martedì 9 agosto 2022

30-31. Cuzco. L'ombelico di questo ventre di roccia e luce









Domenica, 7/8
Cusipata - Cuzco (centro storico)
83km

Viaggiare in bici, in autonomia, specie in luoghi impervi dal punto di vista fisico e sociale come il Perù, è faticoso. Ma il corpo si abitua alla fatica e la mente traina e gode di tutta la meraviglia che si gode per via. Perchè il sudore e il tempo sono le monete con cui si paga l'esperienza, tanto più quando è grandiosa e ricca di assoluti come per noi. Tuttavia, ci sono giornate più faticose delle altre, già faticose, che ti portano a misurare i tuoi limiti, la tua capacità di resistenza agli urti, agli attriti, ad una postura di tensione fisica e mentale. Viaggiare in bici è movimento, di conoscenza in primis. Verso l'esterno, a ciò che sta intorno, all'orizzonte; e verso l'interno, nella profondità dell'io. Conosci te stesso, dicevano. Gnothi s'eauton. Ed ecco emergere i bordi, il perimetro dell'ego proprio quando ci deve misurare con la fatica, da un lato, e con la volontà fortissima di proseguire, dall'altro.

La nottata trascorre, diciamo, non nel migliore dei modi. La festa di paese, con la comunità che celebra un matrimonio, prosegue con musica e canti sempre più sguaiati fino alle 3.30 di notte. Gigi è costretto ad una frequente processione al cesso, che è in corte, distante, e ogni volta richiede che si apra la porta della stalla-camera con catenacci e paletti metallici rumorosissimi.
Insomma, ci alziamo storti, e solo un po' di colazione fatta in camera con il mio sacerrimo fornello ci rimette un po' in bolla.
Ieri ho prenotato un albergo in centro a Cuzco, per scaramanzia. Gigi dice che vuole provare a pedalare tutti gli oltre 80km con quasi 1000m di dislivello che ci separano dall'ombelico del mondo, e quindi via, si parte.



Cusipata è in festa, oggi perchè è domenica. Tutte le ragazze sono vestite con gli abiti tradizionali e c'è fermento per le strade. Il cielo è grigio di nuvole basse che promettono pioggia... E manterranno, più volte, questa parola data fin dalle prime ore del giorno.



Iniziamo a pedalare nella valle che qui si allarga, tra campi e boschetti. Il Rio Vilcanota ci conduce tra una comunidad campesina e l'altra, e anche qui ci sono ragazze vestite a festa con abiti coloratissimi e cappelli larghi con perline e ricami dai colori sgargianti.



Ccolcca, Quiquijana, Mollebamba e altri nomi di difficile pronuncia, per noi, si susseguono nell'aria sempre più fredda e umida, mentre la strada corre in un continuo saliscendi sui fianchi bassi dei monti.




Poi comincia a piovere. E' la prima volta in un mese di viaggio (per fortuna). Non ricordavo quasi più quella sensazione fastidiosa dei vestiti che pian piano si inumidiscono e raffreddano. Abbiamo tutto per proteggerci ma fa anche sufficientemente caldo da non esser necessario coprirsi a dismisura. E' solo fastidioso, anche perchè soffia un vento freddo e contrario che gela il viso e spacca le labbra.





I local non si curano del fatto che stia piovendo, e così noi. Proseguiamo tra mercati di villaggio e scorci sul fiume. Per fortuna la pioggia tace in fretta, e con il vento ci asciughiamo. Un buon auspicio mi si fa incontro a bordo strada: la bandierina del Cuzco, che è un arcobaleno e ricorda quella del gendergays o quella della pace, ma in realtà rappresenta i quattro quarti dell'impero inca.






Senza (ancora) eccessiva fatica raggiungiamo Urcos, la prima città vera e propria (supera i 4000 abitanti) con servizi e infrastrutture. Oggi è domenica ed è giorno di mercato.






Gigi ha bisogno di una pausa e ci fermiamo in Plaza de Armas, dove spicca una scultura dedicata a Tupac Amaru, oltre ad una bella chiesetta coloniale e al municipio. In lontananza, sulla cima di una collina, sta a braccia aperte un Cristo Blanco. Qui va abbastanza di moda piazzarne a custodia delle città. Non mancano ambulanti, gelatai nomadi, venditori di riviste su carrellini e churrai. C'è un vivace andirivieni che non disturba, non è caotico (per gli standard peruani, ovviamente).









Attraversare Urcos significa issarsi su per la collina su cui si trova e poi scendere di nuovo sulla strada principale, il tutto nel traffico  impegnativo dei centri abitati. Però, appena fuori, si incrocia il Rio Vilcanota in una delle sue anse più larghe e la Laguna di Urcos, che è uno specchio limpido di cielo in mezzo alle alture, un occhio aperto sull'argento delle nubi sparse.


Poco oltre si trova il Templo de la Virgen purificada di Canincunca, inserito nella ruta del barocco andino, al pari della chiesa di Huaro, il paesino subito successivo. Sono edifici coloniali databili al XVI-XVII secolo.



