anello Città del Messico-Teotihuacan
Nel secondo giorno di sosta a Città del Messico abbiamo deciso di lasciare la metropoli per recarci al sito archeologico forse più impressionante dell'intero paese: Teotihuacan. Questo complesso si trova a 50km dalla capitale ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici, davvero molto efficienti e intuitivi da utilizzare, evitando così i tour privati; questi, oltre a essere più onerosi (anche se molto economici per i nostri parametri: 8 ore tutto incluso si aggirano sui 30 euro) sottraggono tempo al sito archeologico in favore di degustazione di alcolici e negozi nei quali fare acquisti. Quindi oggi siamo pronti a imparare a usare la metropolitana di Città del Messico, una ragnatela con 21 linee che si intrecciano ai mezzi di superficie, che corrono a più livelli sulle strade e sopra di esse. Gigi è molto inquieto e teme borseggi, ma questa situazione mi pare più probabile e a Milano. Qui tutto è tranquillo, nonostante le folle che si spostano nei principali snodi, e, pur con le antenne sempre dritte, riusciamo a goderci il tragitto senza ansie.
molte stazioni sono impreziosite da mostre, murales d'autore e pannelli informativi |
i venditori di chicharrones, la pelle fritta del maiale, si preparano ad entrare in scena |
Con tre cambi di linea raggiungiamo il terminal degli autobus settentrionale, da dove partono i bus diretti al sito archeologico di Teotihuacan. In stazione c'è il solito viavai di umanità varia, nel profumo di cibi di ogni genere e nel generalizzato casino colorato messicano. Con l'aiuto di una gentile bigliettaia recuperiamo la nostra taquilla e, cinque minuti dopo, parte l'autobus stipato di local che vanno a messa al Santuario della Virgen de Guadalupe o a visitare las piramides. Oggi è domenica e per loro l'ingresso è gratuito. Il biglietto della metro costa 5 pesos, quello del bus 120 andata e ritorno, l'ingresso al sito e al museo 90. Con 220 pesos (11 euro) si svolta la giornata. Avanza qualcosa per comprarsi un churro dagli ambulanti che, ad ogni fermata, saltano sul bus prima ancora che si fermi e ne scendono poi al volo mentre riparte.
Il viaggio dura circa un'ora. Quando arriviamo, veniamo scaricati in un delirio di bancarelle, mercatini, venditori di qualsiasi genere di alimento. Qui, in particolare, ci sono quelli che offrono manufatti in ossidiana, fischietti che simulano il ruggito del leopardo, archi e frecce giocattolo e fichi d'India già sbucciati in sacchetto, conditi con salsa piccante. La combo peperoncino e frutta è un must, da queste parti. Mango, ananas, melone, papaya, persino i cetrioli tagliati in macedonia sono serviti con salsa o polvere piccante.
Riusciamo a schivare banchi, banchetti e bancarelle e a risalire la fiumana di gente che entra al sito (e poi, per fortuna, un po' si disperde, essendo l'area degli scavi vastissima). Subito ci compare davanti, in tutta la sua maestosa imponenza, la Piramide del Sole.
Questa città, un tempo la più grande del Messico e la capitale di un impero gigantesco, non fu culla di una sola cultura o etnia. Si costituì come una vera e propria metropoli multietnica, interessata da flussi migratori, soprattutto da sud, e costituita da quartieri divisi per provenienza dei loro abitanti (cosa che in seguito portò a tensioni sociali così forti da causare il declino della città). Alcuni archeologi sostengono che i fondatori originari fossero i Toltechi, come dedotto da alcuni scritti aztechi. Ma in nahuatl toltec significa anche "grande maestro artigiano" e, considerata la venerazione che gli aztechi avevano per gli antichi abitanti di Teotihuacan (terra degli dei), grandi nelle conoscenze tecnologiche e nell'esportazione di manufatti in ceramica e ossidiana, è lecito pensare che il riferimento non sia all'etnia. In ogni caso, le prime costruzioni, avvolte nel mistero, risalgono al I secolo a.C., mentre la pianta a griglia della città fu tracciata nel I secolo d.C. La Piramide del sol fu portata a termine nel 150d.C. su un preesistente tempio eretto in una grotta. Gli altri edifici furono costruiti tra 250 e 600 della nostra era, per poi cadere in un lento declino che portò all'abbandono, nel VIII secolo.
