giovedì 4 luglio 2024

5-6. Primi colpi di pedale da Bangkok ad Ayutthaya, antica capitale del Siam












3/7
Bangkok-Ayutthaya
94km

Oggi è il gran giorno: si comincia a pedalare. Cerchiamo di andare a letto presto, senza riuscirci, e di dormire profondamente, senza riuscire nemmeno in questo. Le bici e i bagagli sono pronti, la traccia sembra buona, l'alloggio a destinazione è prenotato... Ma l'adrenalina data dalla consapevolezza che l'avventura sta per iniziare davvero si fa sentire. A me in particolare preoccupa un po' la guida a sinistra, perchè è la prima volta che mi capita di pedalare così. E poi ho letto alcune inquietanti statistiche riguardo alla pericolosità delle strade di Bangkok e in dei grandi centri urbani thailandesi. Secondo uno studio dell'OMS del 2015, sono le seconde più pericolose al mondo per numero di vittime di incidenti mortali. Più che il codice della strada, vale la legge del veicolo più grosso che si prende le precedenze e gli spazi, spiega la guida Lonely Planet; e indica i motorini come ultimo anello di questa gerarchia. Figuriamoci allora dove si collocano le bici!
Poco male, comunque. Facciamo colazione in camera con un po' di cose recuperate ieri sera, e intanto chiudiamo le borse e controlliamo gli ultimi dettagli. Poi si svolge il rito consueto dei mille viaggi su e giù per le scale, prima con un po' di borse, poi con altre borse (ma quante borse abbiamo? Ci stanno tutte sulle bici?) e infine con i possenti velocipedi che scalpitano nei loro copertoni nuovi fiammanti con ancora tutti i peletti di gomma che sembrano antennine sfrigoline. Queste operazioni ci costano un paio di litri di sudore, perchè fa un caldo da squagliarsi, nonostante il cielo velato. L'unica consolazione sono le borracce ghiacciate, letteralmente: ieri sera le abbiamo riempite e poi messe nel congelatore della cucina comune. Dureranno fresche diverse ore, che è gran cosa.  



La primissima tappa è fuori traccia, ed è simbolica: vogliamo immortalare la partenza davanti ad uno dei luoghi iconici della città, la cosiddetta "Altalena gigante". Approfittiamo di questa breve deviazione per sistemare l'assetto di sella e manubrio, riprendere confidenza con la bici culona a pieno carico e cimentarci nella guida a sinistra in viuzze secondarie. Con mia sorpresa scopro che è più facile del previsto, anche se richiede attenzione costante e non permette distrazioni da "guida con pilota automatico" (cosa che accade, quando si è in sella per molte ore: una sorta di estasi in senso letterale, ek-stasis, uscita da sè, distacco dal corpo). Per le foto si propone anche quello che credo sia un turista inglese, dall'accento e dalla fisionomia. Riesce a scattarle tutte, ma dico tutte, storte, tagliate, con il ditone davanti... Tranne una, questa. Ha comunque un pezzettino di falange in alto a sinistra, ma è il costo della gentilezza. Ringraziamo, poi me ne faccio scattare qualcuna da Gigi per sicurezza.



Concluse queste operazioni preliminari, prendiamo una gran boccata d'aria e poi, quasi trattenendo il fiato, ci buttiamo sul primo stradone della traccia, puntando dritti a nord. I primi 20km sono piuttosto impegnativi, per non dire hardcore, ma non deliranti. Temevo peggio. Capiamoci, è una situazione pericolosa e stressante che la gran parte delle persone sane di mente eviterebbe, prendendo un passaggio. Ma a me dà fastidio fare cherry-picking con i luoghi, essere schizzinosa e prediligerne alcuni ad altri. Viaggiare in bici mi piace perchè consente di attraversare tutto quello che una terra ha da offrire, bello o brutto che sia, grandioso o insignificante. Pedalare solo nelle isole felici non è viaggiare, è esser turisti a pedali. E a quel punto tanto vale fare i turisti e basta, così si ha più tempo per visitare e godersi i luoghi. Io voglio vedere anche le ombre, i rovesci della medaglia, la polvere sotto al tappeto. Tutto. Altrimenti non si capisce la complessità di un luogo, della sua storia e di chi ci vive. Quindi, tornando agli stradoni, ci troviamo a sgomitare su viali anche enormi, a 4 e 6 corsie, tra auto, bus, ambulanze, furgoni e soprattutto sciami di motorini (tanti rider e taxisti che portano i passeggeri rigorosamente senza casco aggrappati alla schiena) e mezzi consimili (baracchini e bancarelle motorizzate su ruote, tricicli a motore stracarichi di merce o immondizia da rivendere...). Precedenze e semafori vengono rispettati alla più o meno, diciamo approssimativamente. Spesso la corsia più lenta (a sinistra, dove stiamo noi) è completamente occupata da auto parcheggiate in mezzo alla strada. Ed è tutto uno slalom, uno sgranare rosari (ma senza alzare la voce o manifestare rabbia, chè qui è considerato imbarazzante, un gesto di incontinenza). A volte ci si trova completamente imbottigliati, nel caldo ancor più rovente per i motori, altre invece si pedala su vialoni in modo più scorrevole. Attraversiamo diversi canali... Qualcuno li ha equiparati a quelli di Venezia ma anche no.



