sabato 23 luglio 2022

13-14. Inizia la scalata delle pedalANDE. Cuccioli d'inca e zuppe di zampe







Giovedì, 21/7
Ocoña-Camanà
59km

Quella di oggi è stata una tappa strategicamente breve: domani si comincia a scalare e,nei due giorni che ci separano da Arequipa (180km circa) dovremo affrontare più di 3200m di dislivello. Di per sè cosa fattibile, non fosse che le nostre bici sono cariche per due mesi in autonomia e pare di trascinarsi il cadavere d'Ettore intero, ma senza carro e senza cavalli a trainare, solo la stessa furia d'Achille.
Questa mattina ci concediamo una mezz'ora in più di sonno, cosa che disturba moltissimo la signora dell'hospedaje Secretos. Alle 7 comincia a fare cose piccole con gran rumore: apre e chiude porte, passeggia nei corridoi con pantofole di cemento, cucina con una batteria (non di pentole, le percussioni). Insomma, ci fa capire che siamo quegli ospiti che iniziano a puzzare come il pesce. A onor del vero, puzziamo da gran tempo e mi stupisce che non ci abbiano ancora denunciati per disturbo alla quiete pubblica, e non c'è da stupirsi che i cani mi inseguano. A volte, nelle salite, devo aprirmi il giacchetto perchè ho caldo e gli effluvi che salgono dalla termica ormai stagionata mi stordiscono e rischiano di narcotizzarmi mentre pedalo. Chiusa parentesi afrori.
In breve siamo pronti e di nuovo in sella, alla ricerca di un locale dove fare colazione. Qui si usa fare un pasto normale, al mattino, con zuppa, caldo de gallina o riso e carne. Ma noi sappiamo che qualche anarchico fa anche il cafecito. Un paio di giri per le vie del paese, qualche auto pimpata con cristi e preghiere


ed eccoci nel lugar bonito che cercavamo. Quattro assi di legno e un kilo di Nescafè bello aggrumato, portato qui direttamente da Pizarro nel '28 del Millecinque.



Due tazze di acqua calda, un po' di zucchero e qualche pacchetto di biscotti Casino (serviti, per buona forma, in un cestino di plastica) e via. Colazione fatta.



La strada ci chiama e Ocoña finisce prima ancora di poterla salutare, con quattro mucche a bagno nel fiume, un murales alla votantonio, per il candidato Bruno (ma quindi ora si nomina, Bruno?) e una statua un po' così, diciamo tristarella.




Poi si ricomincia subito a spingere sulle salitelle costiere. I 500m di dislivello si bruciano tutti nei primi kilometri. La strada buca il deserto e le dune, ricuce distanze, corre verso l'interno e poi risbuca all'oceano. Il sole va e viene, ma oggi fatica a scaldare e l'atmosfera tende a essere vagamente cupa, con un che di irrisolto.






Passiamo una serie di stabilimenti balneari chiusi e qualche baretto disabitato, dove nemmeno i cani son rimasti. Solo le pareti di giunco che fanno da paravento e i copertoni, che qui sono usati come valido e ricorrente elemento d'arredo. Ci sono copertoni di ogni forma e dimensione, ammassati, impilati, usati per costruire cose e pure sfruttati per fare arte.


Questo sotto, ad esempio, è un coniglio. Un coniglio che chiede una buona morte, rapida e indolore, per cessare un'esistenza così misera. Ma pur sempre un coniglietto.


Qui invece i copertoni vengono proprio coltivati, ce ne sono interi campi con filari disposti in bell'ordine perchè quando si fa qualcosa bisogna farla bene, con cura.



Ci sono filari anche di muertitos, come un po' ovunque lungo questa strada che, per certi versi, è un vero e proprio cimitero.


D'improvviso terminano le salitelle e inizia un discesone in picchiata lungo canyon di sabbia compatta. In un volo siamo giù di nuovo, di nuovo alla costa. Dobbiamo riempirci gli occhi di oceano perchè non lo vedremo più per gran tempo, e mancherà quando l'altopiano arido si spalancherà intorno a noi per ogni parte fin dove lo sguardo arriva.









Il nostro volo in discesa è accompagnato da quello degli avvoltoi, ormai compagni di viaggio. Ce ne sono tantissimi e non temono il nostro passaggio. Volano a cerchi larghi sopra alle nostre teste e no, non è ancora ora che assaggino le nostre carni (ma forse, per l'odore di cui sopra, ci percepiscono già come carcasse in putrefazione. Capirei il fraintendimento).


