sabato 22 agosto 2020

48-49. Nordkapp. "Ed io me n'andrò zitto/ tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto"




(premessa: il 21 siamo arrivati a Nordkapp e nella seconda tappa di questo articolo vedrete delle foto di paesaggi belli belli belli in modo assurdo. Perchè è stata una giornata benedetta dal sole e da una luce altissima, e perchè l'isola di Mageroya è una sorta di intatto Eden purissimo e spietato d'acqua e roccia, vento sale.
MA. ATTENZIONE. Il viaggio non è finito. Abbiamo ancora tra i 500 e i 600km di strada lungo la costa norvegese, via Alta fino a Tromso. Non perdetevi le prossime puntate!)

20/8/20
giorno 48
57km
Repvag-Honnigsvag

Oggi è una giornata breve, una sorta di semi-sosta. Solo a metà, perchè ci attende il famigerato tunnel Nordkapp, che non è certo una passeggiata. Ma i kilometri sono pochi, e ci attende un caldo e comodo ostello, dunque prendiamo la giornata come il riposo del guerriero prima della battaglia decisiva, ovvero le montagne russe che bisognerà affrontare per conquistare Capo Nord.

Senza fretta lasciamo l'hotel russki, con l'impressione, sempre più netta, che qui, oltre a smerciare pesce, imbottiscano i granchi reali di cocaina, prima di spedirli in tutto il mondo. Ok, forse ho esagerato con Narcos, Breaking Bad eccetera, però, via, come si fa a campare con due turisti l'anno?

Lasciamo Repvag e non piove, ma il cielo è decisamente imbronciato. Certo non fa freddo, ci sono 12 gradi e ormai il nostro corpo si è abituato, stando molte ore all'aria aperta, al vento e alle intemperie o al sole, come capita. Sento meno freddo a pedalare qui per otto ore, che a casa, in inverno, magari con qualche grado in più, per un giretto. La vita da sedentari fa male e rende molli e inetti, pigri e disadattati in senso lato.




Torniamo sulla nostra strada, la E69, che costeggia il fiordo Porsanger e ne accarezza fedelmente le coste fino al mare aperto. La luce è bianca, opaca, come il fondo di una tazza di latte.






Tra acqua dolce di laghi e torrenti e acqua salata di mare, la strada corre in curve sinuose, lambendo case sparse e porticcioli. Di gente in giro non se ne vede e il traffico è inesistente. Il tempo è sospeso, si vive nel ritmo scandito del respiro, leggero di aria fresca.





La roccia, a picco sulla strada e il mare, è stratificata e racconta la storia antica della pietra, che era liquida e rovente, e si è mescolata e divisa in un mondo tutto eruzioni e magma, vapori e ruine. Ed ora si disfa, si sgretola, frana e si fa sabbia, "minuscoli frammenti della fatica della natura". Perchè tutto si trasforma.











Più si va a nord, più l'orizzonte si fa brullo e deserto. Non c'è traccia umana, fuor che la strada. C'è un gran silenzio che si interrompe al grido dei gabbiani, che incrinano l'aria di vetro. Penso a Montale... "Forse un mattino..." e anch'io me ne vado zitta, tra gli uomini che non si voltano, con il mio segreto.


Ricompaiono anche le amate renne, che sono ormai gli spiriti protettori di questo viaggio e sorvegliano il nostro lento andare con la loro apparente noncuranza.











una minirennula con la sua mamma, mi sciolgo









Mentre mi lascio rapire dalla disumana bellezza di questi luoghi, che sono al di là di ciò che si può dire a parole, mi ronza in testa quella frase di Sam, de Il Signore degli anelli: "C'è del buono a questo mondo, padron Frodo. E' giusto combattere per questo". Davvero. E penso anche al Jova e alla sua docuserie che prende il titolo da una poesia di Neruda. Mi torna spesso in mente, anche se non parla di queste terre.

Seguiteranno a viaggiare
tra gli astri oggetti metallici
con dentro uomini stanchi,
violenteranno la luna
aprendovi farmacie.

