sabato 19 agosto 2023

56-58. Si torna sulla costa! Nayarit e Sinaloa tra giungla e distese di mango, discriminazioni e uragani














16/8
Santa Isabel-Tepic
56km

Eureka! Sono riuscita a raffinare le tappe così bene da apportare un taglione di quasi 50km, una mezza tappa, senza nulla togliere al percorso, alle città da esplorare e alle regioni da vedere. Semplicemente percorrendo altre strade, meno tortuose e "devianti". Inizialmente avevo pensato di aggirare Tepic e allungare tra le ultime colline per evitare un paio di punti in cui la strada "libre" che giunge a Mazatlan, la 15, converge nella sua parallela "cuota", la 15D, che è una autostrada a pagamento, con caselli e barriere. Le due strade corrono separate ma qui, per brevi tratti, si uniscono, immagino per questioni di spazio, che manca: tra costa paludosa e sierra si fa quel che si può. Ora noi, per evitare questi tratti avevamo previsto delle ampie perifrasi MA mi è sorto un dubbio, in questi giorni: perchè i cartelli della 15 libre, su cui stiamo pedalando, già indicano Mazatlan, con tanto di kilometraggio mancante? Se la strada "finisse" per immettersi in un'altra, diversa per nome e natura, queste indicazioni non avrebbero senso. Allora ho iniziato a cercare informazioni e, soprattutto, resoconti di cicloviaggiatori generosi che han condiviso la loro esperienza. Ho pensato che qui, sulle strade costiere, defluiscono tutti i gringos che scendono dalla Bassa California in direzione opposta alla nostra; e infatti ho trovato numerosi blog di biketravellers a stars and stripes che raccontano la loro avventura proprio in queste zone. E, nemmeno a dirlo, i più specificano di aver percorso interamente l'autostrada da Mazatlan a Tepic, per giorni, e insistono su come in teoria sia vietata ma, in pratica, polizia e vigilanza non abbia nulla da dire e ai caselli ci sia un passaggio pedonale. Anzi, molti affermano che l'autopista sia più sicura per i ciclisti perchè ha un bordo fuori corsia più ampio. Bingo, insomma! Noi non staremo sulla "cuota", che taglia fuori i paesi e risulta noiosa, ma almeno sappiamo che, là dove la libre si interseca, non avremo problemi con la stradale. Ergo, possiamo evitare inutili deviazioni e peripli, possiamo evitare di finire a passar la notte in campeggi di dubbia esistenza in mezzo al nulla e, con il tempo risparmiato, riusciamo a ritagliare una tappa brevis e visitare Tepic, la capitale del Nayarit.

E' con questo carico di ottimismo che partiamo stamattina, con calma, sapendo di dover pedalare meno di 60km e di non dover penare per trovare un alloggio. Ne ho individuati un paio in centro, ma ce ne sono a decine in città.
Lasciamo il nostro hotel-farmacia-minisuper sotto lo sguardo incuriosito e vagamente divertito della padrona, che, sulla sedia in veranda, in compagnia dei nipoti, non ci toglie gli occhi di dosso. Ci chiede cosa facciamo quando piove, forse perchè ha letto che sta montando un uragano tropicale che potrebbe abbattersi sulla costa del Pacifico proprio dove ci stiamo dirigendo noi? O forse è una suggestione. "La prendiamo e ci laviamo un po'!". Sorride. Già ieri ci ha presi in giro dicendo che è delusa: pensava stessimo viaggiando dal polo sud al polo nord, invece solo da Cancun a La Paz... Simpaticona, lei!

Ci mettiamo in sella e fa veramente caldo. Un caldo umido di quelli che, per l'altura, avevamo dimenticato. I primi 20km sono di salita. Dobbiamo superare quello che credo sia l'ultimo lembo di Sierra Madre, con 600m di dislivello tra vulcani spenti dalla cima piatta e colline rotondissime. Torniamo quasi a 1400m di quota, in un paesaggio spettacolare che richiama un passato antichissimo, ere ed ere geologiche addietro, quando le libellule eran grandi come tacchini e la terra ribolliva di magma, e le prime felci srotolavano i loro riccioli come dita al sole.   