che cuore a immergersi in quell'acqua!



A tratti, fortunatamente, riusciamo a infilarci in strade secondarie di sobborghi dimessi, visibilmente più poveri, ma non degradati. Qui il traffico sparisce come per magia nel giro di un istante, e c'è solo da stare attenti ai varani: di un paio, piccoli ma grandi comunque come la mia gatta, quasi pesto la coda. Se ne vanno lentamente mostrandomi la linguetta. Che figata però! Incappiamo anche in un ripidissimo ponticello con scale quasi verticali sopra ad un canale. Issiamo in due ciascuna bici, mentre un anziano local, il tipico umarell (categoria internazionale), si sincera che tutte le operazioni vadano a buon fine, oltre ad offrirsi di aiutarmi (ma no amorino, peserai 20kg bagnato, come fai?).







Tra passaggi angusti, tempietti coloratissimi (uno piccolo in ogni casa, e almeno uno grande in ogni quartiere) e stradoni, viene il momento di fare una prima micro-sosta perchè Gigi sostiene di voler bere "qualcosa di sciropposo" e, quando dice così, bisogna preoccuparsi. Se poi inizia a ripeterlo ogni trenta secondi, la situazione è gravissima. Il qualcosa di sciropposo si traduce in un litro di succo di frutta zuccheratissimo che va giù come dallo scarico del lavandino, ma come negare che questo caldo umido mette una sete devastante? Io azzardo un latte macchiato in lattina, gelido. E' come giocare alla roulette russa. Questa volta ho fortuna. Intorno i vialoni si sviluppano anche in verticale, con sopraelevate e intrichi di incroci. Ma ormai manca poco, siamo quasi fuori dalla città.





A segnalare questo confine c'è un luogo talmente strano che non saprei nemmeno come descrivere. Uno stradone a 4 corsie si interrompe bruscamente e ripiega su se stesso ad U, per tornare verso la capitale. Una larghissima sopraelevata fa da tetto e prosegue poi in ponte sul fiume (Rama IV bridge), lasciando intravedere un bel tempio (Wat Boa). Sotto, tra dove piega la strada e dove intuisco si trovi il molo dove dovremo prendere il traghetto, c'è un complesso di altari e statue di serpenti pluricefali, monaci, bancarelle, anziani in processione e un canto sacro monocorde diffuso a tutto volume con casse da rave. Dopo un attimo di smarrimento per tutto questo insieme di cose, riusciamo a portarci oltre e raggiungere l'imbarcadero. Nel giro di un attimo arriva il traghettino e saliamo, pur con qualche balzo per non finire in acqua (non ci sono rampe, passerelle, attracchi veri e propri... Il barchino accosta alla più o meno, e salirci con le bici cariche provoca dei microinfarti). Nemmeno il tempo di fare tre passi e via che si parte. Ci lasciamo definitivamente alle spalle Bangkok, sotto ad un cielo plumbeo color monsone e tra isolotti di rami e foglie portati dalla corrente, su cui stanno, come su un surf, aironi candidi che flottano a giro. Fino a qui abbiamo percorso poco più di 20km, e la strada è ancora lunga, ma le premesse sono ottime.















