domenica 7 agosto 2022

28-29. Abra La Raya e Vinicunca, la Montagna arcobaleno. Oltre 5000m di minerali in fiore










Venerdì, 5/8
Tambo Queque Norte - Checacupe
97km

Che tappa epica abbiamo portato a termine oggi! Densissima, tosta, piena di novità e bellezza ad ogni curva di strada. Storia, storie, volti, sapori, luci, tutto nuovo, tutto da esplorare e da cui lasciarsi permeare goccia e goccia, ad ogni giro di pedale, ad ogni palpito.

Andiamo però con ordine. Tutto è iniziato alle 7, questa mattina, con la sontuosa colazione andina offerta al Tambo. Queso de casa grigliato, patatine lesse, pane al formaggio e una cioccolata speziata buona di bontà mai gustata finora. Il nettare di Inti.




Poi via, subito, in sella, a divorar kilometri. Oggi ce ne aspettano quasi 100, e i primi 15 sono in salita. E il vento, contrario, si sta già alzando. Bisogna andare: adelante sed cum iudicio. Lasciamo la sterrata della fattoria e ritorniamo sulla nostra 3S, la strada che porta al Cuzco. "Al", non "a". Qui si dice così.


Tutto il primo tratto di salita è una costellazione di paesini sempre più piccoli e dimessi, sempre più cadenti, in rovina, e malconci. E così chi ci abita. Kunurana Alto, Picchu. Sono posti così malmessi che il governo ha installato delle "plataformas de servicios" per garantire un tetto, una cucina e ambienti non caldi ma protetti a chi rischia di vivere all'addiaccio a 4300m di quota. E di gente in strada, pur poca, se ne vede. Bimbi che vendono gelatine in sacchetti riciclati, dove ci sono i dossi e le auto devono rallentare. Anziane che aprono e chiudono i fagotti che si portano sulla schiena. Uomini un po' storti che, penso, spero, stanno andando al lavoro o a casa.





Si vedono anche gruppi di bimbi che vanno a scuola, e questo è bello. L'obbligo c'è e le strutture ci sono, ma nei pueblos rurali la pratica spesso è molto diversa dalla teoria.




Pian piano le case diventano catapecchie in fango e paglia, molte delle quali abbandonate. Il vento ci sputa addosso con rabbia, ed è gelido. Nel giro di poco non mi sento più la faccia, come canta Myss Keta, ma non per le droghine. Ho i geloni al viso.





I 15km al passo si rivelano una bella sfida. Le pendenze non sono esagerate, mai. Ma Eolo ha deciso che non dobbiamo passare, e convincerlo del contrario costa lo sfibrarsi di ogni lembo di carne, di ogni muscolo, mentre il fiato annaspa alla ricerca di aria.




Poi, finalmente, il tanto atteso valico. Paso La Raya, sotto l'omonimo monte, 4338m tutti guadagnati con il sudore della fronte. Anzi no, che sudore, fa un freddo tremendo. Il sole è coperto da spessi strati di nuvoloni grigi e bianchi, ed è ancora mattina abbastanza presto. Il vento è gelido, e basta il tempo di una foto di rito che già stiamo tremando e siamo rallentati nei movimenti. Che spettacolo però queste vette nere e spolverate di neve, con i loro denti aguzzi spalancati al cielo.




Foto, con e senza Rita, da album dei ricordi, per quando sarò vecchia e stanca, e viaggiare nella memoria sarà abbastanza. Dovete immaginare che, durante questi brevi scatti, abbiamo rischiato di perdere qualche falange dal freddo che faceva.