L'idillio preistorico è interrotto solo, a tratti, dal passaggio di camion rumorosissimi, vecchi, arrugginiti e puzzolenti, che esalano fumi neri come i treni a carbone che Napoleone, in Egitto, alimentava a mummie. Purtroppo la strada è stretta e spesso questi mostri sferraglianti e moribondi devono mettersi in coda dietro di noi e attendere per sorpassarci, cosa che sottolinea la gentilezza dei guidatori ma che ci mette un'ansia terribile e ci porta a cercare, invano, di accelerare il passo. Ma la pendenza ci riporta alla realtà, e accettiamo di salire pianissimo, inseguiti a giro stretto dai bestioni sferraglianti.





Come sempre, grazie alle leggi del karma e della fisica, ad ogni salita corrisponde discesa. E non manca, dopo il passo, in un brivido di verdi e azzurri, nel profumo di resina che esala dai rari pini che esalano linfa al sole. In un batter di ciglia torniamo al piano, che significa a 900m di quota, come il punto da cui siam partiti. A livello del mare torneremo domani, per rimanerci fino alla fine del viaggio. Queste, dunque, erano le ultime salite? Sembra strano affermarlo così, Dopo settimane e settimane a fare i conti con pendenze e altura, siamo tornati alle terre basse, come nei primi giorni, all'inizio dell'avventura, nella penisola yucateca. Dopo 27.000m di dislivello positivo! Cosa sono, poi, rispetto ai 38.000 dello scorso anno, in Perù?




Una volta superate le alture si apre la valle di Tepic, punteggiata di rari paesini e distese di mais spettinate dal vento. Il sole azzanna la pelle, e l'acqua nelle borracce è finita. Facciamo una breve sosta e ne approfittiamo per contattare l'hotel dove vorremmo alloggiare.
Ripartiamo e ben presto si apre intorno a noi la periferia di Tepic, che non è particolarmente degradata o squallida, anzi. Ho letto sulla guida che qui vive per lo più la classe media, e i grandi vialoni con le palme e i palazzi lo dimostrano, per quanto non manchi qualche zona più popolare.





Il centro è trafficato, ma non ai livelli delle altre grandi città finora attraversate, pur contando quasi 400.000 abitanti. Il luogo è abitato fin dal 600 a.C.: prima da popolazioni dedite ad agricoltura e pesca, poi da nativi di cinque etnie sottomessi al regno della vicina Xalisco. Il primo spagnolo a giungere qui fu il nipote di Hernan Cortés, Francisco, nel 1526, cui i nativi si avvicinarono pacificamente. La conquista vera e propria, però, fu attuata da Nuno de Guzman, l'arcinemico di Cortés, e i due si fecero le scarpe a vicenda per lungo tempo, nel tentativo di accaparrarsi il dominio su questa terra fertile. Inoltre il vicino porto di San Blas crebbe di importanza per le spedizioni costiere e anche d'alto mare, diventando crocevia per i commerci con le Filippine e l'Oriente già a metà Settecento. Durante la guerra di Indipendenza, Tepic si schierò con i realisti di Spagna, poi, nel corso dell'Ottocento, la costa occidentale messicana perse importanza economica e commerciale. Arrivò la rivoluzione, poi il progresso novecentesco. 