Proprio tra queste due chiese e quella, più famosa, di Andahuaylillas, detta "la Cappella Sistina delle Ande" (già...), prego forte e invoco molti santi. Infatti proprio qui, sulla Ruta del Barroco andino, i numi han deciso che un sacchetto di plastica vagante, che vola nel vento, abbia la buona sorte di finire proprio nel mio forcellino, e, in un tre colpi di pedale, si è già bell'e che avvoltolato tutto, con il rischio di ingrippare la catena e spaccare tutta la trasmissione. Mentre mi fermo a bordo strada a tirar via pezzo a pezzo la busta, oltre ai moccoli, dico anche cose poco lusinghiere sui peruviani e il loro senso di ecologia e smaltimento dei rifiuti. Ma poi, seriamente, quante probabilità ci sono che un sacchetto che vola nell'aere stile American beauty finisca proprio nel mio forcellino? Quante?



Lo prendo come un segno del cielo e decidiamo di lasciar perdere la Chiesa di San Pedro Apostol, con i suoi affreschi, e pure il museo dei riti andini, dove ci sono più che altro teschi deformi e pure, dicono, i resti di un alieno. Mah.
Pedaliamo piuttosto lungo l'immenso sito archeologico di Pikillaqta, che si estende per diversi kilometri tra Pucara e Huarcapay. Significa letteralmente "luogo della pulce" ed è l'unico sito precolombiano non incaico della zona. Si tratta di un luogo cerimoniale wari, del 1100 d.C.. E' costituito da edifici diroccati a due piani, con ingresso strategicamente poso al piano superiore e cinti da mira difensive.






Proprio qui veniamo sorpresi da un secondo temporale, che, unito al vento, ci rallenta e fa rabbrividire per il freddo umido che porta con sè. Siamo sempre, comunque, sopra ai 3000mdi quota e in questi casi si sente.



Raggiungiamo così il grandioso sito di Rumicolca. Si tratta di un'immensa porta inca di pietre perfettamente incastrate, che sorge su fondamenta wari, più rozze.






E' incredibilmente scenografica per la sua collocazione. Si trova sulla sommità di una collina e, attraverso la porta, si ha una visuale completa su entrambi i versanti, valle ad est e valle ad ovest. Segna per noi l'ingresso nel cuore pulsante del tratto incaico del nostro viaggio.







Oltretutto, all'ingresso del sito (che è gratuito) incontriamo un gruppo di pie donne con prole intente a raccontarsi di come dio abbia voluto per la femmina il ruolo di madre accudente, e così vuole natura eccetera eccetera. Chissà perchèsono venute proprio qui a raccontarsela.





Dopo una discesa da brividi (ha smesso di piovere ma siamo ancora ben infradiciati e infangati) raggiungiamo Oropesa, fondata nel 1571. Dovete sapere che il pane, in Perù, non è particolarmente diffuso. Spesso è difficile da reperire, fresco o confezionato che sia. Nei ristoranti non viene servito e rappresenta una sorta di leccornia extra da trattare quasi come un dolce. Tuttavia Oropesa è la capitale nazionale del pane. Ogni 10 negozi, 9 sono panifici (e il decimo una polleria o una llanteria, dove cambiano pneumatici). Oropesa è un susseguirsi di panetterie, a decine, una dopo l'altra. Tutte hanno i loro bravi banchetti sulla strada, e quasi tutte sono pubblicizzate da ragazze o bambini che sventolano sacchetti di plastica a bordo carretera, per invogliare le auto a fermarsi. L'aria è pregna e densa di profumo di pane appena sfornato.







Ma non è l'unica capitale nazionale, questa. Pochi kilometri oltre ecco Tipon, che, con tanto di cartello e striscione, vanta il titolo di capitale nazionale del cuy al horno, cioè il porcellino d'India al forno. Qui 9 negozi su 10 sono cuyerie.





Tipon ha anche un sito archeologico che dimostra come gli inca fossero maestri nel modificare l'aspro ambiente circostante a loro vantaggio. Ci sono terrazzamenti e un ingegnoso sistema di acquedotti per trasportare l'acqua ai campi e alla città.
Poi vengono Huasa e Saylla, luoghi di produzione di mattoni di argilla. La gente modella e lavora il fango direttamente a bordo strada, ed è un'unica grande fucina in cui si plasmano e mettono a seccare i mattoni di adobe.




Siamo già ben stanchi quando raggiungiamo la prima periferia di Cuzco.Ma dobbiamo pedalare ancora 25km, perchè questa città, oltre ad essere popolosa, è estesa in lunghezza, nella sua forma di puma voluta da Pachacutec.


Iniziamo la lunga, lenta, ininterrotta salita che ci porterà di nuovo a 3400m, quota del centro storico. Prima passiamo da una serie cospicua di chicharronerie, dove la pelle fritta del maiale è esposta in larghe falde all'esterno dei locali.



poi dal monumento al rospo fortunato. Gli inca consideravano il sapo una creatura magica con poteri taumaturgici e in grado di esaudire i desideri, per questo li attiravano lanciando monete d'oro nel lago Titicaca. Oggi i cuzqueni giocano a lanciar monetine in rospi di terracotta o plastica, muniti di fori appositi, come noi giochiamo a freccette.



