giovedì 28 agosto 2025

58-60. Pedalare in salita l'enciclopedia umana dei villaggi tribali e sopravvivere a un tifone (il secondo del viaggio!)

















24/8
Tuan Giau-Tuan Chau
57km

La giornata non inizia nel migliore dei modi. Intorno alle 2 di notte mi alzo per fare pipì, a tentoni nel buio (in Russia in questo modo mi sono aperta un ginocchio su un tavolino do vetro). Quando tiro lo sciacquone noto un rumore curioso. Il tempo di tornare a letto, realizzare che il rumore è MOLTO curioso, tornare in bagno, accendere la luce e... Vedere che la tazza non solo si è riempita, ma sta esondando liquami come una fontana infera, e tutto, e dico tutto, cola lungo il wc e allaga il pavimento. L'emergenza mi fa svegliare in un nanosecondo dal torpore (merda batte sonno 1 a 0) e ho la prontezza di chiudere la manopola dell'acqua, così da interrompere l'esondazione di acqua reflue. Poi mi viene l'ideona: siccome lo scarico della doccia è lì accanto, a pavimento, tolgo il doppio filtro e vedo che sotto si apre un bel tubo ampio, in cui possono passare tutti gli oggetti semisolidi che in questo momento si sono spiaggiati o galleggiano sul pavimento. Sono acque reflue, fogna condivisa di tutto l'hotel, vi lascio immaginare. Mi rimbocco le maniche e, con il doccino da culo prima e la doccia poi, spingo tutto verso lo scarico, con tanta pazienza, e faccio una pulizia dei pavimenti che questo luogo non vede da anni. Saltano infatti fuori mozziconi, resti di cibo, fazzoletti usati e mazzi di capelli che non sono sortiti fuori dal wc, erano nascosti negli anfratti della stanza. Finito lo sporco, è il caso di dirlo, lavoro, un'ora e mezza dopo, richiudo lo scarico della doccia, abbasso la tavoletta del vaso di Pandora e torno a dormire, consapevole che quel bagno non si può più usare. E non venitemi a dire che avrei dovuto chiamare lo staff, perché nessuno parla inglese, di notte spesso c'è solo qualcuno della security, e a volte nemmeno, e vai a spiegare che non è colpa tua, che tu sei parte lesa nella situazione.
Il secondo evento infausto si manifesta a colazione. Ieri mi sono presa un caffelatte freddo, in lattina, che non è affatto male. Mi sveglio, accendo il pc per scrivere, visto che è presto, sollevo la linguetta e... Frizza. Strano. Non dovrebbe essere gasato... Avvicino alla bocca per dare il primo sorso e sento un odore sgradevole. Ne assaggio una goccia, anche il sapore è tremendo. Guardo la lattina. È un energy drink con caffè corretto al whisky, gasato, identico nella confezione a quello normale. Finisce nel lavandino, e tocca bermi un tè triste senza zucchero, perché ho solo più le bustine sottratte in altri hotel.


Mi metto a scrivere e, nel frattempo, le nuvole basse evaporano e si inizia a intravedere un po' di sole. Dai che forse oggi non si pedala sotto al diluvio! Ne approfitto per stendere tutti i vestiti ancora fradici da ieri e le scarpe inzuppate di acqua e fango. Incredibilmente asciuga quasi tutto! Piccole gioie per equilibrare le sfighe delle ultime ore. Parto con calma, oggi mi aspetta una tappa corta ma ben verticale. Devo passare da una valle all'altra, e in mezzo c'è un massiccio che culmina nel passo Pha Din, a 1500m. La strada si arrampica in pochi kilometri, con una pendenza abbastanza inquietante. Ci vorrà del buon tempo, ma tanto oggi non ho altri impegni che questo. Oltretutto, non ho una meta fissata. Appena giù dalla discesa c'è un paesino con un solo "albergo", ma le recensioni Google sono disastrose: a quanto pare è un allevamento di maiali con dei bungalow estremamente spartani intorno. Niente acqua, corrente, molti insetti, grande aroma. Più avanti c'è invece la cittadina di Tuan Chau (ora io sono a Tuan Giau... Che fantasia!), dove invece dovrebbero esserci ben 4 strutture tra cui scegliere. Tutte orrende. Ma una su quattro lo sarà magari un po' meno... Si vedrà. Intanto, scendo, monto le borse, avvio la traccia, e da ultimo riconsegno la chiave e annuncio il check out, già con un piede sul pedale. Non voglio essere qui quando, per pulire il wc, tireranno lo sciacquone. Se puliranno. Voglio che sia una festa tutta loro, privata, intima, come lo è stata per me stanotte. Un giojone proprio.
La regola della crema solare funziona: se non la metto, il sole è altissimo e rovente, come ora. Se la metto, diluvia. Infatti arrivo a sera scottata come un gamberone (nonostante io sia abbronzatissima nelle parti esposte, di un colore esotico ed estraneo per il mio fenotipo). I primi kilometri sono in valle ancora, tra leggeri saliscendi e falsopiano. Il sole fa brillare i colori e tutto, lavato di pioggia recente, splende con vigore. Sembra sia stata aumentata la saturazione dei to i al mondo! Il verde chiaro delle risaie è smeraldo puro, il cielo di un turchese denso che acceca. Le bandiere colorate e rosse che agghindano i villaggi esplodono, pare che urlino di gioia di luce. Che bello! Così sì riesco ad apprezzare tutta questa meraviglia!




