lunedì 19 luglio 2021

13. Monopoli-Lecce. Il Salento selvaggio

17/7/21
Monopoli-Lecce
121km




Salento selvaggio, ribelle, antico, chiuso fra due mari, che deve il nome al sale dell'acqua da cui è lambito, Salento aspro e dolce di frutta matura, Salento di pirati e imperatori. Eccoci, anche noi ad attraversare questa terra di luci ed ombre, bella e terribile, come abbiamo scoperto essere già solo dopo mezza giornata tra costa e campagne.

Questa mattina siamo ripartiti dalla pineta di Santo Stefano, non prima di una capatina in spiaggia, che qui è roccia affilata e non sabbia.






Appena ripartiti ci siamo di nuovo trovati immersi in un dedalo di orti e vigne, delimitate da kilometri e kilometri di muretti a secco. Quanto ci sarà voluto ad incastrare tutta questa pietra?
A tratti compaiono vecchi edifici in rovina, pagliai, grotte scavate nella roccia, forse umili dimore di pastori erranti.



Non mancano segni di devozione, ceri, madonnine, rosari e padripii stinti al sole.




In breve ci troviamo in uno spettacolare percorso ciclabile che attraversa tutti gli scavi dell'antica Egnatia, centro di iapigi e poi messapico al confine con la settentrionale peucezia. Il suo porto era usato, in epoca romana, per raggiungere la Via Egnazia, strada che collegava,dal 146, Adriatico, Egeo e Mar Nero  per volere del proconsole di Macedonia Gneo Egnazio. Li città, florida di traffici e commerci, è citata da Plinio, Strabone e Orazio, quando descrive il suo viaggio da Roma a Brindisi, nella Satira 1; il poeta la definisce iratis lymphis exstructa, costruita su acque procellose (non porcellose neh).



Tra i resti delle mura monumentali, acropoli, iscrizioni e ceramiche, si pedala indietro nel tempo, attraverso la storia, i millenni, ciò che è stato e ora si concentra tutto in un unico punto esatto, a questo incrocio, nei pochi centimetri di copertone che calcano la polvere. Il silenzio è interrotto solo dai finissimi sistri d'argento delle cicale. Questo è un luogo sacro a molte divinità pagane dai nomi multiformi.


Il percorso cicloturistico prosegue oltre gli scavi e conduce in un verdissimo labirinto di uliveti



Le foglie, chiare d'argento sotto e scure d'ombra sopra, creano un gioco di sfumature al vento che solo i sacerdoti scalzi di Dodona potrebbero interpretare. Ma soprattutto colpiscono i tronchi ritorti, i rami nodosi e curvi, le forme quasi umane che assumono questi alberi a tratti. Figure antropomorfe antiche, forse Ent, simili ai prigioni di Michelangelo, che richiamano alla mente i tanti miti di metamorfosi, di ninfe, amori e punizioni d'hybris.







A tratti sembra quasi di essere in qualche lembo d'un altro continente, questi ulivi sacri ad Atena paiono baobab in miniatura





e forse già è un'altra terra, un'altra strada, più a sud. Alcuni di questi alberi sono malati, contorti e spogli di una sofferenza muta. Compaiono qui i primi segni del disastro della xylella, detta fastidiosa per definizione scientifica. Questo batterio ha lasciato dietro di sè tanti e tali cimiteri di alberi disseccati da essere tuttora considerato motivo d'emergenza.




Usciti dal labirinto del fauno torniamo sulla costa e raggiungiamo Brindisi, città di sosta di metà tappa. Poco prima abbiamo fatto una puntatina a un roncissimo bar da benzinaio cui si accede sia dalla statale sia dalla complanare. Il locale, lurido e grondante di odore di gente, è affollatissimo da torme di vacanzieri del weekend, che smadonnano otto ore nel traffico per godersene due di mare. Ascella pezzata, panino al salame unto che piange, sigaretta e via di nuovo sotto al sole. Davvero la gente si rilassa così o semplicemente ripropone uno schema tramandato e socialmente considerato normale?

Ma diciamo di Brindisi, Brundisium per i romani, Brentesion per i greci, Brention per i messapi (cioè testa di cervo, per la forma del porto).Brenda in forma breve e poetica, come spiega il grammatico Festo.





Crocevia culturale, soprattutto per chi si recava in Grecia per motivi culturali, diede i natali al poeta Marco Pacuvio, il più grande tragediografo latino, nipote del leccese Quinto Ennio, che era considerato da Cicerone il "padre della letteratura latina"; Giulio Cesare ed Ottaviano si imbarcarono da Brindisi per raggiungere l'Egitto; Marco Tullio Cicerone vi sostò in quanto ospite di Lenio Flacco e qui scrisse le Lettere Brindisine; a Brindisi si trattenne Orazio, accompagnato da Mecenate; fu meta dello sbarco di Agrippina con le ceneri di Germanico; il celebre Virgilio vi morì il 21 settembre 19 a.C. proprio tornando da un viaggio in Grecia. Nel periodo di massimo splendore di Roma, Brindisi rappresentava forse il porto più importante di tutto l'impero; proprio il suo scalo sarà importante anche nel Medioevo per le crociate in Terrasanta, e nel XIX secolo per il collegamento tra Londra e le Indie Orientali (molte tombe inglesi risalenti alla seconda metà dell'Ottocento sono presenti nel principale cimitero comunale). (Wikipedia)


