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Tlacotepec de Benito Juarez-Puebla de Los Angeles
84km
Che giornata densissima, oggi! Non solo abbiamo pedalato la nostra bella tappa, superando i 2300m di quota e attraversando pueblos tanto caotici quanto caratteristici, ma abbiamo anche fatto in tempo a godere di alcune meraviglie che Angelopolis, la capitale dello stato di Puebla, offre a chi ha la fortuna di visitarla. La manciata di km che separa il paesino da cui siamo partiti stamattina dalla città si rivela una distanza siderale, anni e anni luce. Da un lato servizi ridotti all'essenziale e pure meno, infrastrutture devastate, edifici fatiscenti, baracche, polvere, rifiuti e cani randagi. Dall'altro lo sfarzo, il lusso, la ricchezza in tutti i sensi (storica, culturale, ma anche materiale), il consumismo globalizzato spinto al massimo. Il troppo poco e il troppo. Tutto in poche ore di bicicletta. Ho due immagini che mi sono rimaste impresse come pietre di paragone. A Tlacotepec un ragazzino sugli undici anni che sta al bancone di un negozio di alimentari e gestisce la baracca e la sorellina; a Puebla i suoi coetanei che fanno i capricci perchè vogliono altri spicci per la sala giochi del mercato coperto (ma sempre a Puebla un altro bimbo poco più piccolo sta buttato davanti a una frequentatissima churreria a chiedere l'elemosina, e a guardare altri bambini uguali a lui, ma così diversi, che aspettano in coda il loro turno per i dolci e poi se ne vanno soddisfatti per mano alla nonna). Ancora, a Tlacotepec abbiamo fatto spesa in un piccolo supermercato, l'unico, con gli scaffali quasi del tutto vuoti. Aveva giusto un po' di scatolame, prodotti per la pulizia domestica e qualche bibita. A Puebla ci sono migliaia e migliaia di negozi e supermercati e bancarelle di tutti i generi, strabordati di merce, e non certo di prima necessità. Due mondi distinti.
Ma andiamo con ordine. Stamattina siamo partiti con un'aria frizzantina che ci ha convinti a indossare qualche strato antivento. Mentre riempivamo le borracce, prima di partire, siamo stati oggetto delle curiose, bonarie domande da parte di una pletora di residenti a passeggio e di venditori ambulanti che offrivano caffè e panini dai loro baracchini a bordo strada. Poi si è aggiunto anche il policia che, stanco di dirigere inutilmente il traffico, poco e già controllato dal semaforo, è venuto a conoscerci e presentarsi. Poi, a suon di fischietto, ci ha fatti attraversare bloccando platealmente il flusso dei veicoli e rallentando lo sviluppo delle Americhe.
Usciamo dal paese, nell'aria grigia contro cui spiccano gli edifici coloratissimi, e la strada si fa improvvisamente stretta e del tutti priva di bordo, con solo due corsie. Le auto ci pelano la fettina di prosciutto, i camion devono rallentare e aspettare di poterci superare, con gran rumore e qualche sclacsonata dalle retrovie. Insomma, come inizio di giornata è un po' stressante.
Tra un pueblo e l'altro, che anche oggi si susseguono uno dopo l'altro a breve distanza, ci sono campi di mais e pascoli un po' abbandonati, pieni di rifiuti o bruciati; nonostante ciò non mancano piccole greggi di pecore bianche con neri il muso, la testa e il collo, qualche cavallino magro e alcune mucche. A sorvegliarle donne, bambini o anziani, armati di fruste artigianali fatte con legni e corde.
Superiamo un gran numero di piccole aziende familiari di produzione di mattoni. Di fronte a casa uno impasta, l'altro riempie le forme, un altro cuoce, e l'ultimo impila in strutture assai simili a quelle delle civiltà preispaniche. Qui non mancano i perri mali, da cui dobbiamo in più occasioni fuggire. Sono paesi, questi, grigi quanto basta, e mesti anche di più, dove vivono gran lavoratori che si spaccano le mani e la schiena. Se non per i mattoni, per il marmo, o il ferro, o la pietra intagliata. E' tutto un picchiare di martelli e stridere di lame, metallo contro roccia. Insomma non proprio un Carnevale di Rio.
Arriviamo a Tecamalchaco, mascelle delle montagne/ della pietra in nahuatl, che con i suoi 71.000 abitanti riesce a produrre un ingorgo di traffico degno di una megalopoli. Questa città, fondata da tribù popoloca nel 1441 e sottomessa a Tlacotepec, fu poi conquistata dagli spagnoli e cristianizzata dai francescani. E' piuttosto vivace quanto a feste, sagre, ricorrenze di paese, ed è nota per la carne di pecora grigliata sul barbeque. Noi ne assaporiamo solo l'inquinamento da motori vecchi e fumanti nubi nere che fanno pizzicare il naso e irritano la gola.
Seguiamo la strada, che ci porta ad inanellare una serie di cittadine dai mercati super caotici, che si svolgono tutti a bordo strada, anzi, sulla strada, in un via vai di furgoni stracarichi di persone e ortaggi, polli e maiali, e poi motorini, camion, tricicli, carriole, gente che vende, che compra, che sposta cose pesanti. Un delirio di casino!
San Salvador Huixocolotla (in nahuatl "luogo delle spine") |
questi ragazzi danzano e cantano in abiti tradizionali tra le bancarelle e la strada. Ma perchè. |
cavalli, cartelli, macerie |
Arriviamo a Tepeaca ("all'inizio dei monti"), altra città che supera i 70.000 abitanti. Qui si lavorano onice e marmo, e si venera un'icona di Gesù Bambino dottore degli infermi. La città, fondata dopo la migrazione tolteca e chichimeca del XII secolo, fu sottomessa dagli aztechi. Era uno snodo fondamentale per i commerci tra la costa e l'entroterra, tanto che Cortes in persona fondò qui una nuova città dopo aver distrutto quella già esistente, i cui abitanti avevano ammazzato alcuni spagnoli. Notevole l'antico convento francescano, che spicca sugli altri edifici contornato da alture brulle.