E’ il tempo dell’uva piena
e il vino comincia a vivere
tra le montagne e il mare.

In Cile ballano le ciliege,
cantano le ragazze brune,
l’acqua nelle chitarre luccica.

Il sole bacia ogni porta
e col grano fa miracoli.

Il primo vino è rosato,
dolce come un bimbo tenero;
il secondo vino è robusto
come voce di marinaio;
e il terzo vino è un topazio,
un papavero e un incendio.

La mia casa ha mare e terra,
la mia donna ha grandi occhi
color nocciola selvatica,

quando si fa notte il mare
si veste di bianco e di verde,
e la luna tra le schiume
sogna come una sposa marina.

Non voglio cambiare pianeta.


(Il pigro, Neruda)








Arriviamo all'ultimo villaggio sulla terraferma, Kafjord. Qui vive un uomo che probabilmente è considerato dai suoi vicini come una sorta di stregone dai poteri occulti: si tratta del proprietario di questa casetta, che ha in cortile ben due alberelli.
Da queste parti nulla, nè arbusto nè albero, cresce oltre i 40cm da terra.



Ed eccoci alfine alla sfida di oggi: il Nordkapptunnelen. Quasi 7km di tubo digerente in cemento che mangiano qui e sputano sull'isola, dopo esser scesi fino a 212m sotto il livello del mare con pendenze medie del 9%. Quest'opera è stata realizzata tra '93 e '99, e sostituisce il servizio di traghetti. Prima era a pagamento, ora non più.




Ci attrezziamo: due luci anteriori, due posteriori, giacche e copricasco ad alta visibilità. Una boccata d'aria profonda, e via che si va.
In realtà il tunnel è illuminato e il traffico minimo. Certo, quando passano auto o moto il rumore stordisce e spaventa, perchè crea eco e non si capisce mai da dove arrivi il pericolo. La strada è stretta, non ha bordo, ma spesso c'è un marciapiede che consente, eventualmente, di fermarsi in sicurezza.
A scendere ci vuole un attimo e fa freddissimo.
Risalire invece è opera ben più laboriosa, e si suda e si sbanda perchè tutto è umido e scivoloso. Dopo un po' gli occhiali si appannano, l'aria manca, e pare di stare immersi in un mondo d'acqua, opaco e cupo.


Riemergere di nuovo alla luce è un parto felice, e non c'è gioia più grande di tornare all'aria aperta dopo tanto affanno al petto. Ci fermiamo ad ammirare il nuovo orizzonte. Siamo a Mageroya.








Ripartiamo in direzione di Honnigsvag, che ormai è vicina. Incontreremo altri due tunnel, uno brevissimo, l'altro di 4km, ma ben largo e illuminato.











Passiamo per Sarnes,




che conta più renne che abitanti.















Dopo aver attraversato l'ultima galleria, eccoci finalmente ad Honnigsvag. Qui abbiamo prenotato due notti all'ostello fuori città, sulla strada per e da Capo nord. Ci accoglie una signora cordiale e premurosa, che si scusa tanto per il modulo da Covid che dobbiamo compilare. Le dico che noi è tutta estate che abbiamo a che fare con scartoffie del genere... E lei risponde che invece, qui sull'isola, sono obbligatori da ieri. Ci chiede da dove veniamo, dove siamo stati negli ultimi 14 giorni e controlla che Italia e Finlandia non siano paesi "rossi", ovvero quelli per i quali è prevista la quarantena.
Un ometto che giunge dopo di noi, invece, viene subito braccato: viene in bus dalla Svezia e dovrà stare in isolamento. Brutta storia. L'incubo sta tornando. Lo leggo anche sui giornali ogni giorno.

L'ostello è un porto di mare e ci sono tracce dei molti viaggiatori giunti qui con ogni mezzo e da ogni dove. Molti ciclisti. Molti italiani.