Sullo spiazzo che precede la discesa ci sono bancarelle di locals che vendono prodotti in lana di alpaca e pecora, souvenir e chincaglieria varia. L'immancabile bagno a pagamento e una pullmanata di turisti. Se ne avvicina uno, mi chiede se può farsi un selfie con me. Mi chiede di dove io sia, ma dall'accento ho già colto: sei italiano? Sì! Ma dai! Di dove? San Donato Milanese (città a una manciata di km da casa mia). E via di chiacchiera con un altro gruppetto di italiani che si avvicina. Tutti ci fanno i complimenti, qualcuno è ciclista amatoriale. Tutti a dirci che invidia. E tutti a risalire al calduccio sul bus, mentre noi ci mettiamo addosso tutti i vestiti che abbiamo.




Foto alla dama con alpachino, foto con sua maestà l'imponente Kunka, con i suoi 5200m di altezza, e poi via, giù, a precipizio lungo la discesissima che ci porterà a quote più miti. Abbiamo appena superato il confine tra la regione di Puno e quella di Cuzco.




I primi minuti di discesa sono una sofferenza per il freddo, ma la velocità ci consente di avere la meglio sulla violenza del vento, e così voliamo a valle con la faccia insensibile e congelata, e il fiato che fatica a tornare.




Precipitiamo giù e giù fino al minuscolo abitato di Aguas Calientes La Raya, dove ci sono delle vasche di acqua termale scaldate da quello che viene definito "il vulcano più piccolo del mondo". Grande affollamento di bagnanti, venditori ambulanti, taxi e pullmini. Andiamo oltre, fa ancora freddo qui. Ma non prima di aver scattato qualche foto alle cime dei monti intorni, che hanno una forma così esatta da sembrar costruite apposta come piramidi acuminate.





In breve raggiungiamo Sayapampa, e da qui inizia un'ininterrotta serie di pueblos, cittadine e villaggi rurali che occupano l'intera valle. Siamo scesi già parecchio, a quota 3700m. E si vede: è tornata la vegetazione, ci sono persino gli alberi, in particolare eucalipti profumatissimi che diffondo nel vento il loro incenso sacro.





Inoltre si nota subito che queste cittadine sono modeste, sì, ma non disperatamente povere come quelle d'altura. Qui ci sono contadini al lavoro nei campi, seppur piccoli e poco fertili, e le donne badano a 5,6 mucche, non a una. E poi ci sono case più riconoscibili come tali, e qualche negozietto.
Raggiungiamo così Marangani, centro un po' più grande e strutturato della zona. Nonchè capitale nazionale del cuy, il porcellino d'India, che qui viene allevato e mangiato in gran varietà di modi. Alla faccia di chi dice che il cuy è un piatto che ormai ordinano solo i turisti... Qui è un susseguirsi continuo di quinte, ristoranti e taverne, ma pure baracchini e ambulanti, che propongono il cuy. E non sono affatto locali destinati ai turisti. Oltretutto, qui, sono molto orgogliosi di questo primato del roditore. E ci sono murales e statue ovunque a ricordarlo. Più li guardo, più questa nocciolina pelosa con la barba mi fa senso.





Passiamo oltre, sempre infilando pueblos dopo pueblos. Alcuni sono più vivi e popolati, altri semiabbandonati, colpiti da incendi o semplicemente lasciati deserti.






Decidiamo di raggiungere Sicuani e fare lì una sosta: è a circa 50km dalla partenza, più o meno metà tappa. E' una città grande, conta quasi 54.000 abitanti. Come tutte le città grandi, c'è molta umanità varia e dolente che si aggira nelle periferie. Facciamo una sosta panino al formaggio, che viene direttamente dalla fattoria di stamattina, seduti a terra come veri local roncioni. Assaggio anche una bibita nuova al guaranà, che sarebbe la Redbull versione amazzonica.




Cerchiamo -invano- un bancomat (Gigi è a corto di contante e le banche si trovano solo nelle città più grandi, quindi noi dobbiamo sempre avere denaro sufficiente per 5-7 giorni, tanto più che le carte sono qualcosa di alieno alla stragrande maggioranza delle attività commerciali). Nel fare ciò, ci infogniamo in quartieri non proprio luminosi, dove diversi perdigiorno e ubriaconi ci urlano cose, fischiano e chiamano in segno di sfida: gringo ti sei perso? Gringo vieni qui! Anche no.


