domenica 17 luglio 2022

7-8. Linee, maledizioni, misteri. Palpa e Nazca




Vedete qui sotto questi petroglifi antropomorfi, che osservano da tempo immemore la giostra delle stagioni con i loro occhioni spalancati, nel deserto di Palpa?


Vedete questo idoletto ligneo dal naso storto,


ma soprattutto questa effige di divinità dal piede-tappo di sughero?


Bene. Se avete formulato pensieri irrispettosi, dissacranti, empi, se avete pensato che sembrano scarabocchi di un bambino molto piccolo o molto problematico, se avete riso, o anche solo sorriso, sappiate che ora la maledizione è con voi. Come è stato per Gigi, che si è trovato poi così, in mezzo al deserto, solo et inops, a gonfiare una gomma bucata con un pompetta piccolissima.


Ma di tutte queste disavventure vi parlo poi. Se volete subito saperne, saltate alla tappa di sabato 16, nella seconda metà di questo post.

Venerdì, 15/7
Huacachina-Palpa
101km

Quella di oggi è stata una tappa di trasferimento, un passo lungo per avvicinarci a Nazca e al suo mistero di linee nella roccia. E' stata altresì una tappa di fatica da bestie, la prima da quando siamo in Perù. Ma c'è anche da dire che sta volgendo al termine la prima settimana di viaggio, quella che serve a farsi la gamba e ad addestrare il corpo e la mente a ciò che l'avventura richiede. Gambe, cuore e fiato sono allenati da settimane. Da mesi. Probabilmente da anni. Quel che si sta raffinando ora è l'abitudine allo stare in sella per molte ore, con la schiena curva e le ginocchia in spinta (e i calli al culo). Ma siamo macchine meravigliose, con l'uso e la perseveranza si ottiene molto, se non tutto.

Questa notte il vento si è levato forte, brutale, violento da far tremare i vetri alle finestre. Il suo urlo ha squarciato il buio per ore, sputando ovunque nuvole di sabbia. Questa mattina le strade ne erano coperte, quasi indistinguibili dalle dune. E il cielo inizialmente era lattiginoso e fredda l'aria.
Ma nel tempo di far colazione (tè, pane, avocado, zucchero, succhi di frutta freschissimi) il sole ha squarciato di nuovo le nuvole in strappi d'azzuro.
Siamo così ripartiti da questa città assurda, che ha radici nell'acqua e si mescola al deserto com eun acquerello.





l'oasi vista dall'alto





Dopo un ulteriore check-up meccanico (Gigi ha sempre l'impressione che la sua bici debba tradirlo da un momento all'altro), ci siamo rituffati nel traffico folle di Ica. Persino stando fermi, in piedi, sul marciapiede, motorini, moto, mototaxi e motori in genere cercano di attentare alla tua vita. Abbiamo percorso alcune strade interne, sopravvivendo alla sperindio (indio ha anche senso, qui), per ritornare sulla Panamericana Sur.
Prima di lasciare la città, abbiamo fatto scorta d'acqua e cianfrusaglie da mangiare, sapendo che poi sarebbe stato tutto solo inclemente deserto.
Da notare alcuni dettagli della bodeguita: anzitutto la grata/saracinesca sempre abbassata tra bancone e interno, onde evitare rapine e azione malandrine varie; e poi l'umarell (non Gigi) che sta seduto fuori casa a osservare le auto e la vita che corre por la calle. Umarell dal profilo evidentemente andino, che ci chiede informazioni sul viaggio.





Acquistiamo: litri 3 di acqua, 2 blocchetti anziani di cioccolato al latte marca "Sublime" (già testati, indigeribili, buonissimi), 2 pacchettini da 4 di biscotti relleni (un fresa, un lucuma) di marca "Casino", anzianissimi, al punto che il negoziante ce li ripulisce dalla polvere prima di darceli. Costo totale 3 euro. Con tali approvvigionamenti idrici e alimentari siamo pronti ad affrontare la distesa arida di nulla e sabbia.
Ma il deserto comincia un po' più in là del previsto.
Prima si susseguono pueblos sempre più piccoli e sempre più caotici.