Inizia la parte in piano della tappa: siamo tornati a livello spiaggia, dove si apre una valle costiera che è un susseguirsi di paesi e paesini. Il primo è Jaguey, dove ci fermiamo a un benzinaio per gonfiare la mia ruota posteriore. Non è bucata ma la valvola non tiene bene e mi trovo a pedalare con la gomma un pochino sempre molle. Un fastidio! Oggi la cambiamo.



Appena ripartiti constatiamo che, causa lavori in corso e senso unico alternato, una colonna infinita di camion ingorga la strada. Percorriamo in contromano un tratto, tanto i mezzi che arrivano in senso opposto sono rari come i nantes di Virgilio.


Scattiamo qualche foto alla piana verdissima che si stringe tra oceano e paesi, per rifiatare. L'adrenalina è in circolo, l'ansietta di fare un frontale con un tir non manca.





Anche perchè il cantiere è enorme e ovunque ci sono chiusure e file di camion. Oltretutto qui il senso unico alternato è un concetto vago: passano quelli del senso opposto MA se sei amico degli operai, se sei un bus, un minibus, un taxi, un mototaxi, un motorino, un'auto piccola ecc puoi comunque passare. Quindi su una sola corsia si muovono in modo del tutto caotico mezzi in ogni direzione, un po' sull'asfalto, un po' nella sabbia a bordo, un po' a caso, perchè Gesù ci ama e protegge.




Finito l'incubo dei lavori in corso, attraversiamo una fila di paesi tranquilli, che paiono vivere delle spiagge vicine e dell'agricoltura che qui è florida e produce per tutti. Ogni abitato ha il suo parco giochi, la sua passeggiata pedonale, i negozi e i ristorantini, la sua dose di polvere e marciume, i suoi perri maldidi, la sua umanità variegata, dai bimbi che tornano da scuola, vestiti in uniforme, alle anziane che trascinano borse piene di borse, piene di borse.





Quasi all'arrivo facciamo una breve sosta: siamo in anticipo, sono solo le 13 e il check in in hotel (prenotato, bontà sua, su Booking) è dalle 14. Riflettiamo su cosa spinga certuni ad "accontentarsi" di vivere in mezzo all'immondizia, tra cani randagi e case fatiscenti. Non è questione di denaro e basta. Si può essere poveri ma con grande dignità. E' questione di abitudine, di uso, di consuetudine inveterata. Mi chiedo come il mondo globalizzato cui tutti accedono tramite internet possa influire, in positivo e in negativo. Le mie elucubrazione restano marcate da una nube di punti di domanda.





Ultimi 12km. Pareti di sabbia conducono alla valle del Rio Camanà, che attraversiamo grazie al ponte... Indovinate? Esatto! Camanà. Che porta alla città di... Bingo! Camanà!





Questa città è stata fondata dagli spagnoli nel 1539, prima che si trasferissero in Arequipa. Queste terre feconde sono state il nucleo originario, la prima radice, della più giovane "città bianca" che sorge già sui monti.



L'ingresso in città è più facile del solito. Il traffico non manca, ma è piuttosto ordinato, quantomeno secondo i parametri latinoamericani. Ci accolgono un enorme Cristo tuffatore


una Vergine e un Sangiuseppe di dimensioni importanti, nonchè una chiesa con annesso collegio.



Campi di mais e patate,


cartelloni di campagna elettorale di candidati di dubbia moralità, tricicli,


altra pubblicità politica


e pure un meccanico ciclista, dove ci fermiamo a comprare un paio di camere d'aria.


Gigi si fa serrare bene i pedali e incrociamo il primo ciclista vero e proprio, con abbigliamento e casco. Qui ciclismo significa mountain bike.


numeri di gare locali


Soddisfatti dell'incontro fortunato, ci rituffiamo verso il centro della città.


Dopo aver preso possesso della stanza e aver risposto a tutte le domande sulla colazione di domani (un interrogatorio che dura venti minuti: ma la vuoi la salciccia nelle uova? E il succo, come? E il caffè caldo o tiepido? Ma la salciccia anche nel caffè? Sicura no? Magari nel cu*o, che dici?) ci dedichiamo a una serie di noiose ma necessarie pratiche. Cambiamo la mia camera d'aria, che ha la valvola sifulina. Poi mi predo la briga di riparare con le toppe la camera bucata da Gigi a Palpa, per la maledizione dei numi dei Nazca. Incredibilmente, riesco al primo colpo. Gigi ascolta ciò che la foratura ha da dire: niente. Bene così, deve stare TSITTA.