Superiamo un monte con improbabile via crucis


e torniamo ad affrontare il vento, sempre contrario, nella valle del Rio Vilcanota. La periferia marcescente, dove siamo inseguiti da perros malos per il divertimento degli astanti, torna a presentarsi in forma più decorosa nei pueblos di San Pablo e San Pedro, con comunque sono rurali hardcore. La valle intorno si fa meno maestosa. Ma molte di queste cime son vulcani, quindi comunque temibili per i loro capricci.










Giungiamo così a Raqchi, dove facciamo una piccola deviazione al sito archeologico incaico che resta qui nascosto all'occhio dei più. La prima cosa che si nota sono le varie piattaforme in pieta che costituiscono una sorta di base per la parte più alta e più sacra, che ospitava un enorme tempio dedicato a Viracocha, dio creatore. Era uno dei luoghi più venerati di tutto l'impero. Intorno, decine di silos per conservare il cibo.





Raqchi, inoltre, ha un'animata piazza centrale, con la sua chiesina e le sue bancarelle. Gli abitanti sono fortemente ambientalisti e organizzano giornate di raccolta rifiuti, cosa più che rara da queste parti.



Ciò che del tempio è sopravvissuto è questo alto muro, che pare quasi uno strano acquedotto. Eppure ancora oggi ispira un senso di grandezza mistica e di pace grandiosa.





Dopo questa sosta ci rimettiamo in sella per gli ultimi 20km. Che sono una via crucis. Il vento è tesissimo e contrario. La valle è un continuo saliscendi di strada stretta e senza bordo. E' ricomparso un traffico molesto di mezzi e auto. Insomma, fatica. Passiamo Tinta, con il suo museo di Tupac Amaru. Poi Combapata, con i ponti coloniali e gli striminziti siti archeologici. L'energia è veramente agli sgoccioli






E poi finalmente eccoci e Checacupe, villaggio micro dove ci accolgono ubriachi svenuti sui marciapiede, che paion morti ma no, e bande di cani randagi. Cerchiamo subito rifugio nel nostro hospedaje, che è un'accozzaglia di mobili in un giardino coperto, gatti, servizi igienici sparpagliati a caso e camere, altrettanto sparpagliate a caso.




Chiedo subito alla gentile proprietaria, che ci ha già venduto cena e colazione, di organizzarci un passaggio per avvicinarci alla Vinicunca, dove cammineremo per il famoso trekking della Montagna Arcobaleno. Ci dice ok, poi forse, poi no, poi mah. Nel frattempo arrivano altri tre ospiti, un'allegra e sportiva famigliola di Lubjana, e la sciura li convince a caricare anche noi: loro stanno girando il Perù in auto e possono darci un passaggio. E così facciamo amicizia. Ceniamo insieme con la pasta (buona, per altro) della signora, che ci ha sconsigliato i marcissimi ristoranti di paese (e in effetti, a vederli, ispirano poco) perchè "fanno venire maldipancia". Dopo cena ci raccontiamo delle reciproche esperienze di viaggio, qui e altrove, e quando scoprono che sono una proffa mi tempestano di domande sulla storia e la geografia del Perù. Paro ogni colpo, ma che fatica!
Prima di cena facciamo anche un giro in paese a comprar schifezze da bere e da mangiare mentre scriviamo, dopocena. Arriviamo alla piazza, con la sua chiesa e le sue anime.



Quindi, ricapitolando: domani mattina alle 7 facciamo colazione con gli sloveni e la sciura e i suoi gatti. Poi scrocchiamo la corsa ai gentili vicini di stanza, andata e ritorno, e facciamo il trekking con loro (più o meno, ognuno andrà al suo passo).




gatito fusicembalo in braccio mentre ceno

Insomma, non solo andremo alla Vinicunca, ma senza tour e impicci vari, e per di più a gratis. E con domani andiamo a sfiorare il punto più alto di questo lungo breve viaggio.