La gente che mi vede procedere verso l'inizio della salita mi alza dei gran pollicioni e fa commenti di approvazione o stupore. Quando è così, già si sa che sarà dura. E in effetti lo è. La strada lascia la valle e si butta di testa contro i fianchi di roccia della montagna. Sale a rampe dritte, senza tornanti. Sono 15km così. All'inizio ne faccio uno alla volta, con delle pause a bordo strada, all'ombra, che servono ad abbassare la temperatura (fa un caldo assassino e grondo sudore da ogni poro, ho i vestiti che si possono strizzare) e riprendere fiato. 1km, pausa. 1km pausa. Poi prendo il ritmo e riesco a farne anche a 2 a 2, pure perché, salendo, a tratti un po' diventa meno cattiva. Mi superano tanti in motorino, ragazzi che vanno a fare una scampagnata (e mi filmano) e famigliole con tanto di valigia, che probabilmente salgono la domenica sui monti per una minivacanza. Passano bus e van che fanno la spola tra le due valli, e a tratti penso che forse, quasi quasi... Ma no, i kilometri, seppur lentamente, scorrono sotto alle ruote senza gravi intoppi. Ogni tanto mi imbatto in pastori che badano alle capre, ai bufali e agli zebu; stanno seduti a terra, spalle alla strada, completamente coperti da ombrelli da pioggia, come funghi spuntati nella notte. Quando passo, alzano l'ombrello e mi sorridono, sdentati, e dicono cose che non capisco, ma sono buone, dal tono. Le donne sono più spesso impegnate a raccogliere erbe o pannocchie, a tagliare rami con grandi coltellacci (sono un prodotto tipico dell'artigianato locale) e fare legna, che poi caricano in ceste che portano sulla schiena a mo' di zaino. Dagli abiti che portano e dalle acconciature intuisco che siano Hmong e Tay neri (non per il colore della pelle ma dei vestiti), etnie minoritarie che, nel XIII secolo, dopo l'invasione mongola della Cina, trovarono rifugio tra queste montagne. Sono animisti, venerano gli spiriti della natura e dei defunti, e vivono di agricoltura, allevamente e artigianato. In effetti lungo la strada, oltre a qualche villaggio molto molto umile di capanne e stracci, ci sono bancarelle dove le comunità vendono i loro prodotti. Quando passo è tutto un gran salutare e ridere. Io ne approfitto per rispondere, rifiatare, evitare che il sudore mi finisca negli occhi, scattare foto ai panorami sempre più spettacolari, in un mix tra natura naturata, cioè governata dall'uomo e fatta a scacchiere di risaie o gradini di terrazzamenti, e natura naturans, selvaggia, indomabile di giungla fitta. In un caso passo accanto a una famiglia riunita sotto a una tettoia, per una celebrazione. Sembra un funerale, così a occhio. Le donne intonano un canto tutto dissonante che mi ricorda i joijk dei sami. È un attimo eterno, poi le parola ritornano vento.













Talora tocca pure far cose meno poetiche, come scappare dai cani, pratica che in salita è assai ardua. In un caso sclero potentemente contro una ragazzina, che avrà 12, 13 anni. Appena supero una zona turistica con bar e centro informazioni, poco sotto al passo, sento un abbaiare cattivo, e vedo questo cagnaccio enorme che sclera perché vorrebbe saltarmi addosso ma è dentro al cancello di una casa. Mentre penso: bravo coglione, ringhia, impazzisci, tanto sei chiuso... Vedo, come un incubo al rallentatore, la ragazzina di cui sopra che pensa bene di aprire il cancello, forse perché le dà fastidio che il suo Fufi con gli occhi iniettati di sangue e la dentatura da squalo stia facendo quel casino. Il cane mi insegue e son costretta a scendere dalla bici, urlargli contro e tirare qualche sassata (volutamente senza colpire). La ragazzina sta lì tranquilla a guardare. La sua fortuna, e anche la mia, è che non capisce l'italiano. Perché le ho urlato contro la gamma completa di improperi, insulti, parolacce e bestemmie che conosco. Con anche varianti inedite. Vi assicuro che sono tante. Con la voce rauca per le bestialità gridate e il cuore in gola, salto in sella per le ultime rampe. Qui ci sono diverse abitazioni e alcuni negozietti che vendono abiti tradizionali, coltelli, cestini intrecciati e prodotti agricoli. I bambini cercano di corrermi dietro o pedalarmi accanto, ma desistono presto. Effettivamente qui è molto molto dura. Ho delle visioni mariane, ma nello suqarcio luminoso di cielo davanti a me, in alto, non compare la Vergine ma, una fetta cremosa di gorgonzola, che a tratti muta nel reparto panetteria della Lidl. In effetti da due mesi non mangio formaggio, sostituito da kili di tofu, e nemmeno pane fresco. I due grandi assenti della cucina locale (salvo le baguette lasciate dai francesi, ma nei villaggi mica le trovi). Dopo tali apparizioni celesti, ecco, vedo il punto in cui la strada smette di salire. E poi il passo. Che soddisfazione! C'è tanto di scrittona su una parete di roccia per farsi la foto sborona. Taaaac! E bancarelle, un piccolo tempio, qualche pannello commemorativo e un resort abitato solo dalla guardia che ne sorveglia il giardino.











Siccome sono fradicia di sudore, indosso il gilet antivento e mi butto giù in picchiata in discesa. Qui il fondo di asfalto è buono e si riesce a prendere un po' di velocità (non fosse che ad ogni curva mi fermo a scattate foto perché intorno si aprono picchi carsici dalle forme incredibili, vallate con laghi celesti e pendici di verde oceanico. Uno spettacolo pagato con il solo biglietto di qualche ora di fatica!