Approdiamo, paghiamo (5 baht a testa) e imbocchiamo la traccia proposta sul sito Bicycle Thailand, che partiva da questo sobborgo, Pak Kret. Sebbene sia la terza città più popolosa del Paese, si respira già un'aria completamente diversa. Il fiume Chao Phraya è alle spalle, davanti a noi si apre la vasta pianura della Thailandia centrale. Il traffico si è dissolto, le strade sono solo a due corsie e, in questa zona di periferia, le case risultano sparse tra canali e campi; la densità abitativa è bassa e la vegetazione rigogliosa è protagonista della scena. C'è persino segnalata a terra una pista ciclabile! C'è un solo problema: sta iniziando a piovere. In un primo momento è acquerugiola piacevole che rinfresca, ma nel giro di poco si scatena l'inferno: il monsone! Vento, tuoni, e secchiate ininterrotte allagano le strade e ci costringono a una sosta forzata perchè non si vede nulla tanto è fitta la pioggia. Ci rifugiamo sotto ad una angusta tettoia di una baracca in legno disabitata, e dobbiamo persino indossare i k-way perchè la temperatura è precipitata di colpo. Aspettiamo un po' e, quando ancora diluvia ma la visibilità è buona e il vento si è placato, torniamo in sella.





Piove ancora per un paio d'ore, ma sempre meno intensamente. Per fortuna le strade sono quasi tutte asfaltate e il manto è in buone condizioni, quindi resta facilmente pedalabile. Costeggiamo canali sempre più verdi e rigogliosi di vegetazione in una vasta area agricola con poche abitazioni e qualche capannone qua e là. Lungo le sponde si intravedono ora tetti di pagode, ora abitazioni tradizionali, ma pure resort di gran lusso nascosti tra fitti giardini. E' una zona di passaggio, di confine, di transizione tra la città e la campagna. Si pedala piacevolmente, e smette anche di piovere. Certo, la temperatura ricomincia a salire, e l'umidità è alle stelle... C'è da sciogliersi e rifriggere nei propri liquori corporei. La cosa più splatter è la condizione dei piedi: con la pioggia scarpe e calze si sono infradiciati completamente. Ora, con il caldo, stanno asciugando, con un processo che più che di evaporazione definirei di fermentazione in ambiente chiuso. Speriamo sia almeno un modo per tenere a debita distanza gli insetti.



A volte la traccia ci riporta su qualche strada un po' più grande, ma comunque piva di traffico. Incappiamo in un parco acquatico dall'estetica opinabile



e in una bella scuola che, come altre viste i giorni scorsi, è proprio ben curata. E' tutta in legno, rialzata stile palafitta, colorata e dotata di cortile con campi da calcio e pallavolo. Quella che credo sia una collega insegnante ci vede far foto e ci saluta in inglese. Vorrei parlarle ma è presa a trafficare in una specie di orto didattico e non mi pare il caso di disturbarla... Qui le scuole sono ancora aperte! 


Lasciato alle spalle questo piccolo abitato, ci ritroviamo in stradine di campagna immerse tra risaie e marcite, qualche bananeto e palafitte sparse. Regna una pace indescrivibile, e il caldo rende ovattate le sensazioni. Io vengo rapita dalla varietà immensa di uccelli acquatici. Non conoscendone il nome, inizio a classificarli in base alle caratteristiche al piumaggio: il padulo dal manto rosso, il padulo maculato, il padulo dalla cresta gialla... I nomi li ho recuperati poi con calma: le cicogne-airone (gaper indiano), che hanno fatto discutere me e Gigi perchè lui insisteva fossero cicogne, io aironi... E sono entrambe le cose: forma di airone, colori di cicogna. Aironi bianchi e aironi guardabuoi, merli indiani, cavalieri d'Italia (ma che ci fate qui?!) e quelle che definirei oche selvatiche bianche ma talmente sporche di fango nello sguazzare felici in una risaia con poca acqua da essere completamente marroni. Tra gli alberi e i canneti è tutto un frullare d'ali, un frusciare e un cantare con voci per me nuove, che richiamano mitici luoghi esotici, giungle lontane, le leggende del Prete Gianni...








Passiamo poi da una cittadina (non mi chiedete troppi dettagli sulla traslitterazione dei paesini... Su Komoot, per chi fosse interessato, ci sono tutte le tracce) che custodisce il cosiddetto "Tempio di cristallo", una bella struttura finemente decorata dove non manchiamo di scattare qualche foto.






