giovedì 28 luglio 2022

17-19. Maledizioni antiche e gastromalattie MA si ricomincia a scalare!








Lunedì e martedì, 25-26/7
Arequipa
0km pedalati, pochi camminati

Avete presente quel dolcino vegan fattoamano nel locale fighetto dove abbiamo speso, in una volta sola, quanto pagato per le cene di una settimana intera, qui? Ecco, quel dolcino è la forma esatta che la maledizione di Atahualpa, ultimo imperatore inca(zzato) ha assunto, giustamente, a punizione di tutti gli europei che osano rimettere piede qui da cinquecento anni a questa parte. L'Inca si vendica e colpisce, e noi fragili esserini del cosiddetto primo mondo paghiamo con moneta simile, per quanto depotenziata nel tempo, quanto il suo popolo ha versato in sangue a conquistadores avidi d'oro e terre.

Insomma: infezione gastrointestinale (come, quasi, in ogni viaggio. Ne ricordo: in Grecia, tra Olimpia e i monti d'Arcadia, nel desolato Ferragosto; in Russia, a Mosca uscendo dalla Bielorussia e, l'anno dopo, al confine col Kazakistan, in un motel a ore per prostitute e camionisti; in Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan, per quasi un mese di fila; negli States, in un luogo imprecisato del Missouri lungo la Katy Trail, e persino nell'asettica Finlandia, a Inari. Nella vita precedente devo aver commesso qualcosa di terribile per meritarmi questo). 
Notte terribile, passata in bagno, con crampi assurdi, vomito e diarrea, tutto insieme, ininterrottamente. La giornata di lunedì è trascorsa in un dormiveglia febbrile, interrotto solo dalle gite in bagno, rese sempre più difficili dalla debolezza. Infatti, quando si viaggia in bici come facciamo noi, il corpo è già piuttosto stressato, affaticato e portato al limite. Non mangiare e perdere così tanti liquidi in un colpo solo è devastante. Senza contare che la febbre ha accentuato i dolori muscolari e delle articolazioni, al punto che pareva, a tratti, mentre ero distesa a letto, che un gruppo di cinque scimmie urlatrici nerborute mi stesse prendendo a sprangate con violenza ancestrale. Per fortuna tutto questo è accaduto in Arequipa, in un alloggio molto tranquillo e confortevole. La proprietaria, una burbera signora dai tratti andini (e vedrai) ha subito capito il problema sentenziando: "Bacterio!", e senza far storie, ci ha prolungato il pernotto per due notti. Gigi mi ha procurato fermenti lattici e sali minerali (venduti a singole pastiglie, fuori confezione), un bibitone con elettroliti vari al gusto fragola e sale, e l'antibiotico viene da casa. Così il primo giorno è trascorso interamente in camera e sul verandino antistante, con grande sofferenza fisica e morale.




Del miserando pranzo si è occupato Gigi, preoccupatissimo al limite del panico: riso bollito senza alcun condimento e cracker. Tutto puntualmente rigettato poco dopo.



Oltre al povero Gigi, che mi ha sopportata e supportata in questo momento di dolòr, ho trovato conforto nel gatito simpaticissimo e coccolosissimo dell'albergo, con cui ho fatto ampia pet-therapy.




Una considerazione a lato: nulla ricorda la fragilità umana quanto le budella quando smettono di funzionare adeguatamente. Come sempre quando ci si ammala si comprende quanto delicato e benedetto sia l'equilibrio che permette all'organismo di svolgere tutte le sue attività e permetterci di star bene e, banalmente, vivere. Ci crediamo grandi cose, a volte lo siamo, spostiamo le montagne con la forza di volontà... Poi basta uni microscopico batterio in un cucchiaino di panna mal conservata e la bolla di sogno esplode, torniamo sacchetti di sangue e merda separati dal resto del cosmo da un sottilissimo strato di pelle.