Teotihuacan era divisa da due lunghi viali che si intersecavano tra loro all'altezza della Cittadella. Quello in direzione nord-sud è la famosa Calzada de los muertos, che deve il suo nome al fatto che gli aztechi del periodo tardo pensavano che gli imponenti edifici ai suoi lati fossero tombe erette da giganti per ospitare i primi sovrani della città (e gli spagnoli dietro a bersi questa cazz...sciocchezzuola).
Camminare qui prima che la città venisse abbandonata doveva essere uno spettacolo impressionante: bisogna immaginare gli edifici coperti di calce e dipinti a colori vivaci, oltrechè migliaia di persone di diverse culture per le strade (anche se ciò accade pure oggi, ad essere onesti). La città aveva templi ed edifici amministrativi ma soprattutto complessi residenziali, spesso abbelliti da affreschi. Anche dopo la sua caduta i sovrani aztechi venivano qui in pellegrinaggio, poichè credevano che tutti gli dei si fossero sacrificati proprio in questo luogo per avviare il moto del sole che diede inizio al "quinto mondo", quello abitato dagli aztechi. Ancora oggi ode di seguaci della new age vengono da queste parti all'equinozio di primavera, sempre in pellegrinaggio, per assorbire energie mistiche.
puma |
puma + perro |
Raggiungiamo, tra bimbi che lanciano frecce e fanno casino con i fischietti ruggenti (ma voglio vedere se i genitori non si pentono di quegli acquisti, appena rientrati a casa!), raggiungiamo la Piramide de la Luna. E' più piccola di quella del sole, ma ha proporzioni più aggraziate, ed è alta quanto la sua sorella maggiore perchè il terreno è in pendenza. E' stata portata a termine intorno al 300 d.C. Davanti alla piramide c'è la Plaza de la Luna, su cui si affacciano altre 12 piattaforme di templi e porta al centro un altare intorno al quale si eseguivano danze sacre; il 13 era un numero fortemente simbolico perchè alla base del sistema di conteggio dei giorni nel calendario rituale mesoamericano.
Da poco è stato vietato ai visitatore di salire sulle strutture. Tuttavia è stato creato un punto panoramico alternativo, accanto, su un edificio di minor importanza, da cui ammirare l'estensione della Calzada de los muertos.
Da lì si accede anche a un complesso residenziale di rara bellezza, con il palazzo di Quetzalpapalotl (Farfalla quetzal), residenza di un sacerdote di alto rango. Qui sono stati rinvenuti resti di orsi, armadilli e altri animali esotici... Ma non da compagnia! Cucinati. Erano cibo per ricchi, riservato alle elite. Sotto e alle spalle di questo palazzo ce ne sono altri due, quello dei Giaguari e quello delle Conchiglie strombo piumate (giuro... Che ve devo di'), con affreschi e bassorilievi. Qui ho avuto la misura della raffinatezza dell'arte, e non solo sacra, di questa civiltà. Volendo fare un paragone che non si può fare, si deve pensare alle residenze di Pompei.
Dopo aver visto gli affreschi dei giaguari che suonano trombe-conchiglie e invocano il dio della pioggia, torniamo alla Calzada de los muertos. Nel frattempo il sole è diventato cocente, ci sono anziani messicani che capitolano, sedendosi sui gradoni, sotto a minuscoli ombrellini, con coperte e teli in testa e addosso, per proteggersi dal sole, per automummificarsi in un luogo degno. Gli ambulanti vendono bibite fresche di nascosto, offrendo bicchieri di CocaCola sfusa come fossero grammi di coca non cola.
Torniamo alla Piramide del sole, ora un po' meno affollata (i gruppi guidati stanno già lasciando il sito). Con i suoi 222m per lato di base e i 70m di altezza, è la terza piramide al mondo per grandezza, dopo quella di Cheope in Egitto (che però è una tomba, non un tempio) e quella di Cholula, qui vicino. Ai tempi, dal 100 d.C. quando fu costruita, era dipinta di rosso vivo, che ardeva di riflessi fiammeggianti al tramonto. I tre milioni di tonnellate di pietre che la costituiscono sono stati lavorati senza far uso di utensili di metallo, bestie da soma e ruota. Sotto alla piramide si trova una galleria che la collega a una grotta dove si venerava il sole già nei secoli precedenti. Si riteneva che li vita avesse avuto origine proprio da quella cavità.
