venerdì 9 luglio 2021

4. Ferrara-Lido di Volano. La metafisica delle cicale. Il tempo-fiume e il tempo-mare

8/7/21
Ferrara-Lido di Volano
125km




Ciao Eridano, Padus, Bodinco. Arrivederci grande fiume. A presto, Po.
Oggi siamo giunti al delta, su la marina dove 'l Po discende, per aver pace co' seguaci sui…Ma non ancora a Ravenna, la città cui Francesca di riferisce nel V d'Inferno, presentandosi a Dante viator.
E così abbiamo concluso la prima tratta di questa grande avventura nel Bel Paese, che ha per linfa l'acqua. Dolce, di fiume, e poi salata di mari nostri. 

Siamo partiti da Ferrara sotto ad un cielo imbronciato, che ha promesso pioggia e mantenuto solo qualche goccia, facendo aumentare il tasso di umidità oltre misura. In Ecuador penso che il clima sia simile a qui e questo segnala evidentemente un problema.
Uscire da Ferrara è facile come non capita mai nelle città. Ci sono ciclabili per ogni strada e tutte in ottime condizioni e ben segnalate. E quasi deserte, per giunta, cosa cui non siamo affatto abituati venendo dal brulicante formicaio dell'hinterland milanese.

Seguiamo per un tratto le antiche mura fortificate, che tanto hanno visto trascorrere dentro e fuori, e son state sbarramento e porta.


Poi, dopo un tratto di campagna a frutteti, torniamo sull'ormai nota ciclovia del Po, di cui oggi pedaliamo gli ultimi tratti. Il fiume scorre silenzioso sotto di noi e porta memoria di monti lontani, di vita millenaria, di nascita primavera feconda e morte asfissiante e lenta come un grido strozzato.
Oggi l'acqua è quieta e mormora il suo canto uguale di eterno fluire. 



Siamo il tempo. Siamo la famosa
parabola di Eraclito l'Oscuro.
Siamo l'acqua, non il diamante duro,
che si perde, non quella che riposa.


Siamo il fiume e siamo anche quel greco
che si guarda nel fiume. Il suo riflesso
muta nell'acqua del cangiante specchio,
nel cristallo che muta come il fuoco.


Noi siamo il vano fiume prefissato,
dritto al suo mare. L'ombra l'ha accerchiato.
Tutto ci disse addio, tutto svanisce.


La memoria non conia più monete.
E tuttavia qualcosa c'è che resta
E tuttavia qualcosa c'è che piange
.

(Borges)



Lunga e diritta corre la via, e, vedete anche voi dalle foto (pur scattate in momenti diversi), pure un poco monotona. Ma l'aria è gonfia di profumi nuovi. Si sentono, oltre al fieno e alla terra umida, odore dolce di fiori, di frutta matura. E di salmastro. Perchè non manca molto al mare.


Usciamo a Berra per una breve sosta e per fare rifornimento d'acqua. Restano tracce della travagliata storia del luogo, tra insediamenti romani e alluvioni, Sacro romani impero, dominio estense e mire papali.



Una breve parentesi tra Storia e storie serie relativa alle cicale. Ci fermiamo in un parco (dove sosta anche un uomo polacco con i tre figli, chissà da dove arriva e dove va) e qui, come ovunque finora, gli alberi, i cespugli e ogni millimetro di verde è coperto da cicale a grappoli che friniscono all'unisono con fragore da esercito in marcia. Ora, queste bestiole, non mi ispirano grandissima simpatia; tutti gli insetti hanno un che di alieno e danno l'idea di essere i veri padroni del mondo, con buona pace dei sapiens sapiens. Ma le cicale, oltre a frinire fanno anche un'altra cosa. Cantano per amore, e poi la femmina depone le uova; le larve vivono sottoterra anche per anni e poi escono, fresche e belle, alla luce del sole. Non hanno ancora le ali ma solo zampe per scavare il terreno. Escono e cercano un albero per fare la muta ed uscire dal loro involucro ninfale secco, che lasciano in giro senza ritegno, senza pudore (ma trovatevi una stanza!). Poi viene il tempo del primo volo, del canto, dell'amore, e tutto ricomincia.
Ho notato alcuni dettagli in tutto questo. In primis, le cicale amano fare la muta su qualsiasi cosa: la bici, la tenda, le scarpe, le borse.
In secondo luogo, c'è un momento, mentre escono dall'involucro, nel quale sono completamente bloccate, incastrate in loro stesse, avviluppate nel loro vecchio io. E questa è una bella metafora per descrivere una diffusa condizione umana.
Terzo. Dopo essere uscite dall'esuvia, ci rimangono appese sopra, mezze stordite, come dopo una terza nascita (dall'uovo, da sottoterra, dalla vecchia pelle). Pensavo se ne nutrissero, come le loro amiche cavallette che mangiano di tutto, pure le sorelle morte due secondi prima. Ma no, le cicale suggono linfa. Restanolì imbambolate perchè il cambiamento, la crescita, sono passaggi traumatici e delicatissimi.


