venerdì 28 luglio 2023

34-36. "Para todo mal, mezcal. Para todo bien, también". Sierra sur: montagne, "bandidos" e pellegrini in bicicletta








"Para todo mal, mezcal,
para todo bien, también,
y si no hay remedio,
litro y medio.

Si el mal es del Corazón
con más razón,
pero si el mal está cabrón,
un galón,
y si el mal es renuente
hay qué empezar nuevamente.

Ay! Mezcal bendito,
Ay! Mezcal sagrado,
cuida mi intestino
el grueso y el delgado.

Me sirvo la copa,
levanto el brazo,
inclino el codo
y a la salud de todos
me lo acabo todo."



25/7
Puerto Escondido-San Miguel Mixtepec
46km

Mi sveglio più tardi del solito, a sole già alto, nonostante il casino dei ragazzini che sguazzano nella piscina di fronte alla nostra camera. Stanotte sono stata malino di pancia, con scioltone reiterato allo sfinimento. Purtroppo capita quasi ogni volta si ceni fuori. Non sono infezioni gravi che durano più di qualche ora, per fortuna. Ho già dato lo scorso anno in Perù. Però, anche così, con una notte di andirivieni tra cesso e letto, non è proprio una delizia. Infatti oggi mi sento un fantasmino di volpe, disidratata, svuotata, assonnata e debole. Per fortuna ci aspetta una tappa breve, una mezza giornata di avvicinamento alle grandi salite dei prossimi giorni. Tra la costa e l’altopiano dove sorge Oaxaca sono tutte montagne, disposte in più ordini come i denti degli squali. A parte oggi, avremo sempre un passo intorno ai 2000m, con giornate per metà in salita e per metà in discesa. I paesi con strutture, sulla strada, sono pochi. Uno ogni valle, giusti per fermarsi la notte e risalire in quota il giorno successivo. Fare le tappe è facile. 3 valli, 3 paesi, 3 soste, più l’ultima che è l’antica e austera capitale dello stato.

Quindi oggi puntiamo a San Miguel Mixtepec, 46km di strada per lo più in salita, ma con pendenze non agghiaccianti. Dopo la colazione in camera e il reimpacchettamento dei bagagli, partiamo. La statale costiera di Puerto Escondido è abbastanza trafficata, e dobbiamo districarci tra mezzi di ogni genere, in primis motorini con tavola da surf a lato, tra salite, rampe, dossi, buche. Prima di lasciare la città abbiamo due passaggi logistici da fare. Il primo: andare da un meccanico ciclista e sperare che sistemi il cambio di Gigi, che ha problemi di trasmissione. Il secondo: trovare una batteria di ricambio per il suo ciclocomputer. Io ne ho dovuta comprare una a Palenque, e l’ho trovata subito. Gigi sta impazzendo da giorni tra negozi e negozietti e sembra che stia cercando la pietra filosofale. Nessuno ha batterie. E lui frigge, mentre si pedala, a non sapere quanti kilometri si sono percorsi, a che passo, quanto manchi. Lo capisco. Anch’io funziono così, e quando, per qualche ragione, la tecnologia non mi conforta, faccio tutti i miei calcoli in base al tempo. E se non ho nemmeno l’orologio, cosa rarissima, mi baso sul sole. Sono trascorsa dal tempo, trafitta dal suo scorrere come un San Sebastiano. Poi, a casa, dove ci sono orari da rispettare, sono anche puntualmente, sempre in ritardo, perché il tempo sì mi trascorre, ma passandomi attraverso si deforma, si curva, si ripiega e distorce.