Ci ributtiamo poi in stradine secondarie e attraversiamo una zona rurale davvero interessante per noi che finora abbiamo visto soprattutto città. Le abitazioni in legno rialzate sono umili ma decorosissime. Qui hanno un senso estetico, il gusto del bello fine a se stesso. Ci sono luoghi dove manca del tutto, soffocato dal senso pratico-pragmatico dell'utilità, dove la fatica del tirare a campare spegne ogni velleità artistica. Ho trovato così certi luoghi dell'Asia centrale, certi tristissimi lembi delle ex repubbliche sovietiche dove le cose sono fatte nella maniera più brutta e frettolosa possibile, e nessuna energia viene sprecata per far bello, oltrechè meramente funzionale. Qui no. Qui ci sono i fiori e gli altarini curati e i colori sgargianti. La trovo una forma altissima di manifestazione della dignità umana. Il voler far qualcosa non perchè serva a qualcosa, ma perchè è piacevole allo sguardo. L'inutile che trascende al trascorrere del nostro tempo piccolo. Qualcosa che resti.
Il nostro passaggio suscita la curiosità di molti, che però si limitano a sorriderci e a salutarci calorosamente. Qualcuno addirittura ci dà una mano a trovare la strada là dove il sentiero (qui sterratino compatto) si biforca perdendosi tra i campi. Un ragazzo torna indietro in motorino per aiutarci... Allora è proprio vera la narrazione sulla gentilezza dei thailandesi!






Viene poi il momento di riattraversare il fiume Chao Phraya, ma prima passiamo accanto all'ennesimo tempio enorme in mezzo al quasi nulla (qui è pieno di queste "cattedrali nel deserto"! D'altronde noi italiani sappiamo bene cosa significhi avere più chiese che abitanti). Mi colpisce il cimitero, tutto a piccole chedi bianche e dorate disseminate alle spalle di un enorme Buddha che riflette i raggi del sole implacabile. 


Ora inizia la parte più impegnativa della tappa, proprio quasi sul finale, quando ormai sono stanca e incapace di gestire bene gli imprevisti e il mio cervello è diventato una piccola castagna bollita. La traccia ci porta a costeggiare un piccolo affluente del Chao Phraya, lungo una sorta di alzaia. Stare sul lato giusto del fiumiciattolo è fondamentale perchè le due rive non sono comunicanti, se non con ponti distantissimi tra loro, che ci porterebbero ad allungare troppo. E proprio qui ci sono lavori in corso e cantieri aperti che rendono difficilissimo orientarsi: il corso del rivo è deviato, la strada non si intuisce, e tutto è piste nel fango in cui si affonda. E, come se non bastasse, compaiono i primi cani aggressivi... Ne abbiamo visti alcuni randagi, oggi, ma tranquilli se non spaventati... Questi invece fanno la guardia alle abitazioni che sorgono tra i campi e l'alzaia, e sono ben pasciuti e grintosi. Che palle! Tra Russia, Iran, Perù e Messico, ho sviluppato un rapporto problematico con i canetti che mi inseguono. Non voglio far loro del male, ma vivere in fuga mi dà altrettanto fastidio. E so bene che la colpa è solo dei proprietari, egoisti ed ignoranti, che loro sì, meriterebbero qualche sassata.