Scendi e scendi, risali un po', riscendi, risali, ridiscendi, imbocco la valle che dovrò seguire oggi e in parte domani. Le pendenze diventano dolci, ma la tendenza è sempre a perdere quota, e ho pure il vento a favore. Una goduria! Passo il paese con l'hotel porcile e decido di andare a quello successivo. Noto che le donne dei Tay neri portano i capelli raccolti in una sorta di alto e rigido chignon a forma di cilindro proprio sul cocuzzolo. Lo coprono poi con sciarpe colorate, oppure lo agghindano con armamenti e spilloni. Se devono stare al sole, ci appoggiano sopra il non la o altri cappelli a tesa larga, che restano sollevati dalla testa di una spanna. Non passano dalle porte! La cosa più assurda è che indossano così anche il casco, in motorino. Resta tutto sollevato, e copre a malapena la punta delle orecchie. Utilissimo! Paiono degli alieni con la testa enorme, viste da lontano.













Nel giro di un soffio, passati alcuni paesino tutti agghindati di bandiere rosse, stelle, falci e martelli, eccomi a Tuan Chau. Raggiungo il primo hotel, sulla strada principale, e... Non esiste. C'è un edificio vuoto, abbandonato. Davanti, sul marciapiede, un ragazzo non proprio brillante ha lo sguardo perso nei Tiktok. Vende polli arrosto, che girano annoiati davanti a lui. Gli chiedo dell'hotel e mi fa segno di no con la testa, e con la mano indica di andare avanti. Seguo il consiglio e... Mi imbatto in negozi e mercati di ogni genere, ma non alberghi. Il paese finisce. Il prossimo con strutture sta a 30km da qui, con altri 1000m di dislivello. No grazie. Torno indietro e, seguendo le indicazioni di Maps, imbocco una via secondaria dove dovrebbero esserci ben due motel. La via è tutta una mercato tribale di carne a terra, piena di povere e mosche, e frutta e verdura ammassate così a bordo strada. Mi fermo davanti all'edificio che Maps indica, e da fuori pare un vecchio e cadente edificio in stile coloniale. Niente insegne, niente cartelli, nulla. Entro nel cortiletto e intravedo un salotto, ma pure una sorta di bancone. C'è un uomo che attende, pare un ospite. Gli chiedo se sia un hotel, lui non capisce e mi fissa inebetito. Faccio il segno di dormire, con le mani giunte a cuscino e la testa coricata sopra, e fa sì con la testa. Bene! Arriva una signora anziana dai modi bruschi, veramente educata a riso e antipatia gratuita, che non parla un filo di inglese neanche per finta. Chiama quindi la figlia, o la nipote, che con Google traduttore mi scrive cose. Solo che non è proprio alfabetizzatissima, a occhio, e per scrivere una frase impiega 10 minuti. Poi la cancella. Altri 10 minuti per riscrivere. E quando mi fa leggere sembrano quelle traduzioni automatiche di certi siti cinesi: la zia di legno innesta il pollo verde. Alla fine capisco che:
1. è un motel a ore ma a prezzo pieno (6€) posso stare fino a domattina
2. Ora mi dà una stanza provvisoria senza aria condizionata, in attesa che se ne liberi un'altra con AC, in cui attualmente c'è un ospite. Preferirei quella senza ospite, soprattutto quando vedo che è un omaccione ubriachissimo che puzza di alcol e viene accompagnato fuori a pedate, ma tant'è.
3. Di tanti posti anche seri dove non mi hanno chiesto il passaporto, proprio qui mi trovo a dover cercare il secondo timbro, quello apposto pochi giorni fa, perché il primo scadeva a metà agosto e alle mie matrone pappone gestrici di bordello viene lo scrupolo formale della validità del mio visto. Ma dio santo. Cmq, una volta trovato, la tensione si scioglie (ma non il broncio della vecia) e vengo accompagnata al piano di sopra, e lasciata in attesa che "si liberi" (leggi: venga cacciato fuori il cliente) la mia stanza. La struttura sembra una vecchia casa privata, di quelle della bisnonna, con le pareti ingiallite e i gradini di pietra sbeccati, i soffitti alti decorati a stucco ma impolverati e pieni di ragnatele. La camera, poi, è tutta un programma. Colpisce anzitutto l'arredamento minimal: letto e sedia di legno, tutti graffiati, appendiabiti arrugginito e... Fine. Il bagno consta di wc, lavandino senza tubo di scarico (lo scolo va a terra, sui piedi) con doccia incorporata (mi stupirò felicemente dell'acqua calda). Fine. Insetti, lumaca bavosa, finestra rotta (che sistemo), saponetta intera da 3 etti e mozziconi a terra, inclusi. Biancheria da letto, carta igienica, decenza, esclusi. Dettaglio importante: le pareti sono coperte da uno strato adesivo di gomma morbida, finto mattone, rosa e blu; stanno su con lo sporco, la muffa e le macchie di ogni forma e colore, che quasi ci si può fare il test di Rorschach. Mi lavo e decido che oggi è proprio il caso di stendere il sacco a pelo, portato esattamente per queste evenienze, sopra al letto. Non essendoci lenzuolo lavabile, ma un copriletto rosso in sudame, e non avendo federa i cuscini, chissà di quanti umori si è fatto spugna. Pian piano, sto davvero usando tutto quel che ho portato, e che pareva inutile. Spero che medicine e kit di riparazioni varie stiano lì intatti, però.

la hall


gallo sospeso



il lavandoccia!