Ma anche sempre più distrutti dal terremoto e più segnati dalla miseria. Si vedono persone buttate in terra a bordo strada, coperte di sporcizia, probabilmente a mendicare. Si vedono alcuni che, estiti di stracci, frugano nei mucchi di immondizia in cerca di plastica e metallo da rivendere, mentre altri cercano di vendere tre caramelle o due arance. Non mancano i cartelli che pubblicizzano curandere e maghi, presenti tanto quanto le casite dei defunti e le croci.




Le difficoltà in questo tratto sono principalmente il traffico, il fondo del tutto distrutto, ammalorato, sconnesso, coperto di sabbia, pieno di buche e rifiuti; e pure i perros incappottati e non, che ci inseguono per difendere la loro zolla di terra, e siamo costretti ad allontanare con urla e docce d'acqua dalle borracce (funziona! QUASI sempre). Qui la Panam si restringe molto, diventaa sole due corsie, una per senso di marcia. Inoltre il bordo spesso è inesistente e, se pure c'è, è sterrato male. Bisogna poi considerare che i camionisti hanno un concetto tutto loro, qui, di sicurezza e codice della strada; si superano tra loro con motrici vetuste e rimorchi abnormi, marciando in contromano e strombazzando come pazzi. Insomma, c'è da stare attenti.






Poi comincia il deserto. Per circa 80km non c'è altro, se non qualche baracca abbandonata e qualche perro affamato che cerca di nutrirsi dei nostri polpaccetti.







Non manca invece il vento, che tutt'un tratto si leva e inizia a prenderci a schiaffi in faccia. Ci sono momenti in cui, in piano, spingendo con ogni fibra del corpo, non superiamo i 10km/h. A questo si aggiungono numerose salitelle, brevi ma intense, che rendono il passo ancora più difficoltoso. Anche perchè il fondo continua a essere urendo e i camionisti molto sportivi. Compare ogni tanto un baracchino, in mezzo al nulla. Luoghi abbandonati? Probabilmente solo in apparenza.



Il resto è sabbia, polvere, immondizia accumulata negli anni. A volte si intravede qualcuno che la raccoglie su scassati tricicli a motore, per rivenderla. C'è anche chi campa dei rifiuti altrui. Troviamo persino una targa: un bel souvenir.









Sfibrati, aperti a metà dalla lama del vento, coperti di polvere, decidiamo di fare una pausa a bordo strada. Cerco anche di prenotare un alloggio a Palpa, meta di oggi, ma al telefono l'unica struttura con recapiti mi dice di non aver posto esser piena. Che strano... Quanta gente pernotterà a Palpa proprio stanotte?
Per me anche fare pipì è un dramma. Per decine di kilometri è tutto piatto e completamente brullo. Le mie chiappe chiare risultano visibili a occhio nudo da Ica a Nazca.



Riprendiamo il cammino, anche perchè a star fermi ci si raffredda (come sempre il sole è rovente ma l'aria resta fresca). Percorriamo un tentativo fallito di viale alberato, di cui apprezziamo sforzo e ottimismo del poeta sognatore che lo ha ideato.





Poi, in lontananza, si cominciano ad intravedere delle alture che sfumano nella luce che si sta abbassando. Ci stiamo avvicinando alla meta.



Ecco i primi cartelli che segnalano la presenza di petroglifi, di cui tutta l'area è coperta. Intorno, monti dai profili dolci, color ocra e rosa, rubano lo sguardo.








Cristo te ama... E pensa se t'avesse voluto male!


Tracce umane si fanno sempre più frequenti. Il deserto è agli sgoccioli. L'acqua del Rio Grande scorre qui poco avanti.





Ed eccoci infatti nelle campagne di Santa Cruz, con le i banani e i cactus da fichi d'India. Ecco di nuovo il verde, ecco la linfa, la vita.





Dopo il deserto qualsiasi luogo del consorzio umano, anche il più miserando dei villaggi, pare un porto sicuro, un faro di civiltà. E' quel che mi era accaduto in Siberia, quando mi sono commossa per il disegno e i colori di un Anubi di pessimo gusto sulle piastrelle di un bagno in una gostinitsa marcia... Dopo giorni di fango, betulle, pioggia e asfalto muto, mi era parsa un'opera d'arte degna dell'altissimo genio umano. E' quanto capitava anche in antico ai contadini che giungevano alle città e si trovavano di fronte le cattedrali, le torri, le finestre ornate e il lusso di fare qualcosa di bello per il puro goderne, senza utilità pratica, solo estetica. E' n privilegio di cui abbiamo scordato il valore.