Arriviamo anche noi, all'hotel designato e contattato.
Che non è un hotel. E' una casa privata con camere in affitto all black. Dalla strada non traspare nulla: non una insegna, non un cartello, nemmeno piccolo sulla porta. Una normale casa, con la porta chiusa. Senza campanello. Iniziamo a chiamare al numero indicato sul sito e nessuno risponde. La signora della porta accanto, che ha un negozio di sartoria, si interessa alla nostra situazione e decide di aiutarci. Fa lei un paio di chiamate e, miracolosamente, compare una donna... Che però, dopo aver controllato, si dice desolata di non aver camere disponibili. Oh no! Ma può chiedere a suo cognato, che abita proprio accanto, a un paio di metri di distanza. In una casa che non è un albergo, ma, varcata la porta di ingresso, si presenta strutturata con camere numerate su due piani. Che furbacchioni! Legge e fisco, dall'esterno, vedono belle abitazioni private... Ma poi, al sicuro dalle tasse e dagli occhi indiscreti, dietro alla porta, si apre un mondo. Inutile a dirsi, queste sistemazioni sono più economiche degli hotel. Nell'attesa ci approccia un omone baffuto in moto, che si dice cicloviaggiatore a sua volta e ci racconta qualche suo viaggio; è un architetto e spiega di aver collaborato con tanti italiani, sulla costa, a Puerto Vallarta, per la costruzione di ristoranti, hotel e locali di lusso. E' anche orgoglioso di raccontare del lungo tour fatto da suo figlio in Italia e parte dell'Europa: "Costoso, ma ha visto Firenze, Venezia, Roma... Magari le avessi viste io!".




Dopo aver fatto quattro chiacchiere con Enrique, il proprietario gioviale, e aver coccolato i suoi gatti fusarilli e impastatori, usciamo ad esplorare la città. Non è che ci sia un numero esorbitante di attrazioni, eh. Il museo regionale raccoglie pezzi, sicuramente interessanti, trovati nei siti locali e appartenenti a diverse culture preispaniche, ma sta per chiudere. Accanto si trova il museo dei cinque popoli, cioè le etnie che ancora oggi vivono qui: Cora, Huichol, Tepehuana, Mexicanera e mestizos. Onestamente è più un mercato che un museo, ed espone oggetti che è più bello vedere in uso o indosso alla gente per strada. Poi c'è la piazza centrale, che, come sempre, è il cuore vivo della città. Qui si affaccia la cattedrale neogotica del 1804, purtroppo chiusa e in restauro.






Portici, piazze, fontane e vie pedonali affollate di bancarelle si dipartono dalla plaza, che è anche il punto di partenza dei Turibus, pullman che, con una guida a bordo, portano a visitare i luoghi più importanti della città e il quartiere dove vivono gli Huichol, dove è possibile assaggiare la famosa tortilla blu, fatta con una varietà di mais di quel colore.




Come spesso accade da queste parti, la cosa migliore per godersi lo spirito della città è passeggiare per i mercati e le piazze, lasciandosi portare dalla folla. Siamo sufficientemente segnati a dito, soprattutto Gigi. Sentiamo spesso frasi come: "Mira el turista!", "Mira el gringo" e simili. La cosa mi fa ribollire il sangue. Se uno è razzista, il razzismo se lo merita. So bene che è questione di ignoranza, di storia subita sempre stando dalla parte del debole, di orizzonte culturale ristretto fatto di emarginazione e prevaricazione. Però se non si vogliono etichette non bisogna nemmeno appiopparne. Non saranno quegli abiti colorati a dare il diritto di discriminare o tracciare la linea tra il noi e il loro.






la gran fila dei lustrascarpe con le loro torrette

molti negozi di stivali di cuoio super tamarri e cappelli da cowboy






Purtroppo devo esimermi dall'assaggiare il tejuino, bevanda tipica a base di mais fermentato, e i piccoli frutti gialli (bacche di arrayan) che vengono venduti cosparsi di paprika. Il mio apparato digerente è ancora malfunzionante e devo limitarmi a pastine brodose, riso bianco e gallette tristi.


La sera passa nel tentativo di contattare l'unico hotel della nostra meta di domani, Rosamorada. Vorremmo evitare sorprese, considerando che, oltretutto, son previsti violenti temporali la sera (come sempre, e come anche oggi). Alla fine riusciamo a metà, ma in qualche modo faremo. In fondo, ormai, dopo tutto questo tempo, siamo quasi sgamati come i local!