il perro (sunakh) della pagoda

Dopo un discreto smadonnare tra cani (per altro grossetti, pelati e dal muso di pipistrello, brutti veramente) e deviazioni, arriviamo finalmente a costeggiare di nuovo il Chao Phraya, che delimita l'isola su cui sorge il centro storico di Ayutthaya, la nostra meta di oggi. Anche da questo lato si sviluppa la città, e ci troviamo di nuovo nel traffico e nel casini di ambulanti, bancarelle e motorini, ma pure case, templi, moschee e persino una chiesa. Vediamo tante donne con il velo. Questa città è storicamente un crogiolo di culture e religioni diverse, e più avanti scopriamo il perchè. Intanto mi stupisce pensare che un tempo questa terra si affacciasse alla costa del Golfo del Siam, ora così distante a causa della sedimentazione plurisecolare causata dai tre fiumi che qui confluiscono.
A proposito: tocca riprendere un traghetto! Sta facendo buio, ma ormai siamo quasi arrivati. E va bene così: questa prima giornata, tra pioggia torrenziale, caldo devastante, traffico della capitale e primi colpi di pedale con la guida a sinistra mi ha brasata. Ci imbarchiamo, sempre per 5 baht bici comprese. Dobbiamo stringerci perchè salgono anche tanti in motorino. Questi brevi attimi di navigazione mi si imprimono dietro alle palpebre e fra le costole, all'altezza del cuore: la luce obliqua che accarezza pagode e palafitte, questo skyline così diverso da quello cui sono abituata, queste forme nuove, questi simboli antichi... Tutto si ferma per un attimo, scorrono i secoli nel giro di un respiro, sento le radici profonde di questa terra, il suo canto che fa tremare le colonne del cosmo. Chiudo gli occhi, un loto sboccia in grembo al Buddha sorriso di pietra, passano le ere del mondo sulle linee della mano. Riapro gli occhi, siamo arrivati, si sbarca, il tempo ha ripreso a fluire, i motori rombano e si fondono ai umori della strada e alle voci.






L'ingresso al centro storico è trionfale, magnifico: passiamo tra rovine silenziose che visiteremo domani. Ci osservano le statue di Siddharta e dei demoni dalle ombre oblique, tra le fronde degli alberi. Ci osservano e lasciano che l'umano dispiegarsi trascorra ai loro piedi.


Raggiungiamo, stanchissimi ma con gli occhi pieni di meraviglia, la guesthouse, una casa tradizionale gestita da una signora anziana gentilissima e molto in gamba. Siamo a una manciata di metri dal sito archeologico, in una viuzza laterale. Le operazioni di check in sono complesse, nonostante io abbia già prenotato e pagato tramite Booking. La nonnina parla solo thailandese, ma vuole fare conversazione, soprattutto quando capisce che siamo italiani. Ovviamente l'onere di sostenere una discussione in molteplici lingue, nessuna efficace, spetta a me, mentre Gigi traffica alla ricerca del passaporto. Lui sbuffa, fa casino, si agita, butta all'aria le borse... Intanto io, sempre più disperatamente simile a Salvatore de Il nome della rosa, sono passata con la sciura a Google traduttore. Chissà cosa sarà venuto fuori, che le ho detto. Forse proprio le frasi di Salvatore... "Penitenziagite! Watch out for the draco who cometh in futurum to gnaw on your anima! La morte est supra nobis! You contemplata me apocalypsum, eh? La bas! Nous avons il diabolo! Ugly come Salvatore, eh? My little brother! Penitenziagite!".
Comunque l'alloggio è delizioso, la signora parla solo con me perchè appare intimorita da Gigi, e ci sono tè, caffè e un cucinino a disposizione degli ospiti. Direi perfetto.



pressione bassa, piedi in suso

oggi inauguro anche gli occhiali da intellettuale, un po' Cavour un po' Pavese, del Franco Limido (il bluesman a pedali di Ottica Limido ad Arluno). Direi che mi piacciono assai! Grazie mille!!! 

Usciamo di nuovo per cena: non abbiamo mangiato nulla oggi! Siamo affamati come volpi affamate. La città, la sera, è piuttosto deserta e tranquilla, anche troppo. La maggior parte dei turisti si limita a una breve escursione di qualche ora da Bangkok. Dobbiamo camminare un bel po' per trovare un locale aperto... E, per altro, quelli in cui ci imbattiamo son tutti postacci quasi postriboli, poco illuminati, promiscui e loschi. Che spettacolo però le rovine illuminate intorno!
Optiamo per un ristorante cinese con musica live e cameriere in abiti succinti, un po' troppo gentili e premurose, e ordiniamo mezzo menu: riso, carne speziata, pad thai con pollo, verdure in pastella... Tutto buonissimo e, direi, meritato.




Torniamo poi con calma in camera. Gigi nota una cosa che mi fa molto ridere. Noi, a scuola, ci facciamo mille problemi per l'utilizzo e la diffusione delle immagini degli alunni. Ci sono mille moduli, centomila divieti e un milione di cazzi e mazzi a riguardo. E va bene, eh, per carità. Qui, invece, sui muri di cinta degli istituti sono pubblicate le gigantografie di tutti gli studenti, divisi per età, ed è pure specificato chi segue il programma "normale" e chi no. Alla faccia dei dati sensibili e della privacy!


