martedì 25 agosto 2020

50-51. Controvento, tra fiordi e montagne d'entroterra. Come Sisifo felice.





22/8/20
giorno 50
Honnigsvag-Olderfjord
103km

Quella di oggi è stata una tappa di pura fatica; un distillato di sforzo, fibre tese, strizzate, stirate allo spasimo. Dolori ovunque e fiato corto, spezzato, stroncato. Una cosa titanica l'andare, un grandioso slancio di volontà proseguire, perseverare, non fermarsi.
Perchè.


Chi si ferma.


E' perduto.


La giornata era anche bellissima, con un sole caldo e temperature incredibilmente alte, fino a sfiorare i 18 gradi. Roba da completo estivo, da guanti corti e occhiali scuri (e non quelli con le lenti gialle che uso da giorni, forse settimane, che amplificano la luce ed esaltano i colori, anche quando non ci sono nè l'una nè gli altri -gli occhiali dell'otimismo, kantiani).


Ma perchè queste temperature? Perchè spirava vento da sud. E noi si doveva giusto tornare a sud, dopo aver raggiunto l'estremo settentrione. Ma questo vento, questa punizione dantesca, non si può descrivere. Solo chi ha esperienza diretta può capire cosa significhi pedalare per ore con raffiche a 40-50km/h che ti colpiscono in faccia come sberle, che ti ributtano indietro, ti prendono a lato e spingono ora in mezzo alla strada, ora fuori dalla carreggiata.
Si procede a una media di 14km/h e a tratti bisogna scendere a piedi, e anche a piedi si fa fatica e ci si deve piegare come giunchi per resistere alla furia di Eolo.
Andando così piano, fin da subito si capisce che le ore in sella saranno tantissime, e man mano paiono aumentare, e son tutte di fatica grandiosa e allucinante.
Uscire dall'isola di Mageroya è stata impresa non semplice: diversi i tratti a piedi, spinti e strattonati dal vento, e poi il tunnel Nordkapp, da cui uscivano fumi inquietanti (umidità e vapore che rendono l'aria opaca e densa da respirare).
Inutile dire che sia questo tunnel sia gli altri si sono trasformati in gallerie del vento ed è stato come pedalare in un acceleratore di particelle, ma in direzione ostinata e contraria.





Fuori di nuovo, sulla terraferma, abbiamo ripercorso all'indietro i circa 100km pedalati i giorni scorsi, fino a Olderfjord, lungo il fiordo Porsanger.
Sempre i paesaggi stesi di poderosa pace hanno placato un poco l'animo, e curato la fatica estrema.







Ma la parola chiave di oggi, come ha giustamente detto Gigi in un momento di riposo tra folata e folata, è stata PAZIENZA.
Bisogna averne a fiumi, a cieli, a oceani. Pazienza. Capacità di sopportare e attendere con calma d'abisso che passi la strada sotto alle ruote. Bisogna essere buddha dal sorriso di pietra, con il loto in grembo. Giunco nella corrente. Faro che accoglie la tempesta.
Ma la nostra è una pazienza attiva. Non un passivo attendere che il peggio passi. Bisogna attraversarlo. Nuotarci nel mezzo fino raggiungere la riva sicura.


Una pazienza da Sisifo. Ma Sisifo felice, quello di Camus.

Sisifo è l'eroe assurdo, tanto per le sue passioni che per il suo tormento. Il disprezzo per gli dèi, l'odio contro la morte e la passione per la vita, gli hanno procurato l'indicibile supplizio, in cui tutto l'essere si adopera per nulla condurre a termine. È il prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra.


Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.




Così andiamo, pianissimo, mentre l vento ci rimbomba nelle orecchie in un boato continuo, un urlo di ferocia antica. Non posa mai, non torna dalla sua sposa come lo dipinse Kokoschka.



Le baie e i promontori, le salite continue e le rocce, gli azzurri e il grido dei gabbiani che si confonde nel vento accompagnano le lunghe ore in sella, tesi nello sforzo grandioso di superare Eolo in forza e tenacia.






Incredibilmente, dopo quelli che paiono mesi di ininterrotta fatica, dopo le ultime salite a strappo, giungiamo finalmente ad Olderfjord. Siamo stremati e non vediamo l'ora di sistemarci per la sera e cenare.
Ma qui interviene la grande beffa, detta anche ciavada maxuma, come avrebbe scritto Sallustio. Siccome è sabato (?) tutto è chiuso. Il minimarket -l'unico- ha anticipato alle 16, anzichè alle 18. Il turistcenter, che gestisce motel (chiuso e in ristrutturazione), ristorante e bar (chiusi da secoli), negozietto e campeggio, ha chiuso alle 17. Ma porc...
Chiamo il numero indicato fuori dall'ufficio e una donna sgarbata, dopo avermi seccamente detto che non hanno posto, quando le chiedo delle piazzole per tende mi dice che sì, quelle si possono mettere nel prato, pagheremo domani all'orario di apertura (contaci).
E così montiamo la nostra tendina in riva al fiordo e facciamo una doccia calda (a gettoni) che lava via tanta stanchezza.



