martedì 18 agosto 2020

44-45. Inari e il confine norvegese. La brace che riscalda, l'acqua e il vento gelido. Una storia di hybris punita.





16/8/20
giorno 44
Tankavaara-Inari
112km

L'inverno è arrivato! Aita, aita!
La notte scorsa è stata gelida, d'improvviso, dopo giorni di inatteso bel tempo. Il freddo è giunto sulle ali di un vento che spira da nord, e porta la voce dei ghiacci perenni. La nostra tendina, ben picchettata, ha resistito all'ira di Eolo, ma noi, dentro, siam stati costretti a correre ai ripari e coprirci di più, e a più riprese, perchè non ci aspettavamo un calo così brusco delle temperature. Qui è ufficialmente finita l'estate, e il nostro tempo di fa corto come mangiato da una fiamma. Ed è una fiamma di ghiaccio.

Dunque, dopo la notte tormentata, siamo partiti a rilento. Colazione nella cucina del campeggio, caldissima e accogliente, con dolci di mele e cannella appena sfornati. E poi la vestizione, a strati furbi: termica leggera, pantalone e giacca invernali, antivento, scaldacollo e berretto, e guanti lunghi, per la prima volta.
E' difficilissimo trovare il giusto equilibrio di vestimenti: abbastanza da non patire il freddo, non troppo da sudare, adeguato in caso di pioggia, che oggi è stata quasi continua.
Anche perchè la strada sale e scende in continue collinette, e prima si suda, poi si prende di petto l'aria ormai fredda. Oggi, per intenderci, le massime qui sono state di 11 gradi.

Ben bardati, ci siamo messi in strada con la consapevolezza di avere, per via, diverse città, utili punti di sosta e ristoro.




La prima è stata Saariselka.


Qui abbiamo trovato rifugio in una sorta di centro commerciale, bar, ristorante, hotel e agenzia turistica; stava iniziando a piovere forte e siamo riusciti ad arrivare prima di essere del tutto fradici. Ci siamo vestiti da pioggia e abbiamo bevuto un caffè caldo, osservando l'umanità multiforme in transito. Molti militari, di cui alcuni vecchissimi e stortissimi (il freddo ringiovanisce! E' come stare in freezer, non ti decomponi!), molti motociclisti intenti a bardarsi contro i fortunali, e numerosi hiker e sportivi della domenica. Qui infatti sono numerosi gli hotel, le agenzie e i centri che offrono vacanze attive, sia in estate sia in inverno; camminate nel parco di Urho Kekkonen, pedalate sulle colline in fat bike, sci di fondo, slitta, safari più o meno pacifici con renne e altre bestie, sauna e spa dopo la notte ad ammirare l'aurora boreale... Insomma, sui siti che promuovono il turismo si legge che Saariselka è il luogo dove tradizione, natura selvaggia e miti ancestrali incontrano il terziario più avanzato. Tant'è che qui è moda organizzare i "matrimoni bianchi", quando tutto è glassato di neve, con la sposa che giunge trainata dagli husky e altre amenità.


Noi, ovviamente, approfittiamo del tepore del locale fino a che spiove, quando usciamo per riprendere la strada. Veniamo abbordati sia da passerotti affamatissimi, a decine (son riuscita a fotografarne solo due ma era uno stormo) sia da un biondissimo e quasi elfico cicloturista finnico, che si presenta e spiega che anche lui sta andando a Capo Nord, e da lì tornerà in treno. Ci dice che da giorni ci intravede, e quando abbiamo messo la tenda nel bosco si è avvicinato per accamparsi accanto a noi, che probabilmente già dormivamo, poi si è accorto di non avere cibo e ha proseguito fino alla città. Ci ha visti passare più volte, e più volte avrebbe voluto parlarci, ma non è mai riuscito a palesarsi. Già a questo punto del discorso provo una certa inquietudine, come se da tempo fossi seguita o spiata. Brrrr. In ogni caso, dice, questa notte ha avuto molto freddo, e ora si è fermato ad acquistare calzini e guanti pesanti, perchè non ha l'abbigliamento adatto. In effetti viaggia leggerissimo, con due borsine posteriori e nulla più. Meno male è finlandese! Spiega di aver dormito qui vicino, in cima al Kaunispaa-fjeld, una collinotta di 400 metri con la testa brulla che sta qui a 3,5km di distanza (in salita); lì c'è una torre panoramica da cui si vedono ben tre parchi nazionali, un oceano di boschi, e, sostiene lui, persino la Russia. Continua a insistere a che anche noi si faccia questa bella deviazione, ma io declino, dicendo che Gigi è stanco (non è vero, è solo una scusa per non risultare sgarbati). Poi so che quella collina è detta "magica" o meglio "magnetica" perchè durante la Seconda guerra mondiale i camion rimanevano impantanati nella ripida salita fangosa e gli abitanti locali pensavano che il monte avesse il potere di "risucchiare" l'energia dei motori. Figuriamoci: non riuscivano a issarsi i camioni, devo issarmici io...
Il giovanotto è un po' troppo insistente e un po' troppo appiccicatello per i miei gusti, temo di trovarmelo appresso a peso morto da qui fino a Capo Nord. Tanto più che pure lui oggi si fermerà a Inari, più o meno come noi. Ma lui con un warmshower. Saluti, auguri, e via, ognuno per sè e dio per tutti, o quasi.

