martedì 11 agosto 2020

37-39. Il cuore dell'Ostrobotnia. Nel bianco fumo di betulla vivere il bosco, tornare al senso della terra e dell'acqua.






9/8/20
giorno 37
Tuuri-Komanne
110km

La tappa di oggi è la parabola di una brutta storia a lieto fine, perchè, per tutto il giorno, ci siam fregati con le nostre mani, scegliendo strade via via più remote e sperse, e sterrate impedalabili, ma poi siamo giunti comunque alla meta prefissata, ed è un paradiso terrestre come solo qui ne ho visti.

Ci siamo svegliati presto a causa di una cornacchia che ha deciso di dar sfogo alle sue velleità canore proprio sopra la nostra tenda, e non per qualche minuto. Poi, pian piano, il campeggio si è risvegliato, e animato, con bambini di tutti i colori e strani miscugli, tratti orientali e finnici, africani e vichinghi. Il sole si mostrava solo a tratti, creando un effetto caldo teribbile-freddo diaccio che ormai conosciamo. La buona notizia è che le mutande e i calzini erano asciutti, quella ancora migliore è che la confettura di mirtilli rossi è ambrosia pura, nettare degli dei.
Siamo partiti con calma, per lasciare pc e telefono e power bank in carica ancora un po'. Cosa che si può fare senza tema, anche nei bagni pubblici del campeggio. Qui il furto è un evento rarissimo. Il toscanaccio incontrato ieri al super ha detto che se perdi il portafogli te lo restituiscono, e pieno, anche dopo mesi.

Abbiamo deciso la strada, e non sapevamo ancora che la decisione non era affatto buona. Lo avremmo scoperto qualche ora più avanti, pagando tutto l'ottimismo, e a prezzo d'inflazione.
Siamo partiti in una luce metallica e fredda con le gambe affaticate ancora dalla tirata di ieri. E subito vento contro e saliscendi continuo. I primi 20km sono stati lenti, lunghi, dilatati nel tempo e nello spazio.
Intorno campi e pascoli e rare casette di legno, ora rosse ora gialle, or verdi ora blu.


Poi son ricominciati i boschi, e oggi non solo ci stavano intorno, ma ci siam proprio tuffati noi, e a capofitto, nel loro cuore verde di linfa e nodoso di corteccia antica. Ci siamo detti: perchè non tentare queste belle stradine secondarie, panoramiche, amene? Perchè sono sterrate per lo più, e piene di sassi e di sabbia, mannaggia a noi.
Quale lembo d'asfalto si è comunque trovato, per quanto sempre immerso in ammollo nell'aria gonfia di resina e muschio, profumo di funghi e stormire di foglie. Il canto delle betulle, la preghiera dei pini che esala al sole come incenso.


Su un sito di promozione del turismo in Finlandia avevo letto che in questo paese i panorami sono grandiosi, e sconfinati e bellissimi, ma piuttosto monotoni, e che pedalarci in mezzo per giorni è un'esperienza meditativa, di introspezione, e quasi metafisica e di trascendenza. Confermo. Il silenzio è assoluto, tutto è immobile, e vibra impercettibilmente di pulsare di linfa. Si sente il respiro degli alberi, il fremito dell'erba. Si sente il germoglio crescere e srotolarsi al sole, il fiore sbocciare, la foglia staccarsi e morire. Si sente tutto. E' un coro a bocca chiusa come quello della Madama Butterfly. Sono le voci che non sappiamo più ascoltare. In ognuna di loro l'intero universo vive e rivive all'infinito. Esplodono stelle, nascono galassie, nella goccia di rugiada che cade dall'ago di pino. Nel pinolo c'è il cosmo, altro che Hegel. Tutto è, ed è uno. Parmenide aveva ragione. Stupido chi divide, separa, dà nomi diversi, traccia confini, si pone nel nome dell'io e lascia fuori il resto.

In questa consapevolezza del tutto, del micromega, della radice e dello stelo, procediamo. Il fondo d'asfalto lascia spesso spazio ai sassi e alla terra battuta, o alla sabbia. Di paesi non ne incrociamo più per tutto il giorno, quasi 100km di bosco e costellazioni di casette. Sempre curatissime, seppur in mezzo al nulla. Qualcosa fatto davvero per sè, e non per gli altri, non per un dio e nemmeno per gioco. Non per farsi notare. Per un appagamento estetico privato, una cosa intima. Le cose fatte bene, belle e curate. Perchè su questa terra passiamo una volta sola, e non c'è tempo per il brutto. In queste casine perfette, con i loro giardini perfetti, vedo un senso di morte che non sto a spiegarvi. Sono bellissime, e piene di vita e di colore e di attenzione. Proprio ciò che fa chi sa di esserci solo per poco, ancora, e senza nemmeno saper quanto duri questo poco. Qualcuno prega, qualcuno fa il bene, qualcun altro fa il bello. 
E non c'è come questa natura grande, che ora è maestosa, d'inverno è temibile e impietosa, a ricordarci come si sia poca cosa, e destinati a finire, noi bipedi curiosi.