La città si rivela fin da subito ardua da attraversare in bici. Si procede sempre in salita nel traffico scomposto di mezzi di ogni tipo, umani e cani. Il fondo è spesso pericoloso per buche enormi, mucchi di macerie, sabbia e altre trappole mortali. Il caos delle metropoli peruane è indescrivibile. In più noi siamo stanchi e tutto il brutto risulta amplificato. Anche perchè davanti a noi si palesa un temporale e, nonostante gli sforzi per accelerare il passo, non riusiamo a proseguire se non a passo quasi fermo.



Per fortuna un ampio tratto è percorribile su ciclabile. Certo, più che una pista è un percorso a ostacoli, e gente a piedi, ambulanti, bancarelle, spesso rendono difficile il passaggio. Ma almeno non si rischia l'incidente mortale.





Guardo continuamente il contakilometri. Come in un incubo, si continua a correre ma si resta immobili. sembrano passate ore ma abbiamo percorso solo qualche centinaio di metri. Inizia a piovere, forte e freddo. Finisce la ciclabile. Le buche vengono celate dalle pozzanghere e più volte rischiamo il tuffo di testa sull'asfalto. In centro il fondo è di pietre nere, liscissime, irregolari. La bici scivola e deraglia, mentre il traffico impazzito ci sta addosso, tra sclacsonate e improperi. Siccome manca meno di 1km, decidiamo di camminare. E tutto cambia: passiamo proprio nel centro di Plaza de Armas, perchè il nostro hotel si trova a 200m da lì. Veniamo per un attimo rapiti dalla meraviglia di questo luogo, con la cattedrale e le altre chiese che vedremo in dettaglio domani.




Poi il colpo di grazia finale. Dalla piazza all'hotel ci sono sì 200m ma di salita ripidissima su strade acciottolate scivolosissime. Non solo è impossibile pedalare, ma anche camminando le nostre scarpe con le tacche non fanno presa e pare impossibile spingere le bici cariche fin lassù. Questi 200m ci costano quasi mezzora di saracche, pause per riprendere fiato e infartini quando il piede sdrucciola e si scivola all'indietro con tutto il pesante fardello. Roba da spaccarsi la faccia e qualche altro osso. Per gli ultimi 50m decido di lasciare le borse sul marciapiede e fare più giri. Non ne posso veramente più. Inoltre tutti i passanti, turisti e non, al posto di aiutare osservano e sghignazzano, cosa che lede i miei già tesi nervi.
Tra una spinta e uno scivolone, comunque, arriviamo al nostro graziosissimo hotel, il Kurumi Hostel. E' una casa storica con cortili interni e ampie sale comuni. questa sì che è una struttura degna di tale nome: il bagno è privato, c'è l'acqua ed è persino calda quanto si vuole. Il letto è un letto, non un ammasso di legno e cartoni, ci sono una finestra e la luce, ma pure un tavolo, divanetti e comodini. Il lusso più sfrenato e a soli 69 dollari per due persone e tre notti. Colazione inclusa!



Dopo esserci lavati e riposati, lascio Gigi in camera a riposare, mentre io esco a caccia di contante. Dovete sapere che qui in Perù le banche e soprattutto i bancomat sono cosa rara. Se ne trovano solo nelle città turistiche. Noi ne abbiamo incrociati, ultimamente, in Arequipa, poi a Puno e infine qui a Cuzco. e stop. E i pagamenti con carta di credito non sono contemplati nella stragrande maggioranza dei locali, pure nelle città. Quindi si è sempre un po' tiratelli. 
Uscendo mi trovo immersa in un inatteso spettacolo di luci. Pare di camminare in un presepe.





Le strade illuminate e le colline intorno, punteggiate di luci, creano un gioco di richiami e di contrasto con il buio della sera che lascia a bocca aperta. Si è circondati dalla bellezza più splendida.





Torno in albergo, dopo aver svolto un po' di commissioni, e trovo Gigi che dorme, esausto. Lo lascio riposare. Quando si sveglia decidiamo di andare a cena in un locale vicino, che offre cibi locali a km0 con attenzione alla provenienza di tutti gli ingredienti.




Per la prima volta dopo tanto tempo mangiamo qualcosa di nuovo e buonissimo. Le attenzioni dei camerieri, la raffinatezza del locale -pur semplice- e la possibilità di scegliere cosa mangiare quasi ci commuovono. Ormai siamo abituati ai modi delle quinte, delle picanterie e dei localacci alla magnaporco che trovamo per via. Ma qui è diverso. Qui c'è civiltà urbana.

Come aperitivo ci viene offerto del mais colorato tostato, salato e leggermente piccante. Bello da vedere e gustoso da mangiare.


Gigi prende una classica zuppa di quinoa


mentre noto che pure l'acqua è a km0.


Poi arrivano i piatti principali: quinotto per me (quinoa e altri cereali risottati, con verdure e formaggio di capra). Una delle cose più buone che io abbia mai assaggiato.


Gigi invece va di hamburger vegano fatto con lenticchie, quinoa, barbabietole e avena. Le patatine fritte in realtà son funghi, e tutto è servito con verdure e fiori.