Sabato, 6/8
Checacupe-Vinicunca-Cusipata
20km pedalati + altrettanti camminati

La notte trascorre agitata: Gigi ha una mezza gastromaledizione che si porta dietro da qualche giorno, e, per di più, è molto agitato per i 50000m he ci attendono oggi. Alle 6 siamo già svegli e pronti ad affrontare la montagna. Facciamo colazione in compagnia dei gatitos e dei nostri amici sloveni che ci porteranno fino all'inizio del trekking, per poi ricondurci all'ostello, a fine camminata.




La via di accesso alla Montagna arcobaleno è impervia e oltremodo dissestata. Fino a Pitumarca, villaggio a inizio valle, la strada è per lo più asfaltata. Poi si trasforma in una carrozzabile strettissima, tutta fango e sassi, con tornanti impossibili e guadi, roccioni e tratti dissestati a picco sul vuoto. Non ringrazieremo mai abbastanza il nostro Aleks, guidatore di grande abilità anche nei tratti più cattivi. Non ho avuto modo di fotografare il percorso, all'andata. Tuttavia posso descriverlo: una valle strettissima, chiusa da fianchi imponenti di roccia. A tratti, roccia nuda, spesso in forma di canyon a strapiombo sul fiume impetuoso. A tratti striata di infinite linee scure, sottili, regolari: antichi terrazzamenti. La prima parte verdeggiante e umida, coperta di boschi di eucalipti profumatissimi, che pare già foresta pluviale. La seconda parte brulla, spoglia, terra di mandrie di lama ed alpaca che si accontentano di cespugli rinsecchiti. Villaggi sparsi, sempre più piccoli ,sempre più poveri, con donne sedute a terra a filare mentre badano alle bestie e bambini coperti da una crosta di sozzura che ci salutano con la mano, gli occhi spalancati e un po' vacui, già sconvolti da un'esistenza dura e fredda come la pietra su cui son nati.

Arriviamo al parcheggio, dopo oltre 40km di salita. Due andini bruciati dall'altura ci aprono la sbarra, dopo averci chiesto 5 soles a testa per l'accesso al parco della Vinicunca. Da lì sono altri tornanti, un villaggio spoglio e decine di alpaca pelosissimi, con le loro zampine minuscole, che saltellano di roccia in roccia. Altri 20 soles per il trekking e ci siamo, finalmente si comincia a camminare.




I "sette colori" sono già ben visibili a terra e nei fianchi dei monti circostanti. Qui è un tripudio di minerali in fiore, di arcobaleni scritti nei sassi ere geologiche or sono. E' la tavolozza della Pachamama, della Madre Terra.
All'inizio del sentiero ci sono gli immancabili baracchini che vendono bibite, snack e bevande calde, ma pure un passaggio in quad o a cavallo, per chi non se la sente di affrontare la montagna con la sola forza delle proprie gambe.




Iniziamo l'ascesa e il cielo è incerto. Ora nevica un po', ora esce un sole che brucia gli occhi e la pelle. I primi passi sono pesanti: manca l'aria. Il respiro è corto, i polmoni cercano ossigeno e non ne trovano. Conosciamo bene questa sensazione. Senza bici stracariche da issare su per le Ande è più facile: basta misurare i passi e far voto di lentezza (cosa che abbiamo fatto dal primo colpo di pedale, invero).






Gigi è un po' affaticato ma procede più spedito dei nostri amici sloveni, che sono già rimasti indietro. Evidentemente un mese a pedalare nelle condizioni più disparate ha fatto il suo in termini di allenamento. Passiamo su lingue di ghiaccio e neve,ma incredibilmente poca se si considera la quota.