Nel breve tempo di far la doccia e riposare un poco, ascoltando la colonna sonora di Into the wild, vediamo transitare molti ciclisti: uno in trike elettrico con carrello, due ragazzi sudafricani un po' freak con la bandiera "Justice for climate" e un finlandese nato e cresciuto in Italia, a Varese e Basilio, figlio di un dipendente Nokia, che ora è tornato ad Helsinki ma parla ancora benissimo la lingua.



Nell'andare a far la spesa vediamo la periferia di Honnigsvag, che è il comune più a nord della Norvegia. Fa 2400 abitanti, ma d'estate ne arrivano altri 500 per soddisfare le ricieste dei turisti diretti a Capo Nord.


"Honningsvåg contende ad Hammerfest, sempre in Norvegia, il ruolo di città più a nord del mondo, ma la legislazione effettiva norvegese del 1997 prevede che un centro per essere considerato città deve avere una popolazione di almeno 5000 abitanti, lasciando così ad Hammerfest l'onore del record." (Wikipedia)



"La zona di Honningsvåg è stata abitata fin dall'8000 a.C. e l'insediamento preistorico viveva probabilmente di pesca, favorita dal clima più mite di molte altre regioni situate alla stessa latitudin. Ciò ha favorito anche la crescita di specie vegetali che, almeno nei giardini, possono superare, anche se raramente, i 4 metri di altezza. Fu bombardata durante la seconda guerra mondiale, distrutta e poi ricostruita. Oggi alla pesca si è aggiunto, come principale attività economica, anche il turismo." (Wikipedia)


Fatta scorta di provviste, ci ritiriamo in ostello per recuperare le forze in attesa del gran giorno: domani - Nordkapp.
E il cielo sembra promettere grandi cose, stasera.



PS. con il doppio fuso, l'app meteo mi fa notare la differenza di temperatura tra casa e qui: 31 e 10 gradi, alle 18 di una bella giornata di sole. Infatti qui non sento freddo, il corpo si è abituato, acclimatato in senso stretto. Quando torneremo, avremo uno shock termico e l'autunno sarà la nostra estate.



21/8/20
giorno 49
Honnigsvag-Capo Nord-Honnigsvag
69km

Oggi è il gran giorno. La tappa simbolo, quella che in prima battuta abbiamo sognato come meta finale. Ma non sarà così: il buon vento e l'entusiasmo ci han permesso di guadagnare tempo, ed allungare quindi il viaggio, fino a Tromso, lungo la costa norvegese spaccata e sfilacciata in fiordi.

Ma quella di oggi resta comunque LA tappa. Perchè poi, più a nord di così, ci son solo mare e ghiacci e poche isole desolate.

Ci svegliamo accarezzati dai raggi di un sole caldo e vivo che preannuncia una giornata indimenticabile. Sarà così. La strada pedalata oggi rientra a pieno titolo nelle prime posizioni della mia personale classifica delle vie della meraviglia. "A Capo Nord non c'è niente..." lamentano i distratti turisti che son giunti qui di fretta e magari senza voglia, senza curiosità, senza passione e senza fatica. A Capo nord c'è la strada per arrivarci, ed è bellissima. E anche tremenda, visto che nel continuo saliscendi di questi 35km si sale per due volte a più di 300m, con pendenze tra l 9 e il  13%.
Qui davvero vale il famoso adagio ben noto ai nomadi di spirito: non è la meta a contare, ma il viaggio. Mageroya, l'isola più a nord del nostro vecchio continente (se escludiamo le Svalbard), offre infatti scorci spettacolari, così unici che paiono di un altro mondo.

I primi 5km sono in piano e corrono lungo la costa, da Honnigsvag al suo microscopico aeroporto. Il Mar di Barents è qui placido e mite.


