Alla fine veniamo omaggiati di un mate de muña, l'erba digestiva che ormai conosciamo bene, fin dall'isola di Taquile. La cameriera si sorprende del fatto che conosciamo questo infuso... Cara mia, non siam mica turisti appena sbarcati qui, noi!


Nella breve passeggiata fino all'hotel ci facciamo di nuovo rapire dalle luci incantevoli di questa città, che sta finalmente rivelando il suo lato bello, piacevole, godibile, dopo averci fatto tanto penare per arrivarci.



Rientriamo in stanza. Mi guardo attorno. Questa è la nostra casetta nel cuore di Cuzco per i prossimi giorni. Siamo in un porto sicuro. Sappiamo stare bene ovunque ed è bellissimo non sentirsi stranieri nell'altrove.



Lunedì, 8/8
Cuzco
18km a piedi

Racconta la leggenda che nel XII secolo il dio sole Inti ordinò al primo inca (re), Manco Cápac, di trovare il punto nel terreno in cui conficcare una verga d’oro fino a farla scomparire. In quel punto - che sarebbe diventato l’ombelico del mondo (il qosq’o in lingua quechua) - fondò Cuzco, futura capitale del più grande impero delle Americhe.

L'Impero inca raggiunse la sua massima espansione nel XVI secolo, proprio quando arrivarono gli spagnoli guidati da Pizarro. Il nono inca, Pachacutec, non solo sottomise la potente tribù dei chanka, nel 1438, ma diede all'impero grandezza e raffinatezza. Era un urbanista di larghe vedute: si deve a lui la planimetria della città a forma di puma e la deviazione del corso dei fiumi circostanti per portare acqua in città Fece erigere edifici di grande pregio, tra cui il tempio di Qorikancha e un palazzo sull'odierna Plaza de Armas. A lui si devono anche monumenti per commemorare le vittorie degli incas, come la cittadella di Saqsaywaman, il tempio-fortezza Ollantaytambo e forse anche la stessa Machu Picchu. L'espansione proseguì per generazioni, fino all'arrivo dei conquistadores; in quel periodo l'impero si estendeva d Quito fino a sud di Santiago del Cile. Poco prima dell'arrivo degli europei Huayna capac divise il suo impero tra i due figli: il nord ad Atahualpa e il sud e Huascar. La lotta tra i due fu terribile e venne vinta da Atahualpa, che catturò il fratello proprio a Cuzco. Nel frattempo Pizarro marciava verso questi terrtiori. L'inca era troppo impegnato con la guerra civile per occuparsi di un manipolo di stranieri ma, nel 1532, venne organizzato un fatidico incontro con gli spagnoli a Cajamarca. 168 contro 80.000.


"Il Governatore Pizarro mandò in ambasciata Fra’ Vincente de Valverde, per chiedere ad Atahualpa che in nome di Dio e del Re di Spagna si sottomettesse alla legge del nostro Signore Gesù Cristo e si ponesse al servizio di Sua Maestà il Re “[…] Le mie parole sono le parole che Dio ci ha dato in questo Libro. Pertanto, in nome di Dio e dei Cristiani, ti prego di accoglierli in amicizia, perchè tale è la volontà di Dio, e tale sarà il tuo interesse.
Atahualpa chiese che gli fosse mostrato il Libro, e il frate glielo porse chiuso. Il re non sapeva come aprirlo, e Fra’ Vincente stese una mano per mostrarglielo, ma Atahualpa si infuriò e lo colpì. Quindi lo aprì e senza alcun interesse o meraviglia per ciò che conteneva lo gettò via da sé, rosso in volto.
Allora Fra’ Vincente si volse verso Pizarro e gridò: “Uscite fuori, Cristiani! Colpite questi cani infedeli che rifiutano la Parola di Dio!
Avete visto? Il tiranno ha gettato nella polvere il Libro della legge divina! Perchè rimanere in soggezione di questo cane orgoglioso, quando la valle intorno è piena di indiani? Colpitelo, perché io vi assolvo dai vostri peccati!”

E fu un massacro. Il resto è storia. Atahualpa fu catturato e, nonostante il tentativo di pagare per la sua vita con una stanza piena d'oro e due d'argento, venne ammazzato come una bestia. Pizarro marciò su Cuzco e con le armi e le armature d'acciaio presero la città senza sforzo, lasciando dietro di sè un bagno di sangue. Era il 1533. A capo della città fu posto il re fantoccio Manco Inca, fratellastro di Atahualpa. Dopo l'iniziale obbedienza docile, si ribellò e cinse d'assedio Cuzco con 100.000 soldati, approfittando del numero esiguo di europei. Ma questi riuscirono a respingere l'attacco con un resistenza disperata e annientarono i nativi. Manco Inca dovette riparare nella giungla. Gli spagnoli depredarono Cuzco, tutto ciò che era d'oro e argento venne fuso. Cuzco perse rapidamente importanza, in favore della nuova capitale coloniale, Lima. 