Si comincia a salire. Mai con pendenze proibitive, ma dopo 90km di vento contrario e fondo disastroso si fa fatica comunque, Per fortuna la bellezza di queste alture distoglie dal lamento di muscoli e tendini e porta in alto il pensiero.




Si avanza piano, pianissimo, quasi fermi, con quel minimo di velocità che serve a restare in equilibrio. La strada corre tra muri id roccia ocra che l'ultimo sole fa splendere come oro fino, mentre l'ombra allunga la mano a rubare il colore.








Finalmente si scollina, e sotto di noi si spalanca la valle di un ramo del Rio Grande, che è verde e umida e ci aspetta in basso. Ci lanciamo nella discesa inebriante godendo ogni metro di brezza fresca







Non manchiamo di apprezzare anche la cosiddetta "cara de l'inca", una formazione rocciosa che ricorda il profilo di un volto andino. Custodisce il passaggio a valle, e sta silenziosa da millenni ad osservare chi viene e chi va, nella giostra folle di noi esseri umani così pieni di vita, così destinati a esser brevi.



Passiamo da Rio Grande, cittadina piena di polvere che si leva in mulinelli con il vento. Oltre alle case, piccole e colorate, qui, ci sono baracche e strutture di materiale recuperato, per quanto qualche negozietto ci permetta di far rifornimento di acqua.





Ultima salita, ultimo strappo. Dobbiamo anche affrettarci: manca poco al tramonto.




Arriviamo finalmente a scollinare che quasi è buio, ma riusciamo a gettarci in picchiata verso Palpa senza ulteriori indugi. Qui, passato il caos di auto e fruttivendoli in strada della periferia, troviamo posto nell'hospedaje che al telefono mi era stato venduto come pieno. Invece è vuotissimi e ci danno persino una tripla per il cifrone di 15 euro. Ahi ahi, male male signora. Non è che l'accento da gringa l'ha messa in allarme, al telefono?



banda, musica e sfilata per il candidato alle elezioni mister Oliva


Sistemiamo bici e bagagli e, dopo la doccia, prima di cena, ci rilassiamo un po' (arriviamo sempre presto, entro le 18, per evitare di pedalare al buio). Mi rendo conto che il corpo sta prendendo la forma del cicloviaggio. Mentre io quella di un inca infagottato, perchè qui, quando cala il sole, la temperatura scende in picchiata e non solo le camere non sono riscaldate (mancano proprio gli impianti) ma non hanno nemmeno gli infissi e quindi tutte le finestre sono irrimediabilmente spalancate.




Usciamo a procacciarci qualcosa da mangiare e ci muoviamo verso il centro, Plaza de Armas (ariridaje). Apprezziamo la chiesa


i portici e la piazza




ma soprattutto il ristorantino dove decidiamo di fermarci.



Questa sera: alette di polli caramellate con patatine e salchipapa, ovvero wurstel e patatine, piatto tipico da fastfood latinoamericano di origine peruviana. Il tutto sturato con una bella jarra di limonata fresca (tutte le guide e la Farnesina stessa sconsigliano di bere acqua non in bottiglia e di mangiare frutta e verdura crude. Noi stiamo mediamente attenti, ma non siamo estremisti. Finora tutto bene).


Due parole su Palpa, anche perchè altrimenti non si capisce che ci facciamo, qui (oltre al fatto che è la prima e unica città con strutture turistiche raggiungibile in un giorno di viaggio a pedali). Più di 5.000 anni fa, la valle di Palpa era abitata da popoli autoctoni che spesso usavano le rocce vulcaniche per rappresentare gli eventi della vita quotidiana, come gli animali (condor, gatti, serpenti, lama, cervi andini), le divinità... Nella valle di Palpa, nella zona di Chicchitara, ci sono oltre 300 incisioni rupestri e questi petroglifi sono una delle espressioni culturali più importanti del passato del Perù. Queste linee si trovano vicine a quelle, più famose, di Nazca. Inoltre sono presenti numerose zone di interesse archeologico con necropoli, città, centri cerimoniali... Gli scavi sono ancora in corso, in molti casi. Queste opere, prodotte dalla civiltà Nazca tra 300 a.C. e 500 d.C., saranno fulcro della nostra giornata di domani. 