17/8
Tepic-Rosamorada
93km

Tappa breve, ma non corta, e intensa, ma non difficile.
Questa mattina ci alziamo presto, dopo un sonno ristoratore che, purtroppo, non ha ancora portato pace nelle mie budella. Dopo colazione salutiamo  Enrique, che è in versione sportiva camuffato da simil Pantani, con bandana, canotta aderente e panzetta in vista. Poi ci buttiamo nel gomitolo di strade di Tepic, che, anche in uscita, si rivela non un grumo di traffico e smog come altre città, ma una tranquilla serie di quartieri residenziali agili da pedalare. Seguiamo sempre la 15, che ci porterà a nord, al porto di Mazatlan. Purtroppo le mie sviolinate di ieri sulla fine delle salite erano premature. Certo, qui parliamo di colline, e di una strada che scende più che salire. Ma, una volta fuori da Tepic, dobbiamo affrontare una serie di rampe cattivelle che si alternano a lunghe volate verso il piano. Purtroppo anche qui non mancano i vecchi camion scassoni e rumorosissimi, che ci affettano la fettina di culo sulla strada stretta.
Intanto, intorno, il paesaggio è cambiato di nuovo: ora siamo tornati in un ambiente che ricorda la giungla della penisola dello Yucatan, con alberi fitti fitti alternati a palme e un tappetto verdissimo di erbe che coprono il suolo. Ricompaiono i nidi di montezuma oropendola, un grosso uccello nero e giallo che costruisce nidi simili a palloncini mezzi sgonfi che penzolano dai rami e dai fili dell'alta tensione. Siamo tornati alle terre basse e rigogliose.




Incrociamo poche case sparse e fatiscenti, e più cimiterini che villaggi. In alcuni altari non ci sono santi o madonne ma la Santa Muerte, con la sua falce e il suo cranio coperto dal cappuccio. Quando lo sguardo può correre all'orizzonte, il panorama su queste basse alture boscose è bello da togliere il fiato, come si coglie, ad esempio, dal mirador de l'aguila, dove ci fermiamo a scattare qualche foto.






Riprendiamo la discesa, che corre lungo una tortuosa linea che serpeggia attorno ai fianchi delle colline; i miei freni fischiano, e non perchè son contenti: le pastiglie sono consumate, mi sa che una delle operazioni dei prossimi giorni sarà sostituirle.





Arriva quindi il momento che tanti dubbi e ripensamenti ci ha procurato i giorni scorsi, quando studiavo le tappe. La nostra 15 libre si immette nell'omonima cuota, l'autostrada. Ma è solo per pochi kilometri, non vietati, senza caselli e, onestamente, più sicuri delle strade percorse finora: ha un bordo larghissimo e il fondo è in ordine. Quindi, senza indugi, imbocchiamo lo snodo e, in un attimo, già ne siamo fuori, dopo aver passato un minuscolo pueblo diroccato che sta in piedi solo grazie alle bancarelle che offrono frutta, noci e bibite fresche ai guidatori in transito (spesso al volo).




Non ci facciamo mancare nemmeno i lavori in corso con strada a traffico alternato, dove, per ogni lato, ci sono tre operai sbandieratori, di cui uno fa la siesta, uno ride e gioca con il terzo, che è l'unico che lavora, cioè sbandiera un telo catarifrangente, per indicare che è il momento di passare.



Continua il saliscendi, sempre meno ripido, sempre più scendi che sali. Intorno a noi si aprono pratoni punteggiati di palme, mentre il cielo, finora velato, lascia emergere un sole rovente che ci stordisce.





I paesini che passiamo sono talmente microscopici da non essere segnalati nemmeno da un cartello con il nome. Sembrano più gruppi di case familiari di chi gestisce i negozietti o le bancarelle a bordo strada. Molti edifici sono anche abbandonati e in rovina.