La mia visita della città parte proprio da questo punto della storia. Dopo una sontuosa colazione in hotel, saluto Gigi: è provato e ha bisogno di riposare, e per oggi starà in camera a riprendersi. Io mi armo di guida e fiato e inizio a salire, in direzione Saqsaywaman.


Le strade acciottolate restano ripide, ma senza scarpette con aggancio, senza bici cariche e senza pioggia che rende tutto scivolosissimo, la salita si fa domabile.


A pochi passi dalla partenza incappo nel mirador di San Cristobal, con omonima chiesa. C'è una fiera in corso, con festa patronale e caciara annessa, per quanto il quartiere si stia svegliando solo ora. Molti stand sono ancora chiusi, altri propongono sopa per colazione. Giostrine e gelatai distraggono i bimbi che stanno entrando a scuola, tutti assonnati nelle loro divise. Ora capisco da dove venissero i botti e i fuochi artificiali sparati ogni dieci minuti per tutta la giornata di ieri!



Già da qui la vista sul Cuzco è magnifica, per quanto il cielo resti un poco imbronciato.





Continuo a salire, incontrando curosi passanti per via.



Quando ormai sto sfiatando come un cetaceo spiaggiato, ecco i primi contrafforti. Sono arrivata al sito archeologico con il quale ho deciso di aprire le danze.



La prima cosa da fare è acquistare il boleto turistico, un mappazzone da 130 soles che comprende quasi 20 tra siti archeologici, musei, luoghi di interesse storico e culturale e persino uno spettacolo di danza e musica tradizionale. Vale 10 giorni e noi lo useremo quasi completamente, sfruttando tutti gli ingressi disponibili.


Il nome in lingua quechua significa "falco soddisfatto" perchè ben pasciuto di cadaveri. Nel 1536 il forte fu teatro di una delle battaglie più aspre della conquista spagnola. Poco più di due anni dopo l’ingresso di Pizarro a Cuzco, il ribelle Manco Inca si rimpossessò di Sacsaywamán, approfittando dello scarso numero di spagnoli posti a guardia del sito, e lo usò come base per porre sotto assedio i conquistadores a Cuzco.





Manco era sul punto di sconfiggere gli spagnoli, quando, con un disperato attacco condotto da 50 cavalleggeri guidati da Juan Pizarro, fratello di Francisco, questi ultimi riuscirono a riprendere Sacsaywamán e a mettere fine alla rivolta. Manco Inca sopravvisse e si ritirò nella fortezza di Ollantaytambo, ma i suoi soldati furono quasi tutti uccisi. Le migliaia di cadaveri sparsi in questo luogo dopo la sconfitta degli incas attirarono grandi stormi di condor andini. La tragedia venne ricordata aggiungendo otto condor nello stemma di Cuzco.







Il sito, enorme e comunque meno del 20% di quanto era un tempo, è composto da tre aree distinte, la più singolare delle quali è quella delimitata da magnifiche fortificazioni a zigzag su tre livelli. Una pietra ha l’incredibile peso di oltre 300 tonnellate. Fu il nono inca, Pachacutec, a dare alla città di Cuzco la forma di un puma, del quale Sacsaywamán era la testa e le 22 mura a zigzag i denti. Le mura costituivano al tempo stesso un sistema difensivo estremamente efficace, perché costringevano i nemici a trovarsi sempre con un fianco esposto.




Sulla collina di fronte un Cristo blanco si sbraccia verso il formicaio sottostante.



Inizia a piovere e trovo riparo tra i tronchi ritorti di questi alberi profumatissimi, ancorchè del tutto ischeletriti. Nel frattempo cominciano ad arrivare pullmanate di turisti, tra cui molti italiani. La cosa mi infastidisce un po', pensa te. E il fastidio cresce quando le guide furbastre che portano a spasso i docili visitatori mi prendono in giro per fatto che mi sto autoguidando e no, non mi serve il venditore di pentole e parafernalia. So reperire le informazioni e so persino leggere.


Questo luogo era in grado di ospitare in modo permanente una guarnigione di 5000 guerrieri. Tuttavia, per quanto con stupore gli inca avessero scoperto che le barbe degli europei erano vere e che pure loro morivano, non ne sono bastati nemmeno venti volte tanti per far fronte agli uomini vestiti di metallo imperforabile.






Di alzato resta "poco" perchè, subito dopo la conquista, gli spagnoli abbatterono molti muri e utilizzarono i blocchi di pietra per costruire le loro case a Cuzco, ma lasciarono i massi più grandi e imponenti, soprattutto quelli che formavano gli spalti principali.






Poi, perchè il caos andino non finisce mai di stupire, compaiono degli alpaca tra le rovine. Pascolano liberi e mi ricordano certi disegni dei gran tour di inglesi e tedeschi in Italia, che sottolineavano come nel Colosseo e nei siti del sud le capre scorrazzassero libere su resti greci o romani.




Ciò che più di tutto stupisce è la precisione con cui sono incastrate le pietre. In certi casi non si nota neppure il punto di contatto tra due blocchi, tanto è perfetto. Questa è la cifra architettonica incaica, una differenza rispetto alle altre civiltà precolombiane.