Sabato, 16/7
Palpa-Nazca
50km

Oggi andiamo a caccia di linee, signori. Di misteri scritti nella sabbia, di fili di un passato che ancora serba segreti e tace come tace il deserto.
Ci alziamo con calma, tanto oggi i kilometri da pedalare sono pochi ed è più una tappa di visita che non di movimento. Anzitutto andiamo a fare colazione alla palpeña, con tamales e succo di papaya. Poi decido di immortalare due cose tipiche dell'edilizia peruana. Anzitutto, gli infissi mai chiusi e numerose "prese d'aria", nei muri e sui tetti

un vano interno all'hospedaje, senza tetto chiuso



e il fatto di lasciare le case con un ultimo piano iniziato ma non finito, senza tetto, giusto abbozzato con qualche mattone e fil di ferro.


Partiti. Il primo tratto è verdevita, con mais, cactus e banani. Il Rio Grande qui fa il miracolo delle radici e trasforma il deserto in linfa. Si susseguono piccoli pueblos un po' polverosi, dove si vende il prodotto tipico della zona: agrumi. Mucchi di arance e mandarini, piramidi di arance e mandarini, distese di arance e mandarini affollano i mercati a bordo strada.






Poi ricomincia la distesa arida di dune, ma non è deserta, tutt'altro. E' popolata infatti da geoglifi, linee, figure. Tra qui e Nazca sono oltre 800 disegni per 13.000 segno, alcuni lunghi centinaia di metri. Avvistiamo il primo mirador, torretta panoramica per vedere i petroglifi dall'alto. Deviamo decisi dalla Panamericana al sentiero laterale.





Saliamo, un po' intimoriti dalla struttura barcollante e dai gradini sconnessi ed eccole qui le figure misteriose.





Intorno, il vuoto visto dall'alto. Fa impressione.




Ci facciamo due selfie e qui Gigi commette l'errore imperdonabile: deride gli idoletti, li apostrofa con parole empie, schernisce i santissimi illuminati artefici di cotanta e cotale grandiosità. E questo agli idoletti con gli occhi spalancati strafatti e i capelli dritti non piace. Per nulla.




Ignari, torniamo alle bici. Un colpo di pedale, un altro. Alle mie spalle un lamento: "Volpe, ho bucato". "Ma sei serio?"
"Sì".
E così, proprio di fronte ai quattro Palpanumi, tocca fermarsi. Tirar giù i santi (quelli nostri, molto meno vendicativi), i bagagli, il portapacchi, la ruota, il copertone, e cambiare camera d'aria. Trovo lo strumento della punizione divina: un chiodino minuscolo, ritorto, che si chiama castigo degli empi, umiliazione dei peccatori, scudiscio dei tracotanti.




Ed ecco qui Gigi l'hybristes che si trova chino davanti agli dei, costretto alla terra cui apparteniamo noi mortali, a rigonfiare la gomma con la pompetta minuscola d'emergenza. Così i numi Nazca ci riportano alla nostra piccolezza, alla fragilità umana. Siamo polvere. Siamo sabbia.



L'operazione va comunque a buon fine e siamo pronti a ripartire. Resta a Gigi il marchio d'infamia di una ruota un po' molle, un po' mencia, che lo fa pedalare lento e timoroso di ulteriori punizioni.


Recuperiamo ben presto il favore celeste, portando ossequi e rispettosissimi saluti agli animali rafigurati su una collina poco distante, osservabili, questa volta, da un mirador naturale.










Con la benedizione del dio gufo e del dio lama (ecc) torniamo in sella, e intanto si è alzato il nostro compagno vento, sempre contro, sempre teso, sempre bastardo.