Poco prima di raggiungere Amozoc ci fermiamo per una pausa. Ci rendiamo conto qui di quanto l'aria abbia rinfrescato. In fondo siamo a 2300m di quota e pioviggina... Ma la calura tremenda dei giorni scorsi sembra così lontana da ricordare un altro pianeta. Sullo sfondo compare, inconfondibile, il profilo austero della quinta vetta più alta del Messico, la Malinche, con i suoi 4460m di altezza. Il nome è quello della discussa amante e interprete nativa di Cortes. Il vulcano è spento e meta di trekking, per quanto la neve ne imbianchi la vetta solo poche settimane l'anno, intorno a maggio.
la mascotte di una farmacia, che balla in costume sul marciapiede |
Con una lunga, dolce, piacevolissima discesa arriviamo a Puebla, a 2150m. Questa capitale, un tempo roccaforte conservatrice del cattolicesimo e della tradizione, è uscita dal suo guscio coloniale, pur conservando un magnifico centro storico, innumerevoli chiese ed edifici storici restaurati. Non mancano, stando a quanto ho letto, un contesto artistico vibrante di novità, un'animata vita notturna e il solito vivace e coloratissimo casino di artisti di strada, ambulanti e mercati.
Nel solo centro storico ci sono 70 chiese, 1000 edifici coloniali abbelliti da piastrelle talavera (ceramica dipinta) e un'esagerazione di ristoranti e localini che offrono le specialità gastronomiche locali (larve di formica, i vermi gusani, un fungo infestante del mais, le cavallette e il più appetibile, per me, chile en nogada, un peperone verde ripieno di carne e frutta secca, coperto da una crema di noci e cosparso di chicchi di melograno.
Attraversiamo le tranquille periferie e l'affollato centro, dove si trova il nostro albergo (San Angel). E' un posto ingiustificatamente fighetto, cosa che non mi aspettavo quando ho prenotato su Booking alla cifra di 22 euro per la doppia con bagno privato. Vero, è a un passo dallo zocalo. Vero anche che si trova in un edificio coloniale. Ma non ha l'acqua calda, il wifi è inesistente... Insomma, pensavo fosse un posto alla buona. Invece, quando entriamo (direttamente nella hall con le bici) ci troviamo sotto lo sguardo allibito e parzialmente schifato della receptionist e degli avventori del ristorante che trova poco dopo l'ingresso. Da qui in poi veniamo seguiti a giro stretto da un ragazzino incaricato di tenerci d'occhio, che ci impedisce di portare le bici in camera e insiste affinchè le lasciamo in un parcheggio custodito a pochi minuti a piedi da lì. E sia. In ogni caso resto infastidita dalla puzza sotto al naso che aleggia in questo posto, e, siccome non sono troppo stanca, infastidisco in ogni modo la sgarbata receptionist, tentando di riportarla alla realtà delle cose: non lavora al President Wilson di Ginevra! "Scusi, non va l'acqua calda" dico scendendo mezza gnuda come se uscissi dalla doccia, nell'imbarazzo degli astanti. "Scusi, ma internet non funziona, mi può ridare per trecentesima volta la password?". E via così, una volpe volutamente molesta.
Non restiamo a lungo in camera, perchè è presto, non siamo esageratamente stanchi e Puebla ha tanto da offrire. Fondata nel 1531 da un gruppo di coloni spagnoli che la battezzarono Ciudad de Los Angeles per contendere il primato religioso al vicino centro preispanico di Cholula, la città crebbe rapidamente e diventò un centro importante del cattolicesimo nella regione. Fin da tempi antichissimi qui era diffuso l'artigianato della ceramica, prodotta con argilla locale; quando gli spagnoli introdussero tecniche e materiali nuovi, questa attività divenne arte e industria. Alla fine del XVIII secolo si producevano anche vetro e tessuti, con grandi benefici per l'economia. Puebla restò la seconda città più popolosa del Messico fino alla fine del XIX secolo (oggi conta 1.5 milioni di abitanti, 3 se si considera l'area metropolitana circostante). Nel 1862 il generale Ignacio de Zaragoza fece fortificare il Cerro de Guadalupe per far fronte agli attacchi francesi e il maggio di quell'anno, con i suoi 2000 uomini, respinse l'assalto di 6000 soldati franzosi (molti già provati dalla dissenteria, a onor -e odor- del vero). Questa vittoria, eccezionale successo messicano, viene celebrata ancora oggi soprattutto negli USA, dove è sponsorizzata dalle grandi aziende e serve a vendere fiumi di alcolici. Va detto che nel 1863, appena un anno dopo il Cinco de mayo, i francesi conquistarono Puebla e la occuparono per 4 anni.
Scesi in strada, mi colpisce anzitutto la quantità di negozi di abbigliamento, soprattutto elegante e da cerimonia. Molti sono dedicati alle quinceanere ed espongono vestiti degni di una sposa, corone e parafernalia kitsch che meriterebbero uno studio sociologico a parte.
Rubano poi lo sguardo i bellissimi edifici storici che si susseguono per tutte le vie del centro e danno alla città un aspetto elegante e raffinato (direi "quasi europeo", che è la realtà storica, ma forse suona un po' razzista).
In molti di questi palazzi si apre un labirinto di viuzze e passaggi interni che ospitano mercati artigianali e non di livello. Bighelloniamo tra le bancarelle, attratti soprattutto dai profumi di fritto, dolci, popcorn e qualsiasi bendiddio che ha su di noi, che abbiam pedalato ma non pranzato un effetto magnetico.
e infatti una crepe alla Nutella giunge desiderata |
Più ci si avvicina allo zocalo, più le strade, spesso pedonali, si fanno affollate di passanti, ambulantes, strilloni, venditori di palloncini e persino statue di poblani illustri, letterati, scienziati, giornalisti, conduttori tv...
La nostra prima meta è il Templo de Santo Domingo, chiesa domenicana in cui si trova la barocchissima Capilla del Rosario; eretta tra 1650 e 1690, è un'esplosione di stucchi dorati, statue in pietra, con angeli e cherubini che sembrano sbucare da ogni foglia. L'ingresso è anche sì gratuito, come tutte le chiese qui a Puebla.
la Capilla del Rosario |
Proseguiamo lasciandoci assorbire dal flusso di suoni, profumi e colori delle vie centrali, in una rilassante atmosfera vacanziera. Qui di gringos ce ne sono ben pochi, ma di turisti messicani è pieno.
Raggiungiamo in breve lo zocalo, con i suoi portici cinquecenteschi che lo delimitano, accogliendo ristoranti e locali più o meno raffinati, e alcune catene di cui ho trovato ben poche tracce finora (McDonald's, Subway, KFC)... La gloriosa tradizione culinaria messicana resiste!
Fino al 1854, quando ha assunto l'attuale aspetto di isola verde, la piazza centrale era sede di mercato, corride, rappresentazioni teatrali e impiccagioni pubbliche. Insomma, qui non ci si annoia(va) mai.