Tra questi colori pastello, dolci di purezza arcaica e intatta, spiccano le rocce nude, che raccontano la vera storia di questa terra. La natura è potente e implacabile, gelida di vento e ghiacci, di infinite notti invernali e giorni in cui il sole non chiude mai occhio e tutto osserva e tutto vede.
Non è un paese per esseri umani. Ben vivono le renne libere, le pulcinelle di mare nei loro nidi nelle falesie, i gabbiani contenti del vento e le balene nella profondità delle acque scure.
In passato solo un gruppo di uomini, solo i sami, hanno osato sfidare questa matrigna e riconoscere in lei una madre, per quanto severa.
Gente dura come queste pietre, calda come la brace al crepuscolo, attaccata alla vita come tutti, e come tutti appesi a un filo sottilissimo, una lenza cui si spera qualcosa abbocchi, un ciuffo di cotone selvatico che qui cresce spontaneo e inneva i prati in estate.
Solo i sami.



Man mano che si affrontano le prime ripide rampe, i tornanti e le creste, si dischiude allo sguardo un orizzonte assoluto di bellezza grandiosa. Qui quasi tutto è rimasto e la terra vibra di un palpito ancestrale, sottile e potente a un tempo. Gli sciamani sapevano. Io sono analfabeta in questa lingua e godo della luce e delle ombre come chi ascolta un canto dolcissimo senza capirne le parole.




Se questo non è il paradiso terrestre, dove dio non c'è e tutti gli spiriti degli elementi convergono in una danza estatica, che comprende tutto e dunque pare immobile, ditemi voi cos'è.

perle di neve




Nemmeno qui mancano le renne, che pascolano in placide mandrie, incuranti del nostro passaggio.
Se ne vedono i culetti bianchi, che spiccano nonostante i loro tentativi di mimetismo. Che poi: quelle marroni si confondono con la vegetazione in estate, ma sono ben in vista nella neve; viceversa quelle bianche. Quelle miste a macchie, insomma, ci han provato.




il cotone che cresce negli stagni










La costa si intravede a tratti, ed è sempre estremamente frastagliata. Passiamo il bivio per Kamoyvaer, villaggio di pescatori di etnia mista, sami, kven finlandesi e norvegesi. Loro ancora prendono il largo ogni giorno e fanno ciò che per secoli han fatto i loro padri, con le mani tagliate dall'acqua gelida e salata, e gli occhi colmi d'azzurro.




Passiamo anche il bivio per Gjesvaer, villaggio di pescatori anch'esso, con tanto di negozi e scuola primaria. E' l'unico paese nel Finnmark ad esser noto fin dall'epoca dei vichinghi, tanto che è citato nell'opera epica (ma quasi del tutto in prosa) Heimskringla, nella quale l'islandese Sturluson raccolse diverse saghe scandinave, intorno al 1225.
Il villaggio, bruciato nel '44 dai tedeschi (come tutto ciò che c'era di umano qui) si basa ancora sulla pesca ma pure sul turismo, grazie alla gigantesca colonia di uccelli marini che vive sulle sue scogliere a picco sul mare. Sule, pulcinelle di mare, gabbiani e compagnia pigolante.

Ultimo bivio: Skarsvag. I 60 abitanti vantano il titolo di pescatori (di merluzzo, per la cronaca) residenti in villaggio più a nord del mondo.
A poca distanza dal cimitero sorge una formazione rocciosa a forma di arco. Pare fosse un luogo di sacrifici rituali dei sami.
Sulla strada incrociamo un loro negozio di souvenir artigianali; mi incuriosisce e mi riprometto di entrarci, al ritorno.




Ultima ripida scalata, con splendida vista sul fiordo. Quasi in cima ci fermiamo a scattare una foto e due omoni tedeschi, appena scesi dall'auto, ci dicono: "Forza, mancano solo 2km al passo!". Replico che è un sollievo, e son ben pochi: ne abbiamo alle spalle più di 5000! Ridono. Ma non è cosa da ridere, è vero!





skyline con renne che paiono le incisioni rupestri dei sami










Superiamo anche l'imbocco del sentiero per raggiungere Knivskjellodden, il vero punto più a nord dell'isola, poco meno di un grado più su di Capo Nord, un km e mezzo circa. Ma questo vero Nordkapp è meno famoso e non attira turisti da quasi due secoli, perchè non è una terrazza panoramica con falesia a strapiombo sul mare, ma digrada dolcemente fino alla costa.