Ci buttiamo quindi nel casino generale che anima il centro. Siamo in piena zona di mercato, botteghe, bodeguite e ambulanti di ogni genere, ma pure accattoni, mendicanti e anime perse.







Qui più che mai si nota la presenza di polizia armata fino ai denti e in tenuta antisommossa, ma anche di agenti privati della Serenzago, che pattugliano le vie peruane brandendo e facendo roteare i manganelli. Meglio girar larghi. Fuori da ogni negozio che vende articoli un minimo di valore (banche, elettrodomestici, gioielli...) c'è una guardia giurata. E tantissimi negozi hanno una sorta di grata che impedisce l'accesso: il commerciante sta dentro, con la merce e la cassa. I clienti, da fuori, chiedono e comprano; soldi e cose passano attraverso le sbarre di metallo.Qualcosa vorrà pur dire.

Raggiungiamo il centro, la Plaza de Armas, con chiesa e municipio.





Cambiamo un po' di euro in soles, e ne ritiriamo un tot dal bancomat. La banca è immacolata e silenziosa più delle chiese, e chi entra è controllato a vista da una guardia che pare stia andando in guerra. Anche questo vorrà pur significare qualcosa.

Torniamo all'hotel percorrendo la pedonale del centro, dove ci sono le statue dei galli e quella del gamberone. Perchè galli e gamberoni sono belli e si mangiano anche.




Ci lasciamo poi rapire dal caos generale dell'arte del mercanteggiare "roba", dalla frutta più profumata al pane caldo. Non resistiamo a dolcini al dulce de leche e manjar blanco, una crema aromatizzata al limone e cannella.





farmacia della Virgen PODEROSA. Perchè le medicine arrivano fin dove possono

Dopo aver studiato le prossime tappe con cura, viene ora di cena. Non mangiamo nulla dalla colazione e siamo affamati. Torniamo per via, tra smistatori di granaglie


e ambulanti "non igienicissimi" che vendono hamburger, spiedini e altre cibarie assortite. Qui veramente trovar cibo non è impresa ardua. Le strade sono pregne di fumi di griglia e profumi densi di grasso che sfrigola.


Finiamo in un locale che offre due sole pietanze: carne di lama (non sono ancora pronta) e pizza. Vada per la pizza. Ho registrato un video dell'assaggio pizza peruana, si trova su Instagram e Tiktok. Il locale è di un certo tenore, infatti qui non entrano i cani randagi affamati ma gli anziani randagi affamati, mendicanti disperati a cui non si può non dar qualcosa. Un uomo, a quell'età, per ridursi all'umiliazione così grande di allungar la mano in questua, deve veramente non aver alternative.


Mentre torniamo in hotel facciamo acquisti di frutta e provviste per domani, così da partire direttamente dopo colazione, senza indugi.




Quanto sono belli i fruttivendoli? E non avete idea di quanto dolce e succosa sia la frutta! Buo-nis-si-ma!


Venerdì, 22/7
Camanà-Majes
84km

Oggi ci attende una giornata importante: si inizia a salire. Più di 80km e 1700m di dislivello positivo ci separano da Majes, città a mezza via in direzione di Arequipa la bianca. Ci alziamo presto e la ricca colazione dell'hotel ci dà una botta di energie per partire.


In un attimo siamo fuori: abbiamo fretta di andare, vogliamo subito misurarci con i giganti di pietra, saggiarne la durezza, solleticarne i fianchi. Ci tuffiamo nel centro di Camanà che ancora dorme. Hanno allestito un enorme centro vaccinale mobile, fatto con tende militari, in Plaza de Armas, ma di gente in giro se ne vede ancora poca. Quella poca, ci osserva con bonaria curiosità e ci saluta con un sorriso. Ricambiamo sempre con un sorriso ancora più largo, come accade ogni volta che che ci sclacsonano o ci fanno le luci, o i lampeggianti, o accendono l'altoparlante che grida "tamales tamales!" per incoraggiarci nel pedalare.
Facciamo anche una brevissima sosta benzinaio per gonfiare bene la mia ruota posteriore, e siamo on the road again.