Su tutto domina la maestosa, scura, altissima cattedrale, che si trova anche raffigurata sulle banconote da 500 pesos. L'edificio occupa un intero isolato e presenta elementi che fondono lo stile architettonico herreresco, più austero, rinascimentale, e il protobarocco. La costruzione iniziò nel 1550 ma fu potata avanti soprattutto durante il vescovado di Juan de Palafox, intorno al 1640. Le due torri campanarie (69m) sono le più alte del Messico. L'interno è impreziosito da affreschi ed elaborate cappelle laterali, un vero e proprio museo d'arte locale.
il cenotafio di Juan de Palafox |
Accanto alla cattedrale si riconosce, bianco e rosso con decorazioni in ceramica, l'antico palazzo vescovile, secentesco, che ospita uffici governativi, la Casa de la Cultura e l'ente turistico statale... Ma soprattutto la prima biblioteca pubblica delle Americhe, inaugurata nel 1646. Proprio Juan de Palafox donò la sua inestimabile collezione di volumi e volle che non fosse destinata solo agli uomini di chiesa, ma a tutta la popolazione. Le migliaia di volumi antichi, cui si sono aggiunte nel tempo altre consistenti donazioni, sono conservate in scaffali costruiti su misura all'epoca.
Siamo abbastanza cotti, a questo punto della giornata, ma proseguiamo ancora un poco perchè abbiamo una missione da compiere: recarci alla CAPU, la centrale degli autobus che dista circa 5km dal centro, e acquistare per domani i biglietti per il bus che ci porti a Città del Messico. Abbiamo infatti deciso di evitare ingresso (e uscita, tra qualche giorno) dalla capitale per una serie di ragioni. Anzitutto, recuperare qualche giorno per poter pedalare di più poi, soprattutto in Bassa California. In secondo luogo, per una questione di sicurezza stradale: non ho mai temuto il traffico ma l'idea di dover stare in sella con il costante, concreto rischio di essere tirata sotto non mi alletta, e men che meno il desiderio di vedere dall'interno un ospedale messicano. Da ultimo, la tappa lunga ci porterebbe inevitabilmente o a fermarci in periferia, o a pedalare con il buio. E ormai abbiamo afferrato il concetto: è meglio di no. Quindi domani pomeriggio, dopo aver finito di visitare Puebla, raggiungeremo in bici il terminal de autobuses, ci caricheremo su un bel mezzo di seconda classe, con le bici in stiva, e raggiungeremo il terminal TAPO, il più vicino al centro storico di Città del Messico. Da qui pedaleremo all'ostello (circa 5km).
Già che siamo in cammino verso il vialone dove passano i colectivos per la stazione, visitiamo la Iglesia de la Compania, chiesa gesuita dall'inconfondibile facciata churrigueresca del 1767. Sotto all'altare si troba una tomba che, a quanto si dice, custodisce le spoglie di una principessa asiatica venduta in Messico come schiava e poi liberata, nel XVII secolo. Secondo la leggenda proprio lei avrebbe introdotto nel paese il pittoresco costume della china poblana, composto da scialle, camicetta con arricciature, gonna ricamata e ornamenti in oro e argento. Nel XIX questo abbigliamento contraddistingueva una sorta di "eleganza contadina". China, però, significa anche "domestica" ed è probabile che questo stile traesse ispirazione dai vestiti contadini spagnoli.
Arrivati al vialone che è una sorta di circonvallazione saltiamo su un colectivo che ci porta al CAPU (per la prima volta l'autista cerca di fregarci con il resto, finora abbiamo sempre trovato gente onestissima, ma la figura del cioccolataio della merda la fa lui, perchè me ne accorgo subito). Questo terminal è enorme e pare più un mercato, tanti sono i negozi e le bancarelle. Con estrema facilità compriamo un biglietto della compagnia AU (autobuses unidos, seconda classe, prezzi pop), ci facciamo spiegare bene da quale delle mille porte si acceda alle banchine giuste e se le bici possano salire. Sì. Bene. Ora non resta che tornare in centro, stavolta con un camione (i pullman non turistici) e cenare, perchè stiamo svenendo dalla fame. Ci godiamo delle enchilladas suizas, huevos revueltos, frutta e qualche biscotto, perchè sì, è tutto meritato (sto gestendo la logistica quasi giorno per giorno e, pe quanto il Messico sia molto agevole, da questo punto di vista, non è facile tener d'occhio i percorsi da fare in bici, quelli con i mezzi, lunghi e brevi, le cose da visitare... Insomma, ormai sono un'agenzia di viaggi che opera contemporaneamente su più fronti 24/7). La soddisfazione è grande, comunque. Domani sera dormiremo già a Città del Messico, in un ostello fighissimo con cui ho preso contatti, in super centro. Non vedo l'ora!
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Puebla-Città del Messico
Oggi facciamo un po' i turisti comodi, nei tempi e nelle modalità. Ci alziamo tardi, anche perchè io devo recuperare un po' di ore di sonno perdute per strada. Quando si pedala spengo la luce tardi, per affinare la logistica e scrivere, e ci si alza presto. Sento casa, poltriamo qualche decina di minuti, prima di chiudere le borse e portarle al deposito bagagli, dove torneremo a recuperarle nel primo pomeriggio. Usciamo, ma solo per attraversare la strada e tuffarci in una panetteria e pasticceria da urlo vista ieri. Bon Pane, il cui profumo si spande per interi isolati. E' il paradiso terrestre, il nirvana, il luogo dolce del peccato. Ci sono tutti i tipi di prodotti da forno, dolci e salati, semplici ed elaboratissimi, dalla pagnotta bianca alla torta multipiano decorata con sculture iper-realistiche. Prendiamo un vassoio e ci sbizzarriamo, armati di pinza con cui acchiappiamo dolci con la panna, con la crema, con la frutta... Tutti grossi come neonati. E costa anche pochissimo! Nel locale c'è anche un angolo caffetteria, che completa il trittico delle delizie. I piaceri da topo di città, che goduria.
Dopo esserci caricati a pallettoni di zuccheri, saltiamo fuori pronti a esplorare ancora un poco Puebla e il suo animatissimo centro, dove stamattina sono comparsi i suonatori di organetto a manovvella. Ce ne è uno ad ogni incrocio. Ripassiamo davanti alla maestosa cattedrale e accanto alla Casa de la cultura, con annessa biblioteca palafoxiana, per poi percorrere qualche centinaio di metri in una via specializzata in negozi di oggettistica sacra. Ci sono statue di santi, madonne e crocifissi di rara bruttezza.