Gli antibiotici, comunque, fanno il loro. La mattina successiva mi sento molto ma molto meglio. Durante la notte ho sfebbrato. Se ieri un'ora di chat al telefono mi costava poi quattro ore di sonno, oggi mi sento di fare cose grandiose: la doccia, colazione, un giro in Arequipa. Tutto con calma, sia chiaro. Tra un'azione e l'altra intercorrono comunque momenti di riposo, anche perchè nausea e scariche ogni tanto si fanno sentire ancora. Ma stare un'altra giornata confinata in casa mi farebbe più male che non uscire al sole e all'aria fresca.
Infatti tornare per le vie e vedere gente e cose mi fa sentire immediatamente meglio. Poi qui in Perù è pieno di bagni pubblici, ce n'è uno in ogni mercato coperto e con un sol ti concedono persino il lusso di due strappi di carta igienica (qui bene abbastanza raro).



Andiamo a far compere per ciò che ci attende nei prossimi giorni, e ci lasciamo trasportare dal casino vitale e colorato dei bazaar.



Alla fine, ecco il bottino: una felpa pesante per Gigi, che si è reso conto di non avere vestiti del tutto adeguati per le notti in tenda sotto zero, in altura, oltre i 4000. Gas per il fornello da campeggio e relativi fiammiferi. Barrette varie perchè io non potrò mangiare schifezze e cioccolati vari per un po'. Cartadaculo fondamentale visti i tempi (se son rose fioriranno e se son cachi...). Caramelle alla coca per Gigi che non osa fino in fondo e foglie di coca da masticare per me che sono del partito: "Una volta nella vita bisogna provar tutto (o quasi)". Ho avuto autorevoli riscontri della loro utilità per combattere il mal di montagna e poi qui si rumina da secoli, sapranno ben che fanno questi andini! In ogni caso abbiamo il Daimox, un farmaco diuretico che serve anche per combattere il mal di montagna. Domani saliremo da 2300 a 2700. Dopodomani da 2700 a 4000 in neanche 50km. Probabilmente qualcosa servirà.


Nel pomeriggio, prima di cena, facciamo un'ultima passeggiata per il centro e Plaza de Armas. Mi colpisce un gruppo di attivisti del comitato interamericano per diritti umani, che coinvolge i passanti in un "gioco" contro la violenza delle campagne elettorali, per una democrazia libera e vera. Hai capito.


Poi viene il crepuscolo e salutiamo la ciudad blanca così, con le signore con gli alpachini che contano i soldi raccolti con le foto


il fiume che scorre grigio come la strada da cui ce ne andremo, domani,


l'ombra dei due vulcani a sentinella, che presto vedremo da un'altra angolazione


e gli artisti di strada che han sempre la capacità e il dovere di superarsi in fantasia, perchè altrimenti il cappello delle offerte resta vuoto.


Mercoledì, 27/7
Arequipa-Yura
30km

Oggi è il grande giorno! Oggi si ricomincia a pedalare, finalmente, si torna sulla strada!

C'è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l'unica salvezza
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
Di esporsi nella strada e nella piazza
Perché il giudizio universale
Non passa per le case
Le case dove noi ci nascondiamo
Bisogna ritornare nella strada
Nella strada per conoscere chi siamo.
(Gaber)

La nottata non è andata benissimo (il mio apparato gastrointestinale ha deciso di funzionare al contrario in tutti i i sensi e modi possibili), e Gigi nel frattempo si è preso un raffreddore con tosse secca che pare proprio il Coviddi, di quello che" non ce n'è". Però non ha febbre nè altri sintomi, per cui ce la facciamo andar bene. E poi la strada chiama, non ne posso più di star chiusa, di star ferma. La stasi mi ammazza. Quindi il fisico è così così ma il morale è altissimo. Ci congediamo dalla signora della Casona di Jerusalen, che ci ha accolti nonostante fossimo impestati e ora dovrà entrare in camera a far le pulizie col lanciafiamme. Ci chiede quali siano le prossime tappe e rimane letteralmente schifata dal basso kilometraggio giornaliero: per lei, 30km di salita si fanno in mezz'ora e 90, per altro tra i 2500 e i 4000, in mezza giornata. Vabe', dai, lei pensa in tempo-auto. Poi ci dice che a Yura e Imata, tappe di oggi e dopodomani, ci sono strutture (lo so), mentre a Canhaus no (so anche questo): le spiego che abbiamo la tenda. Lei rabbrividisce e ci dice che fa freddo, e dobbiamo portarci dietro un sacco di chocolate. Avoja. Pensa, signora, che ne ho trovata una tavoletta aperta sotto al letto, stamattina, e non era mica nostra. Marca Inca. Dell'epoca direi. Saluti, sorrisi e via. On the road again.