A questo punto decido di svuotare e sistemare le borse, ancora umide pure all'interno dal temporale di ieri, e poi di tornare in centro a far la spesina per la cena. Ogni volta che esco, in bici o senza, in ciabatte, senza bagagli o con borse, ogni volta che varco l'uscio, compare la matrona a chiedermi se me ne stia andando, e il tono tradisce una certa speranza. Ma va' a cagare. Bisogna ammettere che qui gli ospiti si fermano di solito poche ore, o in gentile compagnia o per risposarsi da lunghe ore di guida (taxisti, camionisti e autisti di camion soprattutto). Però daje, ho pagato e non disturbo, perché devi farmi sentire a disagio. In tema di disagio, la spesa tra mercato hardcore di carnacce e mosche e un negozietto si trasforma in un circo. Le tribal sicure mi fissano senza nasconderlo e parlano tra loro, e vengo studiata in ogni movimento come una curiosa bestia esotica, pallida e spelacchiata. Qualcuna, invece, tenta un approccio più cordiale, parlandomi a gesti, e ripetendo tante volte le medesime parole, lentamente e ad alta voce, come se questo mi consentisse di comprendere nemmeno il vietnamita, ma la loro lingua. Dico cose, soprattutto nomi di città che ho attraversato, e vedo stupore in risposta. La cosa che più le lascia sbalordite, più in negativo che in positivo, è che io sia in giro da sola. Per loro è inconcepibile.





Torno in motel, noto che sopra ad un laghetto-fontana e cortile c'è appesa una gabbia minuscola con dentro un gallo, come fosse un canarino, porello, mentre altri razzolano liberi. Compare la vegia, mentre lego la bici del garagino mi chiede ancora se stia andando via (NO!) e finalmente posso salire in camera e considerare chiusa la giornata. O meglio. Prima mi accorgo si aver fatto un pasticcio con la tabella di marcia, tante volte rimaneggiata (è una semplice nota sul telefono, impostata a casa e poi sistemata di giorno in giorno in viaggio). Ho scritto due volte lo stesso numero del giorno, il 26/8, ma con due tappe diverse.
26/8 da A a B, x km, y D+.
26/8 da B a C, n km, z D+.
E quindi non arriverei il 28 ma il 29.
Orrore! Per fortuna le ultime tappe sono brevi e riesco a rifarle in modo da raggiungere Hanoi comunque per il 28 sera. Ho prenotato l'albergo e preso impegno con il tatuatore, non mi va di cambiare quei piani. E poi comincio a sentire il desiderio di concludere questa avventura. O meglio, di riposare un po'. Ma di questo vi dico meglio domani, ora la stanchezza prende il sopravvento e devo occuparmi di lei, che sta strisciando verso il cuscino.




25/8
Tuan Chau-Cò Nòi
65km

Mi sveglio un po' accartocciata e incartapecorita, ma tutto sommato in ordine. Oggi mi attende una tappa abbastanza breve, senza passi, solo continue rampe in diverse valli. È tutto grigio ma non piove. Smonto il campo, carico la bici e finalmente posso rispondere alla vecchiarda che sì, me ne sto andando. La tappa scorre rapida. Il fatto è che, non essendoci quasi mai pendenze sopra al 10-11%, pur andando piano, riesco a mantenere un ritmo costante. La strada corre tra villaggi e paesi i tutti addobbati di bandiere, dove le minoranze etniche si mescolano ai viet e tutto sono indaffarati nei campi e nei mercati. Le valli sono qui più ampie, e i monti che ne segnano l'orlo restano cupi ai bordi dello sguardo, senza intimidire.











Circa a metà tappa attraverso Son La, cittadona che quasi stona per dimensioni vista la location. Prima del XV secolo, ovvero prima dell'arrivo di popoli dalla Cina e Tay, questa zona era chiamata nell'epica vietnamita "Regno del Cobra" e "Terra dei barbari", che la dice lunga su cosa ci fosse da queste parti. I francesi la trasformarono in una base militare strategica, e qui è famoso il carcere dove furono imprigionati tanti patrioti anticolonialisti. La città divenne sede prima di forze VietMinh, poi, durante la Seconda Guerra di Indocina, VietCong. Essendo luogo conteso tra popoli Tay e Xa, nonché vicino ai confini di antichi regni diversi tra Cina, Laos e Vietnam, la regione è ancora oggi la più composita e variegata dal punto di vista etnico, quindi pure culturale e linguistico. I Tay, che scacciarono gli Xà, ricordano questo evento ogni primavera con una festa in cui gli eventi principali sono corse a cavallo e grandi mangiate. È stato anche il primo luogo in cui, ancora ai tempi dell'Indocina francese fu nominato governatore un uomo appartenente a una minoranza etnica. Io ne approfitto per una sosta tè al latte squisito. Qui scopro anche le caramelle da bici DEFINITIVE, altro che Haribo: sono le perle del bubble tea, più grandi, leggermente ricoperte da uno strato duro, da masticare così. Buonissime!

due motorini su un motorino? Certo!





Forse anche grazie a loro, i kilometri scivolano sotto alle ruote senza grandi fatiche, e solo mi inquieta il muro nero di nuvoloni che si sta profilando davanti a me. Si alza il vento, contrario... È proprio un temporalone in arrivo. Per fortuna manca poco! Gli ultimi colpi di pedale assomigliano a quegli incubi dove si cerca di scappare e le gambe restano immobili. La salita impercettibile all'occhio del falsopiano e il vento mi rallentano tanto più cerco di accelerare per evitare la pioggia in arrivo.