La nostra meta è il museo Amparo, magnifica collezione privata esposta in due edifici coloniali collegati tra loro, uno del XVI e l'altro del XVII secolo. Il design della struttura riesce a fondere la bellezza delle abitazioni storiche e la modernità degli spazi museali, con vetro, metallo e luci perfette. Oltretutto docenti, studenti e over entrano gratis, e noi, quindi, nemmeno paghiamo il biglietto di ingresso a questo paese dei balocchi della cultura. La prima sala è dedicata a una temporanea dell'artista Artemio, Sangre; sono state prese opere famose di artisti -principalmente europei, come Caravaggio, Goya...- e ne è stata riportata, su tela bianca, solo la traccia del sangue presente nelle scene raffigurate. Se non si conoscono i quadri originali si perde il senso, ma, avendoli presente, è interessante come progetto.
Il fiore all'occhiello del museo resta, comunque, la collezione di reperti preispanici. Non sono migliaia, ma ben selezionati, di fattura pregevolissima e valore artistico inestimabile. Inoltre l'esposizione mira a sottolineare la continuità delle culture tra passato e presente, anche attraversa la permanenza nel tempo di forme artistiche e rappresentazioni del reale che poco son mutate nei secoli. E' incredibile cogliere questo continuum, ad esempio, nei profili dei volti, nei motivi e nei colori degli ornamenti, nei crani rituali e in quelli che oggi abbondano nel Dia de los muertos.
una linea del tempo che mostra la contemporaneità delle culture nei continenti |
Dopo esserci letteralmente bevuti un sorso alla volta questo nettare di meraviglia, passiamo ai piani superiori, dove ci sono mostre di arte contemporanea. Una sala è dedicata alla coscienza indigena, la consapevolezza di essere depositari delle radici, delle tradizioni, delle fondamenta del paese, e quella di essere da secoli schiavizzati, emarginati, sfruttati e deprivati di ogni diritto. Essere i primi e gli ultimi, questa è la loro condizione. Mi ha colpita quest'opera: una sedia da scolaro, con banchetto e qualche libro a sostenere il tutto, in solitudine, con davanti una grande lavagna che recita lapidaria: "Lii qui Gannalù", che in zapoteco significa: "Tu non sai", ovvero, "Sei ignorante". Il riferimento è ovviamente alla posizione subalterna assunta dalle lingue native, degradate a dialetti, rispetto allo spagnolo, che però si impara a scuola, non è per tutti lingua madre... E la scuola non è diritto, ma privilegio.
Non mancano poi le opere dei collettivi e degli artisti vicini all'EZLN, con i loro manifesti che invitano alla rivoluzione, al cambiamento, all'uguaglianza e al femminismo.
Si prosegue in sale che ospitano temporanee che mettono in luce aspetti più o meno problematici del Messico, dallo sfruttamento dei lavoratori, topi meccanici, alla condizione delle donne, spesso assai difficile, in un paese dove il femminicidio è purtroppo una realtà più che quotidiana, che nemmeno desta troppo scandalo e fa parte di una anormale normalità.
macerie prime, per citare Zero Calcare |
anche noi ci siamo trasformati in pezzi da museo |
Dopo aver trascorso la mattinata al museo, si fa ora di tornare a recuperare le bici, al parcheggio custodito, e i bagagli, in hotel. Per entrambe le procedure sono necessari fogli, foglietti, scontrini, e tutto deve essere timbrato, altrimenti non si muove foglia. Noi abbiamo da pedalare e da prendere un bus e questa burocrazia bizantina mi fa impazzire. Ma implodo, senza denotazioni udibili all'esterno e senza schegge, perchè so che il problema della fretta qui non si pone. Dopo aver recuperato tutti i papiri e tutti i sigilli, come in un episodio di Tomb Raider, riusciamo a metter mano alle bici e... Quella di Gigi ha la ruota davanti a terra. Per fortuna c'è un negozio di ciclismo con officina proprio di fronte al parcheggio, e Gigi si fa cambiare al volo la camera d'aria. Noi ne abbiamo, ma ci metteremmo troppo tempo. Intanto quella che era stata implosione diventa esplosione devastante, e faccio una bella parte sia ai gestori del garage sia ai bucaioli con la puzza sotto al naso dell'hotel. Tanto devo aspettare Gigi e ho tempo da perdere (tale è, non è colpa di nessuno mai). Il tutto deriva dal fatto che, a detta del ciclista, la camera d'aria era intatta e non c'erano forature, semplicemente qualcuno si è divertito a sgonfiare la gomma. Gli auguro che tutta l'aria che ha cavato per gioco gli esca dal bus del gnao nel momento meno opportuno della sua vita, e ciò gli costi insanabile stigma.
Già abbiamo perso del buon tempo, ma siamo ancora in anticipo per raggiungere la stazione CAPU. E meno male! Perchè il navigatore ci fa finire dritti dritti in una strada chiusa al traffico dove si svolge un mercato di quelli ben grandi e ben incasinati. Il tutto su fondo di sabbia e fango, perchè l'asfalto, non si sa come, manca. Tiriamo giù un numero discreto di moccoli, e, tra un baracchino dei tacos e uno dei cocchifreschi, riusciamo a passare senza investire nessuno.
Usciti dalla zona del mercato si fa tutto più semplice, e raggiungiamo il terminal degli autobus per tempo. Grazie alle indicazioni forniteci ieri dalla bigliettaia, ci muoviamo agilmente tra le ennesime bancarelle e ci piazziamo in pole position alla porta 1, dove si accede alle banchine dei bus per la capitale.
Nell'attesa conosciamo due ragazzi, un laureato in chimica e un laureando in medicina, che stanno andando a Città del Messico per un festival di musica elettronica. Sono interessatissimi ai nostri viaggi, vogliono vedere le foto e dicono che anche a loro piace viaggiare ma non sono mai usciti dal Messico. Quando raccontiamo le nostre avventure commentano sospirando "vivendo el sueño!" e simili. Mi seguono sui social e ci salutano, è arrivato il loro pullman.
Tra un venditore di popcorn (palomitas) e uno strillone che promuove i suoi gelati, arriva anche per noi il momento di imbarcarci. Anche stavolta le regole teoriche della policy sui bagagli vengono infrante con un'alzata di spalle, a nostro favore. Le bici vanno nel vano inferiore montante, senza doverle minimamente toccare, e non vengono pesate (in teoria oltre i 25kg di bagaglio si paga un extra). Ma i passeggeri sono pochi e quasi tutti viaggiano solo con uno zainetto, quindi, no hay problema! Che figata, in questo senso il Messico è un paradiso.