Torniamo sui nostri passi, ormai trascinandoci tra rovine e canetti randagi assonnati. Facciamo tappa al 7 eleven per procacciarci cose fresche da bere (siamo riarsi dalla sete) e decido di provare un'acqua con CBD, che qui va alla grande oltre ai negozi che vendono erba e derivati. Chissà mai che io riesca a dormire qualche ora in più! Riprendiamo la viuzza della guesthouse (Siriwal, consigliatissima) e veniamo scortati dalla gattella della proprietaria, che non disdegna le coccole (almeno fino a quando non acchiappa un geco e lo fa a brandelli giocando... Ah! La natura...).
Si chiude così una giornata densa e spettacolare. Un ottimo inizio, direi.
Domani staremo fermi qui ad Ayutthaya per visitarne il parco archeologico. Intanto studio meglio le prossime tappe, che hanno come highlights Lopburi, capitale ancora precedente ad Ayutthaya, nonchè città delle scimmie (mi intriga tantissimo!) e il parco Khao Yai, il più antico della Thailandia, considerato uno dei più belli al mondo per la sua foresta monsonica intatta e la sua fauna selvatica.






4/7
Ayutthaya

CBD o meno, dormiamo saporitamente, nella consapevolezza di avere l'intera a giornata a disposizione per goderci Ayutthaya. Approfittiamo del tè offerto dalla signora, mentre il nostro vicino di stanza, un ragazzotto 'mericano, continua a farsi dei cannoni grossi così, ininterrottamente, da ieri. E' fatto come una pigna e lascia in giro delle infiorescenze grosse come broccoli. Che poi qui la cannabis è legale ma fino a una certa... Buon per lui comunque. Pensavo di averne respirata troppa anche io quando, leggendo alcuni articoli su Google, mi comparivano date come "29 giugno 2567". Eh la Madonna come siamo nel futuro! Ma trattasi del calendario buddhista: bisogna aggiungere 543 al nostro anno.



ogni casa ha il suo tempietto davanti

Molti consigliano di girare tra le rovine del centro storico in bici, ma noi valutiamo le distanze e ci paiono abbastanza ravvicinate, da non giustificare la necessità continua di legare e slegare i nostri fondamentali mezzi di trasporto. Le cose da vedere sono tante perchè, come già detto, è stata capitale del Regno omonimo, anche detto del Siam, dal 1351 al 1767. Prima la capitale si trovava a Lopburi, colpita però, a metà XIV secolo, da una grave epidemia. Quindi si decise di spostare baracca e burattini qui, antico insediamento khmer vicino al mare, protetto dai fiumi e cosmopolita fin da subito, dove thai, khmer, indiani, cinesi, mon e malesi convivevano pacificamente. Nel giro di non molto, il Regno di Ayutthaya sottomise quello di Sukhothai, che controllava alcune regioni della Thailandia, e ridimensionò l'Impero Khmer. Grazie alla posizione strategica e ai commerci crebbe e si arricchì. Questo processo continuò anche nel XVI secolo, con l'arrivo dei portoghesi, che contribuirono allo sviluppo artistico, ma anche a dotare di armi da fuoco l'esercito. 




Tuttavia, di lì a poco, la città subì l'attacco un attacco da parte della Birmania, che conquistò il ricco centro e deportò la popolazione. Nel XVII secolo, riconquistata l'indipendenza, Ayutthaya rifiorì grazie ai commerci con Persia, India, Olanda e Giappone. Il culmine della prosperità si raggiunse sotto al regno di Narai (seconda metà del Seicento), che strinse ulteriori accordi diplomatici ed economici con Francia e Inghilterra, promosse le arti, fu mecenate di poeti e letterati. A quel tempo c'erano in città 3 palazzi reali 375 templi e 94 porte di accesso alla città, e l'oro era il materiale più usato, dalla rilegatura dei libri ai dipinti al rivestimento degli edifici. Alla sua morte il trono fu usurpato da un cortigiano che scacciò tutti gli occidentali, missionari esclusi (chiusura rimasta effettivamente in vigore fino alla prima metà dell'Ottocento), rinsaldando però i rapporti con la Cina.