Arriviamo alla fine dell'isola e, in mezzo al nulla, si staglia davanti a noi la sagoma inconfondibile del Nordkapphallen, il centro turistico e punto informazioni di Capo nord.E' stato costruito nel 1959 in pietra e vetro, e poi ampliato nel 1988. Molta parte dell'edificio è scavata nel plateau di roccia, per non impedire la visuale sul mare aperto.


Qui termina la strada pubblica accessibile in auto più a nord d'Europa, costruita nel 1956. Dal 2011 si paga un biglietto d'ingresso, tra i 16 e i 25 euro circa, che ha destato molte proteste, soprattutto perchè spesso nebbia e condizioni meteo avverse impediscono di godere della vista del mar di Barents spalancato da ogni parte dalla scogliera a 307 metri a strapiombo sulle correnti. La società che mantiene strada e infrastrutture, sostenendo che i costi per gestire tutto l'ambaradan e garantire la sicurezza ai turisti sono altissimi, non solo non ha abbassato il costo del biglietto,ma lo ha persino aumentato. Tuttavia chi arriva a piedi, in bici o non a motore entra gratis.
Il ragazzo al casello ci guarda e poi sorride largo: "Finally! Yeah! " e ci fa passare.

Attira in primis la mia attenzione una colonna in granito. Commemora la visita del re Oscar II di Svezia, nel 1873; vi era anche un monumento in ricordo del passaggio dell'imperatore tedesco Guglielmo II, nel 1891. Furono loro a rendere famoso questo Capo come meta turistica, tanto che in quegli anni fu costruito un edificio in legno detto "Champagne pavillon", dove era tradizione, per i visitatori, brindare. Siamo sulla scia del romanticismo, dell'amore per i luoghi estremi e dei grand tour, ovviamente.





Vedo in lontananza quello è sicuramente il più noto simbolo di Capo nord, il globo che staglia tra azzurro e azzurro.



Una pietra marca la fine del sentiero escursionistico E1, che parte dall'Italia e arriva fin qui. Ripercorre, in un certo senso, le orme del primo "turista" che si spinse fin quassù, a piedi, a cavallo, su carri e barche. Correva l'anno 1664 e Francesco Negri, prete, gesuita, scienziato, arrivò qui da Ravenna, per poi raccontare la sua esperienza nel libro "Viaggio settentrionale", in forma di otto lettere.
Posso solo immaginare cosa potesse significare a quel tempo affrontare una tale distanza a piedi. Quale bagaglio, quale strada? Nemmeno si sapeva dove portasse, quanto proseguisse. Un saio, una ciotola, un tozzo di pane e un rosario. Quali genti, quali volti, quali animali? Tanta fede in dio e nel suo creato, ma soprattutto nelle sue creature, tanto più quelle fatte a sua immagine e somiglianza.



E ora anche noi siamo qui. Al globo. Per la foto di rito, che non può mancare. A piantare la nostra bandierina, a seppellire un palpito puro. La volpe sorride, la Signorina Felicita anche. La felicità. Tutto è azzurro.



Rimaniamo ad ammirare le scogliere e il balzo, il volo immenso fino al blu che specchia altro blu profondo.Non come turisti ma come ospiti mi scrive Manuela, amica e collega.
Lo sguardo si perde all'orizzonte, i polmoni son pieni d'aria fresca e salata.
Ci avevano prospettato, gli amici saputi, grandi folle oceaniche e code e chiasso di visitatori scomposti. Invece siamo soli. Noi e il cielo. Noi il mare. Noi e il nord. (e due ragazzi tedeschi in auto che ci fanno -e si fanno fare- una foto).


Entriamo poi a scaldarci un poco al centro visitatori. Oltre ai pannelli informativi relativi al monumentodi cui vi parlo più avanti


e al racconto di quando il re del Siam, nel 1907, venne qui nel suo viaggio attraverso l'Europa,



c'è un piccolo museo dedicato alla battaglia navale di Capo Nord, o dell'Isola degli orsi (1943), quando l'incrociatore tedesco Scharnhorst fu affondato dalla flotta della Royal navy. Fu l'ultimo scontro in mare tra mezzi di superficie della Seconda guerra mondiale.