Siamo ormai, definitivamente, sulla costa. Ma, sorpresona, l'oceano non si vede nemmeno con il binocolo, nascosto dietro frange di Sierra e distese verdi di giungla e paludi. Poco male: ci rifaremo a brevissimo!


Passati i 70km decidiamo di fare sosta in quello che pare un paese, ma risulta semplicemente una pompa di benzina con negozietti attorno, e una pletora di ambulantes che vendono cibarie ai passeggeri dei bus che qui si fermano in sosta carburante. L'unico filo di ombra nell'aria inquinatissima da tutti i tubi di scappamento dell'universo mondo risulta conteso tra noi e i venditori, con cui facciamo quattro chiacchiere (due ogni due sono richieste di comprare qualcosa). Uno vende bicchieri di frutta fresca tagliata, e, nelle attese, ne pilucca un po' qui e un po' là senza rovinare le composizioni. Un altro vende tamales e... Gamberetti! Fritti, sembrerebbe. Nei momenti di morta abbandona i sacchetti pieni di camarones sul cestino della spazzatura, per riagguantarli quando si avvicina un autobus.




il piluccatore seriale colto con le mani nel sacco

i venditori di tamales e camarones. Uno indossa dei sandali in cuoio con il pelo della mucca ben lungo e visibile, come una sorta di pelliccia

Ci spostiamo piuttosto in fretta perchè fa un caldo atroce e noi stiamo soffrendo lo sbalzo di temperatura. Ci esplode la testa, fatichiamo a respirare. Attraversiamo un fiume pulito come il Gange, con tanto di mucche in ammollo. Non mi stupirebbe affatto sapere che i gamberoni provengono da qui.




Gli ultimi 20km, che pedaliamo arrancando nell'umidità rovente, ci portano ad attraversare una pianura acquitrinosa che alterna paludi piene di papere variopinte (alcune rosa... Saran mica fenicotteri?) e pascoli sconfinati. Su tutto domina un verde chiaro e brillante che si fa argenteo al sole.









Quando il collasso è ormai quasi realtà, e stiamo per raggiugere le anime de li armadilli mortè che tappezzano la strada, ecco la scritta che attendevamo: Rosamorada, la nostra meta di oggi. E' prestissimo, sono le due di pomeriggio, ma non abbiamo cuore di proseguire per altri 50km fino alla prossima città. Quindi facciamo una foto al grandioso portale di accesso alla cittadina, che fa presagire tanta bellezza e...




Ci troviamo catapultati nel più rurale dei paesaggi messicani della costa pacifica. Carcasse di auto arrugginite, binari senza alcuna protezione, galline che razzolano in mezzo alla strada, cani ossuti che frugano l'immondizia e tanta polvere. Il paese si sviluppa lineare sui due lati della strada che lo attraversa e alterna case fatiscenti ma abitate a case diroccate e abbandonate. Insomma, il primo impatto è quel che è.