Per la cena, non avendo potuto far la spesa, dobbiamo dar fondo alle razioni di emergenza che, per fortuna, stamattina ho preparato: una confezione di noodles, un panino al latte e due mele a testa. Poi ci siamo fatti un tè caldo con un po' di biscotti e marmellata. E anche la cena s'è risolta, insomma. Non è Cracco, non è un'abbuffata, ma nemmeno si patisce.
Gigi si ritira subito in tenda e dorme quasi 12 ore, a misura della stanchezza accumulata oggi. Io resto in cucina a scrivere, ma produco ben poco. Arrivano infatti tre olandesi, nonno di 79 anni versione Babbo Natale in mimetica, suo figlio, 45 anni circa, alto e forte e dal sorriso grande, che pare uno di quei soldati mandati nelle ex colonie a fare i lavori sporchi, e nipote, 17 anni, goffo magro e spettinato come si è a quell'età. I tre occupano la cucina e iniziano i giochi da tavolo, le chiacchiere e gli spilluzzichi (mi offrono di tutto, in particolare formaggio con salsine buonissime). Il ragazzino ha affrontato il suo primo viaggio in bici, fino a Capo Nord, ma non proprio tutta la strada: è partito due mesi fa ma non ha controllato per nulla la situazione Covid e ha passato più tempo in quarantena ai confini che in sella. Il nonno, in pensione, appassionato di viaggi in camper, ha deciso di andarlo a recuperare e di seguirlo poi per fargli da ammiraglia. Il padre, che lavora in Niger per una compagnia petrolifera, essendo a casa causa virus e chiusure varie, si è aggregato all'allegra combriccola. Parliamo di viaggi, di Europa, di pandemia, di progetti futuri. Sono tre simpaticoni caciaroni e la serata prende una piega allegra, che fa dimenticare del tutto la fatica di oggi.
Certo, quando mi corico sento le gambe, la schiena, le braccia e le spalle come svuotate, sfibrate. Sarebbe necessario un po' di riposo, ma il tempo ormai è tiranno e bisogna andare. E domani non sarà una giornata facile: le previsioni meteo parlano di pioggia ininterrotta tutto il giorno e vento ancora contrario. Sigh. Sob.

23/8/20
giorno 51
Olderfjord-Alta
105km

Durante la notte ha piovuto, ma al mattino quando emergiamo dalla tenda splende un sole che non ci si crede.
Anche il vento, ahimè, è ancora teso e contrario da non crederci, mannaggia.
Facciamo colazione con quel che avanza, grattando il fondo delle borse, nell'idea che a 20km da qui (di salita) c'è un market aperto (a Olderfjord, di domenica, son chiuse pure le chiese).
C'è del bello sempre, comunque.


Lasciamo la costa alle nostre spalle prendendo il bivio per Alta: oggi strada nuova e nuovi cieli, mentre torniamo a sud, ma stavolta un poco ad ovest, non più verso la Finlandia ma verso la Norvegia, girando attorno al confine svedese (chè, altrimenti, ci tocca la quarantena ovunque si vada, Italia compresa).
Oggi rivedremo il mare all'arrivo, per il resto è tutto monti d'entroterra, e acqua dolce di fiumi lunghissimi e laghi a specchio.








Le colline qua intorno non sono più brulle e calve come i giorni scorsi. Son tornati i pini e persino le betulle, son tornati gli alberi alti, slanciati al cielo, che non temono il gelo e il vento. Tutto torna a respirare linfa e il verde fa viva la terra. Si sale e si scende di continuo, non si va mai oltre i 300 metri di altezza, ma la fatica di ieri va ad aggiungersi a quella fresca. Il vento sempre ci è avverso, e bisogna distrarsi in qualche modo. Passo la giornata a pensare e penso così profondamente e intensamente che potrei parlare di meditazione. Meditazione in movimento. Dinamica. Ma mentre il corpo va con il pilota automatico, io sono immersa in conversazioni passate, ricordi di volti e luci, domande, poesie, canzoni. Un giorno di vento si può fare lucidi e presenti. Due giorni son troppi, la mente deve estraniarsi dal corpo.
Passiamo da Skaidi, unico villaggio che incontreremo oggi, l'ultimo prima di 80km di soli monti e valloni.
A Skaidi ci sono alcuni servizi per i turisti attratti dalle piste da sci, dai due fiumi in cui si pesca e dal fatto che qui passano le strade per Alta, Nordkapp e Hammerfest. Tutto il resto è bosco fitto, in cui, durante la seconda guerra mondiale, furono costruiti dai tedeschi campi di detenzione di prigionieri russi.

