21/7/21
Matera-Potenza
127km
La tappa di oggi è stata durissima, bellissima, terribile e illuminante a un tempo, come ogni squarcio nel velo di Maya che si rispetti. Arte, etica e ascesi, ma forse non in questo ordine (schopenhaueriano).
E poi c'è un errore, un peccato d'hybris, di tracotanza, un'empietà contro la legge della fatica e del sudore. Faccio questa premessa. Ogni sera, quando preparo la traccia per il giorno successivo, mi informo sempre se ci sono ciclabili o percorsi consigliati per i biciandanti. E per la tratta Matera-Potenza uno ne avevo trovato, bello, panoramico e sicuro. Si chiama "tratturo degli stranieri", ovvero dei greci, stranieri per oschi e popolazioni autoctone che già dall'età dei metalli frequentavano l'interno, impervio e montuoso, per collegare le coste (indicativamente Paestum-Posidonia a Metaponto).Questa via degli elleni, però, sulla carta ha un problema: è lunga e accumula tanto, troppo dislivello! Perchè unisce le creste e passa su tutte le vette dei monti, collegando i paesi. Invece Google maps (cos'è la saggezza di secoli, anzi millenni, in confronto?) proponeva una strada più breve e meno tortuosa, meno impervia, nella valle del Basento. Scopriremo solo dopo eessere scesi nella detta valle che detta strada è vietata alle bici e pericolosissima, e per riprendere il tratturo bisogna risalire su su alle creste. Ma di questo parleremo più avanti.
Ignari, convinti di dover pedalare meno di 100km e senza nemmeno eccessivo dislivello, ci lasciamo Matera alle spalle. Intorno a noi si spalanca un orizzonte di colline bruciate dal sole, un sole rovente, impietoso, che secca la terra e spacca le zolle. Si sale e si scende ma le pendenze sono ancora accettabili, mentre il vento ci soffia in faccia il suo alito caldo. Persino le cicale faticano a cantare. La testa si fa leggera e il caldo stordisce, la luce è quasi insostenibile. Intorno, nulla.
Sono queste le terre di cui parla Carlo Levi. Spedito al confino a Grassano (e poi ad Aliano) dopo il secondo arresto per attività antifasciste, nel '35, l'autore conosce le condizioni di vita disumane dei contadini di Basilicata, abbandonati dallo Stato e persino da dio. Nel suo romanzo più noto, "Cristo si è fermato ad Eboli", afferma:
Cristo è sceso nell'inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell'eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.
E nonostante tutto da allora sia cambiato, queste parole riecheggiano nel riarso orizzonte di queste terre, nella desolazione, nel silenzio e nelle pendenze della roccia che si fa via via più inaccessibile.
E comunque le rarissime abitazioni di chi è rimasto denunciano ancora un'austera umiltà, per non dire miseria, in cui le capre e le galline vivono negli stessi spazi dei cristiani. Che si è tutti bestie condannate a scontare vivendo la morte.
A circa metà tappa, non distanti da Tricarico, facciamo una sosta nell'unico locale trovato in 40km sulla strada (e non arroccato in cima ai colli, come Grottole o Grassano). In questa stazione di posta storica, convinti di esserci lasciati alle spalle la parte più dura e con maggior dislivello, ci mangiamo un gelato con vista.
E poi, ignari, pieni di fede nell'errore, imbocchiamo la strada che si butta in picchiata giù fino alla valle del Basento. Perdiamo quota e dovremo poi recuperarla tutta, e con gli interessi. Se a questo bivio fossimo rimasti sul tratturo degli stranieri, avremmo risparmiato tanto di gambe e santi invocati. Ma errore ha radice etimologica in errare, vagare. E quindi scendiamo a volo, godendoci, ignari, l'aria fresca e il panorama.
Un attimo e siamo giù, in valle. Tragicamente bassi, dove sta la terra, la polvere che siamo. Quando il navigatore ci dice di svoltare e imboccare la strada (l'unica!) per Potenza, ci si para davanti un enorme cartello bianco e rosso di divieto alle bici. Tentiamo per diversi kilometri disperati di capire se ci sono alternative, complanari, sentieri o passaggi segreti.
Dopo aver vagolato tra stradine (mai in piano, e mai in discesa) e sterrati, che finiscono al nulla o nel fiume, dopo aver tentato di aggirare il problema ed essere più volte tornati sui nostri passi, freneticamente per quanto possa essere frenetico il trascinare una bici pesantissima sulle pendici dei monti del parco regionale Gallipoli Cognato, prendiamo una decisione. Su non si torna. Vediamo com'è questa strada vietata alle bici. Vediamo se è davvero pericolosa o si tratta di un eccesso di attenzione.