C'è poi una sezione dedicata alla fauna dell'isola, in particolare gli uccelli marini (notare con quanta precisione son state ricostruite le scagazzate); accanto, un cinema in cui si può assistere al documentario che mostra le quattro stagioni, i loro colori e le loro luci qui a settentrione.




Segue poi la ricostruzione della storia "umana" di Nordkapp. Nel 1553 l'esploratore inglese Richard Chancellor, capitano della Bonaventure, mentre cercava un passaggio a nord-est per le Indie, approdò qui e diede al luogo il nome che porta tuttora.




Poi giunsero i primi turisti. Il gesuita Negri da Ravenna, nel 1664, e Luigi Filippo d'Orleans, nel 1795; ma pure il re del Siam, nel 1907.




Nel 1873 fu la volta di re Oscar II di Svezia




Si incrocia poi la cappella di san Giovanni, nemmeno a dirlo, la più a nord del mondo.











Dopo il "thai museum" che raccoglie le foto e la storia del re del Siam che si spinse fin quassù nel 1907, c'è la grotta delle luci, un'installazione che propone suggestioni cromatiche e sonore per far vivere un'esperienza che va dall'aurora boreale al sole di mezzanotte, fino al buio totale delle giornate brevissime e il chiarore assoluto della neve al primo sole.


Si apre poi una terrazza panoramica sul mare sconfinato, e su questa terra di iperborei. La luce è già mutata al grigio, l'acqua la imita e scolora.



Risaliamo al pianterreno, dove beviamo un tè per scaldarci (fa veramente freddo ora!) e Gigi compra una boule a neige per la sua collezione. In questo viaggio ne ha già acquistate tre, a Berlino e a Tallinn le altre. E le stipa con cura ad aumentare il bagaglio.
Questi urendi troll sono ovunque. Ma perchè?


Dopo esserci cambiati per la seconda volta (togli i vestiti fradici di sudore, metti gli abiti civili asciutti, ri-indossa i vestiti un po' bagnaticci e gelidi) ci rimettiamo in sella per tornare, questa volta contro vento e senza sole. Prima, passiamo a vedere le sculture del "Bambini del mondo", del 1989. Una madre, un bimbo e sette dischi che sono la copia esatta di opere fatte da sette bambini scelti a caso in tutto il mondo. Rappresentano i valori della pace, della fratellanza, della gioia e dell'amicizia al di là dei confini e delle differenze geografiche e culturali.


Il cielo non sembra felice del fatto che ce ne stiamo andando.











Ripercorriamo la strada dell'andata, con salite ripide e discese a precipizio annesse. Ma ora, senza sole e senza luce, senza colori, tutto pare grande e terribile, come Gramsci descriveva il mondo.
Mi fermo poi nel negozio dei souvenir sami. Il proprietario sta riparando gli steccati e una donna infoulardata, dalla casa vicina, lo chiama. Come temevo, il più degli oggetti in vendita son tutt'altro che artigianali, ma la visita vale comunque la pena, dà la misura dello spirito dei tempi.











Così ce ne torniamo sui nostri passi, nella luce che muta di continuo, in un caleidoscopio di colori ed ombre, su e giù per questa grandiosa isola di pura meraviglia. Questa strada, questo cielo e questo mare, questi orizzonti, sì, valevano la fatica del viaggio.
Domani si riparte.
Torneremo ad Olderfjord, su passi già calcati i giorni scorsi. Da lì una nuova via c'attende, quella che porta a sud ovest, verso Tromso.




2 commenti:

  1. Quanta poesia in quel "" "nulla" ".
    Dalle foto si vede che il freschetto vi fa bene. La volpe ha una cera diversa sembra quasi ringiovanita nella foto davanti al globo. Queste foto descrivono un bel silenzio! Beata te!

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  2. Come sempre sei GRANDE
    Salutami Gigi e buon rientro

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