Entro a Cò Nòi, che ha più magazzini merce e officine che case, trovandosi sull'incrocio delle uniche due strade che passano qui, sotto alle prime gocce. All'altezza del motel rallento e noto che l'ingresso assomiglia a quelli degli autolavaggi o delle rimesse: non ha una porta, ma un varco ampio riparato da strisciolone di gomma trasparente appese solo in cima. Infatti la "hall", è anche la casa dei proprietari e un parcheggio per motorini e auto, oltreché magazzino di pile di misteriosi scatoloni. Al bancone non c'è nessuno, solo un letto vuoto e sfatto e chiavi minuscole con portachiavi enormi (placche da 40x30cm); sento una voce femminile berciare lì vicino. Mi avvicino a una porta aperta e incrocio lo sguardo di una sciura al telefono, intenta a lavorare a macchina in quel che ha tutto l'aspetto di un laboratorio di sartoria. Si alza, mi fa vedere con banconote sue quanto voglia, pago e mi dà la stanza, il tutto senza che lei abbia smesso un secondo di urlare conreo il suo interlocutore al cell. Salgo e noto che la struttura è tutta nuova, quindi piuttosto pulita e ordinata. Pulizia e manutenzione non sono i punti forti di queste zone... In bagno le piastrelle hanno una stampa di donnina nuda con tettone al vento e gatto che la guarda inquieto. Ci sono poi la classica lucina rossa per fare porca l'atmosfera e una poltrona in pelle dalla forma curiosa che si presta a usi e posizioni alternative. Però il letto ha la biancheria pulita e il bagno è riconoscibile come tale e funziona. Certo è anche pieno di formiche e insetti. Ma questo ovunque... Sono due mesi che ci convivo (e onestamente comincio a esser satura... È sempre una lotta contro la sensazione di roba che ti cammina sopra o ronza intorno).





hall con ingresso stile autolavaggio

bancone con letto

il resto della hall

Dopo essermi lavata e cambiata, scendo a cercare qualche negozio di alimentari, perché non ne ho visti e, nei paesini così piccoli, spesso tutto chiude alle 17. Proprio accanto al motel c'è un polveroso baracchino in lamiera con alcuni prodotti esposti, tra cui noodles istantanei, biscotti... È il mio posto. A sorvegliare la merce ci sono due anziani svanitissimi, che stanno mangiando una zuppa al rallentatore, e il figlio, non proprio il più sveglio della cucciolata; prima mi marca stretta non fidandosi di un'estranea così, poi, quando capisce che sto solo cercando qualcosa di mio gusto tra le montagne di merce accatastata a caso, inizia a farmi proposte di acquisto: un sacco di sale da kg, una bottiglia d'olio di semi da 1,5l, il bottiglione del detersivo per la lavatrice... E il bello è che mi ha vista arrivare in bici! La mia teoria è che stia cercando di rifilarmi i prodotti più costosi in assoluto che abbia lì. Prima di pagare, in cassa (un tavolino) mi pulisce con uno straccio la merce, che, essendo esposta sulla strada, è infangata e impolverata. Poi segna su una calcolatrice il prezzo dei singoli articoli (costano tutti 25.000 dong, calmierato), con gesto teatrale, indicandoli uno a uno e digitando grande. Gli articoli sono 5. Quanto dovrò mai pagare? La calcolatrice ci dice... esatto! Proprio 125.000 dong. Incredibile! Lui stupitissimo che io abbia già preparato i soldi contanti in mano prima del risultato. Con le mie cosine (tra cui dolce ripieni di fagioli rossi e frutta secca, peso specifico del neutronio, buonissimi)