Imbocchiamo nuovamente la Calzada del los muertos per proseguire nel sito, stavolta verso sud. In diversi punti i visitatori local costruiscono piccoli cairn, torri di sassi impilate. Ho già notato nei monticchi ordinati di frutta dei mercati questa irrisolta tendenza a innalzare piramidi. Ne facciamo uno anche noi, non sia mai che qualche divinità arcana punisca una mancanza di rispetto!
I livelli dello sconfinato viale sono collegati da gradini e da tunnel, che servivano probabilmente per lo scolo delle acque. I bambini usano fare una prova di coraggio e passare negli stretti cunicoli. Posso esimermi? OVVIAMENTE NO. Rischio di rimanere incastrata? Ovviamente sì.
Cammina e cammina, raggiungiamo un bel complesso residenziale con teste di giaguaro serpente e tracce di affreschi, oltre a camere sotterranee che rivelano le diverse fasi di costruzione e rimaneggiamento degli edifici.
questa sono io pronta a intonare un canto in nahuatl, con la felpa come mantello, perchè mi sono resa conto di essere terribilmente ustionata il collo e la testa |
Dopo una breve pausa acqua-cibo-pipì (Gigi sta per stramazzare al suolo), raggiungiamo la Ciudadela, un vasto complesso a pianta quadrata, forse residenza del sovrano e centro amministrativo della città. Quattro mura massicce racchiudono uno spazio aperto, circondato da 15 templi e la piramide di Quatzalcoatl. Alcuni rituali prevedevano che la piazza, simbolo del mondo dei vivi, venisse allagata, mentre i templi rappresentavano le montagne.
Nei dintorni dell'area sono stati trovati 137 scheletri provenienti da tutto il Messico, prigionieri o schiavi usati come vittime sacrificali. Sotto alla ciudadela core una galleria sotterranea con un affresco che raffigura il mondo dei morti, il cielo stellato in pirite e i laghi in mercurio, oltre a oggetti rituali (occhi di cristallo, sculture di giaguari e doriti a forma di denti di coccodrillo)Il pezzo forte, qui, è però il tempio di Quetzalcoatl. I quattro gradoni (di sette) rimasti sono meravigliosamente decorati con bassorilievi a forma di testa di serpente piumati (antenati dell'azteco e successivo Quetzalcoatl) e serpente di fuoco, che accompagnava il sole nel suo viaggio quotidiano attraverso il cielo. Le sculture erano impreziosite da pietre preziose e ossidiana, il tempio era dipinto di azzurro e decorato con scene di guerra o creazione del mondo.
Concludiamo la visita con il museo del sito, che espone alcuni oggetti ritrovati qui, una ricostruzione in miniatura dell'immensa metropoli che fu e alcuni affreschi originali. All'esterno c'è un orto botanico.
Dopo un ultimo saluto alla Piramide del sole, che cambia volto con il mutare della luce, ci mettiamo in coda per prendere il pullman che ci riporti a Città del Messico. C'è un addetto alla fila, che è eterogenea quanto basta, dalla coppietta con dreadlocks e dilatatori, ai venditori di platano fritto e chicharrones che han finito il turno, al perro cansado.
Torniamo nella capitale sotto un cielo cupo, accolti da una copia della Lupita. Riprendiamo la metro (che ha i simboli delle fermate, oltrechè i nomi, perchè non è così scontato che tutti sappiano leggere) e andiamo a informarci sui trasporti per l'avventura di domani. Scaleremo il Paso de Cortés!
qualcosa mi dice che c'è una festa gay-goth |
Stanchissimi, bruciati dal sole e affamati torniamo in albergo, dove ci attende una cena aggratis offerta dallo staff per far chiacchierare (e bere) gli ospiti, tutto nel rooftop con dj set e luci soffuse. Cosa si vuole di più?