Più andiamo avanti più la strada si fa stretta e impervia, sabbiosa e piena di sassi aguzzi che sbucano nel chiaroscuro e rendono incerto l'incedere. Tenere la bici in equilibrio diventa per me faticoso, estenuante alla lunga. La trascendenza di prima, la metafisica, diventa ascesi, per dirne quattro, anche otto, direttamente in faccia al capo. Ma continuiamo a pedalare, perchè non è presto e i kilometri da fare sono ancora tanti.





Per fortuna usciamo dal lunghissimo sterrato impervio che tanto tempo ci ha fatto perdere e tanti rosari sgranare, ogni volta che si inciampa nei sassi e ci si impantana nel fango o nella sabbia, rischiando il tombolo e l'osso rotto e addio Nordkapp.


Arriviamo a Perho (che è il famoso paese crasi tra Pero e Rho), entrando nella regione dell'Ostrobotnia centrale (da quella meridionale - ora che lo sapete vi sentite meglio, vero?. E vi dico anche: una delle città più importanti e antiche (fine '400) si chiama Kokkola. Kokkola, ma è il toponimo più bello mai sentito!)


Dopo una sosta mela alla panchina del cimitero, dotato di bagni pubblici e lavatrice, e dopo aver fatto spesa e rifornimento acqua, ci imbarchiamo nell'ultima piccola impresa di oggi: lo sterratone polveroso e inatteso (questa non è una strada secondaria) per giungere in riva al lago, ove si può campeggiare liberi e belli e a gratis.

La spiaggia è attrezzatissima, oltre che paradisiaca. C'è la sauna

 c'è l'approdo sabbioso tra le betulle


ci sono la casetta per il barbecue e le cabine, tutto in legno e con ciocchi di betulla pronti all'uso
c'è il box per tenere la legna asciutta, con dietro i servizi igienici
e c'è tutta questa bellezza che dà senso alla giornata. Perchè si può anche essere stanchissimi e appiccicosi di sudore e polvere. Ma questo azzurro e questo silenzio ripagano di ogni sforzo. 
Dopo aver esplorato questo breve tratto di costa, che è in realtà un modo per bersi la luce e i colori a piccoli sorsi


trovo il punto più adatto per piantare la tenda. Un approdo in disuso, con barche abbandonate da tempo e piene d'acqua, e canoe tra le betulle

uno spazio per il falò e un ripostiglio per la legna




Qui passeremo la notte. Siamo soli, non ci sono paesi in zona e nemmeno strade. Il silenzio è intatto, la calma totale. Il mondo è fermo, il tempo sospeso. Siamo altro da noi, seduti al sole, abbiamo abdicato da noi stessi, come dice Pessoa.


Poi montiamo la tenda ed io accendo il fuoco con i ciocchi di betulla. Il fumo bianco è profumatissimo, potrei inalarlo come una droga. Prepariamo la cena e ci scaldiamo su questo turibolo di terra bassa, perchè il sole cala e inizia a far fresco.






Poi ci ritiriamo in tenda, e la luce resta. Fino alle 22.30 passate c'è gran chiarore, e intanto si cominciano a sentire i rumori del bosco e del lago di notte. Le onde, minuscole, quasi impercettibili. Il vento che solletica le foglie. Frulli d'ali, il richiamo delle anatre. Qualche pesce che affiora alla superficie. Versi lontani che non si riconoscere.




10/8/20
giorno 38
Komanne-Karsamaki (nei boschi intorno)
135km


Quella odierna è stata una tappa faticosa e lunga, da arrivar sui gomiti e arrancando, strisciando quasi, tutti piegati su noi stessi, chini in segno di rispetto al vento, con la forma dei gamberetti e la stessa consistenza morale.

Gli ingredienti di questo cocktail? Sentieri sterrati impedalabili, di sassi stile rotaie, e sabbia, Eolo contrario al nostro andare, Eolo che corre da nord e fugge dal freddo, porta aria gelida e scappa sulle coste meridionali prima che giunga l’inverno. Il freddo, improvviso. Le salitelle continue, a smentire vieppiù quel grande inganno della Finlandia piatta come un tavolo da biliardo.