Invero anche il secondo. Arriviamo all'hotel, l'unico nell'arco di 50km prima e 50km dopo, sotto la sguardo dei local che ci fissano da sotto le verande e le tende, come nei film western quando arriva il forestiero e percorre a cavallo il paese. Dietro al bancone della "reception" c'è una coppia di ragazzi sui 18 anni: lei chica mala con unghioni di plastica, lui rapperino con completo da cestista NBA, tatuaggi ovunque, berretto con visiera cattivo. Quando dico alla tipa se hanno una camera, lei inizia a ridacchiare e lanciare occhiatine a lui, e mi dice che no, le dispiace, ma non ne ha... Si vede che mente e le viene da ridere, pure. 'Sta stronza maledetta. Con calma le dico che ci siamo sentiti ieri, e che ho chiesto di prenotare, e quando ho accennato a un pagamento anticipato per confermare la reserva, lei, stronza maledetta e malnata, è sparita, sia da Whatsapp, sia da Messanger sia da Google chat dove ci stavamo sentendo. E chissà come le rideva il buco del culo. Come ora. Che parlotta col suo ragazzo, e gli spiega dei nostri scambi; io capisco perfettamente cosa si dicono, sento che ammette di non averci più risposto per sciacquarci dalle palle. E invece no, brutta stronza maledetta malnata e meschina, siamo qui, perchè non abbiamo altra scelta. Inizio a insistere, e lei, con aria divertita, para tutti i colpi. Allora interviene Gigi, e si rivolge al ragazzo, che sembra un po' in imbarazzo di fronte alla sfacciataggine di lei. Gigi spiega che siamo italiani, non gringos! E che il prossimo albergo è lontano, e poi dai, non sarà mica pieno, dai, tutte le camere occupate? Lui si ammorbidisce, dice di essere del New Jersey (sì, certo, come mi nonna in carriola) e alla fine convince a sguardi la merdaiola a mollare il colpo. Si para il culo, indistinguibile dalla faccia, dicendo che aveva capito male, ci dà chiave e telecomando (ma non asciugamani, carta igienica e sapone -per fortuna abbiamo tutto) e tanti saluti. La voglia di tirarle un paio di sane sberle è tanta, ma la violenza dicono non sia un buon metodo educativo. Ma potrai esser razzista così?
Siamo troppo cotti per restarci male davvero, ma la sensazione di non essere ospiti graditi guasta un po' l'umore. Per fortuna in paese, quando usciamo a far spesa, sono tutti gentili e anche lo staff notturno ha un altro atteggiamento nei nostri confronti. Ci aiutano a spegnere il condizionatore, che non risponde più ai comandi e sta creando un microclima artico. 

Così si ristabilisce un equilibrio di fiducia nel prossimo che si era un poco incrinato. D'altronde questa città vive principalmente di agricoltura e pesca nelle lagune, e ha una comunità indigena (cora) che vive quasi segregata nei ranch d'entroterra. Qui non si è mai fatto molto altro, se non constatare che la terra è bassa. Anche prima dell'arrivo degli spagnoli, nel 1530, qui abitavano indigeni che han lasciato alcuni petroglifi, sottomessi al regno Hueytlanonazgo de Aztatlán. Però qualcuno sostiene che la vera culla della musica mariachi sia proprio Rosamorada, dove i nativi festeggiavano con musica e danze le loro festività.

Noi, comunque, per sicurezza, oltre a chiudere la porta a chiave, la blocchiamo con una sedia. Intanto fuori il temporale imperversa per tutto il pomeriggio e la notte, con raffiche di vento, lampi e tuoni da far tremare le pareti. Sarà l'uragano tropicale che bussa alla porta?


18/8
Rosamorada - Escuinapa de Hidalgo
115km

Sveglia presto, oggi ci attende una lunga tappa. In più il meteo non è dei migliori e il rischio di prendersi un acquazzone tropicale sulla capoccia è alto. Se non altro, stavolta, le strutture all'arrivo sono tante e non dovremmo avere problemi. Sperem. Portiamo giù dalle rampe di scale bici e bagagli (perchè sì, quando si arriva e si riparte c'è anche questa deliziosa operazione da compiere) e troviamo le strade ben fradicie. Esce con noi dall'hotel un commesso viaggiatore carico di materassi, con un'auto acchittata nel modo che usano qui per trasportare merce ingombrante.



Il cielo resta velato e grigia la luce per tutto il giorno, ma questo ci salva dal caldo tremendo di ieri. Ora è umido e si suda anche la cresima, ma non si frigge. Salutiamo la ridente (ahah!) Rosamorada e riprendiamo la fidata 15, che anche oggi per breve tratto si tufferà in autostrada. Ma ormai siamo esperti anche di questo.