Ma bando alle ciance. Tra i pochi meccanici segnalati da Google, l’unico che sembra affidabile (non tanto in termini di esperienza, ma di pezzi di ricambio di marche note) si trova accanto al mercato vecchio, nella parte alta della città, dove i turisti non si spingono. Tra bancarelle, ambulanti, mercati coperti, negozi e gente che sposta e vende cose, troviamo il negozio. Dovrebbe aprire alle 8. Sono le 9 e la saracinesca è abbassata. Ma fuori c’è un signore che pare un ex surfista, capello lungo chiaro, pelle cotta dal sole e dal sale, braccio paralizzato, che ci dice che il paron tra tre minuti arriva. Meno male! Aspettiamo e, in effetti, si palesa un ragazzo che dà il pugnetto al tizio e ci chiede subito di cosa abbiamo bisogno. E’ lui il nostro uomo. Gigi spiega e lui, dopo aver toccacciato alla buona due fili, capisce che il problema è serio. Sparisce e torna dopo poco con le chiavi della bottega. Apre, fa entrare il signore che è il suo braccio destro (l’unico funzionante) e lo manda in officina, mentre lui si siede sul gradino di ingresso del negozio, che è un localino stipato di bici e accessori, armato di straccio, lubrificante, chiavi, brugole, e pennello (!). Mette la bici su n cavalletto e inizia a trafficare. Sulle prime sembra non ci stia capendo nulla, spruzza lubrificante a destra e a manca, e spennella, fa cose. Poi, visti gli scarsi risultati e le espressioni dubitanti di Gigi, che gli sta addosso, decide di affrontare il problema alla radice e trinciare il filo del cambio. In quel momento Gigi ed io ci guardiamo e senza parlare ci stiamo dicendo: “Ok è fatta, ha compiuto il danno definitivo. Ora non sa più rimettere il filo e il cambio è andato del tutto”. E invece il brav’uomo si mette lì con calma, mentre cerca di fare un po’ di conversazione per stemperare la tensione, e rimonta tutto da nuovo, lubrificando e spennellando. Fino all’ultimo pare che sia tutto perduto e nulla funzioni, ma poi… Magia! La trasmissione funziona perfettamente. Registra tutto, e soddisfatto, si alza. “Parlo anche un po’ di italiano”, dice sorridendo. Allora ribatto: “Bravissimo! Sei il mago delle biciclette!”, e lui gongola. Per tutto questo lavoro, durato un’ora, chiede 40 pesos, poco più di due euro. Gli lasciamo una mancia degna del problema che ci ha risolto, insieme a tanti ringraziamenti.






A questo punto Gigi si tuffa nel mercato coperto perché abbiamo chiesto e ci han detto che lì c’è un orologiaio che vende batterie. Dopo giorni di vana ricerca, in pochi attimi Gigi trova l’agognata pila alla bancarella di un anziano asiatico. Bisogna venire nei mercati. Nei mercati ci sono tutte le risposte, tutte le soluzioni.



Finalmente, a metà della mattina, partiamo davvero. Nel giro di poco siamo fuori dal caos del mercato e la città cede presto il passo a campagna e collina. I primi kilometri sono un dolce saliscendi tra paesini e ranchos, con ampi declivi a pascolo dove brucano cavalli, asini e mucche dalle lunghe orecchie. Le case sono poche e sparse, con le amache in cortile e i bambini che giocano nella terra battuta, in un razzolare di polli e tacchinoni.

Poi la strada inizia ad arrampicarsi un po’ di più, ma ogni volta che prende un minimo di quota arriva un discesone a rubarcela. Ma mica ci dispiace allentare un attimo la tensione e godere dell’aria che sembra fresca sul nostro sudore copioso che ci infradicia come avessimo fatto un tuffo in mare. Perché in salita i tratti in ombra sono pochi e quando la strada è esposta al sole si cuoce a fiamma viva.





A metà tappa facciamo una sosta nell’unica cittadina della giornata, esclusa quella di arrivo, San Pedro Mixtepec. Come si intuisce dal nome, questa valle è popolata da gente di etnia mixteca, l’altro grande gruppo dell’Oaxaca oltre agli zapotechi (da loro sconfitti ben pima dell’arrivo degli spagnoli). Sono zone del tutto fuori dalle rotte turistiche, piuttosto isolare e dove i gringos sono ancor meno amati che in altre zone del Messico. Siamo anche stati messi in guardia dal pedalare tra queste montagne. Ma la gente mi pare tranquilla e, esclusa la legittima curiosità e lo stupore, qualche risatina bonaria e qualche dito puntato dai bambini, non percepisco cattive vibrazioni, anzi. Mangiamo frutta secca e beviamo, mentre i cani randagi vengono ad elemosinare qualche arachide. Poi si riparte. Da qui, fino ai 1000m di quota, sarà tutta salita. Sempre morbida, sempre senza strappi, ma ininterrotta. Gigi è in forma e tiene un passo che io mi sogno. Quando proprio spingo, raggiungo i 7km/h. Il tempo, così, si dilata. Sembra di essere nel paradosso di Zenone, ed io sono Achille. Il segmento dello spazio da percorrere si divide all’infinito in segmenti più piccoli, che come un domino sospeso poi collassano, come un ponte tibetano che si sfilaccia e fa precipitare giù nella voragine nera dell’immobilità, di schiena, tra tessere di domino, lancette, odometri, assi del ponte, tartarughe, pignoni, il bianconiglio, filosofi dell’antica Grecia. Vi ho detto che in queste valli coltivano un fungo allucinogeno, lo psilocybe messicano, detto hongo magico, che persino il Brucaliffo invidia? A riportarmi al reale (specifico che i miei trip sono dettati dalla fatica e dalla stanchezza, sono momenti di ek-statis, uscita dal proprio sé) ci sono i perri maledetti, che ogni tanto sbucano fuori dalle capanne e dalle baracche con intenzioni malevole nei confronti dei nostri polpaccetti. Anche se la maggior parte sono randagi talmente magri, deboli e maltrattati da scappare a coda fra le zampe appena ci vedono.



