Uscire da Arequipa è stato impegnativo tanto quanto entrarci, per un solo preciso e chiaro motivo: il TRAFFICO. Il traffico delle grandi città peruviane è qualcosa di apocalittico, caotico, imprevedibile e fatale alla minima distrazione. I mezzi pesanti, che sopperiscono all'assenza quasi totale di ferrovie, ingombrano. Taxi, minibus e bus caricano la gente in corsa, le fermate sono usate fino a un certo punto. Viaggiano con le porte aperte e la gente salta su e giù alla bella, in modo del tutto imprevedibile. Allo stesso modo questi mezzi accostano per far salire la gente che fa segno con la mano, senza badare al fatto che stiano tagliando la strada a qualcuno. Idem con le svolte: senza freccia, si curva e via. Oltretutto il fondo è spesso irregolare, con tombini aperti, mucchi di sabbia e immondizia, e non c'è bordo fuori dalle corsie. Il tutto, in salita.


Passiamo dal distretto di Cerro Colorado e dall'aeroporto, con tanto di sezione militare dell'aviazione (in Arequipa abbiamo assistito a grandi parate di forze dell'ordine, grandi esercitazioni, grandi flexate e mostrar di muscoli). Poi, sotto lo sguardo dell'Inca, attraversiamo una zona di mercati di strada, dove si cominciano a vedere tante signore con gli abiti tradizionali, e questa volta non per far foto con i turisti. Perchè sono i loro.



Finalmente il traffico si dirada e torna un poco più sopportabile. Siamo quasi fuori dalla tentacolare ciudad blanca. Tornano a vedersi i fianchi dei monti, le strade sterrate e persino un brevissimo tratto di ferrovia, cosa rara finora.




La strada, che è di nuovo la carretera interoceanica, scorre placida nel saliscendi che ci porta attorno ai 2700m di quota. Tornare in sella non è proprio subito una festa, Gigi ha il fiato corto e io mi sento debole, molle proprio, invertebrata. Ma poi si prende il ritmo e si va. Tanto oggi è tappa brevis, non abbiamo fretta. Raggiungiamo in un sole ben caldo (oggi ho messo i pantaloni corti per la prima volta) il distretto di Yura, che ha tante baracche, molte bandiere, poche case vere e proprie.




E poi Yura vera e propria, racchiusa tra il canyon scavato dall'omonimo fiume e i fianchi del complesso dell'imponente vulcano Chachani. Gli scorci sono pazzeschi, e sono solo un'anticipazione blanda di quel che verrà nei prossimi giorni!







A Yura, città che non arriva a 200 anime, ci sono due cose. La prima è il cementificio "Cemento Yura S.A.", il cui prodotto è pubblicizzato in tutto il Perù. Un po' come il latte Gloria, il cemento Yura è un ritornello che cartelloni e slogan ci inculcano nel cervellino da quando siamo arrivati. Oh, eccolo qui. Brutto, ecomostruoso, che fa girar l'economia, dà lavoro, inquina e permette di tirar su case ben solide.


La seconda cosa di Yura son le acque termali. Infatti già dall'arco di benvenuto (pueblo tradicional, buoi dalle grandi balle, seminatrici)



l'odore di ovetti marci e zolfo si fa sentire. Purtroppo le uniche strutture non sono verso la strada, ma verso il centro, dove ci sono le piscine, quindi tocca scendere di quasi 150m che domani dovremo ripercorrere in salita. Ma tanto, domani, 150m in più o in meno non faranno la differenza.