Oggi possiamo affermare di essere tornati in pianura davvero, anche se a volte brevi rampe portano a superare le collinette che si alzano tra l'oceano e la sierra. Tutto è verdissimo e l'acqua non manca, per quanto sia per lo più stagnante e coperta di alghe e muffe. La costante di oggi sono gli scorci di giungla e le immense distese di alberi di mango, qui coltivato a piantagioni. Inoltre è il momento della raccolta: i rami sono carichi di frutti e squadroni di uomini in canotta, jeans e stivali sono al lavoro nel fango fino alle ascelle, riempiendo cassette e caricando camion.  






I primi 50km non han paesi, ma agglomerati di qualche casa e adiacente bancarella che vende, ovviamente, mango. Ma anche camarones di laguna, fritti e secchi, che, chiusi nei sacchetti, esalano un afrore pestilenziale. Ci sono tanti edifici abbandonati che la vegetazione si sta mangiando. Vivere qui, nel fango, tra le paludi, le macerie e la strada, non deve essere facile.  





Mentre facciamo lo slalom tra carcasse di cani putrefatti, armadilli in due dimensioni, serpenti stampati, tartarughe esplose e persino aquile investite, io soffro. Il mal di pancia stamattina mi tormenta, acuito dalla consapevolezza dei camarones in busta e dall'odore degli animali morti. Se fossi una vera artista, fotograferei queste carogne in diversi stadi di decomposizione e poi proporrei una mostra dal titolo didascalico, tipo "marcescenza" o metaforico, come "passaggi" o "metamorfosi".
A un certo punto devo fermarmi per forza, e già immaginate il motivo. Il luogo prescelto con cura, dopo 20km di ricerca, è un rustico ma elegante ristorante campestre, gremito di clienti, famiglie, nonne, nonni, nipotini, neomamme, papà e figli adolescenti. Tutti pranzano e chiacchierano. Il nostro arrivo già desta stupore: "Guarda mamma, i ciclisti!". Immaginate quando io balzo giù dalla sella, agguanto il mio rotolo di carta igienica, e quasi già spogliandomi nel tragitto corro in bagno. "Guarda mamma, i ciclisti con il cagotto!". E va be', capita. A me spesso.

Restiamo nei paraggi un po', Gigi mangia qualcosa, io peregrino dal cortile al cesso per un po'. Comunque è un bel posto questa quinta campestre!



Quando le fitte si placano un po' ripartiamo. In breve siamo ad Acaponeta, città di metà tappa. Il nahuatl questo toponimo significa "luogo vicino al fiume dove cresce il fagiolo impigliato nella canna". Metà della popolazione è impegnata nell'agricoltura, che resta la spina dorsale dell'economia locale. MANGO a dirlo! Qui vivevano diverse etnie indigene, sottomesse ai Totorames. Poi arrivarono gli spagnoli ma il grosso della distruzione fu messa in atto nel 1538 da un gruppo indigeno, a parziale conquista avvenuta. Noi tiriamo dritto, verso nord, e ci lasciamo così alle spalle lo stato di Nayarit, per entrare in Sinaloa (i fan, come me, della serie "narcos" qui avranno un brivido).





Il paesaggio resta verdissimo e a tratti paludoso, e sa di tropicale. La linea del Cancro è qui a poche decine di kilometri!








Finalmente compare l'acqua, anche se non è ancora il Pacifico, ma le adiacenti lagune dove si pescano i gamberi.





La strada corre diritta e noi procediamo spediti. Il traffico è anche abbastanza ridotto rispetto ai giorni scorsi, quindi riusciamo a goderci la pedalata fino all'imbocco con l'autostrada, dove si affollano bancarelle di venditori di mango, fresco o secco, enchillado e non, e camarones.









Superati i 100km facciamo una seconda sosta in un benzinaio di lusso con tanto di sala d'attesa vip (a noi preclusa, ovviamente). Qui arrivano colectivos carichi di passeggeri che, appena sbarcati, si precipitano in bagno (a pagamento, con porte automatiche) e a comprare cibo e bevande. Mi sa che vanno a nord e il viaggio è lungo. Tanti ci salutano e ci augurano buon viaggio. Volano molti "Que padre!" che è un messicanismo per "Che figata!".