Mano a mano che saliamo il paesaggio cambia, e in fretta. Ora siamo circondati da montagne verdissime, coperte di fitta foresta. Il cielo si annuvola e sulle cime si addensa un temporale nero notte e abbastanza spaventoso. Su di noi pioviscola, poi piove un po’, ma mai con violenza. Certo la temperatura si abbassa, per quanto il tasso di umidità sia tale da dare l’impressione di nuotare, più che respirare. Intanto i boschi intorno si coprono di un manto di nebbia, che son nuvole basse. Tutto è bianco spettrale, pare di essere in alta quota. Siamo a 1000m, a una manciata di kilometri dalle spiagge. Pare un altro mondo. Queste sono le prime propaggini della foresta nebulare. Il panorama ha un fascino misterioso e vagamente inquietante. Qualche brivido mi fa accapponare la pelle. La sensazione di fresco è qualcosa di dimenticato da un mese, al punto che penso di aver la febbre. E invece, semplicemente, non si scoppia di caldo.











Finalmente scolliniamo, e viene il momento di tornare in valle, al paese dove faremo sosta. Qui la strada e gli alberi sono fradici, grondano, e ci si muove in un acquario vegetale. Mentre scendiamo in picchiata, vediamo delle magliette rosse e dei gilet catarifrangenti appesi ai rami a bordo strada. Rallentiamo un poco ed ecco un “blocco” dei “bandidos”. Sono due bambini di cinque o sei anni che tengono una corda tesa da un capo all’altro della strada. Se non frenassimo, li travolgeremmo noi in bici, figuratevi un’auto. Ci fermiamo. La madre, una donna di carnagione scura, con capelli e occhi neri, smagrita ma sorridente, ci dice che chiedono un pedaggio perché stanno pulendo la strada dal fango. Il bimbo allunga un secchiello, e ci buttiamo dentro qualche monetina. Ci ringraziano. Un centinaio di metri più avanti un uomo, probabilmente il padre dei bimbi, si sta spaccando la schiena a raccogliere il vango con una vanga e caricarlo su una carriola. Ci saluta sorridendo, poi torna curvo sul suo lavoro. C’è stata una frana, evidentemente, e i “bandidos” che vivono nelle case sparse sulla montagna, fuori dal paese, devono risolversi da soli il problema. Per questo chiedono l’obolo. Poco più sotto, all’ingresso della città, c’è invece un’escavatrice con benna che sta sgomberando la strada dal fango. Qui niente pedaggio, è un regalo del governo agli elettori. Bastano poche centinaia di metri per essere cittadini di serie B, o anche C e D, da queste parti.








In breve siamo in centro. San Miguel Mixtepec è un pueblo vivace, per quanto ci appaia grigio e oppresso dalla nebbia e dalle nuvole bassissime, e invaso dal fango. Ci sono negozietti incastonati tra pendici e valle stretta, signore che preparano tortillas sotto ai portici, ambulanti che vendono tamales e li pubblicizzano con megafoni e jingle a tutto volume. I cani randagi sono decine e si mescolano al pollame e alla gente che passeggia, e tutto si mescola nella caligine di questa piccola boccia di pesci di montagna con due o quattro zampe.


Prendiamo una camera nell’unico hotel del paese, che ora è vuoto ma si riempirà entro sera. Il proprietario, un uomo che prima allevava vacche e ha decorato l’albergo in stile mexcowboy, con crani cornuti appesi qua e là, ha voglia di chiacchierare. Prima parliamo del nostro viaggio, poi viene a sapere che siamo italiani e ci dice che sua figlia ora è in Italia, e sta visitando tutto il paese. Mentre ci mostra la chat di Whatsapp con tutte le foto, dalle Alpi alle Piramidi, da Venezia a Napoli, ci spiega che ha 21 anni e conosce un sacco di lingue, e il prossimo anno si laureerà in relazioni internazionali. “Qui è un paesino piccolo, lei è andata via e viaggia sempre. E’ molto intelligente, e l’ho fatta studiare. Io rimango qui, povero paparino, ad affittare le camerette ai passanti… Ma lei! Che vita farà! E’ sempre in giro, e ha fatto buone scuole”. Lo dice con orgoglio, anche se si capisce che dietro a tali successi c’è il sacrificio di una famiglia che ha investito per dare alla figlia le opportunità che i genitori non hanno avuto. Sono convinta che, in questi casi, la scuola sia presa con la dovuta serietà, perché ti può cambiare la vita.




il portachiavi è una placchetta identificativa per mucche

ooooops!