E questa mattina non pareva affatto che la giornata dovesse rivelarsi così tosta. Ci siamo svegliati al primo sole, con lo starnazzare e i tuffi (durati per tutta la notte in verità) delle anatre. O chi per loro insomma. Magari spirti dei boschi, magari un Papageno pescatore.

Sole alto, aria tiepida, e poi calda. Un panorama capace di placare ogni incendio dell’anima. Silenzio, pace assoluta. L’ombelico del mondo, quando il mondo è bello.






Abbiamo chiuso le borse e smontato la tenda, mi son resa conto di aver perso uno scaldacollo che avevo in testa durante la notte (ne avrò persi decine, nei viaggi, due solo in questo… Lo avran preso gli gnomi burloni che vivono sotto ai funghi).

E via che si va.



Appena fatto il primo giro di pedale, si è alzato il vento, che aspettava noi. E ci è stato fedele, indefesso compagno non gradito per tutto il giorno, rallentandoci e rincoglionendoci, perché era forte da rimbombare nelle orecchie e freddo da gelare i vestiti addosso.

Da notare il traffico delle 8 del lunedì mattina, ora di punta, rush hour finlandese.





Tutti i primi 60km sono stati sterrati. A tratti con un fondo decente o perfino buono, di terra liscia e dura, compatta come asfalto. Ma decine di kilometri, invece, son state funestate da sassi e ghiaia, sabbia e altre delizie che ci han costretto ora a camminare, ora a fare il “monopattino” con un piede su e uno a terra, ora a pedalare ma pianissimo, e con l’ansia, per me anzi proprio il terrore di cadere e fracassarmi il cranio su un sasso, come un cocomero maturo che cade e si squaccia. Non vi dico il sudore acido e pieno di adrenalina e cortisolo, non vi dico i santi paracadutisti cascati dall’alto dei cieli.




Intorno, però, solo cose belle. Boschi grandiosi e profumatissimi, con tracce di fuochi recenti e nessun’altra presenza umana. Laghi, d’azzurro profondo, a non finire, uccelli di ogni genre, compreso uno stormo non identificato di uccelli neri e bianchi, simili a fagiani nella forma ma non nel colore. Abbiamo incociato fattorie e case sparse, tutte colorate per spiccare nella neve, quando qui diventa un inferno di gelo e anestesa dei colori.

Tutte perfette ordinate e rifinite, per quella cura, quel godimento estetico privato che sa di consapevolezza della finitudine, e non di desiderio di mostrarsi ai vicini, come in Usa, dove anche la casa è uno status symbol da sbattere in faccia a chi sta intorno.












Per 100km, però, nessun paese. Fortuna avevamo acqua a sufficienza e un po’ di cibo.

Lo sterrato, con l’aggravante del vento, ci ha affaticati e storditi al punto da condurci a uno stato di estasi, nel senso etimologico, ek-stasis, coscienza che esce dal perimetro dell’io e dilaga, si espande come un gas, una marea che sale, il dio di Plotino. Si perde la cognizione dello spazio tempo, le vibrazioni e i colpi fanno l’effetto delle giravolte dei dervisci. La mancanza di luce, per le nuvole sottili, completa l’opera. Gigi si è perso in un varco tra i mondi, rimbalzava tra le vigne di Oleggio e l'America, io ero convinta di trovarmi a Bordighera, sulla spiaggia dove tante estati ho trascorso da bambina. E pensavo intanto al Pascoli e al suo atomo opaco del Male, visto che oggi è il 10 agosto. Pensavo alle rondini, ai traumi infantili, alle lettere antiche, alla faccia da pirata di Ungaretti, ad Alceo, Plutarco vecchissimo con la tunica bianca e i tarzanelli a'i'culo, al Settimo sigillo e il medioevo pieno di fango, formaggio e vermi e croci, con un mal di polsi e braccia e schiena che non vi dico, ma non si molla mai, mai, e non sono io che devo aver paura dei sassi, ma loro di me, che passo con una bici che è un carrarmato e pesa come un T-34. Temi tu la morte? Temi l’abisso? 






Insomma, è stato faticoso. Appena si è data l’occasione, siamo tornati sulla strada asfaltata, nonostante il navigatore proponesse altre deviazioni panoramiche silvestri nei bricchi. No-grazie-no.