salgo in camera e ne esco solo per chiedere in reception, qualche ora dopo, acqua calda per i noodles. Anche questa diventa un'avventura perché anche le cose più semplici qui a volte si rivelano complesse. Chiedo a una ragazza che pare la figlia della sciura berciona di prima. Indico borraccia, noodles e bustina di tè. Cosa vorrò? Dopo un quarto d'ora per farle capire, mi dà acqua potabile ma fredda. Le rispiego, iniziana cercare un bollitore, mi fa segno di accompagnarla in cucina. È un locale enorme che fa anche da magazzino e c'è una puzza terrificante di porcile, di stalla, di pollaio. Un odore nauseante e insopportabile, che si mescola alla vista di pile di padelle e piatti sporchi con resti di cibo e insetti e due gabbie con dentro dei cani tristi. Sono gabbie troppo piccole per essere cucce. E ci siamo capiti. Esco dalla cucina, dico che aspetto lì, ma la ragazza non torna. Mi affaccio, vedo che cerca di far funzionare il bollitore, ma a quanto pare non va. Arriva la sciura e le dice di usarne un altro. Prendi, sposta, briga, fai, alla fine l'acqua bolle. La verso nella borraccia termica nuovissima che mi hanno regalato in Laos e... Non è termica. È di plastica termorestringente. Appena viene in contatto con l'acqua bollente si rimpicciolisce e contorce. Io, ovviamente, mi ustiono la mano. La sciura si incazza perché rovescio acqua in giro. Ma non demordo. Con la mano bollita chiedo di portare il bollitore in camera, perché se no finisco pure senza cena, e la risolvo così. Che male però! E che fatica! Possibile che sempre tutto debba essere un casino? In questi giorni mi trovo spesso a pensare che sono stanca, ma non di pedalare. L'adrenalina di queste settimane finali, data da montagne, tifoni (ne sta arrivando un altro mannaggia), confini remoti e villaggi tribali, sta tenendo a bada la stanchezza che di solito emerge a coscienza verso la fine dei viaggi lunghi, quando mentalmente ci si sente già a destinazione ma magari in mezzo ci sono ancora 1000km. Qui non sta accadendo. Però è come se avessi terminato la pazienza nei confronti dei piccoli inconvenienti, dei disagi del quotidiano. Posso pedalare in salita sotto al temporale su strade orrende per ore. Posso dormire in luoghi dove sarebbe meglio di no, e mangiare per giorni noodles liofilizzati. Però l'ennesima formica che mi cammina sui piedi mi fa sbroccare. Parlando con Gigi, che ogni giorno mi racconta come stiano i gatti di cui si sta occupando (ha fatto il conto: è andato a casa mia a nutrirli 112 volte! Grazie!), mi dice che leggendo il blog non emerge questo fastidio crescente. È vero. Non nascondo i problemi che vivo ogni giorno, ma non li metto al centro della storia. Perché cerco di dare una valutazione razionale e distaccata, che tenga conto del contento, delle cause, del luogo... Però quando ci si è immersi 24/7 da due mesi, i dettagli noiosi si ingigantiscono e sembrano enormi. So per certo che alla fine, nella memoria, tutte queste punte negative verranno sciacquate via dal ricordo di un'esperienza meravigliosa, tra persone incredibili e luoghi spettacolari, di natura e storia. Ma finché ci sono dentro è difficile guardare con distacco. È come quando a scuola, dopo una giornata pesante, si dice, esausti: che schifo di mestiere insegnare! Ma non lo si pensa davvero. Al contrario... È il momento di difficoltà a dettare la reazione.
A proposito di memoria e ricordi... Mi stranisce tantissimo pensare che tra tre giorni sarò di nuovo ad Hanoi, dove tutto è cominciato. Quasi non mi capacito di come due mesi e più di 5000km siano ormai alle spalle. È una clessidra i cui grani son caduti tutti di sotto. Nel passare dal futuro al passato si sono mutati in oro fino, ed erano sabbia. Ma sono lì, ormai, tra i ricordi e l'esperienza vissuta. Da un lato, per la questione pazienza corta e saturazione, desidero arrivare ad Hanoi e porre il punto finale a questa avventura. Dall'altra sento già la malinconia del ritorno, la nostalgia, nel senso inverso al suo vero significato. I miei viaggi non sono fughe dalla mia vita, anzi. Sono una grande finestra sul mondo, uno sguardo profondo su questa strana bestia che è l'uomo. Mi piace tornare alla mia vita. Ma anche fare la nomade pedalina. Trovare il punto di equilibrio tra le due posture esistenziali è una bella sfida. Mi piace pensare che questi giorni siano come le pietrine colorate di un caleidoscopio. Quando lo muovi danno vita a forme belle e composite e nuove. Ma gira gira, poi tornano al loro posto. Altrimenti non funzionerebbe più la magia. Elaboro questa riflessione parlando con Franco, con il quale condivido la mia incapacità, in questi giorni, di tollerare le boiate che vedo sui social, l'egocentrismo e la superficialità della gente a casa. I vizi, la stupidità, la leggerezza. Sarà che da settimane vivo tra persone che campano a malapena spacciandosi la schiena nel fango, e mi son chiare le linee del privilegio e dell'ingiustizia sociale... Ma IG e FB non li riesco a reggere. Sarà anche la stanchezza a rendermi così insofferente... Franco allora mi fa uno dei complimenti più belli che potessi ricevere. Lo dice in dialetto arlunese, lo traduco a metà: ci credo che sei stanca, "ta se in gir ma 'l Chatwin!". Grazie

26/8
Cò Nòi-Phu Yen
84km

Avete mai visto un tifone tropicale, di quelli che distruggono le città e costringono alla conta dei morti? E, soprattutto, ci avete mai pedalato in mezzo? No? Ecco, io, mio malgrado, posso dire di sì. Quasi due volte in questo viaggio. A luglio, mentre scendevo a sud, lungo la costa, sono stata sferzata dalla coda a frusta del tifone Wipha, con piogge devastanti e vento teso sempre e contrario, su drittoni in piano da impazzire. Mi si erano infiammate le ginocchia e i muscoli lombari... E vedrai! Ma il bello è venuto oggi. Non ho di certo incrociato l'occhio del tifone, che era qualche decina di kilometri più a sud. Ma una bella fetta di forza devastante mi è toccata. Però devo avere un angelo custode molto attento, perché tutte le peggiori situazioni si sono poi risolte. Ora vi spiego.
Mi alzo stamattina dopo aver passato la serata di ieri a controllare news e previsioni, dopo un avviso di Gigi. In Italia ai tg danno brutte notizie riguardo a questo tifone che sta facendo danni e morti. In effetti, sono previste piogge torrenziali e vento forti. Fuori dalla finestra si apre un paesaggio tetro, grigio che tende al bianco. I monti sono completamente immersi nelle nuvole bassissime. Però non piove. Mi affretto a prepararmi, ma nel giro di pochi minuti inizia la danza. Diluvia. Aspetto, ma è chiaro che non smetterà. Quindi preparo tutto l'abbigliamento da pioggia e anche quello caldo. Devo affrontare delle salite, e lì suderò. Ma devo anche potermi cambiare velocemente per avere abiti caldi e asciutti quando iniziano le lunghe discese. Non posso ammalarmi ora.