Dopo una lunga e gratificante visita, viene il momento di tornare verso il centro città, percorrendo in discesa le stradine che conducono a Plaza de armas.




il perrito in posa


Per via mi fermo a chiedere informazioni in alcune delle numerosissime agenzie che organizzano tour e attività. I siti archeologici intorno a Cuzco sono troppi per essere inclusi tutti nel nostro percorso in bici, e richiederebbero dei giri ad anello insensati. Per questo ho valutato più conveniente lasciare Salineras, Maras e Moray per un giro guidato, mentre il resto, Valle Sacra in primis, sarà la nostra strada pedalata nei prossimi giorni. Trovo l'agenzia giusta e mi accordo per domani, mezza giornata, 50 soles a testa tutto incluso. Perfetto. La sky bike, invece, la rimando a un'altra volta, che di selle e manubri ne abbiamo già abbastanza.


Scendo in Plaza de armas, che con i suoi portici e le sue chiese e palazzi su base di pietra inca ruba sempre lo sguardo.



Già ai tempi degli inca questo era il cuore della capitale. Mi imbatto nell'inno al Cuzco, in spagnolo e in quechua, che è una lingua estremamente trasparente.



La cattedrale sorge proprio nel luogo in cui si ergeva il palazzo del viracocha inca, l'imperatore del più grande impero del sud America. Fu costruita con le pietre sottratte al sito che ho appena visitato, a partire dal 1559, per oltre un secolo di lavori. Al suo interno, oltre a una ricca collezione di dipinti, si trova il crocifisso del Signore dei terremoti; portato in processione, farebbe smettere di tremare la terra (così almeno sarebbe successo nel 1650).


Scendo verso avenida del Sol. Mi stupiscono tutti gli edifici, case, chiede e palazzi, costruiti su base di pietra inca perfettamente squadrata.


camelidi da cortile


La mia meta è Qorikancha, il simbolo più incredibile di questa stratificazione architettonica, che ricorda come la storia trasformi in una millefoglie di pietra anche i più potenti imperi. E' solo questione di tempo.


suora e andine


Qorikancha era il tempio più ricco di tutto l’impero inca; tutto ciò che ne resta oggi è l’eccellente muratura in pietra su cui poggiano la chiesa e il convento di Santo Domingo.

In epoca inca, Qorikancha (che in quechua significa "cortile d’oro") era letteralmente ricoperto d’oro. I muri del tempio erano rivestiti da 700 lamine del peso di circa 2 kg ciascuna. Il tempio conteneva pannocchie d’oro e d’argento a grandezza naturale, che venivano "piantate" durante i riti cerimoniali del calendario agricolo. Secondo i resoconti dell’epoca, c’erano anche altri tesori d’oro massiccio, tra cui altari, figure di lama e bambini e un’immagine del sole, che andò perduta. A pochi mesi dall’arrivo dei primi conquistadores, tutti questi tesori erano già stati trafugati e fusi.





Nel tempio si svolgevano diversi altri riti religiosi. Qui si ritiene che fossero custoditi i corpi mummificati di diversi incas (sovrani), che ogni giorno venivano esposti alla luce del sole per ricevere offerte di cibo e bevande, che venivano poi bruciate durante un rito propiziatorio. Qorikancha era anche un osservatorio dal quale i sacerdoti studiavano l’attività dei corpi celesti.




Oggi tutto ciò che resta del sito sacro si trova inglobato all'interno della chiesa e del convento. Ai lati del chiostro si trovano i sacelli in pietra inca, e la chiesa ha radice in quel che un tempo erano i muri esterni del tempio; tutto ha resistito senzanemmeno una crepa ai numerosi e devastant terremoti che hanno colpito la città. E' impressionante la fusione degli elementi architettonici.


La fonte ottagonale che sorge al centro del cortile in origine era rivestita da 55 kg di oro massiccio. Su ciascun lato del cortile si aprono alcune camere di epoca inca. Si dice che le più grandi fossero templi dedicati alla luna e alle stelle e che fossero rivestite d’argento pieno. I muri si assottigliano verso l’alto e, con le loro nicchie e porte, rappresentano ottimi esempi dell’architettura trapezoidale degli incas. I blocchi di pietra sono incastrati l’uno nell’altro in modo così preciso che non si riesce a distinguere il punto di congiunzione.


Il tempio fu costruito verso la metà del XV secolo durante il regno del decimo inca, Túpac Yupanqui. Dopo la conquista, Francisco Pizarro lo donò al fratello Juan, che però non riuscì a goderselo a lungo - Juan morì nella battaglia di Sacsaywamán nel 1536. Nel suo testamento, egli lasciò Qorikancha ai frati domenicani, che ne sono tuttora i proprietari. Oggi il sito è una combinazione bizzarra di elementi architettonici inca e coloniali, il tutto sormontato da un tetto di vetro e metallo.



puma, condor, serpente. I tre animali sacri nell'aiola



Su un lato del cotile ci sono dei templi più piccoli dedicati al tuono e all’arcobaleno. Sui muri di questa sezione sono stati ricavati tre fori che si aprono sulla strada e che, secondo gli studiosi, sarebbero stati canali di scolo utilizzati per la chicha sacrificale (la bevanda ottenuta dalla fermentazione del mais), per il sangue o, più semplicemente, per l’acqua piovana. Secondo altre fonti, servivano forse per comunicare dall’interno del tempio con l’esterno. Su questo lato del complesso è degno di nota anche il pavimento di fronte alle camere: risale all’epoca inca ed è formato da ciottoli disposti con estrema cura.