Camanà finisce alle spiagge, tra palme e pollame che razzola sui tetti delle casite. Poi si susseguono paesini un po' polverosi e cadenti, luoghi di villeggiatura affacciati all'oceano che sono un po' carini e un po' marcescenti, a seconda della prospettiva.






La pianura termina presto e si comincia a salire. Ci siamo. Da qui poi sarà ascesa, sarà quota da conquistare metro a metro. Salutiamo il Pacifico in una luce grigia un po' malinconica, degna di un addio. Ma no, è un arrivederci a fine viaggio, quando torneremo a Lima! Per ora voltiamo le spalle all'oceano senza indugi. Il vento oggi è incredibilmente a favore e ci spinge verso le fauci di pietra dei monti.



La strada è in ottime condizioni e il bordo è largo e asfaltato, lusso che non si vedeva da giorni. Peccato solo per i perri incappottati che fanno la guardia a isolate baracche. Sono addestrati a difendere il territorio e lo fanno, eccome se le fanno. Appena ci vedono, da lontano, iniziano ad abbaiare e, quando siamo a portata di morso, ci corrono incontro minacciosi. Io non ho nè ho mai avuto paura dei cani, ma qui spesso si viene inseguiti e i polpacci restano a pochi centimetri dai canini aguzzi. E il peggio è che, in caso di morso, l'iter sanitario e di profilassi è infinito.

Passiamo l'ennesimo casello, sempre a gratis, e, con il cambietto morbido morbido, ci incamminiamo su per le lunghe rampe che vanno a perdersi tra le alture.



I primi 20km di salita sono parecchio impegnativi: raggiungiamo quota mille tra curve strette e roccioni sporgenti, mentre camion enormi e pullman turistici sfrecciano o sferragliano, a seconda del loro stato e del loro peso, comunque rumorosamente. Noi saliamo a 7km/h di media e pensiamo entrambi, con orrore, senza dircelo, che di questo passo arriveremo a notte fonda, distrutti.





Poi, lentamente, la pendenza si allenta un poco, la salita molla la presa e morde con meno violenza. Si stringe la valle, intorno non c'è più caligine ma un cielo azzurro che si apre come un abbraccio. Il primo muro è alle spalle, per quanto ci sia costato uno sforzo importante, da sudar pure la cresima.





Appena scolliniamo il primo ordine di monti, ci si apre davanti un paesaggio arido, desertico, sferzato dal vento (che resta sempre in poppa, non ci credo nemmeno io), cui fa da sentinella l'immancabile baracchino di legno e giunchi che vende gaseosas e snack.



Ovviamente ci fermiamo: siamo già prosciugati da sole rovente e dalla fatica, ma non abbiamo percorso nemmeno un terzo della tappa. Registro un video (si trova su TikTok e IG) di quasi delirio perchè siamo consapevoli di aver tenuto la ridicola media di 10km/h e di dover pedalare ancora ORE in quelle condizioni. Coinvolgiamo anche l'anziano proprietario della bodeguita, sordastro e bruciato dal deserto, che ride con noi o forse di noi, chissà.







Viene il momento di ripartire e scopriamo che la strada è meno crudele del previsto: non c'è più salita secca a tornanti, come prima, ma un lunghiiiiiiiiiissimo falsopiano che trafigge come una freccia dalla punta in ossidiana valli e colline. Con il vento a favore ci muoviamo senza troppe difficolta e, lentamente ma con costanza, guadagniamo in altezza.





Inizia a fare caldo, come non ha fatto finora. L'aria è molto fresca, infatti appena ci si ferma si rabbrividisce, ma il sole pesta con forza e fa friggere i nostri già provati cervelletti. Continuiamo a spogliarci e rivestirci a strati perchè non riusciamo ancora a trovare la giusta misura.



L'altopiano desertico si punteggia di macchie verdecupo, e son cespugli ispidi. Per il resto, macchie d'azzurro, sopra, e di rosa e ocra, sotto, a fondersi in un confuso acquarello che sfuma a bordo del campo visivo. Perchè comunque la fatica si fa sentire.





Con un'accelerata insperata raggiungiamo Castilla, che ci accoglie prima con alcune casupole semideserte, poi con tanto deserto vero e proprio,





e infine con una distesa fertile che sembra non c'entrare proprio nulla, qui. Si tratta di un enrome fondo agricolo, Pampa Baja, sorvegliato da guardie armate.