7/8
Anello Città del Messico-Paso de Cortés (3690m)
62km
"Nella mitologia azteca, Popocatépetl era un guerriero che amava Iztaccíhuatl. Il padre di Iztaccíhuatl lo mandò in guerra, ad Oaxaca, promettendogli sua figlia in sposa al suo ritorno (cosa che pareva improbabile ndr.). A Iztaccíhuatl venne detto che il suo amore era stato ucciso e lei morì dal dolore. Quando Popocatépetl ritornò e seppe di averla perduta, morì di dolore anche lui. Gli dei li coprirono di neve e li trasformarono in montagne. La montagna Iztaccihuatl venne chiamata "La donna addormentata" perché ha le sembianze di una giovane sdraiata sulla schiena. Lui divenne il vulcano Popocatépetl, che faceva piovere fuoco sulla Terra con furia per la rabbia di aver perduto la propria amata." (da Wikipedia)
Scalare il Popo è un'idea che mi frulla in testa da quando ho iniziato a preparare la traccia di questo viaggio. Non solo è la seconda vetta del paese, dopo il Pico Orizaba, ma è anche un vulcano attivo che non smette mai di far tremare cieli e terra, con gran preoccupazione di chi ci vive vicino (anche perchè gli episodi catastrofici, nel corso della storia, non sono mancati. La sua attività è costantemente monitorata perchè un'eruzione metterebbe a repentaglio la vita di 26 milioni di persone).
Quando poi ho scoperto che esiste una strada che porta ad un punto panoramico proprio in mezzo tra Popo e Itza, vulcano gemello ma spento, a 3700m di quota, ho capito che quello sarebbe stato il nostro balcone privilegiato sulle vette innevate e fumanti. Se poi ci si mette pure che quel luogo è il cosiddetto Passo di Cortés, ovvero il punto da cui il conquistador spagnolo passò nel 1519 con i suoi uomini per entrare nella Valle del Messico e conquistare Tenochtitlan... Non manca niente! Storia, natura, una sana dose di fatica, bellezza in ogni angolo.
Il passo è confine tra tre stati: Messico, Puebla e Morelos. Dal versante orientale la strada non è asfaltata e risulta quasi impercorribile in bici, se non in MTB e scarichi. Dal lato occidentale, invece, la strada è asfaltata e si arrampica a curve e tornanti nella riserva naturale che protegge fauna e flora locali. Quindi, per semplicità logistica, ho deciso di organizzare così l'ascesa: una volta a Città del Messico prendere un mezzo che porti noi e le bici (ma non i bagagli, lasciati in ostello) ad Amecameca, cittadina da cui inizia la salita al passo che sta a 40km dalla capitale. Una volta lì, pedalare i 30km fino in cima, scendere come i pazzi senza consumare troppo le pastiglie dei freni, riprendere il bus e tornare a Città del Messico. Facile, no?
Pedro, l'host ex campione nazionale di ciclismo su strada, voleva venire con noi ma non può prendersi tutta la giornata di ferie. Ergo non ci dà il passaggio ventilato, e ci arrangiamo secondo il nostro piano originario. Dopo colazione raggiungiamo la stazione TAPO, e pedalare quei 4km in centro è sempre un'esperienza da brivido. Stavolta finiamo anche in un vialone dove le prostitute attendono i clienti sul marciapiede, ciascuna sotto al suo ombrellino parasole. E' l'inizio del famigerato quartiere Tepito, uno dei più pericolosi, almeno di fama. Poi infiliamo i soliti mercati malditi, ma alla fine eccoci in stazione. Facciamo i biglietti e, qualche minuto dopo, l'autobus della Volcanes (giustamente) è lì. Come sempre caricare le bici è un carnevale, ma, come sempre, riusciamo nell'impresa grazie anche alla forza bruta di Gigi, che carica tutti nel bagaglio posteriore senza nemmeno smontare una virgola.
Pronti, via. Il viaggio dura un'ora perchè il traffico, fino alla periferia della capitale, è allucinante. Ma noi non abbiamo fretta, è come una gita domenicale di quelle in cui, a casa, di decide di andare a scalare qualche passo alpino. Solo che qui si va a scalare un vulcano attivo!
Una volta giunti ad Amecameca dobbiamo litigare con l'autista, che non ci lascia il tempo di scaricare le bici e riparte con noi dentro al bagagliaio fino all'ombelico. Ma, a parte questo dettaglio che rischiava di farci finire in due all'ospedale, siamo gasati e pronti a partire.