Dopo pochi minuti al sole, ricomincia a piovere, e questa volta ce la prendiamo tutta, insieme al vento, gelido, i faccia, in salita. 





Per fortuna l'acquazzone non dura a lungo, e si trasforma in un pioviscolo vaporizzato che ci terrà compagnia quasi tutto il giorno. La natura, intorno, è grandiosa e austera nella luce opaca e scura. Foreste, fiumi e laghi sono la compagnia costante del nostro andare, contro vento sempre.






Il largo, plumbeo, fiume Ivalo ci accompagna alla seconda città di oggi, Ivalo appunto.





volpe-palombaro

Ivalo, come Saariselka, è meta turistica per sport invernali ed estivi, è nota per la ricerca d'oro nel fiume e la pesca al salmone, escursioni in canoa e in slitta trainata da renne o cani, sci e via discorrendo. Durante la Guerra lappone (44-45) la città fu distrutta completamente dalle truppe tedeche in ritirata, al comando di Lothar Rendulic.



Qui facciamo la seconda pausa caffè caldo, mentre fuori continua a piovigginare. Un po' a malincuore lasciamo il locale dai vetri appannati e torniamo on the road, per affrontare l'ultimo strappo di 40km fino a Inari, la capitale sami.






Il paesaggio, prima chiuso tra colline e pinete, si fa qui aperto in innumerevoli laghi e laghetti, lagoni e acquitrini. La vista si spalanca, il cuore anche: doppio cielo, acqua su acqua, gli elementi si fondono nell'alchimia perfetta della natura che cresce e e respira.















La strada costeggia sempre l'acqua, e le onde increspano quasi il bordo dell'asfalto. Tutto si fonde, tutto torna uno. Il freddo anestetizza i sensi e si perde confine, si diventa parte dell'insieme che danza un palpito lento, un passo a due che dura da sempre.






Dopo tanta meraviglia, e tanta fatica anche, di vento e salite, di freddo e di pioggia, giungiamo finalmente a Inari. Di cui, et voilà, ecco la chiesa -storta come l'esistenza.


Inari è enorme, si estende fino alla Norvegia e alla Russia, occupa il 5% del territorio finlandese. Ma conta meno di 6000 abitanti. La città in sè è microscopica e anche piuttosto malconcia. Domani la vedremo meglio, ma oggi appare un insieme di negozi per turisti, qualche hotel, un benzinaio e un supermarket, ben poche abitazioni e tanti lavori in corso che portano fango e polvere.


Eppure questa città ha una storia lunghissima, che risale all'8000 aC, data dei primi insediamenti di genti che venivano dal Mar Glaciale Artico. Poi questi si mescolarono ai gruppi provenienti dalla Svezia e dal Mar Bianco, durante l'età della pietra, e nacque così la grande famiglia dei Sami di Lapponia, che a Inari son stati la maggioranza fino al XX secolo. I sami di Inari vivevano di caccia, in inverno, e di pesca e bacche, in estate, e non allevavano renne come i loro consanguinei del nord. La legislazione sami relativa al possesso stagionale di terre è rimasta in vigore fino al 1823.
E comunque questa popolazione intratteneva vivaci scambi commerciali con altre etnie, e pure con i mercanti della Lega anseatica.