Salutiamo il paron e ci godiamo una bella doccia calda e un meritato riposo, mentre fuori tuona e diluvia con veemenza, allagando le strade. Quando smette, e la notte è alle porte, usciamo a far spesa. Siamo l’attrazione del paese, inutile negarlo. Si sente qualche “gringo” tra le chiacchiere delle signore. Vista la mia situazione gastrica precaria, preferiamo mangiare in camera con cibo confezionato e non sfidare la sorte alle taquerie ambulanti che ci sono in strada.


La giornata finisce presto, anche perché siamo senza internet e a tratti senza corrente. Fuori si sentono grilli e canti d’uccelli che non so nominare, a tratti latrati di cani, gluglu di tacchini e un diffuso ronzare di radio e tv, musica e risate. Ah, questa cosa va detta: da quando pedaliamo in Messico siamo immersi nel verde, tra vegetazione folta. Ogni giorno siamo circondati da innumerevoli specie animali. Gli insetti banchettano con le nostre carni, tanto che io sono saccagnata malamente ovunque. Intravediamo opossum, armadilli, serpenti, iguane quotidianamente. E tutt’intorno a noi si sentono versi di uccelli che a volte paiono quasi umani, fischi e canti. E’ una ricchezza incredibile!

Domani ci aspetta un dislivello impegnativo da affrontare: saliremo oltre i 2000m, per ridiscendere in valle e far tappa a San Pedro Juchatengo. A quel punto saremo proprio nel cuore delle cosiddette valles centrales, patria di genti indigene, abili nell’artigianato della terracotta e del legno, con una sapienza del fare che si tramanda da oltre duemila anni.


26/7
San Miguel Mixtepec-San Pedro Juchatengo
68km

San Miguel ha un servizio di sveglia di paese. Passa un furgoncino con la musica a manetta e un suono di campane a tutto volume, e un buen dia buen dia urlato con la forza delle trombe di Gerico. Ovviamente alle 5 di mattina. Avevamo già incontrato un simile servizio in alcuni paesini peruani, e speravo fosse un uso limitato a quelle piccole realtà. Evidentemente, no. Dormiamo ancora un po', ma il paese si sveglia presto, i pastori portano le mandrie ai pascoli e il mercato si anima, in un viavai di furgoni, merci e persone.
Fatta colazione in camera ci mettiamo in moto. Prima di lasciare l'hotel salutiamo la signora, la moglie del paron. Anche lei ci racconta di nuovo la storia della figlia, anche lei fa battute sul fatto che la fanciulla è in Italia a godersi la bella vita e loro son qui a lavorare. Ma aggiunge: "A breve la seguirò e farò anche io così!". Grande sciura, fai benone. Poi vede i cartelli no soy gringa e ci chiede se siamo stati "molestati". Le spieghiamo tutta la questione e lei ribatte: "Quando mi sono trasferita qui, 20 anni fa, appena sposata, ero chiara chiara di pelle perchè vengo da Monterrey. E i ragazzini mi prendevano in giro dandomi della gringa. Io allora rispondevo loro con le peggio parole che solo un messicano conosce, e han capito che non dovevano troppo scherzare!".
Che tipa! Comunque questa forma di diffidenza contro gli stranieri, contro chiunque abbia la pelle di colore un po' diverso, è incredibile. E' proprio da mentalità paesana ristretta, da ignoranza. Da paura, da insicurezza. Perchè, in generale, a me non è parso affatto che i messicani siano razzisti o poco accoglienti, anzi!
In ogni caso è ora di partire. Ci aspettano 40km di salita ininterrotta.
Il paese, nella luce chiarissima del mattino, sembra perfino quasi bello. Quasino, dai.


In un attimo le case lasciano spazio ai prati, ai pascoli verdissimi che brillano di rugiada fresca. Il sole è così chiaro che fa risplendere ogni nervatura di foglia, ogni filo d'erba, in una risata argentea di linfa nuova. Fa caldo, ma non troppo. E' proprio una bella giornata per pedalare!


burri al pascolo

Nei primi 12km si segue il corso di un ruscello che gorgoglia tra le pietre. Le pendenze sono dolci e spesso si incontrano mucche o asini al pascolo, liberi di muoversi tra i pendii e sulla strada. Le mucche son sempre della varietà gobba-pappagorgia-orecchie lunghe, e sono simpaticissime. 







Ci fermiamo a fotografare una cascatella e incrociamo tre ragazzi, due sposini e un amico. Sono andati in viaggio di nozze a Puerto Escondido e ora tornano nelle valli. Ci offrono un bicchierino di mezcal, ma rifiutiamo. Allora ci chiedono una foto tutti insieme, e chi siamo noi per negare? Compariremo nell'album di foto ricordo del matrimonio di questi giovani e rubizzi messicani di montagna e saremo protagonisti di una storia raccontata a parenti e conoscenti.