Da lì è stata una monotona, introspettiva, metafisica tirata su questa strada a linea retta, grigia nell’aria grigia, fredda nel vento freddo e contrario e teso, su e giù per brevi rampette ininterrotte, con i boschi intorno scuri scuri. A volte campi, ma di rado.



Ci siamo fermati al primo locale disponibile, un benzinaio con supermercato e ristorante self service per mangiare e bere qualcosa di caldo. Non sembra ma il freddo fa consumare molte più energie e si rimane a secco, in crisi di fame, in un attimo. Quindi cioccolata calda e dolcione di sfoglia con marmellata e crema, per affrontare gli ultimi 40km, di cui più di metà con le bici stracariche di acqua e spesa per la cena e la colazione.




A proposito di spesa, onde evitare kilometri extra inutili, ci siamo arrangiati in una sorta di supermercatino di paese, sulla strada, l’unico nel raggio di 30km. Il locale era diviso in due: da un lato gli scaffali con qualche prodotto, per lo più scatolame, comprese tolle di carne di renna e di alce. Dall’altro articoli sportivi: sci, ciaspole, maglioni, canne da pesca, coltelli e stivali. La cassiera, una donnona rubizza e sorridente, parlava perfettamente inglese, come tutti qui. Ci ha chiesto se avessimo trovato tutto e sì, pure il dolcetto per il dopocena in tenda. Nel parcheggio fuori un ometto ci ha chiesto da dove venissimo ed ha voluto sapere del nostro viaggio, chiosando con un “respect!”  come si usa qui. Ed è arrossito quando gli ho detto che la Finlandia è bellissima, il paradiso del cicloturismo, e i finlandesi sono gentili e carini. Che poi è vero davvero, sono un popolo pieno di grazia, in una terra piena di grazia.



Come ogni sera avevo già selezionato sulla Tulikartta un campeggio libero e agratis, e questa volta ci è andata davvero bene: in un bosco silenziosissimo e sofficissimo di muschio, c’erano un capanno, un’area falò-barbecue perfetta, con le panche attorno, il coperchio di metallo e la griglietta sospesa, e pure il capanno della legna pieno di ciocchi asciutti e pronti all’uso.

Appena montata la tenda ho subito acceso il fuoco (ormai padroneggio la sacra arte) e così abbiamo ottenuto tre risultati che, a quell’ora e in quelle condizioni, sono pienamente significativi: si scalda la cena, si scaldano le mani e le terga (perché FA FREDDO appena ci si ferma e si va subito sotto i dieci gradi) e si scacciano le zanzare con il fumo bianco e profumato del legno di pino e betulla, la cui corteccia è incenso puro.  








Con gli ultimi crepitii della fiamma, ormai rubini nel buio, nello stormire delle foglie, ci siamo ritirati e il sonno è giunto presto, ed è stato profondo. E ho ritrovato lo scaldacollo! Gli gnomi burloni lo avevano messo nel sacco a pelo, in fondo, ai piedi.



11/8/20
giorno 39
Karsamaki-Kempele
128km

Questa mattina partire è stato difficile: difficile dire addio al calduccio del sacco a pelo e della tenda, difficile lasciare il tepore del fuoco. L'ora presta e le nuvole, il vento freddo da nord e il fatto che ormai siamo a breve passo dal Circolo polare artico (tra 3 giorni, a Rovaniemi, lo passeremo) fanno sì che al mattino uscire dalla tenda sia un parto difficile.

Però, però, accendendo il fuoco le cose migliorano, e si fa colazione al caldino, mentre bolle l'acqua per il te, ci si cambia e si indossano i vestiti da bici senza shock termici e, in definitiva, si fa tutto ciò che precede la partenza ben al teporino.




Nel fare tutti i preparativi per la nuova giornata in sella, mi fisso sui funghi. Qui è pieno di ogni genere di fungo, e per me, che sono ignorante in materia, son tutti uguali, velenosi ed eduli, e mutano solo nella forma e nel colore.

Questo giovanotto qui ieri sera spuntava dal terreno di pochi millimetri e stamani già ci osserva e ci fa tanto di cappello,


mentre quest'altro, per venire alla luce, ha persino spostato l'intera zolla di muschio. Cucù!
Mi danno un insieme di brividini di ribrezzo viscidino e attrazione fatale, non so perchè. Magari anch'io faccio a loro lo stesso effetto, mezzo schifo e mezza curiosità mista a meraviglia, mezza festa e quasi male come dice Guccini.