Dal Medioevo la città è stata tassata da russi, svedesi e norvegesi; nessuno di questi fece alcunchè per portare servizi e il territorio rimase abbandonato, ma prezioso dal punto di vista fiscale.
Oltre alle dominazioni straniere venne anche la religione, estranea: la cristianizzazione dei sami si concluse solo nel XVII secolo. Nel 1740 fu aperta la prima fattoria e man mano caccia e pesca furono sostituite da allevamento e zootecnica, con uno stile di vita ormai sedentario e stanziale. Il processo si completò con la chiusura dei confini russo-svedesi e russo-norvegesi, che impedivano il transito di pastori e mandrie..



Con l'indipendenza della Finalndia, nel 1917, Inari divenne parte della neonata repubblica, ma poi, negli anni '20, l'influenza spagnola falciò molti dei pochi sami che divennero, anche minoranza. Poi ci furono le battaglie con i nazisti contro i russi, e più tardi contro i nazisti stessi, che fecero terra bruciata e distrussero tutto. Dopo la guerra, l'Urss chiese pesanti risarcimenti, tra cui parti del territorio di Inari, disabitate ma con centrali idroelettriche e risorse minerarie.


Inari, in verità, è un'entità politica nata solo a metà '800 ed è un insieme di villaggi sparsi su un territorio sconfinato, che son finiti accorpati sotto lo stemma del salmone con corna di renna.
Domani vedremo il parlamento sami, la libreria e il museo della cultura locale. Ora, invece, dobbiamo trovare un posto per la notte. Siccome siamo infreddoliti e umidicci, decidiamo di non proseguire oltre la città, per piantare la tenda in un bosco, ma di stare in Inari e approfittare dei capanni e dei servizi disseminati lungo i sentieri che costeggiano il fiume.
Trovarli, a dirla tutta, ci costa fatica: ci perdiamo in sterrati impraticabili, tra vasche di ripopolamento di salmoni e paludi allagate dalle piene del fiume.
Per fortuna, mentre vaghiamo ormai sfiniti, incontriamo un ragazzone che cammina in senso opposto al nostro. Gli chiedo se sa dove si trovino i capanni e tutto il resto e lui risponde sì, 700 metri avanti, dove ha piantato lui la tenda, oppure di là dal ponte tibetano, sulle rapide.
Ottimo!


La zona attrezzata si trova su uno spiazzo a strapiombo sul fiume, proprio sopra alle rapide. Consta di wc a secco, non chimico ma che usa una miscela di cenere e segatura da buttar dentro alla "tazza", capanno pieno di legna da ardere e capannuccia aperta con panche e braciere,  e un quadro elettrico con varie prese per ricaricare il cellulare.





Montiamo la tenda accanto a quella del ragazzo, dopo aver acceso il fuoco per scaldarci e far asciugare i vestiti. Il sole spunta da dietro le nuvole e dà spettacolo.


Prepariamo la cena (la mia è funestata da un mal di pancia di origine misteriosa, forse il freddo forse la fatica -per fortuna sparito in poche ore senza strascichi) e ci dilettiamo nella lettura di questa edificante storia di naufragio e annegamento sulle rapide, proprio sotto di noi.












Intorno i boschi e il fiume, sopra il cielo chiarissimo, davanti il fuoco. E anche questa giornata, faticosa, dura, lunga, si stempera nella dolcezza della sera.