Vuole la buona sorte che una manciata di kilometri più avanti, poco prima del Museo Maria Reiche, ci sia un benzinaio dove possiamo usare l'aria compressa per gonfiare e dovere la ruota di Gigi, per di più a gratis, grazie all'adattatore regalatoci dal gentilissimo meccanico di Lima. Certo non senza qualche incertezza sull'uso di questi stromenti.


Superiamo il museo sopracitato, dedicato all'archeologa tedesca Maria Reiche (1903-1998). Questa donna si dedicò allo studio e al restauro dei geoglifi di Nazca. Ne scoprì di nuovi e teorizzò un loro significato astronomico (la figura della Scimmia sarebbe l'Orsa Maggiore, il Delfino e il Ragno la Costellazione di Orione, ecc); secondo lei erano una sorta di calendario delle stelle disegnato da ingegneri e tecnici; altri studiosi convalidarono questa ipotesi, che fu però confutata nel '67 dall'archeoastronomo Hawkins.

Arriviamo così, dopo numerose salitelle controvento, all'altopiano che è stato trasformato in una vera e propria opera d'arte.


Cito, sintetizzando, Wikipedia: si ritiene che i geoglifi siano stati tracciati durante la fioritura della Civiltà Nazca, tra il 300 a.C. ed il 500 d.C. da parte della popolazione che abitava la zona. Le linee sono tracciate rimuovendo le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, lasciando così un contrasto con il pietrisco sottostante, più chiaro. I disegni giganti sono rimasti intatti per centinaia di anni.
A causa della superimposizione dei motivi, si crede che essi siano stati realizzati in due tappe successive: prima le figure e poi i disegni geometrici. Ciò nonostante, a causa delle caratteristiche del suolo è molto difficile poter datare con sicurezza il periodo in cui furono costruite, specialmente per la difficoltà di applicare il sistema di datazione con il Carbonio 14, che non ha dato risultati soddisfacenti. Gli scienziati si sono avvalsi di altri metodi, come il confronto tra le figure dei geoglifi e quelle trovate sul vasellame della civiltà NazcaAi margini dell'area gli archeologi hanno scoperto la città cerimoniale dei Nazca, Cahuachi, da cui si ritiene provenissero gli artefici delle linee. Noi la visiteremo domani.

Approfittiamo di un altro mirador per ammirare tre figure.


Le mani, l'albero e la povera lucertola, la cui coda è tagliata dalla Panamericana (ma tanto ricresce, no?).




la coda tagliata

Cito sempre Wikipedia: "Il primo riferimento alle figure si deve al conquistador e cronista spagnolo Pedro Cieza de León nel 1547. Sebbene le linee siano state avvistate con maggiore chiarezza e frequenza con l'avvento dei voli di linea sull'area, esse sono visibili anche dalle colline circostanti, tanto che dall'alto di una collina nel 1927 Toribio Meija Xespe le identificò con dei sentieri cerimoniali ("seques").

Nel 1939 furono studiate da Paul Kosok, un archeologo statunitense, che ipotizzò che l'intera piana fosse un centro di culto.

Hans Horkheimer nel 1947 suppose invece che questi tracciati fossero una forma di culto degli antenati: sentieri tracciati che erano utilizzati come tracce dove camminare durante le cerimonie religiose."




biciclettine

Superata l'ipotesi del calendario astronomico, lo zoologo Tony Morrison, negli anni '70 studiò le linee riprendendo  un brano scritto dal magistrato spagnolo Luis de Monzon nel 1586, riguardo alle pietre e alle antiche strade vicino Nazca:

«I vecchi indiani dicono [...] di possedere la conoscenza dei loro antenati e che, molto anticamente, cioè prima del regno degli Incas, giunse un altro popolo chiamato Viracocha; non erano numerosi, furono seguiti dagli indios che vennero su loro consiglio e adesso gli Indios dicono che essi dovevano essere dei santi. Essi costruirono per loro i sentieri che vediamo oggi.»

Morrison riteneva di aver individuato la chiave per spiegare il mistero delle linee di Nazca: il leggendario eroe-maestro Viracocha, noto anche come Quetzalcoatl e Kontiki, il cui ritorno era ancora atteso al momento dello sbarco di Cortés. Gli "antichi indios" disegnarono figure poiché pensavano che Viracocha sarebbe tornato, questa volta scendendo dal cielo, ed i disegni rappresentavano dunque dei segnali.