Amecameca è una cittadina di fondazione preispanica, incasinata il giusto, rurale abbastanza, stracolma di cani randagi non troppo aggressivi. Una volta fuori dall'abitato la strada inizia a salire, prima tra campi di mais sconfinati, poi sui fianchi delle montagne, verdissimi, profumatissimi di muschio e resina, coperti di boschi fitti.
davanti a noi la sagoma del Popo |
Leggende locali narrano che queste foreste siano abitate da creature misteriose, i Cuauhtepoztles, che han corpo di bambino e testa mostruosa di anziano con denti affilati. Sono protettori degli alberi e degli animali, dell'acqua e del fuoco dei vulcani, e si nascondono tra rocce e tronchi per manifestarsi solo a chi si avventura nel folto del bosco. Contadini e taglialegna assicurano di averli incontrati, scambiandoli inizialmente per ragazzini, per poi accorgersi delle fattezze orrende. Secondo il mito preispanico, sono bambini morti che non hanno attraversato il Mictlàn: le loro anime sono ancora tra i vivi, ma i corpi non crescono con il passare degli anni. Loro vivono già nel tempo dell'eternità. Alcuni sono aggressivi e pericolosi, altri giocherelloni. Noi, per evitare qualsiasi incontro di fantasmi di bambini con la testa da vegiasso, tiriamo dritti.
ruta volcanes |
Nella prima metà della salita si incontrano spesso capanne e strutture in legno, quasi tutte abbandonate, alcune, poche, sono comedor che offrono zuppe e bevande ai passanti; se segnalano per il filo di fumo che esce dai camini delle stufe a legna o carbone, che va a mescolarsi alle nubi basse che circondano le pendici dei monti, dando al bosco un'aria spettrale.
Per fortuna, superati i 3000m di quota, la nebbia si dirada e il sole torna a illuminare queste alture di incredibile bellezza, mentre davanti a noi si vede sua maestà il Popo, che ogni tanto ruggisce, ogni tanto emette uno sbuffo chiaro, dall'alto dei suoi 5426m. Le pendici brulle sono circondate da vapore e null'altro: è vietato scalarlo, dopo alcuni incidenti mortali che han visto protagonisti incauti alpinisti inceneriti. Per altro, prima di salire qui, ho controllato il bollettino che viene pubblicato ogni mattina sul sito del governo. Il semaforo è giallo, allerta media: verde non è mai, perchè l'attività non manca, ma non è rosso.
A me, senza borse, pare di volare, anche se l'aria si fa più sottile. Nulla a che vedere con i 5000m del Perù, ma la differenza si sente, sotto sforzo. Gigi, invece, è partito a freddo e soffre, ma non molla. Proseguiamo spediti, desiderosi di raggiungere il passo.
Ci compare davanti anche la vetta dell'Itzaccihuatl, 5215m. Se Popocatepetl significa montagna che fuma, Itza significa donna bianca, perchè la cima brulla e innevata pare il fianco di una ragazza coricata. E' emozionante trovarsi a pedalare in mezzo a uno spettacolo così. Le immagini raccolte per via, a fiato corto, con il cuore che pompa sangue alle gambe, rimangono impresse in modo indelebile sulla pelle e sotto.
In un soffio raggiungiamo il passo. Fin troppo presto, forse. Il cartello che ne porta il nome è completamente ricoperto di adesivi di ciclisti, motociclisti e gruppi sportivi messicani e non. Alle sue spalle si trova un monumento che ricorda il passaggio di Cortés, mentre ai lati si possono ammirare, ora da vicino, le vette dei due vulcani. Dal lato del Popo la via è chiusa. Verso l'Itza, invece, ci si può spingere su sentieri e pareti da arrampicare fino alla cima.
Mentre scattiamo le nostre millemila foto celebrative e ci godiamo il panorama mozzafiato, veniamo raggiunti da un omino cotto dal sole, sdentato e vestito di cenci di lana, che porta un cestino di vimini colmo di merendine, cioccolato, e dolcetti vari. Lui sì che ha capito la legge della domanda e dell'offerta! Gli compriamo un po' di snack (che lui si fa pagare profumatamente, ma capirai, le avrà portate su a dorso d'asino), poi mi chiede che ore siano. Capita spesso, qui. Non tutti hanno l'orologio, e non tutti hanno uno smartphone.