Il tragitto in pullman ci porta a oltre 3200m di quota, passando sulle boscose pendici dell'Iztaccihuatl, la terza vetta del paese con i suoi 5220m. Si tratta di un vulcano spento che si erge proprio accanto al più famoso e attivissimo Popo(catepetl), 5452m. Torneremo qui nei prossimi giorni, ma in bici, per "conquistare" il Paso de Cortes e i suoi meravigliosi dintorni.
A un tratto davanti a noi si apre il vasto catino di anime e asfalto che è Città del Messico, con i suoi dintorni. Da qui si riesce ben a immaginare come, quando i conquistadores arrivarono, si trovarono davanti a un sistema di laghi abitato da oltre 300.000 persone, le cui vie principali erano canali navigabili, con alcune strade rialzate sopra all'acqua e giardini pensili con le coltivazioni. Qui, in mezzo ai monti e ai vulcani, c'era una distesa d'acqua, non terra, non roccia.
A 15km dalla stazione di arrivo, la TAPO, il nostro autobus buca, rallenta, si ferma. Scendiamo a bordo strada e risaliamo sul bus successivo, che ci ospita. Per noi questo significa, ovviamente, movimentare alla veloce e nel casino le bici e sei borse, perchè una volta al giorno l'ansietta del carico e scarico non basta! In ciò, io ho fatto male i conti e sto male da due ore per quanto mi scappa la pipì. Credevo ci fosse il bagno sul pullman, come di solito. Invece no! E quindi soffro, ma a livelli che non potete immaginare. L'agonia è durata ore!
Dopo un tempo interminabile, dilatato dall'urgenza, scendiamo, Gigi scarica tutto mentre io mi fiondo in bagno (e anche qui: monetina, non va la macchinetta, poi dentro c'è una fila pazzesca... "La morrrrrte si sconta vivendo" diceva Ungaretti, e si riferiva anche a questo), poi impieghiamo mezz'ora a capire da dove si esca dal terminal. Perchè è un labirinto, un dedalo di corridoi, scale, banchine, altre banchine esterne, altre scale, sottopassaggi e cancelli chiusi.
Alla fine riusciamo a raggiungere la strada e da qui ci buttiamo nei vialoni folli di traffico del centro del distretto federale. Faccio strada a sentimento, perchè il gps fatica a orientarsi tra sopraelevate, svincoli con ottocento corsie e viuzze nascoste tra i palazzoni. Oltre alle auto, ai bus e alle moto, che si muovono in maniera incontrollata, ma piano, perchè l'ingorgo è totale, abbiamo anche l'ostacolo dei mercati che invadono le strade e rendono quasi impossibile il transito. Oltretutto, nelle vie ristrette al limite dalle bancarelle e dai venditori, ci sono ragazzini che giocano a calcio, meccanici che riparano motori e pickup in carico e scarico merci FERMI IN MEZZO agli unici minuscoli varchi. Sta diventando buio, tira un'aria poco da gringos e noi siamo bloccati in questa situazione! Che ansiella.
Anche stavolta, in qualche maniera, sgranando rosari, ne usciamo. Gli ultimi vialoni hanno delle presunte ciclabili, e ne approfittiamo per correre al nostro ostello, il Regina, nell'omonima via pedonale nota per i suoi artisti e per i locali. La struttura è a dir poco fantastica, ogni metro è decorato e pulsa di vita. Ci sono persone da tutto il mondo, ma soprattutto local che vengono qui a cenare, a bere, a ballare in terrazza. C'è musica che non disturba ma ravviva e l'arte permea ogni angolo. Per di più il ragazzo che ci fa il check in dice di essere un ex ciclista professionista, campione nazionale su strada, ed è tutto emozionato e preso bene nel vederci. Dice che vorrebbe pedalare con noi nei prossimi giorni... Magari si va insieme a scalare il Paso de Cortes! Grande Pedro, così si chiama. Questo è lo spirito che ci piace, quello bike friendly.
Dopo aver preso possesso della nostra cameretta con bagno e balconcino, a doccia fatta, approfittiamo del ristorante interno per cenare. Ed è buonissimo pure quello! Con la struttura, a questo giro, abbiamo vinto alla lotteria. Domani andremo alla scoperta del centro e dei dintorni, a piedi, nel cuore della città che già da qui si sente battere forte. Ma forse è il mio, di cuore, che trabocca di gioia.
5/8
Città del Messico
Oggi è il gran giorno, il primo di vera e propria esplorazione della capitale messicana. Faccio una premessa: non sarò esaustiva dal punto di vista storico, perchè non è questa la sede per tracciare un dettagliato profilo del passato antico e recente di una metropoli che ha migliaia di anni di storia, complessa, stratificata, immensa come la sua estensione. Non troverete qui la "guida definitiva per Città del Messico", come titolano certi blogger che a malapena hanno visitato i tre punti più turistici di un paese. Non voglio peccare di hybris, di tracotanza, e so di non sapere niente, socraticamente. E' la prima volta che visito questo luogo che è un cosmo multiforme, e ci sto entrando in punta di piedi, come è costume delle volpi, in una postura che è di ascolto, prima ancora che di discussione e restituzione. Ho letto molto, in questi giorni, in merito al Distretto Federale. Per capire ciò che andrò a descrivere è necessario avere un minimo di contesto storico, che cerco di dare ora qui per punti, in massima sintesi. Mi perdoneranno gli esperti, ma non voglio tediare oltremodo i famosi venticinque lettori.
- Qui un tempo c'era il lago di Texcoco, abitato, lungo le sponde e sulle isole, da comunità native che creavano un mosaico di culture e lingue differenti.
- Intorno al 200 a.C. questi villaggi agricoli si unirono in una sorta di federazione, il più grande dei quali, Cuicuilco, fu distrutto tre secoli dopo da un'eruzione vulcanica.
- A 40km di distanza fiorì la civiltà multietnica di Teotihuacan, grazie ai progressi nelle tecnologie di irrigazione e all'economia fondata sulla coltivazione del mais; questa divenne capitale di un impero immenso, che si estendeva fino al Guatemala odierno, ma nell'VIII secolo, non essendo più in grado di sfamare la sua popolazione, cadde in preda a divisioni interne che portarono alla sua decadenza e all'abbandono.