Anche la storica peruviana Maria Rostworowski de Diez Canseco studiò le linee interpretandole come luogo di segnalazione al dio Viracocha: ad ogni figura corrisponderebbe un clan (ayllu) degli adoratori di Viracocha, che avrebbero disegnato le linee per segnalare al proprio dio il luogo dove essi si trovavano quando egli sarebbe ritornato.




Reindel e Isla, più di recente, giunsero alla conclusione che le linee hanno a che vedere molto più probabilmente con rituali collegati all'acqua, piuttosto che con concetti astronomici. L'approvvigionamento idrico, infatti, giocò un ruolo importante in tutta la regione.

Gli scavi hanno inoltre portato alla luce piccole cavità presso i geoglifi nelle quali furono trovate offerte religiose di prodotti agricoli e animali, soprattutto marini. I disegni formavano un paesaggio rituale il cui fine era quello di procurare l'acqua. Inoltre furono trovati paletti, corde e studi di figure. Di questi elementi tanto semplici si servirono gli antichi Nazca per tracciare i loro disegni.

Sono stati gli archeologi Masini e Orefici a far luce e maggior chiarezza su queste misteriose figure. Hanno evidenziato una relazione spaziale, funzionale e religiosa tra i geoglifi e i vicini templi di Cahuachi. Con l’ausilio di tecniche di telerilevamento aereo e satellitare, i ricercatori italiani hanno rilevato e analizzato cinque gruppi di geoglifi, ciascuno caratterizzato da motivi, pattern e funzioni distinte. Il più significativo è caratterizzato da motivi meandriformi o a zig-zag dalla chiara funzione cerimoniale, attraversati da trapezoidi e linee che convergono verso le piramidi di Cahuachi. A una probabile funzione di calendario solare è da attribuirsi alcuni geoglifi costituiti da figure geometriche, linee e centri radiali allineati verso i solstizi e gli equinozi. Secondo i due studiosi i geoglifi di Atarco erano la sede di eventi legati al calendario agricolo e servivano anche a rafforzare la coesione sociale dei vari gruppi di pellegrini, provenienti da diversi villaggi del territorio Nasca, che condividevano antenati e credenze religiose comuni.

Noi ci godiamo lo spettacolo di questo mistero, lasciandoci pervadere dalla grandezza degli antichi, dalla vastità degli orizzonti e dalla profondità insondabile del tempo. Viene anche il momento del congedo: ripartiamo, circondati da figure che ci guardano senza che noi possiamo vederle. Siamo troppo bassi, infimi, alti come anime mortali. Il senso delle cose intorno ci sfugge, immersi come siamo nel fiume di Eraclito, sempre troppo vicini per cogliere il tutto.




La strada si srotola dritta e corre lunghissima fin oltre lo sguardo, ma la città di Nazca è ormai vicina. Gli ultimi strappi di salita e controvento ci portano all'hospedaje dove ho prenotato una camera con colazione per 12 ricchi euro.



Comincia qui una lunga serie d'equivoci che ora cercherò di sintetizzare. Anzitutto, abbiamo bisogno di lavare i nostri quattro stracci. Le mutande pulite sono finite e si rischia di doverle usare recto-verso (al contrario), tutto pute ed è intriso di sudore rancido e sabbia. Lavanderie a gettoni non ce ne sono. L'hotel offre servizio di lavanderia, in teoria. In pratica desculpe senorita no es posible. Allora ci spediscono in una lavanderia in zona mercato, ma il proprietario ci dice che oggi non può, domani è domenica e Gesù non vuole, lunedì forse: passate a ritirare i vestiti martedì Già. Andiamo nostra sponte nell'altra "Laundry express" ma chiude alle 17 e son già le 16, desculpe desculpe poi non asciuga nulla desculpe. Così, dopo aver girato tutta Nazca con i sacchi di panni sporchi, torniamo scornati in albergo e iniziamo a fare gli occhioni alla proprietaria che, alla fine si convince. Chiama un'amica, che chiama un'altra amica, e alla fine una terza signora se ne va con i nostri vestiti, dopo avermi mostrato un quadernino su cui ha scritto, in corsivo nazca indecifrabile, una sorta di listino prezzi. In un moto di dissipata largitia dico sì a tutto, ma se non ho visto male costa qualcosa come1 euro a capo. Sempre che i nostri stracci tornino a noi, domani scopriremo se questa lavatrice ci costa più di due settimane di pernotto in hotel o meno.