Chiusa parentesi. Riprendiamo la ciclovia dopo aver riposato e in un batter d'occhio raggiungiamo il delta, verde e paludoso, fertile e molle di terre recenti. Si pedala in un'aria gonfia, carica, pregna di salsedine e pollini. Sole e grosse gocce di pioggia tiepida si alternano, in un vento non forte ma incessante. Mi fondo agli elementi, divento acqua, vapore, fango. Il processo alchimico di metamorfosi è al suo culmine, opera al rosso.


Seguiamo la ciclabile lungo il ramo del Po di Gnocca (e sì, è fatto apposta!). Il dialetto emiliano ha ceduto il passo al veneto. Da un lato si intravede il mare, che si confondo al cielo in un'indistinta distanza azzurra. Dall'altro un temporale nerissimo sembra inseguirci, con lampi e colonne di pioggia miste a lunghi raggi di sole che filtrano tra le nubi.



Giungiamo al primo ponte di barche, tanto simile a quello che spesso vediamo vicino a casa, sul Ticino, a Bereguardo.




E poi un altro, per attraversare le ultime dita della larga mano del fiume.


Eccoci, di nuovo sulla terraferma. Anche se qui per molti e molti kilometri sarà parco del delta.


Negli acquitrini e negli specchi d'acqua si muove ogni genere d'animale. Dagli insetti agli anfibi, dai pesci alle infinite specie di uccelli di cui ne riconosco una manciata: aironi, garzette, gabbiani, sterne, gallinelle, cormorani, cavalieri d'Italia, germani, cigni e un paperame misto vario che starei a contemplare per ore. 



Intorno campi e odore di pioggia. Una collega gentilissima, che non ringrazierò mai abbastanza, mi avvisa del fatto che l'Ufficio scolastico regionale della Lombardia ha aperto la possibilità di scegliere la provincia per chi ha vinto il concorso straordinario per il ruolo... E io rientro nella categoria! Per cui so già cosa dovrò fare nella serata, dalla tenda, snocciolando rosari contro il Miur, Istanze Online e tutte le sue altre manifestazioni. Per altro abbiamo fatto il concorso all'inizio di novembre e ancora alcuni non ne conoscono l'esito. Ma a noi viene lasciata una miseranda finestra di tre giorni per compilare tutte le scartoffie! Pace, ormai il peggio è andato, e poco può distrarmi dalla fusione con elementi intorno.



Improvviso, atteso, d'un tratto il mare ci si fa incontro. Pare una lamina di metallo vivo, argento che respira. Ecco l'Adriatico. Micenei e greci hanno solcato le sue acqua, pescandone miti immortali. Gli Argonauti, Circe ed Ulisse, Diomede... Nomi che risuonano ancora oggi nel vento e nella risacca. Abbiamo imboccato la lunghissima ciclovia adriatica, che ci condurrà fino in Puglia, al punto più meridionale del tacco, Santa Maria di Leuca.


Tra Goro e Volano passiamo in un meraviglioso bosco, la riserva naturale della Mesola. Qui si entra solo a piedi o in bici attraverso cancelli che chiudono la notte. Qui ci siamo trovati a correre nel chiaroscuro della luce fra i rami, nel profumo di resina...




Ma correre a piedi, perchè il fondo sabbioso impediva in qualsiasi modo di pedalare con le bici cariche e montate da asfalto e strada bianca! Non vi dico la quantità di zanzare. Ma ne è valsa la pena e persino il sole è tornato a ridere di luce già obliqua.


Una volta giunti al Lido di Volano, dopo curiosi incontri


decidiamo di infrattarci in una spiaggia lontana da tutto, dalla città, dai bagni e dalla gente. Qui gli alberghi sono insensatamente costosi e i campeggi troppo fighetti per accettare due pellegrini pedalanti.



Nonostante la sabbia infida, la nostra si rivela un'ottima scelta. Con un tuffo in mare ci laviamo della fatica del giorno e ceniamo mentre il buio cala.




Viene poi l'ora di montare la tenda e tutto tace, men che le onde e il vento fresco.



Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta.
(Baricco, Oceano mare)

Nessun commento:

Posta un commento