Viene il momento di scendere, ma prima dobbiamo coprirci perchè l'aria, qui, a 3700m, è ben fresca. Poi ci tuffiamo di testa verso valle, ed essendo il fondo in buone condizioni, è una goduria di velocità e vento in faccia. Ora che la foschia si è diradata un poco, anche a quote più basse si colgono scorci meravigliosi.
Torniamo ad Amecameca, praticamente inseguendo il bus che ci passa davanti e caricandoci al volo. Sbarchiamo a Città del Messico abbastanza presto da passare in una agenzia di Aeromexico e chiedere lumi riguardo all'acquisto del trasporto in bici in aereo, per il ritorno, onde evitare i tristi spettacoli dell'andata. Nessuno sa nulla e la risposta è sempre: fate in aeroporto il giorno della partenza. Eh vabe', grazie alla conchiglia strombo emplumada papalotla! Per fortuna Gigi ha i suoi contatti e forse, anche stavolta, ce la caviamo solo con un po' di ansietta.
Ma ve l'ho detto che ieri a Teotihuacan ho trovato la punta di freccia di ossidiana che desideravo da sempre?
Ceniamo in ostello e anche stasera ci viene offerto un bel piatto di pizza messicana, che noi accompagniamo con zuppa di mais e orzata deliziose. Durante la serata facciamo anche conoscenza di altri ospiti: un ragazzo di Zurigo, docente di musica e laureando in antropologia, nonchè amante della città di Milano, che fa il filo a una ragazza di Amburgo, che sembra David Bowie. Due russi, una giovanissima dottoressa cinese, una ragazza peruviana, che non parla inglese e quindi passa la sera a farmi vedere Tiktok del suo negozio di jeans e delle feste del suo pueblo andino (a me interessano!) e un mio coetaneo norvegese che accompagna la mamma che si è appena iscritta all'università qui a Città del Messico. Mi dice: "E' nell'età in cui si ricominciano a fare le cose pazze... Sono qui a vedere che non siano TROPPO pazze!". Chiacchieriamo del più e del meno, prima di darci la buonanotte in molte lingue e augurarci buona strada. C'è un bel clima, qui al Regina Hostel.
8/8
Città del Messico - Santiago de Querétaro
Lasciare Città del Messico ora che cominciamo ad orientarci e il frastuono iniziale si è trasformato una meravigliosa polifonia, lascia un fondo di tristezza. So che qui potrei stare per settimane, per mesi, e trovare ogni giorno qualcosa di incredibile. Conoscere persone da tutto il mondo, visitare musei e mostre, semplicemente osservare la folla nelle piazze e nei parchi. Andarsene dà l'idea di doversi alzare da tavola con il piatto ancora pieno e la fame in pancia. Ma la strada chiama, e oggi abbiamo un bus che, dalla stazione nord, ci porterà a Santiago de Querétaro, capitale dell'omonimo stato. Ho acquistato il biglietto online, ormai sono una pro! Partiremo alle 15, in modo da avere ancora una mattina libera. C'è un quartiere, a 10km dal centro, che voglio assolutamente esplorare: Coyoacan (luogo del coyote). Qui Cortés stabilì il suo quartier generale dopo la caduta di Tenochtitlan; da tempo la cittadina è stata assorbita nel tessuto urbano della capitale, ma ha conservato il suo spirito più tranquillo, pervaso da arte e controcultura in ogni forma. Ci sono due cose qui che, soprattutto, mi interessano: la famosa Casa Azul, oggi Museo Frida Khalo, e la casa dove visse Trotsky in esilio, prima di essere ammazzato con una picconata in testa da un uomo di Stalin.
Salutiamo il Regina, dove lasciamo, ancora per qualche ora, bici e bagagli. E' proprio un bel posto, non c'è che dire!
Saliamo sulla metro, oggi piena di lavoratori in camicia e signore eleganti. Ormai siamo dei professionisti di questo spettacolare mezzo che, con 5 pesitos di biglietto, ti porta ovunque e in modo facilissimo.