Ultimo sforzo ed eccoci qua, a Escuinapa de Hidalgo, l'agognata meta di oggi. Il cartello di ingresso mi fa assai ridere: la perla camaronera. Già è buffo, ma poi camaron è l'appellativo sprezzante che ci viene rivolto ogni tanto, urlato in strada o sussurrato tra gruppi che confabulano. Indica il gamberone, cioè il turista chiaro di carnagione che si brucia al sole e diventa un gamberone. Siamo nel posto giusto, noi gamberoni, qui!  



Oggi con l'alloggio fila tutto liscio. Il primo hotel in cui ci fermiamo, selezionato su Google, ha posto. Ci accoglie una signora tanto gentile quanto con problemi di memoria a breve termine. E' come Dori di Nemo. Pago, va a prendere il resto, ma poi, a metà strada, si dimentica cosa stia facendo, torna indietro, mi dice ora va a prendere gli asciugamani, si incammina, a metà strada si dimentica, torna, le chiedo la password del Wifi, va a prendere un quaderno, ma torna con un registro dove mi fa firmare. Ma il wifi? "Ah già, ora lo recupero!", e così via. Per avere tutto passa del buon tempo, ma poi la struttura è bella, è un ex convento francescano un po' cadente.



Nel pomeriggio riceviamo un messaggio da Baja Ferries, la compagnia dei traghetti. La partenza è posticipata di 24 ore a causa dell'uragano che non consente una navigazione sicura. Mannaggia! Peccato per il giorno in meno in Baja California, ma vorrà dire che ci godremo un giorno di mare in più a Mazatlan, che deve essere proprio una bella cittadina costiera. Prenoto dunque due notti in centro a Mazatlan, dove arriveremo domani (sono 95km circa) e poi usciamo a cena. Ho deciso che son stufa di riso in bianco e gallette. Il centro di Escuinapa, che vedremo domani con il sole, ha molti edifici storici, sia coloniali sia ottocenteschi, ma molti sono diroccati e abbandonati. La piazza centrale è comunque vivace e animata di luci e bancarelle.
Noi entriamo nell'unico ristorantino vero e proprio, che non sia un ambulante con quattro sedie intorno, e ci pappiamo un'insalatona (Gigi) e i camarones fritti (io). Sono il piatto tipico della zona, e in effetti sono buonissimi!



Nel locale è in corso una cena tra amiche e resto affascinata dalle combinazioni di pesce fritto e cappuccino, hamburger sanguinolento e frappè al cioccolato con panna montata. Ma de gustibus...



Rientriamo dopo una breve passeggiata in piazza, e, ahimè, la gomma di Gigi è a terra. E' l'occasione per cambiare anche il copertone, e montare quello orgullosamente hecho en México che Gigi mena seco da giorni. Lo Schwalbe, però, viene con noi, come riserva estrema in caso di squarcio. 


Chiudo con una perla, anzi, una pirla. Le mia mani, oltre ad avere l'abbronzatura evidente dei guantini, sono quadrettate. I giorni scorsi, distrattamente, pensavo si trattasse del segno lasciato per la pressione, ma no! E' abbronzatura. A rete fina fina.


Domani arriveremo a Mazatlan, e domenica, al posto di imbarcarci, visiteremo la città e ci godremo le famose spiagge e finalmente di nuovo qualche bagnetto oceanico. Lunedì, uragano permettendo, attraverseremo il golfo per sbarcare a Pichilingue, il porto di La Paz. Chattando con lo staff di Baja Ferries ho anche scoperto che le bici si pagano eccome, a parte, contattandoli. Ho provveduto a sbrigare anche questa pratica, ora dovremmo davvero essere a posto con tutto.

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