- il potere risultò poi suddiviso tra diverse città egemoni a livello locale, come Xochicalco e Tula, dove nacque la civiltà dei toltechi (artefici), visti dagli aztechi come venerabili predecessori.
- Nel XIII giunsero gli aztechi, o mexica, che affermavano di venire dalla mitica regione nordoccidentale di Aztlan. Erano nomadi e guerrieri, e si offrirono come mercenari dei tepanecas, popolo stanziato sulle rive del lago, in cambio della possibilità di stanziarsi in zona.
- Nel 1325 gli aztechi raggiunsero un'isola dove videro, secondo la leggenda, un'aquila appollaiata su un cactus che si pappava un serpente. Questo buon presagio fu colto per costruire lì la capitale azteca, Tenochtitlan, dove oggi si trova Città del Messico.
- In breve questa città stato divenne centro di un impero immenso, che occupava l'odierno Messico e non solo. I territori sottomessi pagavano tributi, i commerci erano fiorenti. Tenochtitlan crebbe e divenne ricca e sofisticata, abbellita di templi ed edifici cerimoniali. Era una città sull'acqua, con canali come strade, coltivazioni su giardini pensili e vie rialzate.
- Nel 1519 arrivarono gli spagnoli e trovarono una metropoli abitata da 300.000 persone e una valle con un milione e mezzo di abitanti Di questo milione e mezzo, un secolo dopo, ne restavano 100.000, sterminati da guerra, miseria e soprattutto malattie.
- I conquistadores smantellarono sistematicamente Tenochtitlan pietra a pietra, per ricostruirla da nuovo. Cortes sperava che questa sostituzione gli consentisse di continuare a esigere tributi dai territori vassalli.
- La capitale della Nuova Spagna crebbe e le opere di costruzione proseguirono fino al XVII secolo, ma poi iniziò a sprofondare nel fondo fangoso del lago. La distruzione dei canali aztechi causò continue inondazioni e le violenti piogge del 1629 lasciarono la città sommersa per 5 anni.
- Nel XVIII secolo le cose migliorarono: rete fognaria, raccolta di rifiuti, nuove vie e piazze. Iniziò l'epoca d'oro di Città del Messico.
- Dopo la guerra di indipendenza, sotto la presidenza di Juarez, monasteri e chiese divennero proprietà del governo, furono spartiti, venduti e destinati ad altri usi. Massimiliano I d'Asburgo fece costruire l'attuale Paseo de la reforma. Porfirio Diaz (ininterrottamente al potere dal 1876 al 1911) diede impulso al settore edilizio, guardando a Parigi e ai suoi palazzi, mentre gli abitanti più facoltosi lasciavano il centro per trasferirsi nei nuovi quartieri occidentali.
- Il periodo della Rivoluzione portò guerra, fame e malattie, ma dopo la Grande depressione ci fu un forte impulso all'industrializzazione, che attirò immigrazione e investimenti.
- La crescita esponenziale avvenne negli anni '70, quando masse di poveri dalle zone rurali si trasferirono qui in cerca di lavoro nelle industrie. In pochi anni la popolazione passò da 8.5 a 14.5 milioni di abitanti. Le strutture, fisiche e sociali, non erano sufficienti quindi nacquero i noti problemi di traffico, inquinamento, criminalità.
- Nelle vicende politiche degli ultimi anni non mi addentro.
- Il 19 settembre 2017 un devastante terremoto ha colpito la città.
Questo è il quadro in brevissimo. Ciò detto, in questa capitale si potrebbero trascorrere mesi visitando ogni giorno un nuovo museo, un diverso spazio culturale, un altro parco. Noi abbiamo una manciata di giorni di dedicare alle principali attrazioni, quindi abbiamo dovuto sfrondare quasi tutto e ridurre all'osso i punti di interesse.
Partiamo dall'Hostal Regina, che è strepitoso anche di giorno e ci offre una ricca colazione inclusa nel prezzo.
Poi usciamo in strada, diretti allo zocalo, la piazza centrale. Si trova a pochi minuti a piedi dall'ostello, che è nel centro storico, mosaico di palazzi coloniali, chiese e monumenti, nonchè patrimonio UNESCO. L'atmosfera è vivace ma rilassata, c'è tanta gente già che affolla le strade, tra chi lavora e chi si gode una passeggiata.
Zocalo, il cuore pulsante della città, significa basamento. La piazza prese questo nome dal XIX secolo, quando qui fu iniziato un monumento all'indipendenza mai finito, di cui rimase solo il basamento. Con i suoi 220x240m è una delle piazze più grandi al mondo. Su un lato si trova il teocalli, il centro cerimoniale azteco. Nel 1520 Cortes lo fece smantellare e usò le pietre per lastricare la piazza. Poi divenne sede di mercato, sgomberato per costruire il sopracitato monumento mai compiuto.
Sulla piazza si affacciano la residenza del presidente messicano, il Palacio Nacional, che custodisce alcuni murale di Diego Rivera; uffici amministrativi comunali, la cattedrale e una galleria con gioiellerie e alberghi di lusso. Al centro svetta una bandiera messicana immensa che viene issata e ammainata ogni giorno con cerimonia solenne dai soldati dell'esercito.
Noi troviamo lo zocalo blindato da transenne e sorvegliato da decine di policia. Sta aprendo un gigantesco mercato artigianale, che è la Fiesta de las culturas indigenas. Infatti si vedono famiglie in abiti tradizionali convergere qui da ogni strada e uscita della metro.
Ci dirigiamo, dove aver percorso gli altri lati della piazza, alla Cattedrale metropolitana, monumentale edificio iniziato nel 1553 e rimasto in costruzione per tutto il periodo coloniale, cosa che spiega l'incredibile commistione di stili.
lustrascarpe |
venditori di cose |
suonatore di organetto |
La cattedrale fu costruita sulla sommità delle rovine del templo mayor azteco, con le pietre smantellate da quest'ultimo. Il primo architetto prese a modello la cattedrale di Siviglia, ma ridusse a 5 le 7 navate a causa del terreno poroso. I portali barocchi sono del XVII secolo. Un secolo dopo furono aggiunti gli ordini superiori delle torri, mentre nel 1813 furono aggiunte statue e un orologio.
Entrando si nota subito l'altare del perdono, con il crocifisso del Signore del veleno; narra la leggenda che il Cristo sia diventato nero dopo aver assorbito il veleno somministrato a un sacerdote da un suo nemico. L'osmosi sarebbe avvenuta tramite i piedi, baciati con devozione dall'uomo di chiesa.