Ebbene, è pericolosa. Pericolosissima. Il primo tratto ci trae in inganno perchè, per un caso fortuito, non passano mezzi e il fondo è ottimo, e c'è persino una sorta di corsia di emergenza molto larga. Poi, però, cominciano a sfrecciarci accanto camion, tir, auto e furgoni; il limite di velocità è quello autostradale. L'asfalto spesso è spaccato, pieno di buche e fenditure che ci costringono a transitare nella corsia. E il bordo a lato della careggiata sparisce. Iniziano pure le gallerie, molte non illuminate, e ampi tratti con lavori in corso, a corsie ridotte da quattro a due, una per senso di marcia. Il vento laterale e la pendenza ci rallentano e fanno sbandare al pari dei vuoti d'aria dei camion. Giustamente molti ci suonano il clacson. Operai e addetti Anas ci guardano come si guarda un morto che cammina, anzi, che pedala.
Si capisce che dobbiamo uscire, anche perchè la tensione è tale che potrei infartuare da un minuto all'altro, sempre che da un minuto all'altro non mi falci un camionista distratto. MA un'uscita è chiusa e siamo costretti a rimanere su questa strada infernale per oltre 20km. Altro che Platone e la sua filosofia. QUESTO è un esercizio di morte, un memetòmo, un memento mori.
Intorno iniziano a intravedersi le cime rocciose delle dolomiti lucane, ma non abbiamo occhi che per la strada mortifera.
Finalmente si apre un varco e possiamo lasciarci alle spalle l'autostrada dei dolori. Ma ne iniziano altri, perchè per tornare alla strada biciclabile, quella alta, siamo costretti ad arrampicarci su per i tornanti che intagliano il colle di Albano di Lucania. Sono poco meno di 10km di salita ininterrotta, ora dolce ora a strappo.
La vista che regala questa preghiera al sadico dio delle vette, però, è spettacolare. Arrivati ad Albano, un comune di 1300 anime e son già troppe, svuotiamo l'intero frigo delle bibite dell'unico bar aperto (che si chiama Bunga Bunga, by the way). Nonostante si sia a 900m di altezza fa un caldo atroce.
Proseguiamo, perchè abbiamo ancora tanti km davanti a noi e tutt'altro che in discesa. Errori e divagazioni ci hanno fatto perdere un sacco di tempo e di energie. Prendiamo quella che tutti qui chiamano "la via del bosco". Nel mio lessico familiare "prendere la via del bosco" significa per un oggetto, essere buttato o perso. E noi così. Muoviamo sul ritrovato tratturo degli stranieri intorno a quota 1000m, in un su e giù continuo che a quest'ora è quasi insostenibile.
La via del bosco però è tranquilla e ombreggiata, profuma di resina e linfa. Ci abitano ninfe e satiri e divinità minori, cui son sacre le foglie e i vermi. Ogni tanto l'urlo di una gazza o il fischio di falco squarciano la pace assoluta in un rifrullo d'ali. I cinghiali e i lupi ci sono ma non si vedono. Frequenti invece, nelle radure, greggi e mandrie al pascolo.
Si giunge al valico, una misera quota per tutta la fatica che ci è costata. Oggi in totale abbiamo messo in casina quasi 2000m di dislivello positivo.
La luce si fa obliqua e allunga le ombre. Dobbiamo muoverci, le giornate si stanno accorciando. Per fortuna in Islanda torneremo ad avere tantissima luce. Gli ultimi strappi sono deleteri, Potenza si rivela la più inespugnabile delle città, arroccata tra i monti, circondata da strade impedalabili. E nel centro pure è tutta un saliscendi sfiancante, di scale e tornanti e rampe. Per fortuna all'arrivo troviamo i nostri gentilissimi ospiti e una stanza con vista. Pare un presepe il mondo là sotto e la luna ammicca benevola nel cielo via via più nero.
Domani ci attende un'altra tappa da Gran premio della montagna, ma di certo non ripeteremo l'errore di lasciare la via alta sperando di fare meno fatica. Ma la meta è nobilissima: Paestum. Non ho mai visitato il parco archeologico e non vedo l'ora di scoprirne i tesori.
Tanta potenza per arrivare a potenza .
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