Qui si è sposato Federico II prima di imbarcarsi per la crociata 






e qui fu spostata la capitale italiana tra '43 e '44, dopo il maldestro e vigliacco tentativo di fuga del re Vittorio Emanuele III e di Badoglio. Canticchio la Badoglieide, mentre passiamo per le vie del centro

Mentre tu sull'amor di Petacci
T'affannavi a dar fiato alle trombe
Sull'Italia calavan le bombe
E Vittorio calava i calzon
I calzoni li hai calati
Anche tu nello stesso momento
Ti credevi di fare un portento
Ed invece facevi pietà
Ti ricordi la fuga ingloriosa
Con il re, verso terre sicure
Siete proprio due sporche figure
Meritate la fucilazion

Da qui in poi non ho più scattato foto e la giornata, che pareva una tranquilla tappa costiera, ha preso una piega hardcore. L'idea era quella di lasciare il litorale e spingerci nell'interno, meno turistico e più autentico, per una deviazione su Lecce, la perla del Barocco. Abbiamo seguito un tratto di francigena e poi ci siamo addentrati nel cuore delle campagne salentine, su strade sempre più sconnesse, poi sterrate, poi di sabbia e roccia affiorante. Ulivi, pomodori, fichi, cactus e muri a secco. Ma anche rifiuti, tantissimi, vere e proprie discariche. E roghi di sterpi e immondizia, nuvole di fumo denso e nero, fiamme accese ovunque a crepitare e divorare la terra nera. Purtroppo è inevitabile per me associare questi luoghi al puzzo acre di plastica arsa. 
Qua e là, a distanza di kilometri, un rudere o una casa che crolla. Molte ancora abitate. Penso al caporalato e agli affari loschi per cui talora queste terre salgono agli onori della cronaca. Abbiamo anche a che fare con cani sciolti e aggressivi, che tentano di attaccarci perchè stiamo transitando nel loro territorio. Il mio metodo consiste, se non posso scappare, nel scendere dalla bici, tenerla sempre come scudo tra me e il cane, e procedere senza scatti urlando fortissimo. Se i cani non sono disperati, si spaventano e stanno a debita distanza. Anche stavolta ha funzionato, senza feriti nè dispersi. L'assurdo è che spesso i padroni, dai cortili polverosi, stavano lì ad assistere alla scena, senza fare alcunchè.
In tutto questo il temporale, che incalzava da ore con lampi e tuoni e un nero da apocalisse, ci si è rovesciato addosso con tutta la violenza di cui è stato capace. Non graduale, goccia a goccia sempre più fitte, ma improvviso, zero-cento. Il diluvio universale, un nubifragio che ha fatto molti danni anche nelle città vicine. Non ci sono stati k-way o coperture in grado di reggere la quantità di pioggia, la temperatura si è abbassata di colpo, complice anche il vento fresco e noi ci siamo trovati nel mezzo delle campagne alla mercè dell'ira di Giove adunatore di nubi. I sentieri si sono trasformati in fiumi torbidi d'argilla, con una spanna d'acqua a coprire sassi, buche e insidie. Non si vedeva nulla oltre il metro dal proprio naso e le ruote affondavano nell'acqua fangosa; a piedi si procedeva con l'acqua ben oltre la caviglia. E intorno sempre rifiuti bruciati e non e nessun riparo o scorciatoia.
Solo quasi all'arrivo a Lecce il temporale, improvviso come nello scoppiare, è passato oltre, scivolando sull'orizzonte. In città siamo giunti fradici, impanati di fango, sabbia, sterpaglie e bestemmie. Ovviamente il B&B era in pieno centro, nel viale pedonale dove il sabato sera fighette e sciure fanno la vasche, imbellettate e tirate a lucido da battaglia. Noi, invece, eravamo come usciti da un frullatore di monnezza e letame. 
Ci siamo fatti notare poco, al pari di ieri, quando ho visitato la basilica di San Nicola con le scarpe da ciclista, che hanno le tacchette di metallo, e nel silenzio raccolto della preghiera i miei passi risuonavano come quelli di un ballerino di tip tap, ma zoppo, e sordo, il tutto amplificato dall'eco delle alte navate.


Però ad accoglierci si è presentato nientemeno che l'arcobaleno!


Ci accomodiamo nella nostra stanza e passiamo del buon tempo a lavare ed asciugare tutto. Visiteremo la città domani, prima di ripartire. Vediamo solo, andando a fare la spesa, le vie dello shopping e tutta la gente che le affolla. Assomiglia a Milano, ma in triste. Tristi sono i figuri che si atteggiano a qualcosa, tristi le scosciate fanciulle che mettono tutto in bella mostra senza grazia e tristi coloro che confondono l'abito e il monaco, l'avere e l'essere. Non cerco questa folla piatta e scialba, anzi, più passa il tempo più percepisco incolmabile la distanza tra me e quel mondo. D'altronde è stupido anche giudicare: ognuno cerca la felicità dove meglio crede. Ma Lecce sarà molto di più e meglio, per noi. Saranno la sua storia e la sua cultura a rapirci, domani.

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