Tra i molti capolavori artistici conservati nella cattedrale, spicca l'Altare dei re, collocato dietro l'altare maggiore, un tripudio d'oro settecentesco.
Dalla cattedrale si può accedere direttamente al Sagrario metropolitano, anch'esso del XVIII secolo. In origine doveva custodire i paramenti e gli archivi vescovili, oggi è la chiesa parrocchiale più importante della città. I portali sono un esempio magnifico di stile churrigueresco.
Uscendo, ci troviamo davanti al Palacio Nacional, che ospita gli uffici del presidente e la Tesoreria. Purtroppo è chiuso nei weekend, quindi non possiamo ammirare i murales di Rivera. Qui sorgeva il palazzo cinquecentesco di Montezuma II, raso al suolo pochi anni dopo, nel 1521, da Cortes, che fece costruire un palazzo per sè. Questo fu poi acquistato dalla Corona di Spagna nel 1562 per adibirlo a residenza dei vicerè, funziona che mantenne fino all'indipendenza. Sopra alla porta centrale si trova la Campana de Dolores, che nel 1810 venne fatta suonare nella cittadina di Dolores Hidalgo per annunciare l'inizio della guerra di indipendenza. Ogni anno, nella notte del 15 settembre, il presidente si affaccia al balcone sottostante e grida "Viva México!" per commemorare l'evento.
Tra il palazzo e la cattedrale si apre uno spazio da cui emergono le rovine del teocalli, il centro cerimoniale di Tenochtitlan. O meglio, il poco che ne resta. Fu scoperto per caso nel 1978 quando gli operai di una azienda elettrica, scavando sotto ad edifici coloniali, trovarono un disco di pietra di otto tonnellate raffigurante la dea azteca Coyolxauhqui. Si ritiene che questo tempio sia stato costruito nel luogo in cui gli aztechi videro l'aquila divorare il serpente, ombelico geometrico del loro universo. Gli scavi hanno rivelato diverse fasi di costruzione e rimaneggiamento della struttura, fino a quelle immediatamente precedenti l'arrivo degli spagnoli. Tutte erano accompagnate da abbondante sacrificio di prigionieri di guerra. Sopra al tempio torreggiavano due piramidi di 40m, a rappresentare la dualità: da un lato il dio della guerra Huizilopochtli, maschile, distruttore, legato al cielo e al fuoco, al calore. dall'altro Tlaloc, dio della pioggia, della fertilità, femminile, generatore, legato alla terra e all'acqua. A entrambe le divinità si offrivano sacrifici, ma con metodi diversi, usando coltelli dalla lama in pietra diversa, con doni rituali differenti.
Dopo aver osservato gli scavi dall'alto, scendiamo all'ingresso del museo e del sito. In questi pochi metri ci imbattiamo in artigiane in abiti tradizionali che si recano alla fiera, e nei danzatori aztechi che, al ritmo frenetico di tamburi (huehuetl), nel fumo inebriante del copal, danzano e intonano canti in nahuatl. Rievocano il mitote, frenetica festa preispanica che si svolgeva in epoca di raccolto. L'insieme è un po' kitsch, un po' figata, un po' poracciata. Questi ragazzi in costume, dipinti e addobbati, passano poi con il cestino delle offerte a chiedere la monetina. Non posso giudicare quella che da fuori sembra la (s)vendita di una tradizione sacra. L'insieme, tuttavia, crea un mix incredibile di energia e originalità che mi affascina, soprattutto vedendo queste persone seminude, con perizomi in pelle di serpente, che fanno ciò che si faceva qui mezzo millennio fa, circondati da chiese, palazzi coloniali e una folla eterogenea armata di smartphone. Questa sì è complessità!
Dopo aver ammirato lo spettacolo, riusciamo a vincere l'attrazione magnetica che ci incolla alla piazza e entriamo nel sito del Templo Mayor. Oltre alle rovine, si può visitare il museo del sito. Vado ad illustrare solo alcuni pezzi che mi hanno colpita particolamente.
La torre di teschi, tzompantli. Questi sono scolpiti, ma nel 2017 ne è stata rinvenuta una con crani veri, oltre 650, tra cui quelli di donne e bambini. Forse si tratta della leggendaria Huey tzompantli, citata nei manoscritti spagnoli.
sepolture di dignitari e offerte agli dei. In entrambi i casi si sacrificavano numerosi schiavi e prigionieri |
decorazioni sulla sommità dei templi |
coltelli rituali decorati con occhietti e dentini. Carini, non fosse che servivano a decapitare o estrarre il cuore delle vittime sacrificali |
lame nel naso e in bocca, oltre all'occhietto vispo |
statua di oltre 2m della divinità della morte, in posizione di attacco, con gli artigli sguainati. Dal costato penzola il fegato aperto |
statua a dimensioni naturali del guerriero aquila |
dio della pioggia Tlaloc |
megalite che raffigura la dei della fertilità della terra, madre prolifica dai seni lassi e dal ventre molle, con un filo di sangue che corre dai genitali alla bocca (o viceversa) |
cattedrale sullo sfondo. Davanti, piattaforme cerimoniali dove avveniva la cremazione dei sovrani, e il sacrificio dei loro servi |
Dopo la visita, che mi lascia con l'idea che gli aztechi avessero sviluppato una cultura molto più raffinata di quanto credessi, anche dal punto di vista artistico, usciamo di nuovo in piazza e assistiamo ad altre danze frenetiche, mentre il suono dei tamburi si fonde con quello delle campane della cattedrale.
Intorno, oltre alle bancarelle, ci sono anche personaggi in costumi più o meno convincenti che per 140 pesos eseguono un rituale di purificazione che consiste di: fumigazioni con copale (incenso), tocchi con erbe dell'aiola, strombazzate nelle orecchie con una conchiglia musicale e formule in nahuatl. La cosa incredibile è che tantissimi, e non stranieri ma tutti messicani, si sottopongono al rituale. Oh, magari funziona. Sicuramente non meno delle preghiere levate all'altro per cui brucia l'incenso, dentro alla chiesa. Basta crederci.
Sempre intorno alla cattedrale si trovano anche cartomanti che leggono il futuro nei tarocchi. E anche qui non mancano le persone che pagano per il servizio, perchè l'insicurezza dell'umana specie, così fragile, così consapevole della propria pochezza nel tempo e nello spazio, porta a tirar su campanili, piramidi, e montagne di frottole.