Attirano la mia attenzione anche degli uccelli strani, mai visti, che sembrano dei kiwi piccoli e lisci, e volano. Se qualcuno sapesse di cosa si tratti, per favore batta un colpo.



Oggi non ci siamo fatti ingannare da deviazioni strane, ciclabili sospette e tour panoramici dei peggio sterrati della nazione. Siamo tornati sulla nostra bella stradona, ripercorrendo gli ultimi 3km di ieri all'indietro, e da lì non ci siamo spostati per quasi tutto il giorno, oltre 100km. Tanto, pur essendo una stradona, praticamente una highway, il traffico è minimo, quasi inesistente, il bordo ampio e l'asfalto liscio. E chi è alla guida presta bene attenzione e rispetta gli utenti deboli. 




In una luce per noi innaturale, chiarissima ora e ora buia e spenta, ci siamo messi in marcia. Nota positiva: nessuna salita degna di tale nome per l'intero giorno. Nota negativa: vento contrario e freddo che ci ha costretti ad alternarci a tirare e fare scia, 3km davanti uno, mentre l'altro riposa, 3km viceversa, e così via.


Su una tappa di poco meno di 130km abbiamo fatto due soste: a 40 e a 80km. Precise, geometriche. Anche perchè, nonostante l'abbigliamento invernale, ogni tanto bisogna togliersi dalla furia di Eolo e scaldarsi un poco, con un tè o una cioccolata (il caffè è quello americano, quindi deve piacere il genere).
Una piccola nota di costume: vero, qui non c'è il bidet. Ma c'è il doccino, anche nei bagni pubblici. Come in Iran. Tutto il mondo è paese quando si tratta di nettarsi le terga.


E questa è una volpe, che non si lava decentemente da due giorni e da una settimana vive la vita dei boschi e degli animali silvestri. Potrebbe andare peggio, via. Certo, mentre mi lavo alla bell'e meglio nei bagni del simil-Autogrill, la gente mi guarda un po' schifata, ma pazienza. A propos, di cicloturisti se ne vede uno ogni due giorni, me ne immaginavo di più. E le persone, nei locali e nei paesi, sono abbastanza incuriosite o sospettose da farmi capire che non è uno spettacolo frequente quello dei nomadi pedalanti.


Sull'autostrada i paesi sono abbastanza rari e distanti tra loro, oltrechè minuscoli e quasi invisibili, tra alberi e campi. Ma non mancano stazioni di servizio all'americana, o alla russa, con benzinaio, ristorante, supermarket, infopoint con mappa e, a volte, persino hotel con sauna.





il paese di Piippola!



Ormai verso la fine della tappa, con ai bordi del campo visivo sempre i boschi scuri e sopra un cielo indecifrabile, che parla una lingua che non so, siamo tornati sulla costa. Il Golfo di Botnia si apre a pochi kilometri da qui ma il mare ancora resta nascosto di là dagli alberi. Lasciamo a questo punto lo stradone per una parallela meno trafficata (ovvero assolutamente priva di qualsivoglia presenza umana), dotata pure di ciclabile.Ci stiamo avvicinando a Oulu, che dista solo 10km e visiteremo domattina. Questa città è la capitale del ciclismo finlandese, è tutta una ciclabile, e vanta eccellenze nel servizio e nell'utenza anche nel gelido inverno.


I paesini si fanno più frequenti, e son quasi tutti a vocazione agricola





mentre il pannello indica che, nell'anno del Signore 2020, giorno XI del mese di agosto, alle ore 17, ci sono 16 gradi. "L'estate sta finendo..." e infatti qui la bassa stagione inizia il 16 agosto, quando riaprono le scuole e si torna in ufficio. Noi dobbiamo senza dubbio affrettarci per non fare l'errore di Napoleone e Hitler, solo un po' meno ad est.


In ogni caso, per stasera, dopo una settimana di tenda (da Helsinki) ci siamo concessi il lusso di un tetto sulla testa: il microscopico ma organizzatissimo Motel di Kempele, in stile stelle e strissie, con davanti benzinaio e minimarket, tra autostrada e paese. Camere grandi con cucinino, bagno al piano e prezzo pop


e c'è pure la sauna!




Ovviamente ne approfittiamo, così come dell'accuratissima e lunghissima doccia calda che sancisce il nostro ritorno alla civiltà. La spesa è già nelle borse, fatta arrivando nel supermercato del paese. Ora non resta che organizzare la visita di Oulu, domattina, e la strada per Rovaniemi, i prossimi due giorni (son poco più di 200km). Passati i 4100 già pedalati, che sarà mai attraversare la Lapponia?



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