Lascio le chiavi al bancone, monto le borse e, con un certo grado di riluttanza, parto. Piove a secchiate. Dopo tre minuti sono già fradicia... Bene, così ci siamo tolti il pensiero. Oggi posso scegliere se fermarmi a 54 o 83km, con 1200 o 1650 di dislivello. Viste le premesse, mi sembra già tanto arrivare sana e salva al primo paese. Anche perché mica faccio la strada normale, no. Quella allunga di troppo. Mi arrampico su per una costola secondaria, tutta scassata, con più ghiaia e fango che asfalto. Persino i pastori, che stanno frettolosamente riportando gli animali al riparo, mi guardano straniti. Mi arrampico pian pianino e vedo intorno monti coperti ora di foresta selvaggia, ora di coltivazioni di fragole e mais, e tutte istoriate di terrazzamenti. Sarebbe un paesaggio spettacolare, non fosse inghiottito dal Nulla bianco come quello che distruggeva il regno di Fantàsia ne La storia infinita di Ende. Così è tutto spettrale e inquietante.






Lo diventa ancor di più quando, salendo, inizio a incappare in vere e proprie cascate, pure belle, che altro non sono che lo scolo dell'acqua piovana che cerca la sua via al basso, tra rocce e tronchi. C'è troppa acqua dappertutto... la strada sta diventando un fiume, i canali di scolo sono stracolmi ed esondano... Con una lentezza buffa ma pervicace mi spingo fino al passo più alto di oggi. Non è l'ultima salita. Ma ora ho quasi 30km di discesa. Approfitto di una tettoia di lamiera di una capanna per cambiarmi. Tolgo la maglia estiva, completamente fradicia, e indosso l'invernale. Cappello, scaldacollo, guanti lunghi, doppio k-way, copricasco e pantapioggia. Tutto insomma. E per fortuna li ho portati! 












Inizio a scendere, e qui realizzo quanto io sia in una situazione di merda vera. Innanzitutto, tira un vento devastante, con raffiche cattive che fanno sbandare, e che butta a terra rami, alberi e sassi. I lembi di nuvole bianche corrono all'impazzata e sembrano una marea montante che mi investe, ma è una marea fantasma e non c'è impatto. La strada scende ripidissima, con rampe al 15 e 18% che solo a tratti spianano un po'. È anch'essa un fiume, e fa cadere in verticale verso un vallone stretto e fondo, completamente nascosto dalle nuvole. In certi momenti sembra di essere sugli scivoli di un parco acquatico infernale. I canali e le normali vie di passaggio dell'acqua non bastano più, e sulla strada cominciano a riversarsi torrenti di fango, pezzi di roccia che si staccano dalla parete e alberi sradicati. Io scendo con i freni spesso tirati, perché la situazione è troppo pericolosa per potersi concedere un volo libero.
















O meglio. Il volo libero lo rischio mio malgrado quando una cinghia della borsa anteriore, sferzata dal vento, mi finisce nella ruota. Roba da fare una capriola e scendere rotolare per 30km fino in valle di faccia, con i denti a grattare l'asfalto. Sbando, la borsa si sgancia e rotola poco lontano, ma riesco a fermarmi senza cadere. Fortunuosamente la cinghia, che pure è resistentissima, si è tranciata di netto, senza bloccare la ruota. Qui qualcuno ha veramente guardato giù, richiamato da tutte le bestemmie che ho cacciato...
Dopo questo episodio, mentre la pioggia e il vento non fanno che aumentare ed è tutto un rovinare di roccia e scrosciare di acque, penso che forse è il caso che io mi tolga dalla strada, e in fretta. Qui certo non c'è nulla, neanche una capanna abbandonata, o un tettoia. Ma alla fine della discesa, prima di ricominciare a scalare, c'è il ponte sul Fiume Nero. Lì c'è un paesino, e magari riesco ad arrangiare un passaggio... Non posso proseguire in queste condizioni ancora a lungo, sta diventando veramente pericoloso. Tutti i torrenti straripano, fra poco altro che frane... Proprio in questo momento mi supera un van che fa servizio di trasporto collettivo. Sul retro, mentre mi passa avanti, leggo: Son La (dove ero ieri)-Phu Yen (la città a 83km individuata come possibile meta). Ma sarebbe la mia salvezza questo trabiccolo! Peccato che, mentre realizzo, se ne sia già andato per la sua strada. Comunque mi rincuora. Al paese sotto potrebbe passarne un altro, più tardi... Scendo cauta ma determinata a levarmi da quella zona in fretta, e trovare alternative il prima possibile. Qualche km avanti, mica ritrovo il van parcheggiato a bordo strada presso un negozietto/baracchino? Inchiodo, mi avvicino e vedo che ci sono cinque persone, probabilmente i passeggeri, seduti al riparo dal diluvio in attesa che l'autista finisca di caricare casse piene di pulcini vivi pigolanti, scatole e sacchi di verdura. Chiedo, per sicurezza, indicando il van: Phu Yen? Tutti annuiscono sorridendo. E sorrido anch'io quando chiedo all'autista se riesce in qualche modo a caricarmi la bici, magari sul tetto. Lui neanche risponde, si arrampica e mi fa segno di levare le borse e passargliela. Pronti! Nel giro di un attimo la Signorina è legata come un salame, le borse sono stipate insieme a pile di bagagli e merce, e io pure, in pole position a grondare fango su una povera signora che forse un po' mi maledice. Con il traduttore ho spiegato all'autista dove voglio essere lasciata e lui mi dice che è perfetto, è il suo capolinea, e la corsa costa 4.5€. Ma gliene darei anche il doppio, il triplo, dieci volte tanto! Che prezzo ha esser tirati via da una strada di montagna mentre imperversa un tifone? Per di più avendo preso al volo un mezzo che credevo mi avesse ormai superata? Mi godo il passaggio, aria condizionata gelida a parte, e pure il fatto che ad ogni capanna o baracchino l'autista si fermi, scarichi roba (pulcini, uova, galline, casse misteriose, lettere...) e ne carichi altra, simile, da consegnare un po' oltre. Qui trasporto merci e persone viaggiano sulle stesse ruote. Passiamo da Bac Yen, prima possibile meta, cittadina sviluppata per il turismo interno, visti i trekking e le belle montagne tra cui sorge, e la breve distanza da Hanoi, e proseguiamo. Si viaggia nelle nuvole, in ammollo, ma questo paesaggio, visto da dietro il finestrino, è quasi poetico e non fa paura (mentre ne fanno le manovre dell'autista che guida, messaggia, telefona e traffica con Maps, tutto contemporaneamente).