Prima di ripartire a Gigi si posa una farfallona (qui ce ne sono tantissime, enormi, coloratissime) sulla spalla, e lì rimane per circa un'ora, anche mentre pedaliamo. La vedo, con la sua proboscidina, suggere i sali del sudore della puzzolentissima maglia di Gigi, che a Oaxaca andrà lavata con il lanciafiamme. Se li gode tutti. Ogni poco si sposta di qualche centimetro per sbevazzarsi altri umori. Poi si blocca, ebbra, o morta. Ah no, apre le ali, vola via. 




Salendo, incontriamo numerosi paesini formati da due o tre case o anche meno. Vendono banane e cocco, lasciandoli sull'uscio e sono circondate da serre: qui si coltivano caffè e tabacco, ed è possibile acquistare piante e semi. Di gente in giro ce ne è poca, mentre non mancano i perri malditi che ci inseguono, ottenendo in cambio una gragnuola di pigne che lanciamo loro contro.




Poi la salita si fa più ripida, e la strada diventa un colabrodo di buche, crepe, spaccature. Molti tratti sono sterrati, altri completamente invasi da acqua e fango di frane recenti. Pedalare diventa molto, molto faticoso. Anche perchè, oltre a stare attenti al fondo, dobbiamo anche prevedere le manovre di auto e furgoni che, per evitare le buche, passano in mezzo alla strada o sulla corsia opposta al senso di marcia, o là dove si riesce. Per fortuna viaggiano a velocità estremamente ridotta.





Dopo 30km di ascesa ininterrotta facciamo sosta in uno spazio. Abbiamo scorte di acqua e qualcosa da sgranocchiare, e chi godiamo il paesaggio e l'ombra. Siamo immersi nel profumo di resina che esala dai pini. Il sole li trasforma in turiboli e tutto è sacro e pieno di dei delle piccole cose.





Si riparte per l'ultimo strappo di salita, e la strada diventa sempre più ammalorata, un fiume di fango. Trascinare la bici su e su richiede grande fatica, e chi non ha mai provato non ha idea di cosa io stia parlando. GRANDE fatica.






Finalmente, e prima del previsto, si scollina. Superati i 2000m di quota, ora viene il momento di scendere. Anche in questa direzione è necessario tenere gli occhi aperti e le mani sui freni, perchè le insidie del fondo, quando si è lanciati a precipizio a 70km/h in discesa, possono rivelarsi letali. Poco oltre il passo incrociamo Santa Caterina Cerro del vidrio. Questo polveroso pueblo segna l'inizio, per noi, del tratto di ruta de la fe che percorreremo oggi e domani. La statale 131, su cui stiamo pedalando, vede ogni anno transitare centinaia di pellegrini, soprattutto in bici e in moto, da Oaxaca a Santa Caterina Juquila. Qui si trova una cinquecentesca statua della Vergine che, a quanto pare, ha compiuto miracoli. In primis sopravvivere, lei sola, a un grande incendio scoppiato per errore nel '600, quando i contadini indigeni, dando fuoco alle sterpaglie, causarono un rogo incontrollato. E' per questo che ci sono frequenti cartelli gialli con il simbolo del ciclista. Siamo su una rotta di pellegrini a due ruote, motorizzate e non. 






I restanti quasi 30km di tappa sono puro godimento di discesa, tra valloni e cime verdi e azzurre nella distanza. Il fondo migliora un poco, anche se richiede grande attenzione in alcuni tratti. Leggerò poi che ci sono tanti articoli di giornali locali che denunciano le condizioni pietose di una strada. Ma non perchè sia una statale che collega città, no; perchè i pellegrini si arroccolano!







avvoltoio


tanti avvoltoi






una piccola lapide molto discreta a bordo strada

A 5km dall'arrivo Gigi è riarso dalla sete e ci fermiamo a La luna a ber qualcosa. Ci accolgono due anziani intenti ad accendere il forno a legna esterno, su cui cucinare la tlayuda. Vendono anche cocco fresco e formaggi, oltre ad avere un locale dove peluches enormi di tigri e leoni e orsi si fondono ad altarini de la Virgen e crocifissi.





Ultimo volo, ci siamo quasi. Ogni casa ha un'insegna che invita a usare il bagno a 5 pesos, alcuni affittano posti letto, tanti vendono bevande fresche e snack. Il pellegrinaggio qui è un vero e proprio business!





Eccoci alfine a San Pedro Juchatengo. Siamo ridiscesi a 850m di quota. Domani dovremo risalire a 2200m, che spreco di dislivelli! Ma ci penseremo a tempo debito. Ora la città ci accoglie con il suo mercato turistico che vende prodotti locali (caffè, tabacco, mezcal, latticini vari, frutta e verdura).