Nella cittadina vera e propria (due case, tre negozietti) ci fermiamo a bere qualcosa di fresco. Se un minuto prima, pedalando, avevamo caldissimo, ora, fermi all'ombra tremiamo di freddo. Inoltre due enormi cani da guardia ci attaccano, e deve intervenire il proprietario che ci dice di stare fermi immobili, e poi di allontanarci piano piano mentre li tiene fermi. Alla facciazza, grazie eh.
La bodeguita prescelta vende yogurt come non ci fosse un domani: a Majes ci sono diverse industrie casearie e di lavorazione del latte vaccino, perchè è una piana verde e le vacche (rare in Perù) possono pascolare.


Passiamo del buon tempo a chiacchierare con Elizabeta, la figlia della negoziante, che ci tempesta di domande (ma cosa avete nelle borse? Avete giochi? E cosa avete nelle borracce? Coca-cola? No acqua. Vuole controllare, non si fida). Poi impara a suonare i campanelli di entrambe le bici ed è un concerto.




Dopo aver passato una buona mezz'ora a fraternizzare con questo cucciolo andino, viene il momento di ripartire. Passiamo sotto all'arco che celebra il distretto di Majes, con le sue meraviglie: cereali, vino, latte, corrida e galli da combattimento. Ebbene sì.
Un ultimo strappo di sabbia ed ecco che cominciano i campi e le industrie casearie, le stalle e frutteti.


mozzarella!


Si trova qui anche l'azienda "Gloria" che detiene una fetta enorme di mercato nei prodotti derivati del latte, qui in Perù. Fin dal primo giorno abbiamo visto TIR e furgoni con il suo logo, un fiore rosso con al centro una testa di mucca... Logo che mi ha sempre fatto impressione perchè pare, più che altro, un hamburger di vacca esplosa, detonata, finita su una mina anticarro.



Siamo ormai agli sgoccioli della tappa e delle energie. Entriamo in El Pedregal, città principale del distretto di Majes, alla ricerca di un albergo. Passiamo per un vialone centrale tutto cascine e stalle, così fino al centro del paese.






Per 40 ricchi soles (10 euro) prendiamo una stanza nel motel per camionisti Oval Inn, in periferia, il più vicino possibile alla Panamericana che dovremo riprendere domani per raggiungere Arequipa. In cortile, nella cochera dove lasciamo le bici, ci sono, nell'ordine: un triciclo con annessa macchina per popcorn da ambulante, un'ambulanza e delle gabbie con galli maestosi... Da combattimento. Sono l'orgoglio del proprietario dell'albergo. Come se non bastasse, siamo accanto al mercato e alla stazione degli autobus e il sole tramonta su un fiume di varia umanità che vende e compra e transita, nello spazio e nel tempo.




Usciamo per la cena e le sorprese non sono ancora finite. In primis, un lunapark (non ne ho visti di così attrezzati, finara, qui).


In secondo luogo, questa statua che, vista da lontano e al buio, non fa pensar benissimo,


e da ultimo la comida, muy rica y bonita ma piena di imprevisti. Ordiniamo la solita jarra di limonata fresca e invece ci portano la chicha morada, bevanda ottenuta dalla fermentazione del mais morado (quello scuro, viola) con una punta di anans. E' buona ma TROPPO dolce e densa, pare uno sciroppo. Eppure qui si beve al pasto... Anche vero che i peruviani non bevono quasi mai acqua: bibite gassate, zuccherate, colorate di ogni genere... Ma acqua mai.


Inoltre ci viene portato un antipasto senza che lo si sia ordinato. Un caldo, una zuppa brodosa. Sembra buona, ma, appena mescolata, ne sorte fuori una zampa intera di gallina. E poi il collo ossuto, e un fegatino. OH NO.




Arriva poi la portata principale e una cosa è quasi certa: ci verrà la gotta a breve.


Satolli, facciamo spesa di frutta e acqua per domani. Attraversiamo la zona del mercato ed è subito carnevale di Rio, ma meno allegro.
C'è veramente tanta, tanta povera gente che si affanna a tirare a campare sul nulla o quasi.
Gente che vive in condizioni dis-umane, non dignitose, al di sotto di ogni soglia dell'accettabile. Non sono i più, ma sono molti. Da turista del primo mondo il mio sguardo è appannato, e non coglie nè comprenderà mai appieno. Vedere, se non altro, conoscere, permette di avere coscienza, in senso stretto e lato. Il mondo è anche questa cosa qui. Forse, soprattutto, questa cosa qui. Grande e terribile.






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