Il toponimo deriva dal quechua yurac, che significa bianco, a indicare le saline a nord-ovest di Arequipa. Qui sono rimaste tracce di popolazioni preispaniche tra cui Collagua, Wari e Cachamarca. Per il resto poche case, una strada, una chiesa e qualche attività (ristoranti, hotel) che ruotano attorno alle benefiche acque sulfuree e ferruginose scaldate dal Chachani.




A quello che pareva essere l'unico hotel ci rimbalzano, dicendo di essere pieni (falsissimo, ne avremo conferma la sera stessa, ma pace). Troviamo alloggio in un hospedaje poco oltre, dove ci accoglie un ragazzo gioviale dal sorriso largo quanto la tesa del suo cappello da cowboy. Lavora sia al ristorante sia all'albergo e fa tutto ma con calma. La stanza vien pronta tra una media horita. Quindi  ne approfitto per passeggiare nel piacevolissimo parco che corre sotto alla strada, lungo i torrenti di acqua termale.



Mentre la musica della picanteria si fa lontana, mi lascio assorbire da tutto questo verde, da tutta questa linfa vita vegetale cui non sono più abituata. Gli alberi, l'erba e i fiori fanno bene all'anima. Non ce n'è.




Raggiungo uno dei due stabilimenti in cui si imbottigliano acqua e bibite e trovo la prima fontanella pubblica del Perù. Oh gioja!





Torno pian piano verso l'hospedaje, incrociando famiglie e grupponi numerosi di nonne, bimbi e cani che si apprestano a godere dei benefici delle acque di Yura. C'è un clima allegro e leggero, ma non rumoroso nè caotico. Potrei passare qui le prossime due settimane. Salvo poi fremere per ripartire dopo due giorni.










Risalgo alla strada, Gigi è ancora sulla panchina dove l'ho lasciato; ci sono, ora, due etti di frutta secca in meno tre perri amichevoli in più. Il tempo di una coccola ed ecco che la stanza è pronta. saliamo all'ultimo piano (ascensore MAI pervenuto) di una struttura colorata, un po' fatiscente, con una vista pazzesca dalla finestra e dal balcone.





Doccia per scrostare la crema solare di colore e consistenza dell'argilla, pisolino perchè siamo un po' malaticci e cala il buio. Domani e dopodomani qui in Perù è festa nazionale. Si celebra l'indipendenza del paese dalla Spagna, ricordando i giorni nei quali il generale Josè de San Martìn, provenendo dal Cile al comando della spedizione di liberazione del Perù, dichiarò il paese libero. Il mio ottimismo riguardo al fatto che negozi e ristoranti, in una cittadina turistica, sarebbero comunque rimasti aperti, si rivela del tutto infondato.
Usciamo in strada e tutto è deserto e tace, non c'è anima viva, non si sentono voci nemmeno in lontananza. Solo i cani, tanti, tantissimi, il cui latrato riecheggia tra i fianchi di roccia del canyon.



E allora che si fa? Si fa che la volpe, ormai rodata di simili situazioni, ha sempre con sè una scortina alimentare di emergenza. Noodles, crackers, biscotti. Una cena. E che si vuole di più dalla vita? Un pisco?



Domani si parte presto. Abbiamo 54km di salita da affrontare. Puntiamo a raggiungere Canahuas, quota 4000m. Passeremo un paio di punti-acqua (baracchini, chissà se aperti essendo festa) e un piccolo agglomerato attorno alla zona del casello. Ma soprattutto la Pampa de Arrieros, con il suo pueblo fantasma e le vigogne!

1 commento:

  1. Non penso tu ti debba preoccupare di masticare quelle foglie. Non sono state trattate con acido e ammoniaca. Io che ho provato la cocaina posso dirti che se hai qualcosa nella testa funziona di più,e hai energie in più senza che te ne renda conto. . Forza ragazzi.

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