Poi chiedo se è possibile prenotare un tour in alcuni dei luoghi di interesse della zona: acquedotti, templi di Cahuachi e necropoli di Chauchilla. Sono posti raggiungibili anche in bici, ma ci porterebbero via troppo tempo e poi con una guida esperta si gode appieno l'esperienza.
Dopo un'attesa latinoamericana ci raggiunge Franco, peruano che parla italiano, ex pilota degli aeroplanini che sorvolano le linee e ora trafficone maneggione che vende tour guidati. Ci fa tutto un discorso sull'importanza di Garibaldi nei due mondi. Poi cerca di comprare le nostre simpatie citando Berlusconi. Quando Gigi dice sì, bel personaggione il cavaliere, Franco vira e lo associa alla mafia e ai ladroni "come Fujimori. Che schifo". Ci fa accomodare e sfodera un raccoglitore con le foto dei luoghi di interesse. Ci accordiamo allora per un giro di due ore e mezza, domattina, 7.30-10, con guida, cifra scontata.

Abbiamo ora tempo per bighellonare nelle vie di Nazca e recarci al museo archeologico Antonini. La città è molto meno trafficata rispetto a quelle attraversate finora, ma offre una varietà umana decisamente più ampia, soprattutto in zona Plaza de Armas e mercato ortofrutticolo. Ci sono venditori de laqualsiasi, ambulanti, stanziali, seminomadi, decorosi o decisamente ronci.









Ogni muro è ricoperto da lettere cubitali di propaganda elettorale, come pure accade nei ruderi in mezzo al deserto.


Arriviamo finalmente al museo (io ci arrivo ahimè senza mutande, perchè quelle pulite son finite e quelle sporche son sparite nei meandri dei misteri di Nazca). Qui sono esposti reperti della cultura locale, preincaica, e vale davvero la pena fare una visita.








offerte rituali. Più crani avevi, più alto era il tuo rango







un tratto dell'antico acquedotto





il tappo disughero e la forma di questo idoletto mi han fatta ridere per le successive quattro ore



esempio di sepoltura





La carrellata di foto serve a dare un'idea della ricchezza dell'immaginario artistico di questa civiltà. Le forme nette, dalle linee spesse e decise, l'astrazione e i colori spessi hanno qualcosa di atemporale, universale, capace di comunicare in modo trasparente anche distanza di millenni, pure a chi viene dall'altra parte del mondo. E poi quel tappo di sughero, piedino dell'idoletto, ma che ridere!

Usciamo dal museo che è già buio, ma riusciamo a bere l'ultimo sorso di luce in un tramonto che infiamma il cielo.



Poi torniamo verso il centro, dove il vivace casino di chi vende e chi compra pare aumentato. Ad ogni angolo di strada sono comparsi baracchini fumanti e friggenti, si vendono hot dog, pizza, hamburger, frittelle, panini, chicarrones, pannocchie, popcorn giganti, gelato e succo di canna zucchero, e sa dio che altro.


Passiamo del buon tempo, inutilmente, anch in un centro Bitel, la compagnia telefonica di cui abbiamo acquistato le sim locali. Quella di Gigi non permette di connettersi a internet. Questa la situazione nel negozio.


Già che siamo fuori e non abbiamo pranzato, decidiamo di andare direttamente a cena in uno dei Chifa (diffusissimi ristoranti cinesi) più amati dai locals. Qui in Perù, infatti, o mangi pesce (nelle cevicherie), o mangi pollo e riso o pollo e patate (nelle pollerie) o mangi Chifa. Tutto è molto piccante e speziato, molto economico, molto buono.



Concludiamo con un sacchettino di platano fritto e via. Domani è giornata lunga, di turismo al mattino e quasi 100km in sella nel deserto nel resto della giornata. Torniamo sulla costa, torniamo all'oceano.



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