Molte sale interne, la pinacoteca, i dipinti che raffigurano la vita di San Domenico e il coro ligneo riccamente intagliato sono chicche che non posso mostrare a causa del divieto di fotografare.




Rimane comunque un sito unico per l'incastro perfetto, è il caso di dirlo, tra i resti di un tempio e le radici di un altro. Qui una divinità, quale che sia, dovrà pur rispondere!





Anche all'esterno la fusione di elementi è palese. Purtroppo scopro che il museo del sito, pur compreso nel mio boleto, è chiuso. Faccio ancora un giro del complesso e poi muovo di nuovo verso plaza mayor. Dopo i due siti incaici, è tempo di musei (a tema, ovviamente. Siamo nella capitale dell'impero!)




Museo Inka, a un lato della piazza. Inutile dire che ospita la più ricca collezione di reperti di questa cultura, senza contare che si trova in una delle più belle case coloniali della città.




Invero non ci sono solo reperti inca, ma anche sale dedicate alle altre civiltà precolombiane. E' interessantissimo notare le differenze di stile e iconografia.





Incredibile è anche la collezione di crani deformati (gli spagnoli proibirono la pratica, pensando che fosse un modo per rendere i sudditi più obbedienti) e perforati a scopo medico (già).





Immancabile la parata di mummiette, infagottate e messe in vaso in attesa della rinascita nella vita dopo.




Il museo offre un interessante spaccato sulla vita dei discendenti degli inca dopo la conquista spagnola, sull'incaismo e la rinascita dell'orgoglio nativo.


Non mancano richiami alla persistenza di alcune pratiche inca nel Perù contemporaneo. La coca su tutto.








Quando esco dal museo mi imbatto nella folla di ragazzini che escono da scuola. Sono le 13. Gli alunni si accalcano ai baracchini, posizionati strategicamente dagli ambulanti, che vendono caramelle, gelati e snack a pochi soles. C'è il clima allegro dell'ultima campanella, e per me è ancora più allegro perchè sono ancora in vacanza e per un po': non sono i "miei" ragazzi, non ho alcuna responsabilità, posso guardarli e basta, senza ulteriore coinvolgimento. Ah, che libertà!



Il secondo museo imperdibile è quello, più recente, dedicato alla scoperta di Machu Picchu e agli scavi relativi. Prima, però, necessito di una piccola pausa e di sgranocchiare qualcosa nel caldo solicello che imbeve di luce le tegole e le pietre delle piazze.



Mi lascio osservare dagli occhi finestra della Iglesia del Triunfo, dalle statue della Catedral



e dalla Chiesa della Compagnia di Gesù, che poggia i piedi sulle rovine del palazzo di Huayna Capac, ultimo inca a regnare sull'impero indiviso prima dell'arrivo dei conquistadores. Il fatto che superi in grandezza e imponenza, con la sua facciata barocca e la sua cupola, la cattedrale, diede il via a una disputa su cui dovette pronunciarsi il papa (Paolo III) in persona.



Dopo essermi scofanata un quintale di frutta secca artigianale (qui va forte) in una placida piazzetta accanto al monastero di Santa Catalina, barocchissimo,



mi tuffo nel museo Machu Picchu, che ci attende tra poco più di una settimana (e non sto nella pelle!). Machu Picchu non è mai stata trovata dagli spagnoli. A parte qualche gringo sporadico e saccheggiante, il sito è rimasto ignoto al mondo fino al 1911, ad eccezione dei campesinos quechua che lì vivevano; il primo storico a metterci piede fu Hiram Bingham, condotto da un ragazzino e da un contadino del posto. Il museo illustra le fasi dell'esplorazione del sito, che ancora tanto ha di misterioso, e oltre 300 reperti ivi recuperati.



Il museo è ospitato in una fantastica casa coloniale, tra l'altro.







tsucche decorate!

Fuori di lì decido di camminare un po' (visto che finora non l'ho fatto proprio...).
Passo da Triunfo (Sunturwasi in quechua... Molte vie stanno prendendo doppio nome) e passo dalla famosa pietra dai 12 angoli, incastonata nelle fondamenta inca del palazzo arcivescovile.





Le strade qui sono animate di negozietti di souvenir, prodotti artigianali e opere di artisti che fondono passato e presente nella loro simbologia. C'è un'aria frizzante, vivace, ma serena, e ogni vicolo è pieno di luce, colori e musica.





Raggiungo la chiesa di San Blas, in adobe, che purtroppo è chiusa per restauro. Mi perdo così il magnifico altare in foglia d'oro che è definito il più sontuoso di tutte le Americhe. Vuole la leggenda che sia stato costruito da un nativo guarito da malattia mortale, che dedicò poi tutto il resto della sua vita a realizzare tale opera. Il suo tescio si troverebbe incastonato nella parte superiore dell'altare.