Prendiamo una stanza al Rivo Hotel, struttura che offre camere, un buon ristorante di cucina locale aperto 24 ore, un negozio di alimentari abbastanza fornito e una ampia serie di altari e altarini della Madonna, i più con cestino a lato, zeppo di soldi. Insomma, c'è tutto quello che ci serve a anche di più! La connessione internet è a pagamento, a parte. In paese i telefono non prendono e l'hotel offre la wifi a tutta la cittadina... A 10 pesos l'ora, con sconti per la giornata intera o la settimana e il mese.


il quadro che decora la nostra camera. L'inquietudine che mi provoca.



Per cena non manchiamo di onorare il ristorante, che affaccia sulla piazza centrale, e offre tlayudas, quesadillas e huevos revuoltos a prezzi super pop. Ci sfondiamo di cibo, perchè oggi non abbiamo ancora fatto un pasto vero e proprio e siamo affamati. In tv vanno a tutto volume telenovelas messicane che meriterebbe uno studio sociologico a parte. I tavoli sono occupati da autisti di colectivos e dai loro passeggeri. Stanno salendo al santuario, ma la sosta cena è più importante di qualsiasi madonnina dei miracoli.



Mentre ceniamo vediamo sfilare in strada un breve corteo di pellegrini, quasi tutti in moto tranne un paio di ciclisti. In testa alla colonna un furgone con il cassone trasparente che trasporta nientepopodimenoche la Virgen de Juquila in persona, illuminata a festa. E' tutto uno sclacsonare e un ammiccare di abbaglianti. I nostri commensali finiscono in fretta le loro portate e si caricano sui furgoni per accodarsi ai pellegrini. Una cameriera, che avrà dieci anni e già zampetta su tacchi di una certa importanza, accende un cero davanti a tutti gli altari del ristorante e dell'hotel. La giornata si chiude così, letteralmente in un amen.

Domani ci aspettano 33km di salita e 17 di discesa, in una tappa brevis che serve a spezzare distanze e dislivelli. Oaxaca dista da qui ormai solo 130km. Non fosse per le due cime da 2000m (abbondanti) che dobbiamo affrontare, potremmo arrivarci in una sola giornata. Ma la montagna impone pazienza. Quindi ci fermeremo a Villa sola de Vega, sempre sulla ruta de la fe. Questo paese è noto per la produzione di un mezcal particolare, fatto con un'agave che cresce spontanea solo in quella valle. Sarà la volta che ci prendiamo una sonora storta alcolica?


27/7
San Pedro Juchatengo - Villa sola de Vega
51km

La tappa di oggi è breve a raccontarsi quanto è stata faticosa e lenta da pedalare. 50km sono una distanza, ciclisticamente parlando, ridicola. A casa non sto nemmeno a uscire se so di non poter pedalare almeno 50km, che è la misura minima, il giro classico infrasettimanale di un paio d'ore. Ma oggi abbiamo impiegato, brevissime sostine comprese, sette ore per coprire questo spazio che pareva breve. E di queste 7 ore, 6 son servite per scalare i 35km di salita, stavolta ripida abbastanza da metterci alla prova, e una per scendere i restanti 16km. Immaginate la lentezza. Quanto possa dilatarsi il tempo, quanto lunghi possano essere 10 metri. Credo che la forza necessaria per affrontare questo tipo di viaggi sia tutta qui. Non è potenza muscolare, non è fisicità. Quella conta in minima parte. E' resistenza mentale. Capacità di sopportazione. "Perfer et obdura. Dolor hic tibi proderit olim..." diceva Ovidio. Resisti e sopporta, questo dolore un giorno ti gioverà. Il giorno è anche già oggi, non serve aspettare. Oggi e per sempre, perchè l'esperienza è una delle poche cose che restano. Sarò della scuola del pathei mathos, per dirla con Eschilo: la conoscenza attraverso la sofferenza. Ma mica solo quella, eh! Che cerchiamo di essere anche goderecci appena si può,

Dunque, stamattina la giornata inizia bene con un caffè caldo per colazione per la prima volta dopo circa un mese. Piccolo grande piacere!
Il ristorante dell'albergo è aperto 24 ore, quindi c'è già un discreto andirivieni nonostante sia presto e l'aria sia fresca al punto da richiedere una felpa. Mentre portiamo fuori bici e bagagli, incontriamo due uomini e una donna sulla quarantina vestiti in modo sportivo, due da runner e uno da ciclista. La chiacchiera si innesca spontaneamente. Ci chiedono del viaggio, ci danno informazioni sulla salita che ci attende. Poi spiegano che loro hanno percorso un trail a piedi, salendo e scendendo a Juquila attraverso sentieri sterrati. Quello vestito da ciclista dice che di solito lui fa il pellegrinaggio in bici, ma questa volta ha voluto provare un'esperienza diversa (che lo ha stroncato). Ancora, chiedo se la processione che ho visto passare ieri sia una replica di quella principale che si fa a dicembre. Mi dice che no, quelle sono statue della Madonna identiche a quella del miracolo, costruite dai fedeli delle città di Oaxaca che poi le portano su al santuario, seguendo il loro dono votivo in massa. Ah ecco! Ora è tutto chiaro. Ci salutiamo augurandoci un viaggio sicuro, e partiamo attraversando il fiumicello che attraversa la città.