A Phu Yen arriviamo presto, e vengo lasciata proprio davanti all'hotel in centro che avevo individuato. La Signorina sembra essere uscita illesa dell'ennesimo trasporto violento. Carico le borse giusto per attraversare la strada e incappo nel proprietario della struttura, un omino dall'aria triste e distratta, che sta spazzando il cortile sotto alla pioggia battente. È molto gentile e mi dà subito la stanza. L'albergo ha visto tempi migliori, ma va benone. Subito doccia calda, vestiti asciutti e tutte cose fradicie a stendere.


dal balcone vedo la Casa ella cultura

Sto per sedermi sul letto quando sento bussare alla porta. Oh no. E ora che succede? È l'omino triste che, con grande imbarazzo e timidezza, mi mostra sullo smartphone una frase che ha tradotto: è in un inglese circa, ma capisco che ha perso un parente proprio ora, un lutto improvviso, e deve andare via e non posso restare, perché deve chiudere tutto. Oh no x2... Si scusa tanto, mi ridà i soldi e mi aiuta a portar giù le mie cose, che raccatto qua e là di fretta (si vede che lui ne ha) sperando di non dimenticare nulla. Mi fa il nome di un altro hotel a 500m da lì (era la mia seconda scelta). Gli faccio Le condoglianze e, senza calze, coi capelli bagnati dalla doccia e tanti sacchettini di vestiti lerci appesi al manubrio percorro i 500m sempre sotto alla pioggia. Raggiungo la struttura, che onestamente è più nuova e bella, per gli stessi 10€, e prendo una stanza, dopo aver fatto spaventare la receptionist; credevo infatti fosse stata avvisata del mio arrivo dall'omino, invece no. Ma tutto si risolve in un attimo e prendo possesso della stanza con vista sulle montagne. Da qui il rumore della pioggia e quelle nuvole basse che sembrano i pensieri pesanti delle montagne sono piacevolissimi.






Esco solo per fare una spesa per la cena e apprezzo questa città ben addobbata e bella, così diversa dai villaggi dei giorni scorsi... Mentre cammino, vedo due cani che giocano con una scarpa, si inseguono, se la rubano... Poco dopo un anziano esce in strada saltellando su un piede solo e sbraitando contro la coppia di manigoldi. Dinamica chiara! Torno in albergo, cala il buio e qui si accendono tante luci e insegne colorate, e si sentono voci di ragazzi fino a tardi.






Sto tornando alla pianura, al mondo delle città, ai luoghi dove l'uomo è al centro del paesaggio. E la cosa non mi dispiace. Sono a 160km da Hanoi, a 1300 metri di dislivello, a due giorni di viaggio. E poi. E poi sarà chiuso un cerchio aperto due mesi fa. Una vita fa, se guardo alla densità del tempo con tutte le esperienze che ho vissuto. Quasi ci siamo.

4 commenti:

  1. Al cagnolino piace la canzone dei nomadi, e ti regala le" sue "scarpe!

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  2. Ringraziando quel pulmino arrivato nel momento giusto, e sapendo che la volpe è ora ad Hanoi, ringrazio la volpe per le lezioni di storia, e una bella canzone in attesa del viaggio del prossimo anno

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  3. Le dedico la canzone di Jimmy fontana " la """nostra""" favola "
    C'era una volta un azzurro pianeta fatato
    Una grande volpe l aveva girato per noi
    Si,io leggevo à
    Tu sei la scrittrice
    E io il tuo fan
    Mai,mai,mai ti lascio
    Mai,mai,mai,da sola
    E per noi il tempo rotolera'
    Tu sarai sempre scrittrice
    E io il tuo fan
    4pareti più grigie del fumo di Londra
    4 tarantole grosse come te
    Si,tu racconti
    Come sé fossi per te il vero fan
    Mai,mai,mai, ti lascio
    Mai, mai,mai da sola
    E per noi niente cambierà
    Tu sarai sempre il mio mito
    Ed io il tuo fan!

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  4. Però potrei anche dire,che il cagnolino voleva vendere la scarpa....
    Vedendo l'enfasi della popolazione di quei luoghi,che alla volpe 🦊 ha venduto braccialetti fatti con strisce di gonna....mi ricorda la mia cagnolina. Mi imitava! Sono un accumulatore seriale perché lavoro in una piattaforma ecologica. La mia cagnolina, aveva imparato a nascondersi il pane,nei parchi dove la portavo.
    Cucciola,non gli piaceva la dieta impostata di sole crocchette.
    E vedendo me che imboscavo oggetti in tutta la casa,lei scavava e faceva scorte di cibo sotterranee nei parchi ,come l'homo sapiens, nascondeva grossi gusci di frutti con dentro acqua, sotto la ,sabbia del deserto !

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