Decido di muovere verso il mercato di San Pedro, a quanto pare imperdibile. Faccio una piccola deviazione al museo di arte popolare, giusto perchè è incluso nel boleto turistico. Qui sono esposte le opere vincitrici del concorso di arte popolare di Cuzco. Si va dal sublime all'irriverente, dallo storico al satirico. Interessante anche la collezione di foto storiche di Martin Chambi, che ritraggono la città nella prima metà del XX secolo, incluse le disastrose conseguenze del terremoto del 1950.







Passo davanti al Templo y convento de La Merced, terza chiesa più grande di Cuzco, distrutta dal terremoto del 1650 e subito ricostruita. Qui sono sepolti Diego de Almagro e Gonzalo Pizarro (fratello di Francisco), oltre ad esser conservati i paramenti di quel personaggione di Vicente de Valverde.








Mi avvicino all'area del mercato, tra palazzi coloniali e rovine inca, tra ambulanti e vigilesse che fanno attraversare gli anziani tenendoli per mano.



Passo dalla Chiesa di Santa Clara, del XVI secolo. L'interno è completamente ricoperto di specchi, perchè così i nativi erano incuriositi e attratti all'interno del tempio. Da lì, iniziarli al culto era un attimo. Quando si dice "specchietti per le allodole"...


L'area del mercato centrale è subito un Carnevale di Rio, e non sono ancora entrata. Ambulanti, banchetti, merce, cibo, roba su roba in vendita, tutto ammonticchiato in modo caotico mentre i venditoririchiamano l'attenzione dei passanti nei modi più fantasiosi.








Il mercato è un mondo a sè. L'area coperta è leggermente più ordinata, per quanto il caos regni sovrano. C'è il settore tessili,



l'ortofrutta coloratissima e con quel vago odore di marcescenza dolciastra,


olive e sottaceti,


grumi di uova di pesce


cestini e granaglie



e la macelleria, che è veramente splatter. Tra interiora, musi di lama e teste di pecora, non so cosa sia più inquietante.






Mi aggiro tra i banchi e ristorantini interni. Gli odori si mescolano e piscio, pane, frutta, sangue e grigliata si mescolano in tutt'uno che stordisce.




Decido di uscire e si spalanca un altro mondo di mercanzie, labirintico e ancora più caotico. Tutte le vie intorno al mercato coperto sono un'immensa fiera di prodotti agroalimentari, di carne, pesce, cereali e ortaggi. Gli andini dai pueblos vengono qui a vendere quel che hanno, tanto o poco o pochissimo che sia. Tutto in terra, tutto mescolato.






La zona di frutta e verdura è anche bella, per quanto incasinata: i colori sgargianti la fanno da padroni.












Poi, però, mi addentro nella zona carne e pesce, che è veramente splatter. Se non siete forti di stomaco, saltate questa parte di foto. Ci sono teste intere, musi dentati, zampe con zoccoli, interiora sanguinolente. Per fortuna poche mosche (ma molti cani randagi affamati).










Dopo aver fatto il pieno di questo ribollire di mercanteggio, torno verso il centro, piuttosto cotta dalla giornata densa.


Passoda piazza san Francesco, con omonima chiesa del XVI-XVII secolo



e mi porto in plaza regocijo, su cui si affaccia il museo storico regionale.



Sempre perchè compreso nel boleto, decido di farci n salto. L'esposizione, in ordine cronologico, è molto interessante e chiara. Inoltre il museo si trova nella casa di Garcilaso de La Vega, lo storico degli inca figlio di una principessa nativa e di un capitano spagnolo, che scrisse il celebe Cometarios reales de los incas (1609).






Dopo un bel litigio con l'agenzia del tour di domani (ho acquistato un pacchetto e volevano rifilarmene un altro, con siti che visiteremo già in bici nei prossimi giorni), che mi rende molto fluente sia in inglese sia in spagnolo, risolvo, la spunto e mi faccio anche rimborsare un po' della cifra per il danno morale.
Torno in albergo esausta e trovo Gigi bello pimpante e rinsavito, intento a far manutenzione alle bici. Sta meglio!
Prima della doccia, compio il rito di metà viaggio: metto a posto il taglio sbilenco rasando un pochino ancora, per pareggiare il vello e non sembrare una scappata dal manicomio. O forse per sembrarlo di più.


Usciamo per cena ma prima dobbiamo sbrigare alcune commissioni, non ultima acquistare una chiavetta USB perchè il mio pc ha la memoria intasata e non ci stanno più foto.
Poi, finalmente, la meritata cena: papa rellena (patata ripiena di verdure e carne) e chile relleno (idem ma con peperone e tortilla). Tutto delizioso!


Ora è tardissimo qui, devo filare a nanna perchè domani ci attendono Salineras, Moray, Maras e altre chicche cuzqueñe!


2 commenti:

  1. Il mercato somiglia a quello di Wuhan!
    Cresceremo solo leggendo.

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  2. Però ti avevo fatto regali utili,pellicciotto,penna USB. Bene bene

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