I primi kilometri scorrono tranquilli, in modo sospettosamente poco impegnativo. La salita è continua ma mai ripida e la strada si snoda a curve sinuose tra pareti di roccia coperte di vegetazione. Anche qui non mancano le frane, i massi rotolati in carreggiata e i tratti di fango, ma, in generale, il fondo rimane buono.




Ogni manciata di kilometri si incrociano case sparse, che non si possono definire paesi, neanche ini. Di solito c'è una abitazione, corredata poi di bagni esterni, in affitto per i passanti, pollaio, forno e comedor, cioè ristorantino con posti a sedere. Chi abita questi luoghi vive e lavora e passa le giornate in quei pochi metri, tra i cani che vagolano in cerca di cibo, i tacchini d'assalto e, se va grassa, un asinello o due pecore.



Continuiamo a salire, ma i kilometri alle spalle aumentano molto più del dislivello. Si prevede già da qui un finale di salita con il botto, perchè la matematica, purtroppo, non è un'opinione e la pendenza presto diventerà un problema. La strada ci conduce a una zona collinare che pare un quadro: le pendenze dolci e verdissime sono punteggiate di campi di agave, coltivata per la produzione di mezcal. Le piante crescono tra i 7 e i 70 per raggiungere la maturità necessaria a distillarle. E il mezcal, qui, è una bebida espirituosa non solo perchè alcolica, ma perchè "spirituale", da rispettare, quasi sacra, che può indurre ad una sorta di trance. Si usa dire da queste parti: "Para todo mal, mezcal. Para todo bien, también". Il 60% del mezcal prodotto in Messico, e le varietà migliori soprattutto, arrivano da qui. In questi giorni ho letto come si prepara: dopo aver rimosso le foglie dell'agave matura (si usano oltre 20 varietà di maguey), il cuore cuoce per diversi giorni su un fuoco di legna, spesso in forni scavati nel terreno. La piña ammorbidita viene poi schiacciata e ridotta in fibre, che fermentano in acqua e nel loro zucchero per tre settimane. Il liquido ottenuto viene poi distillato due volte e si può bere "giovane" o invecchiato. Alcuni sono insaporiti mettendo nelle botti un petto di pollo o tacchina, o con frutta e spezie. Ci sono anche le varietà col verme, il gusano, che è un insetto che si nutre dell'agave. Per vostra informazione: la polvere rossa che si mette sul bordo dei bicchieri di mezcal non è solo sale e peperoncino (come credevo). E' anche farina di gusano, vermi macinati.

per scattare questa foto mi sono posizionata sotto ad un albero che era PIENO di bruchi verdi e ciccioni appesi a liane di loro bava. Nel tentativo di togliermeli di dosso, ne ho "fatti scoppiare" (sic) tanti, che sono esplosi come brufoli pieni di gelatina verde e appiccicosa che sono riuscita a togliere per bene solo all'arrivo, sotto alla doccia. Mi viene ancora da vomitare.




A questo punto incrociamo l'unico pueblo vero e proprio della giornata: San Isidro Ojo de agua. Il nome è molto più grande del paese che, oltretutto, è composto per lo più di case abbandonate. Del pari chiusi e in rovina sono diversi comedor lungo la strada. Si vede che il transito di viaggiatori e pellegrini non è più sufficiente a sostentare tutte queste famiglie, che si trasferiscono nelle cittadine a valle.





Facciamo una breve sosta per il rifornimento d'acqua presso la casa di una signora che avrà 200 anni e sembra l'abuelita del film Coco. Ha sull'uscio un tavolo con un cestino di banane e alcune bottiglie. Ci accoglie in cortile, dove dormono al sole paciosi cani e un gattino arancione minuscolo. Avrà un mese, poco più. Appena ci vede ci viene incontro e si fa coccolare godendosi i grattini che devo fargli con un dito, perchè la mano intera lo soverchierebbe. Fa delle fusa microscopiche. Mi viene voglia di infilarlo nel taschino sulla schiena e portarlo via... Ma qui mi pare stia benone. E poi ho già due gattoli a casa che ora sono in villeggiatura con mamma e papà, al mare, a farsi viziare.