Dopo una sosta e una seconda colazione, ripartiamo. Scaleremo oggi diversi "passi", tutti di poche centinaia di metri, ma devastanti perchè fatti di continui saliscendi tutti esposti al vento contrario e perfido.




Intorno fanno da cornice cime ben più elevate, spesso rocciose, brulle e con tracce di neve rimasta lì per tutta l'estate a splendere come una gemma al sole.






Certo la vista è grandiosa e bellissima come la natura qui sa essere. Seguiamo il corso del fiume Goahtemuorjohka, impetuoso, vibrante di vita. I pescatori rari stanno immersi nell'acqua gelida fino alla vita, in attesa.














Passiamo una distesa di betulle morte, o malate, per kilometri, che ricordano le Paludi della tristezza de La storia infinita. Chissà cos'è successo. Sembra passato un esercito, pare che sia svolta una recente battaglia nei dintorni. Pare un cimitero.






In un momento di pausa incrociamo una ragazza che viaggia a piedi, con zainone da cui pendono materassino, padelle, scarponi... Si accompagna ad un husky di bellezza indicibile, bianco e nero, gonfissimo, con il pelo lungo e morbido che si agita al vento. La prima cosa che noto è che indossa delle scarpine-calzette colorate, la seconda è che ha un'imbracatura con borse laterali e porta il suo bagaglio: pappiera, cibo, coperta... Ed è orgogliosissimo di fare la sua parte. Sicuro è un cane da slitta.






A poco più di metà tappa e metà dislivello complessivo siamo bolliti e ormai andiamo avanti per inerzia. Mi estraneo del tutto dal corpo, mi vedo da fuori, rido della mia piccola goffaggine e ammiro gli orizzonti immensi come un'aquila che vola alta tra le correnti celesti.




Il cotone selvatico cresce a chiazze e si confonde con la neve, mentre i dettagli sfumano e tutto si confonde e riaddensa in un'unica macchia di colore scuro. Senza sole fa anche piuttosto freddo, la temperatura è scesa intorno ai 12.




Nel nulla spiccano l'ossatura di una tenda e una chiesa in legno, Aisaroaivve. Qui si dividono due fiumi, nasce uno spirito dell'acqua, il luogo è consacrato.


La strada corre implacabile, su e già, dritta, esposta, incontro al vento feroce ululante.






Poi alcune curve e un accenno di discesa. La speranza che questo urlo di fatica sovrumana ceda il passo ad un placido mormorio del cuore.






Un vallone idilliaco prelude alla tanto agognata discesa



che ci conduce giù a precipizio al lago Leirbotnvannet. Le gambe si raffreddano di colpo, le ginocchia si incrinano, ma che gioia piena rotolare al piano come la famosa biglia in quei problemi di fisica che risolvevo al liceo.





Ultima salitella che spezza le gambe di vetro



e poi giù di nuovo, questa volta fino al mare, salutato stamattina e ritrovato ora sotto una nuova luce. Ci accompagnerà fino all'arrivo.








Pareti verticali di roccia ci accompagnano alla costa fino a Rafsbotn, paese che ha una superficie di 0,34 km quadrati, compresa chiesa e supermercato dove facciamo la spesa per la cena.
Gli ultimi km che ci separano dal campeggio di Solvang, appena fuori Alta, sono di pura meraviglia. Il fiordo, il sole tra strappi cobalto, la strada che è la miglior terrazza panoramica del mondo. Tutto è bello, ora e dolce di ritorni, di nostoi insperati compiuti.









Il campeggio in cui ci fermiamo è proprio sulla spiaggia, in una pineta profumatissima di resina e muschio. Incontriamo diversi pescatori e amanti del kayak, motociclisti e un ragazzo di Berlino in bici, tutti diretti a Capo Nord. Ora siamo noi ad avere l'esperienza fresca per poter dare consigli e indicazioni, noi ci siamo già stati, abbiamo visto. Sappiamo.





Dopo la doccia mi fermo un poco sulla spiaggia a contemplare tutta questa bellezza di luce e acqua che giocano fra loro e ridono piano. Fa fresco, ma il cielo è in pace ora.




Siccome ieri è stata di magra, oggi ci rifacciamo. Gigi spazzola, nell'ordine: 6 etti di spaghetti con wurstel


"m'avete provocato..."

una tolla di fagioli in salsa, una confezione di salame, quantità indefinita di pane, mezzo kilo di yogurt, una tolla di frutta sciroppata e due etti di wafer dopocena. Io sono di poco da meno e vi assicuro che siamo secchi come merluzzi asciugati al vento!

Domani passeremo da Alta e ci fermeremo a metà strada tra qui e Oldedralen, dove si prende il primo dei due traghetti dell'ultimo giorno, per evitare i tunnel vietati alle bici e raggiungere Tromso. Mancano tre tappe pedalate, circa 300km di questo viaggio da poco meno di 6000km.

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