Una volta a destinazione passeggiamo nelle tranquille vie del quartiere del coyote, tra palazzoni, sempre più rari, e case dai colori vivaci. La prima destinazione è la casa museo di Trotsky, ora Istituto del diritto d'asilo, che è stata lasciata nelle stesse condizioni in cui si trovava quando Mercader, l'agente di Stalin, lo colpì a morte con una piccozza.
Qui si trovano tantissimi documenti fotografici di grande interesse, manoscritti, lettere, filmati e tutti gli oggetti e gli ambienti che, dal 1937, costituivano il nuovo mondo del leader rivoluzionario. Inizialmente visse con Khalo e Rivera, ma, dopo alcuni dissapori (diciamo così), si trasferì con la moglie qui. Nella camera da letto ci sono i segni dei proiettili di un attentato. Nel cortile la tomba che ospita le ceneri di Trotsky, con bandiera rossa e falce e martello incisi sulla lapide. Al di là della propria ideologia politica e delle proprie convinzioni e letture, è innegabile che queste persone abbiano scritto la storia del Novecento. Vengono i brividi a pensare quanto peso abbiano avuto le idee, le parole, le fedi. Hanno mosso popoli, dato vita a rivoluzioni, cambiato il corso degli eventi umani.
La seconda tappa è, come dicevo, la Casa Azul. Sono emozionata all'idea di metter piede in questo luogo che vive nel mio immaginario da quando ho visitato una bellissima mostra sulla Khalo a Milano, qualche anno fa. Ricordo che alla fine, dopo aver ripercorso tutta la vita dell'artista, tra famiglia, sofferenze fisiche e psicologiche, travagliate vicende artistiche e amorose, arte e colori, era proiettato un filmat originale, a colori, che immortalava momenti di tenerezza tra Frida e Diego. Lui sempre grosso e goffo, lei fiera, grandiosa, con fiori rossi tra i capelli e uno sguardo affilato. L'elefante e la colomba, come disse la madre di lei al matrimonio, perchè considerava Rivera troppo vecchio (aveva 21 anni in più), grasso, ateo e comunista per la giovane figlia di un ebreo ungherese e di una donna dell'Oaxaca.
Quando arriviamo al museo scopro con ORRORE che è diventato obbligatorio acquistare i biglietti online, cosa che non è scritta nè nella guida nè chiaramente sul sito del museo. Provo a comprare un biglietto al volo ma tutti gli ingressi sono prenotati per giorni e giorni. Mi prende lo sconforto. E ora? Mentre valuto con Gigi il da farsi, sento che una signora approccia i passanti provando a vendere dei biglietti. Sulle prime penso si tratti di qualche truffa, ma poi decido di avvicinarla e chiedere. La signora parla uno spagnolo stentato, quindi le chiedo "Do you speak english?" - "Oh God yes, thank you!". E' americana, di Los Angeles, e ora sta visitando Città del Messico facendo base a casa di una amica che vive qui. Dovevano raggiungerla da Londra altre comari, ma hanno perso il volo, quindi anche il biglietto risulta inutile. Uno lo ha già venduto, uno le resta... Non è che lo voglio io? E' per un accesso alle 11.30. Guardo l'ora, sono le 11.25. Andata! Se non è una botta di culo questa... Gigi mi lascia l'onore di accedere alla Casa Azul. Lui farà un giro nella piazza centrale del quartiere. Pago in contanti la sciura, che si chiama Joe, ed insieme entriamo, come se nulla fosse.
Non sto ora a dilungarmi sulla figura di Frida Khalo, sulla sua vita complessa e spesso tragica, sulla sua arte. Tanto si è detto e tanto si dirà. Qui nella Casa Azul non ci sono molte opere dell'artista. C'è però la sua esistenza materiale, fatta di dolore, di colore, di parole, dipinti, farmaci, corsetti, vestiti colmi di simboli, oggetti che lei vedeva tutti i giorni, che le piaceva avere intorno, che ispiravano i suoi quadri. Visitare la Casa Azul, se si conosce già qualcosa della Khalo, è da pelle d'oca ad ogni stanza.
il famoso letto con lo specchio |
C'è un fenomeno tremendo cui ho assistito, che probabilmente si ascrive alla "fridolatria": il museo pullula di ragazze e donne TRAVESTITE da Frida Khalo, che si fanno ritrarre in pose che non commento in tutti gli angoli della Casa Azul. C'è bisogno di proferir verbo a riguardo? Immagino di no. Non vorrei mi si accusasse di essere giudicante. Ebbene sì, lo sono.