Stiamo per ritirarci in tenda, bardati come Amundsen (così il vento freddo non ci coglie impreparati, stanotte) quando sentiamo, alle nostre spalle, un "Ma voi siete italiani!" con forte accento toscano.
E' il ragazzo che prima ci ha dato indicazioni, il nostro vicino di tenda. La serata si allunga di chiacchiere piacevoli: lui è pisano, neuropsichiatra, docente universitario in Norvegia (dopo esserlo stato in Finlandia, dove ha tuttora la fidanzata). Lavora in laboratorio. Ogni estate viene in Lapponia a camminare, a cercare l'oro o pescare, a incontrare gente che fa cose. Ci spiega come sia la vita da queste parti, delle differenze tra i due paesi in cui si è trasferito, degli stipendi, del potere d'acquisto e della mentalità. Racconta di come sia giunto, qui e in Norvegia, il Covid, della quarantena fatta con la sua ragazza in un'isola -privata- fuori Turku, dove i genitori di lei hanno una casa. Poi ci dà consigli su cosa vedere in Norvegia, parliamo di Capo Nord, di come sia un trappolone per turisti (lo so, infatti il viaggio non termina lì) e di come muoversi. Ogni volta che dice Toscana, aggiunge "mia", mentre la voce, forte e sicura, cede un poco. Toshanamia. Per il resto gli esce un po' di inglese e un po' di norvegese misto all'italiano, che ormai, si sente, usa ben poco.
Sta in tshirt e ci saranno 7 gradi, ormai è nordico fatto e finito. Ci saluta e ci dà la buonanotte, dopo aver capito con stupore che siam partiti da Milano in bici. "Boia de', hissà he porpacci!".
Domani andrà al centro turistico a recuperare una cartina e ad informare del suo trekking (qui si usa così: di modo che, se dopo qualche giorno nessuno ti ha visto, vengono a cercarti).

Le braci sono spente ormai e il freddo è sceso, in un chiarore incredibile che ancora mi stupisce. E' ora di ritirarsi, davvero. Domani la Norvegia ci attende!



17/8/20
giorno 45
Inari-Karigasniemi
108km

I più esperti, quelli che avevan 10 in geografia, si saranno già accorti di una cosa: siamo ancora in Finlandia! E non avremmo dovuto.
Ma quella che sto per raccontarvi è una storia di hybris punita, di tracotanza e di eccesso d'intenti, tarpati con forza dalla realtà delle cose, dalla legge della strada e del vento.
Longa brevis, oggi è stato tanto faticoso pedalare che è già molto se siamo arrivati fin qui, al confine norvegese, 17km prima del previsto.

Questa mattina sembrava tutto perfetto: niente pioggia, nè di notte nè al risveglio, poco vento e un freddo accettabile, cui ormai siamo preparati con i nostri scafandri. Ci siamo anche mossi piuttosto presto, contenti della clemenza del cielo.




Dopo aver lasciato il bosco, ci siamo diretti all'imponente edificio che ospita il parlamento sami, e la biblioteca/centro culturale. E' tutto fatto di tronchi scuri, come un recinto entro cui sentirsi a casa.


Da lì, passato il lago Inari, abbiamo raggiunto il Siida, museo e centro della cultura sami, che ha esposizioni di reperti all'interno e un parco con case tradizionali, recinti, trappole per la caccia e così via.








Dopo questa piacevole divagazione, siamo tornati a pedalare, in un pioviscolo gelido che, per tutto il giorno, si è alternato al sole. Ogni 5 minuti. Perchè?
Perchè tirava un vento maledetto, tesissimo, arrabbiatissimo, freddissimo, dritto da nord in faccia a noi. Oltre a raffreddare, tanto più se si è zuppi di pioggia, ci ha rallentato oltremodo: in pianura non si riuscivano a superare i 12, 13km/h.





Il primo tratto di strada, ingannevole perchè dolce di pendenze appena accennate, ci ha condotti a Kaamanen, unica città incrociata oggi oltre alla meta finale.
Pur avendo pedalato solo 30km, ci siamo fermati per scaldarci un po'; di locale ce n'è uno solo, che fa da bar, ristorante, market e benzinaio. E' frequentato da pescatori e cacciatori, gente del bosco, tagliat giù grossa con l'accetta. Quando entriamo, si fa silenzio e tutti questi omoni in stivali e camicia di flanella ci scrutano, come nei film western quando lo straniero entra nel saloon. Poi qualche scatarrata, qualche risatina e todo pasa.



seconda colazione: cioccolata e tartona di marmellata e crema

Nota sociale: qui il gioco d'azzardo alle videolottery è diffusissimo. Ci sono macchinette nei bar, nei supermercati, nei negozi di ogni genere. E sempre c'è qualcuno che sta inserendo banconote o pigiando freneticamente lo schermo. Non avrei mai detto... Gigi, giustamente, nota che qui d'inverno o hai una passione molto forte, o ti dai all'alcol o al gioco, o a entrambi.


Poco dopo la città giungiamo al bivio. Qui si lascia la E75, che per tanti giorni abbiamo seguito, e si imbocca la via per la Norvegia. I cartelli parlano chiaro.