Sotto il regno di Borommakot (prima metà del Settecento) ci fu un nuovo periodo di fioritura per arti e commerci, ma i fasti della corte portarono lo spirito guerriero siamese a rammollirsi. I birmani ne approfittarono, mettendo sotto assedio Ayutthaya nel 1760. Un primo attacco fu respinto, ma nel 1767 la città capitolò. Gli aggressori si concessero ogni sorta di barbarie: incendiarono i templi e i palazzi, distrussero, saccheggiarono, deportarono la popolazione (tra cui 2000 membri della famiglia reale). La città fu così abbandonata e invasa dalla giungla. Poi l'ombelico della Thailandia fu spostato a Bangkok, ma di questa storia abbiamo già parlato.

Il primo nucleo di edifici che visitiamo è il Wat Ratchaburana, di cui già avete visto qualche foto qui sopra. Il prang, cioè la torre centrale, svetta decorata da fiori di loto e creature mitologiche. Intorno ci sono quatto stupa. All'interno della torre, su cui si può salire, ci sono una cripta e un'infinita di pipistrelli appesi al soffitto, puzzolentissimi.
All'esterno si possono osservare tante statue di Buddha decapitate dai birmani e annerite dagli incendi. Fa impressione e dà a un tempo l'idea dello splendore che fu e della rapida caduta, la katastrofè delle tragedie greche, il ribaltamento della ruota della Fortuna.












i vispistrelli puzzolenti


l'arcobaleno tondo tutto attorno al sole non lo avevo mai visto! Che occhio sbarrato!

cicloparcheggi per chi visita le rovine in bici


Ci spostiamo poi al Wat Mahathat (abbiamo fatto un biglietto cumulativo che, per 220 baht (5,5 euro) consente di accedere a tutti i siti, sparpagliati all'interno di un immenso placido parco e in città. Questo tempio, del 1374, era più importante del regno, nonchè sede dell'abate supremo. La torre centrale, in stile hindu-khmer, alta in origine 43m, crollò prima dell'assedio birmano, fu ricostruita e ricrollò nel 1911. Qui si trova la statua forse più fotografata, una testa di Buddha in arenaria imprigionata tra le radici intrecciate di un albero della bodhi. Una guardia la sorveglia. A chi vuole scattarsi una foto è richiesto di sedersi a terra, su una apposita piattaforma di legno, per non mancare di rispetto all'Illuminato.





Buddha tetris con offerta di fiori






Mi torna in mente quel pezzone di Guccini, Shomèr ma mi-llailah (https://youtu.be/gyTqIV7otos?si=nCBw841JNuo63xhY):

"La notte è quieta senza rumore,
c'è solo il suono che fa il silenzio
e l'aria calda porta il sapore
di stelle e assenzio. 

Le dita sfiorano le pietre calme,
calde di un sole memoria o mito,
il buio ha preso con sé le palme,
sembra che il giorno non sia esistito. 

lo, la vedetta, l'illuminato,
guardiano eterno di non so cosa,
cerco innocente o perché ho peccato
la luna ombrosa.
[...]
Sono da secoli, o da un momento
fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento
angoscia o pace. 

Coi sensi tesi fuori dal tempo,
fuori dal mondo sto ad aspettare
che in un sussurro di voci o vento
qualcuno venga per domandare.
E li avverto, radi come le dita,
ma sento voci, sento un brusio
e sento d'essere l'infinita eco di Dio.
[...]
Cadranno i secoli, gli dei e le dee,
cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e idee, polvere e segni. 

Ma ora capisco il mio non capire,
che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull'avvenire
è in una voce che chiederà: 

Shomèr ma mi-llailah?
Shomèr ma mi-lell?





Dopo aver gustato con la dovuta lentezza (anche dovuta al caldo che ci cuoce i cervellini in umido... Ecco perchè all'ingresso si possono prendere gli ombrelli parasole) ci concediamo una breve pausa nel parco, lungo il fiume, all'ombra. Regna una pace ineffabile, nonostante i numerosi gruppi di adolescenti in motorino che si danno appuntamento qui. Grande plus della visita sono gli animali che si possono ammirare: uccelli acquatici di ogni genere, scoiattoli rossi dalla lunga coda bionda e soprattutto grandi varanoni. Mentre ne guardo uno che nuota, quasi ne calpesto un altro gigantesco, di circa 3 metri se comprendiamo la coda. Sono bestie comunque abbastanza timide, che tendono ad allontanarsi se qualcuno si avvicina troppo. Almeno, qui. Sono anche estremamente buffi quando camminano. Certo resta che sia meglio non farsi mordere: so che hanno dei batteri tra i denti e nel cavo orale che per l'uomo sono pericolosissimi.