In effetti la storia di questa montagna è tragicamente legata al cambiamento climatico. Fino a vent'anni fa la cima era coperta di nevi perenni e nessuno sospettava che, sotto al manto bianco e ghiacciato, si celasse un tale tripudio di colori. Anzi, era luogo di estrazione mineraria, non certo una meta turistica.




Mentre noi arranchiamo sfiatando, veniamo superati più volte da andini compatti che CORRONO in salita trascinando i cavallini su cui posano le chiappe dei visitatori più pigri. Capite? I local CORRONO in salita. A 5000m. Altro che boli di coca...

Tutt'a un tratto, eccola. La montagna dai sette colori. Ci mostra il fianco nudo, ed è talmente pazzesco e incredibile da sembrar finto. Un grande green screen, un'imponente lavoro di fotoritocco. E invece no, è vera davvero. Veri i colori, vera la mole immensa e placida nel sole che gioca a nascondino con le nubi.



Anche l'orizzonte a valle è sempre più spettacolare e l'occhio si perde mentre il cuore balza da un'immensità all'altra.




Siamo anche stati fortunati: le previsioni meteo davano, per oggi, pioggia e neve. I turisti sono relativamente pochi e tutti concentrati nel tratto finale che conduce al mirador. Ci godiamo quindi la passeggiata, superando qua e là tristi peruviani che vengono dalla costa e soffrono molto l'altura... E giù di coca a manciate.






Si arriva al primo punto panoramico ed è subito un tripudio di bancarelle che vendono viveri. Alcune sono veri e propri ristoranti a rotelle, che grigliano carne e patate a tutto spiano. Numerose anche le persone in abiti tradizionali che vendono foto con gli alpaca addobbati. Qui un po' di folla c'è. e bisogna mettersi in fila per raggiungere i punti migliori per le foto. Ma ne vale la pena.


Dall'altra parte del passo si snoda una lunghissima fila di formichine: questo è il sentiero prediletto dai turisti perchè permette di camminare meno e con un dislivello minore. E' una via nuova, aperta solo negli ultimi anni.






Salendo al mirador l temperatura si abbassa drasticamente e il vento gelido prende a schiaffi, ma da lì si gode di un'imperdibile visuale panoramica sulle due valli colorate e sulla cresta a strisce della Vinicunca.





Su tutto domina l'austero Nevado Ausungate, con i suoi 6385 metri di roccia e ghiaccio. Nella mitologia inca questa montagna è l'origine della forza fecondatrice maschile, che fa fertile la Pachamama. Le sue acque portano vita e linfa di giorno, mentre, di notte, tornano alla vetta, passando per la forma di stelle (via lattea). Ogni anno sul lato nord di Ausangate, la festa di Qoyllur Rit'i (quechua: "stella della neve") viene celebrata da tempo immemorabile prima della festa del Corpus Domini; migliaia di quechua si recano in pellegrinaggio al Signore di Quyllur Rit'i nel tempio di Sinakara). Questo pellegrinaggio è stato inserito nell'Elenco Rappresentativo del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità.



Gigi ha preferito non salire fino al mirador, quindi devo accontentarmi delle foto storte e senza piedi che mi fanno altri turisti infreddoliti, in fila dietro di me. Ma i numeri son numeri: 5036m!






Dopo qualche foto normale, con cui non vi tedio perchè sono tutte piuttosto autocelebrative. finisco invischiata nella fotoalpaca. Non volevo, non mi piace alimentare lo sfruttamento degli animali. Ma la signorina è talmente insistente che alla fine cedo. Il vello dei camelidi è di una morbidezza che non so neanche descrivervi, e la mano affonda per più di una spanna. Uno dei due alpachini mi fissa e mi sussurra delle cose in alpachese, che sembra un belato ma più tenue e acuto. E' la mia "capra dal viso semita".




Viene il momento di scendere. Mi imbatto in personaggi strani, andini e gringos.




