafer, i tramezzini o la Viennetta. Probabilmente ho fame. E comunque la geologia per me è sempre stata così, non so per quale tara: un ricondurre alla cucina. Sei scemo o mangi sassi?







Quasi all'arrivo, un cartello che parla chiaro. Siamo sotto i 100km da Capo Nord, abbondantemente superati i 5000km alle spalle.


Meno felici sono i cartelli che indicano la deviazione per Repvag: sui simboli di campeggio, ristorante, hotel ci sono delle grandi X fatte con il nastro adesivo. Ma io so perchè: il campeggio è chiuso da tempo per ristrutturazione. Ma c'è un posto, un hotel, più in centro, proprio nel villaggio di pescatori. Noi andiamo lì, e che dio ce la mandi buona, inshallah. 
Pieghiamo ad est, lasciando la strada che riprenderemo domani, per infilarci nel cuore del promontorio su cui sorge il paesino, che conta ben 14 abitanti.


Passiamo il campeggio, chiuso, e troviamo la chiesina con il suo cimitero non molto affollato.



Scendiamo dunque fino al villaggio, che son quattro case attorno al porto.



Qui troviamo ciò che stiamo cercando: un albergo! E a prezzi di favore (dopo un minimo di contrattazione) e camere con ogni comfort, wifi compresa.




La struttura sorge proprio nel porticciolo, e, anzi, ne è parte integrante: il corridoio esterno è un pontile con barche da pesca ormeggiate e il cortile è una rimessa con scafi e motori a giro, insieme a reti e galleggianti. Proprio di fronte, e collegata da un corridoio, la sede di un'azienda di pesca ed export internazionale di granchi reali, attività tanto remunerativa quanto pericolosa, in inverno, per le condizioni estreme del freddo e del vento.










Se ora Repvag è un buciodeculo, un tempo, fino alla rivoluzione del '17, fu porto fiorente e centro principale di mercato con i russi, tra vichinghi e Pomor, le popolazioni del nordovest della Russia. I primi offrivano pesce, gli altri cereali.





Per l'ennesima volta noto cartelli in russo, e non credo si tratti più dei Pomor; quando entro nella reception a far foto all'arredamento "carataristico", parlo un po' con il ragazzone biondo e timido che ci ha accolti e che, vedendoci docciati e vestiti civili, non ci riconosce.



Il giovanotto, alla mia richiesta di lumi, mi risponde in russo dicendo che lui e il suo capo sono russissimi e hanno aperto qui un businness di noleggio barche e attrezzatura da pesca, in accordo con la compagnia dei granchi giganti, e fanno anche altre cose non del tutto chiarissime.
A giudicare dal numero di presenti, il progetto non sta andando benissimo. Discorriamo un po' dei miei viaggi in Russia, del fatto che lui non è mai stato oltre gli Urali ma è venuto in Italia, a Palermo, in vaanza con la sua ragazza. Com'è piccolo il mondo.

Dopodichè ci ritiriamo in camera e, dopocena, prenoto l'ostello a Honningsvag per domani e dopodomani. Saranno tappe brevi (54 e 68km) ma intense: la prima è una sola andata sull'isola di Mageroya, con il famoso tunnel cattivissimo. La seconda è un giro circolare, si va a Capo Nord e si torna. Con calma, per gustarsi ogni istante, ogni goccia di luce. Poi torneremo sui nostri passi, da Honningsvag ad Olderfjord, sulla bella strada di oggi. E da lì Alta e Tromso, per gli ultimi 500km circa. Poi... poi si vedrà! Di certo ancora non è finita e di cose da vedere e da are ce ne sono tantissime, e tutte pazzesche!


1 commento:

  1. una marea di belle foto, ma (e l'ho scritto anche a Gigi) che fine hanno fatto le persone? il traffico? altri animali che non siano renne e pecore? sulle foto non c'è nessuno tranne voi, due argonauti alla ricerca di un punto su una carta elettronica... che differenza dai viaggi precedenti dove probabilmente i veri protagonisti erano la gente con le loro facce e i loro modi di essere... ma forse questo era un viaggio diverso

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