varano sul ramo a sinistra e airone sul ramo a destra


Ci dirigiamo quindi al Wat Phra Si Sanphet, dove svettano tre stupa perfettamente conservate, che risalgono alla fine del XV secolo. Purtroppo non ci si può più arrampicare fino in cima, ma danno comunque l'idea di quanto grandioso dovesse essere questo complesso di templi, inglobati nei cortili del palazzo reale. Queste strutture furono usate come modello per gli edifici più importanti di Bangkok. Qui era anche custodita una statua di Buddha in piedi alta 16 metri e ricoperta con 143kg d'oro. Due highlights: un monaco che si mette in posa per una foto scattata da un altro monaco, e la posa consiste nello stare in piedi, mani sovrapposte a palmi in alto, occhi chiusi come stesse meditando. Fa veramente riderissimo. E poi una scolaresca in gita con i bimbi in uniforme che si incastrano tutti, uno dopo l'altro, con gli ombrelli aperti in un cancello stretto. 









Subito accanto si trova il Wihan Phram Mongkhon Bophit, un santuario che ospita una delle statue di Buddha in bronzo più grandi della Thailandia. Realizzata nel 1538 e rivestita d'oro, alta 17m, fu danneggiata intorno al '700 da un incendio prodotto da un fulmine, e poi di nuovo dai birmani. Purtroppo la statua è coperta e non visibile, in quanto sono in corso dei lavori di restauro. Tuttavia rimane interessantissimo vedere come i thailandesi devoti donino denaro e offerte per acquisire meriti.



squirrew!

Siamo quasi giunti alla fine della nostra visita: tra autisti di tuk-tuk un po' molesti (ma poco, per lo più va così: "Madame madame tuk tuk? -No, thank you! -Ok!) e procacciatori che cercano di vendere tour acchiappaturisti, ci spostiamo verso il Wat Phra Ram. Qui svetta un'alta torre meno conservata delle altre. Pare risalga al 1369 e segna il punto in cui fu cremato U Thong, primo sovrano del regno di Ayutthaya. 





Cominciamo anche a vedere alcune elefantesse bardate e con tanto di baldacchino e conduttore in abito tradizionale che portano i turisti attraverso il parco. Inutile dire che lo spettacolo provoca curiosità in prima battuta, ma poi grande tristezza: questi animali, così intelligenti e sensibili, vengono sfruttati e tenuti in crudele cattività.





A questo punto siamo esausti ma felici per tutto ciò che abbiamo visto, tra storia e natura. Ci meritiamo un paio di dragon fruit maturi dolcissimi, comprati al mercato, e un giro tra le bancarelle dello street food. 









Concludiamo la giornata con una cena in guesthouse piccantissima ma terribilmente buona, dopo che Gigi ha per sbaglio chiuso la gatta, ormai innamorata di noi, in camera (cosa che mi fa ridere più del dovuto, pora micia, perché pure a casa Gigi chiude la sua Polpetta in armadi e garage senza accorgersene, poi la cerca per ore, disperato). Studio anche la traccia di domani. L'idea è quella di raggiungere Lopburi, che fu capitale ancor prima di Ayutthaya e oggi è conosciuta come città delle scimmie. Dista solo 60km, quindi possiamo poi proseguire e avvicinarci al grande parco naturale di Khao Yai (110km da Lopburi circa), dove forse avremo la fortuna di imbatterci nella ricca fauna selvatica che lo popola (ma solo dopo aver comprato le calze anti sanguisughe, che pare pullulino nella stagione delle piogge). Insomma, anche le due prossime  tappe si preannunciano spettacolari. E poi questo risalire pian piano lungo il corso della storia thailandese mi sta permettendo di conoscere un po' per volta la profondità del luogo, oltrechè la sua varietà nello spazio. E' come lanciare un sasso in uno stagno, e seguirne i cerchi sulla superficie, sempre più ampi, pur nella consapevolezza del fondo che c'è, ma non si vede. Si può solo sentire.


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