Scendere si rivela impresa decisamente meno ardua: le gambe ci sono e il fiato serve meno. Però si gode di un bis della spettacolo che prima ci eravamo lasciati alle spalle che riempie l'anima. Davvero qui le montagne sono spiriti potentissimi che fanno tremare la terra e chiamano le nubi e il sole per nome. Mentre noi siamo così piccoli, minuscoli, impercettibili esserini in movimento mentre qui tutto resta, immutibaile, nei millenni.





Mentre scendiamo, incrociamo file ordinatissime di alpaca che tornano ai loro pascoli.



Nel parcheggio i ragazzi che noleggiano moto e quad e cavalli, siccome i turisti oggi son pochi e gli affari languono, hanno organizzato una partitella a calcio. Copertoni per segnare le porte, e c'è chi gioca con i sandali e chi con le scarpe di vernice. Certoè che corrono come i pazzi a quasi 5000m, dove vi assicuro che noi stentiamo persino a camminare.




Ritroviamo Aleks e famiglia e ci ricarichiamo in auto con loro per la discesa, che si rivela ancor più difficile della salita. Impieghiamo oltre un'ora e mezza per 40km. Per via incrociamo centinaia di lama e alpaca, qualche pecora, poche vacche e pochissime persone. Molte son donne o ragazze che cercano un passaggio in valle da un paio d'anni almeno. Altri sono pastori. Dobbiamo fermarci anche perchè, in mezzo al nulla, c'è un pullman fermo in mezzo al sentiero e quattro omini piccoli piccoli e andini andini stanno caricando delle pentole più alte di loro (giuro) e sacchi enormi di granaglie.





I paesaggi, nche a quote più basse, restano di una bellezza primordiale che toglie il fiato.





Con il nostro bel timbro sul passaporto, e dopo alcuni momenti di panico perchè Aleks si trova incastrato con l'auto tra tricicli parcheggiati alla peruana e canaletti di scolo profondi come la morte, torniamo in ostello, dove abbiamo lasciato bici e bagagli. Gli sloveni se ne vanno alla veloce, con un rapido saluto e senza voler nulla in cambio della loro gentilezza.
Noi salutiamo i gattoli fusilli e ci prepariamo a ripartire.



Optiamo per una tappa brevis: è tardi, Gigi è provato e pure io non sono proprio freschissima. Puntiamo a Cusipata, a soli 20km da Checacupe. Seguiamo la valle che si snoda lungo il corso dell'Urubamba. Passiamo Chuquicahuana e Occobamba. I monti si stringono su questi pueblos di pastori e contadini che passano con le greggi o con immensi carichi di fascine sulla schiena.








In un'oretta siamo a Cusipata. Il paese è in festa per un matrimonio e c'è musica per la strade e tanta gente vestita elegante. Tanti poveraccio si aggregano e tengono il tmpo con il piede incrostato di fango... Nudo. Noi ci buttiamo nel primo hostal che vediamo, per scoprire che le camere sono ricavate da ex stalle e magazzini interne a una corte, abitata dalla più varia umanità. Un bagno in comune, al centro, per tutti, e rigraziando che c'è.




Ci riposiamo e Gigi ha modo di recuperare un po'. Per cena optiamo per il classico minestra + riso, patate e pollo, anche perchè tutti i risotranti della città questo offrono e non c'è scelta alcuna. Domani, se gli Apu sono d'accordo, entriamo AL Cuzco. Che è una sorta di ombelico del mondo andino e ci riserva tanta di quella bellezza da raccogliere che nemmeno riesco a immaginare!

2 commenti:

  1. .....Ri ri ri Rita e Gigi è questo il nome del duo compatto,
    Son 2 amici che han fatto un patto
    Ri ri ri Rita e Gigi
    Hanno provato un altro piatto..
    Con astuzia e perizia ed unendo sempre un po' di furbizia
    Riescono sempre a viaggiare

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  2. Rita e Gigi un'altra tappa è stata fatta

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