E proprio qui, con ancora oltre 70km davanti, iniziano i dolori. Il trittico delle delizie è composto da: vento fortissimo e gelido perfettamente contrario; salite continue, ripide, a strappi incessanti; pioggia.

Il paesaggio intorno è bosco che cede spesso il passo alla prateria e alla palude. Di renne, oggi, non se ne vedono. Solo le orme lasciate sulla sabbia a bordo strada. Saranno al calduccio in una sauna in mezzo al bosco, potrei scommetterci!










Il continuo saliscendi si vede già in lontananza, sulla cima delle colline precedenti. La strada corre dritta e si srotola come un tappetto su TUTTE le benedette colline di questa terra grandiosa. TUTTE. Non ne manca una. Non una galleria, non un tunnel, non un ponte. Su e giù. Continuamente. Con i cartelli beffardi che comunicano pendenze dell'8, del 10%. Ed Eolo che ci ributta indietro, non fa prendere velocità in discesa e costringe al cambio morbido anche sui rari tratti di pianura.






I kilometri scorrono lentissimi, mani e piedi si raffreddano fino a perdere sensibilità e noi, pian piano, diventiamo sempre più parte del paesaggio. Siamo anime erranti, muschio e vento, corteccia e cenere. Pulviscolo portato dal vento. Si spinge, si arranca, le gambe fanno male, le braccia, il collo, la schiena, tutto è dolorante e irrigidito dal freddo e dall'umidità. Chissà come sarà contento il fisioterapista.
E' difficile distrarre la mente dalla fatica, ed estraniarsi dal contesto. Per fortuna intorno la natura aiuta e parole non odo che dice umane. Per ore avanziamo, lentissimi, annaspando controvento, con la pioggia fredda sputata in faccia. Nemmeno ci si può fermare: già siamo infreddoliti, smettere di pedalare significherebbe congelarsi del tutto.

Sembra un miraggio la lunga discesa che ci porta a Karigasniemi, ultima città finlandese sul confine con la Norvegia. Vediamo la frontiera ma, prima di attraversarla, dobbiamo fermarci un poco, a scaldarci e toglierci di dosso i vestiti bagnati e freddi. Entriamo prima al supermercato, dove Gigi compra una tavoletta di ciocolato e se la pappa tutta in un attimo. Poi nell'unico bar del paese, quello dell'albergo -l'unico del  paese. Dopo un attimo esprimo il pensiero che aleggiava da un po': ma a Karasjok dobbiamo andarci per forza oggi? Riposta ovvia: no.
Così decidiamo di restare per un'ultima notte in Finlandia, questa terra di pura meraviglia che tanto ci ha regalato. Davvero non stento a credere che sia il paese più felice al mondo.
Torniamo al supermercato, facciamo la spesa e mi accorgo del fatto che i prezzi sono anche in corone norvegesi e che c'è un'intera collezionedi volpi impagliate sopra agli scaffali dei cracker  e del pane. Anch'io mi sento così, come loro.


Poi percorriamo i (ben!) 200 metri che ci separano dal campeggio e prendiamo possesso di una casetta, accogliente, calda e bellissima, con stufetta ideale per far asciugare tutti i nostri vestiti.
Passa anche il cicloturista finlandese, che dice di aver passato il confine ma di esser pure tornato indietro perchè non ha le scarpe adatte. E nemmeno la cena. Mah,






Oltre ad aver accorciato questa tappa, abbiamo rivisto anche le prossime: più brevi e sempre con la possibilità di alloggiare al coperto, se necessario. Ci vorrà forse un giorno in più, ma abbiamo comunque molto margine e siamo in anticipo sulla data del volo.
Quindi la morale di questa favola è che non si scherza con il vento del nord. Non si scherza con le salite del nord. Non si scherza con il freddo del nord. E non bisogna essere superbi, tracotanti, hybristes, eccessivamente boriosi e pieni di sè. Bisogna saper ammettere i propri limiti, e volar bassi. Non è più estate, qui, non è più tempo di tappone e notti à a belle étoile come capita.
Lezione imparata, grazie Lapponia. Ci hai ridato la misura delle cose, che non è l'uomo, con buona pace di Protagora.

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