Riprendiamo la salita, e gli ultimi 13km ci fanno rimpiangere le pendenze delicate di prima. Per affrontare la fatica mi prefisso una micropausa a bordo strada ogni 2km. Quei 2km diventano sempre più duri, fino a sembrare infiniti. Ma non mi fermo mai nè in anticipo, nè dopo. 2km. Per volta. Pian piano. Ci sono dei tratti di autismo in tutto ciò? E' possibile. Ma questa disciplina autoimposta mi aiuta a proseguire a tenere la testa sulla traccia. Infatti, impiegandoci oltre due ore per 10km, arriviamo al passo, 2130m e poco più di quota, in un profumo di resina che quasi ubriaca.





Prima di scollinare ci fermiamo in quella che pare una struttura fin troppo grande per la location; ci sono un ristorante con terrazza sulle valli sottostanti, un intero edificio in muratura con i bagni e un'altra casona a due piani con camere in affitto. Appena ci avviciniamo, però, ci rendiamo conto che si tratta di un guscio vuoto. Nessuno di questo servizi è davvero disponibile. Ci accoglie una famiglia dalla pelle scura scura e i tratti indigeni composta da nonna con i capelli lunghi bianchi e un maglioncino giallo su vestito chiaro a fiori. Coppia sui 35, lei indaffaratissima a pulire pavimenti e stender panni, lui stravaccato su una sedia con il telefono in mano. Bimbo di 4 anni circa vestito già come un adulto, con tanto di scarpe in pelle a punta e camicia, che un po' gioca rotolandosi in terra, un po' aiuta la mamma. Il joven parla un po' inglese e dopo un secco: "Senti che vogliono i gringos" della nonna, ci dice che l'hotel è chiuso e il ristorante pure, acqua non ne hanno, solo CocaCola al tiempo. E se vogliamo ci scaldano due quesadillas. Vabe' dai, almeno approfitto del bagno per far pipì... Una struttura tanta, con ventordici stalli, che pare un tempio greco in marmo... E poi i sanitari non sono collegati all'acqua, per cui bisogna uscire, prendere un bel secchio, riempirlo con l'acqua marcia di un barile pieno di insetti e fare lo sciacquone manuale. In teoria con quell'acqua ci si lava anche le mani. Il tutto per 5 pesitos. Assistiamo alla feroce lotta tra un gallo e un tacchino, e ammiriamo con gli occhi a cuore un gattino che dorme in una cassetta su una mensola. E il panorama. Poi leviamo le tende.










Per rifocillarci a dovere proseguiamo di un paio di kilometri (ancora in leggera salita, ahinoi illusi che eravamo convinti di aver scollinato), Qui, prima della discesa, ci sono un paio di case con annesso comedor e negozietto. Ci gustiamo frutta secca piccante (che è un mix di noccioline, spicchi d'aglio secco e peperoncino, veramente delizioso, anche se lascia una fiatella impegnativa) e acqua fresca. Scopriamo che anche ai numerosi cani ossuti, alcuni dei quali paiono lupetti, piacciono molto le arachidi. In breve siamo circondati da bestie di ogni genere.








sullo sfondo la figlia della proprietaria, piccola che a malapena cammina dritta, intenta a raccogliere pietre da tirare contro a gallo, gallina e tacchino che si stanno allontanando troppo. A sassate li riconduce al pollaio


Finalmente inizia la discesa vera, anche se non possiamo lanciarci di testa a freni sciolti per via delle buche profonde, delle crepe larghe e dei massi sulla strada. In ogni caso è una goduria per le nostre zampette sfibrate!









In un soffio, tra mucche che si scornano in mezzo alla strada, campi di agave e mais e cani che ci inseguono, siamo a Villa sola de Vega, poco sotto i 1500m. L'aria è fresca e si sta addensando un temporale con tuoni che fan tremare i muri delle case. La cittadina è animata e piena di negozi, soprattutto farmacie e alimentari, ma anche meccanici e casalinghi, localini un po' ronci, barbieri ed estetiste, cartolerie... Qui si trova tutto ciò che sulle montagne non c'è. Immancabile la presenza della Virgen, essendo questa città tappa del pellegrinaggio.



Noi, dopo la doccia, collassiamo in camera. Poi mi occupo della logistica: organizzo la visita do Oaxaca, che raggiungeremo domani, trovo un alloggio in centro, un meccanico ciclista per i miei freni e una lavanderia automatica. Quindi, presa dalla foga organizzativa, preparo tutte le tappe da qui a Puebla, da lì a Città del Messico, dalla capitale a Guadalajara e dal Jalisco a Mazatlan, dove prenderemo il traghetto per sbarcare in Baja California. In breve, ho fatto tutto il lavoro per il prossimo mese. Sono estremamente soddisfatta!

Viene il momento della meritata cena, e scegliamo un ristorantino dove ci fa visita l'ennesimo perro affamato di oggi. Ma dopo qualche coccola se ne va, prima che ci servano e si possa condividere un po' di polletto arrosto.




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