L'altro aspetto che mi colpisce ancora una volta della vita della Khalo è il suo rapporto con Rivera. In sintesi, mi piace pensare che persone così complesse, grandiose, problematiche e creative, per forza di cose non possano rientrare nello schema della coppia monogamica chiusa. Eppure, nonostante le mille altre storie, i tradimenti, le ferite inferte reciprocamente, qualcosa di fortissimo resta, e sopravvive, e tiene nonostante tutto. Perchè, forse, se è amore, r-esiste di per sè, qualsiasi cosa accada.
Quando esco dal museo è tardissimo. Qui comincia una corsa febbrile per tornare in ostello, prima a piedi, verso la metro, poi giù nei tunnel sotterranei, dove i treni sono in ritardo, sulle banchine c'è una bolgia infernale e tutto va a rilento. Poi in ostello, per portare le bici giù lungo tre piani scale strette, e montare le borse. Ancora, pedalare i 7km che ci separano dalla stazione dei bus in un traffico indescrivibile, bloccato, caotico quando si muove, dove precedenze, semafori, attraversamenti e indicazioni dei vigili non sono mai rispettati, mai, e vige solo la regola del cercare di non lasciare troppi cadaveri a terra.
mariachi! |
In qualche modo, evitando miracolosamente incidenti, arriviamo in stazione per tempo e, ancora una volta, nel caos più totale di banchine, partenze, annunci e controlli, riusciamo a salire sul bus e a caricare le bici senza nè smontarle nè pagare un extra. Faccio notare anche che nella borsa portata come bagaglio a mano ho un coltellaccio e lo spray al peperoncino, entrambe le cose viste sicuramente ai controlli, entrambe le cose lasciate passare senza problemi.
Il viaggio dura tre ore, che sfruttiamo per riposare e affinare le tappe dei prossimi giorni. Entriamo nello stato di Queretaro che il sole è ancora alto. Nel frattempo prenoto un ostello in centro, in modo da non tentare ulteriormente la sorte, che oggi è stata più che propizia.
Di Queretaro, che ci si presenta con il suo skyline baciato dal sole del tardo pomeriggio, diremo qualcosa di più domani.
Oggi ci limitiamo a goderne il centro, ampio e tranquillo, con grandi corsie riservate a pullman e bici dove si pedala in sicurezza nella golden hour che rende tutto poetico e dolcissimo di luce miele.
Dopo il check in in quello che ci si presenta come un ostello religioso (no alcol, no fumo, no droghe, no uscite dopo le 23, no risate o manifestazioni di gioia moleste, sì Vangelo in camera), usciamo a cena in un ristorante che fa soprattutto carne alla griglia, tanto che, entrando, c'è una testa di toro mozzata e sanguinolenta accanto alla parrilla. L'interno è decorato con animali imbalsamati di ogni genere (compreso un puma... Ma è legale?) e selle e ferri di cavallo. Noi prendiamo le uniche portate non di carne, io una sopa azteca e Gigi un queso volcan, che è un kilo di formaggio fuso con salsiccia. Mentre ceniamo, scoppia un temporale pazzesco, con lampi che squarciano il cielo e tuoni che fan tremare i vetri. Piove a secchiate, tutto si allaga, va persino via la corrente. Anche ora qui in ostello manca. Per fortuna andando a nord si va verso la zona dei deserti!
Domani gireremo brevemente Queretaro per poi dirigerci a ovest, verso lo stato di Guanjuato, precisamente a Salamanca. Puntiamo a Guadalajara, in Jalisco, e per arrivarci impiegheremo 4 giorni, sfiorando anche il Michoacan. Siamo in zone fortemente interessate dal narcotraffico, dove la Farnesina segnala scontri tra bande criminali e tra queste e le forze dell'ordine. Ma tra questi monti, che digradano pian piano verso la costa, si nascondono perle di rara bellezza. Basta stare attenti a chi si sfancula mentre si pedala!
Senza parole...come le barzellette mute. Queste foto e questi racconti dicono tutto. Che magnificenza.
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