E' ora di pranzo e Gigi si concede un panino al limite dello zocalo, dove inizia la famosa Avenida Madero, pedonale, che percorreremo per intero. Oltre alle folle di famiglie, gruppi di ragazzini, ambulantes, turisti e probabili borseggiatori, qui si affacciano negozi ed edifici i tutti gli stili architettonici possibili e immaginabili da chiese seicentesche a palazzi coloniali.
museo de Estanquillo, della cultura pop, in palazzo neoclassico |
templo de San Francisco, ciò che resta del monastero secentesco costruito sulle rovine dello zoo di Montezuma |
casa de los azulejos, del 1596. Le piastrelle vengono dalla Cina, traspotate sulle naos, i galeoni spagnoli da Manila |
La nostra passeggiata prosegue sull'Alameda Central, aperta dal sontuoso Palacio de Bellas Artes, iniziato nel 1905 per volere di Porfirio Diaz su progetto dell'architetto italiano Boeri, che amava lo stile neoclassico e l'at noveau. I lavori furono interrotti perchè il peso del marmo faceva sprofondare l'edificio e perchè scoppiò la rivoluzione. Ripresi negli anni '30, furono portati a termine con intrusioni di stile art deco. All'interno sono esposte opere di Rivea, Tamayo Orozco e altri grandi artisti messicani.
Mentre ammiriamo l'edificio, in strada esplode il trambusto: un gruppo di poliziotti ha fermato un furgone. Due ragazze scendono e iniziano a urlare contro gli agenti, filmandoli con i telefoni. La folla sui marciapiedi inizia a gridare parteggiando ora per gli uni ora per le altre. L'autista non scende e grida, fa per proseguire ma i poliziotti si piazzano addosso al mezzo: se partisse, farebbe una strage. Dei ragazzini iniziano a correre intorno al furgone, lanciando dentro pacchetti misteriosi. Il traffico sui vialoni si congestiona ulteriormente. In un momento di calma, l'autista fa una retromarcia folle, andando contromano su una strada immensa a quattro corsie stracolma di mezzi e persone. Poi cerca la fuga accelerando in avanti, ma il traffico è tale che rimane intrappolato. Le ragazze e i ragazzini scappano a piedi nelle vie intorno. Gli agenti saltano sul furgone, tirano giù di forza l'autista e intanto arrivano i rinforzi. Scena da film! Qualcosa mi dice che sul quel mezzo c'è giusto un po' di droga.
porta di China Town |
Proseguiamo costeggiando l'immenso parco Alameda Central, realizzato alla fine del XVI secolo per volere dell'allora vicerè e impreziosito, nel XIX secolo, con statue e lampioni a gas. Era il luogo di ritrovo privilegiato dell'elite cittadina, ed è tuttora oasi tranquilla con mercatini e ampi spazi per godersi una passeggiata nel verde. I bimbi approfittano delle fontane anche pe farsi un bagnetto rinfrescante.
coppetta di mais bollito con burro e formaggio, la mia merenda presa a un baracchino per rimettere alla prova il mio sistema immunitario |
anche qui si leggono i tarocchi |
Arriviamo in Plaza Juarez, con i suoi grattacieli, simbolo della riqualificazione del quartiere dopo il terremoto del 1985. Da qui proseguiamo verso Plaza de la Republica.
La troviamo in pieno fermento per una fiera del libro che occupa uno spazio immenso. Gli avventori sono tanti, cosa che mi fa pensare che tanti siano i lettori, che è sempre un buon segno. Seminascosto tra i tendoni ecco il Monumento a la Revolucion, inaugurato nel '38. Ospita le spoglie degli eroi della rivoluzione, tra cui Pancho Villa. Con un ascensore si può salire ad ammirare il panorama dall'alto. Sotto al monumento ci sono dei gruppi improvvisati che imparano passi di danza da maestri altrettanto improvvisati, principalmente tiktoker intenti a filmarsi nella sontuosa cornice.
Viene il momento di prendere un bus urbano per raggiungere il quartiere di Chapultepec (collina delle cavallette). Siccome siamo sprovvisti della tessera per il pullman, obbligatoria per caricare le corse, l'autista ci fa salire a gratis quando gli chiediamo dove si acquisti. Percorriamo l'elegantissimo Paseo de la Reforma e scendiamo davanti all'ultimo nostro punto di interesse di oggi, il Museo nacional de antropologia. Questo è immerso nel parco più grande della città, un tempo residenza estiva dell'elite azteca, poi spagnola (vedasi il castillo che sorge sulla collina) e oggi messicana.
Noi ci "limitiamo" al museo, che è sconfinato e meriterebbe di essere visitato in due o tre giorni. Al pianterreno ci sono le sale dedicate ciascuna a una cultura preispanica. Al piano superiore alle attuali culture indigene che ne derivano. Sono impressionanti le ricostruzioni a grandezza naturale di alcuni templi rinvenuti nei siti di tutto il Messico, oltre a pezzi di incredibile bellezza.
guerriero aquila |
guerriero leopardo |
la famosa Pietra del sole, rinvenuta sotto lo zocalo nel 1790, da cui prende il titolo l'opera da Nobel di Octavio Paz |
alcuni codici perfettamente conservati |
testina olmeca da 20 tonnellate |
Usciamo dal museo sfiniti, ma appagati e soddisfatti della giornata densa. Tutto ciò che di bello potevamo vedere nel tempo a nostra disposizione, lo abbiamo visto, e goduto, e assorbito anche attraverso la lunga passeggiata in questa città dai mille volti. Fuori dal museo altri danzatori aztechi accompagnano il nostro ritorno. Inizia a piovere, forse tutte queste cerimonie hanno risvegliato tlaloc.
monumento a la Independencia |
Rientrati in ostello ci dedichiamo a faccende prosaiche, come il bucato e la logistica dei mezzi per domani. Abbiamo deciso di visitare Teotihuacan in autonomia, senza tour guidati (che han prezzi gonfiati e includono sempre anche degustazioni di mezcal o altri alcolici che non fanno per noi e tentativi di vendita, che sottraggono tempo alla visita delle rovine). So che sui bus diretti al sito archeologico ci sono state rapine a mano armata, ma credo sia una rara eccezione. Spero.
Tra una sessione di scrittura e l'altra ci godiamo una ricca cena, sempre nel ristorante dell'ostello. Questa è la faccia di Gigi quando scopre quanto è grande il piatto di grigliata mista (pollo, verdure, formaggio) servita su pietra rovente che abbiamo ordinato.
Questi invece sono il frutto dello shopping di oggi: ossicini intagliati a forma di cranio di corvo, puma e teschietto. 0.7 euro l'uno, un affarone!
Ecco il secondo amuleto.
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