giovedì 13 luglio 2023

19-21. Il cuore della giungla, nel Regno del serpente (Calakmul). Pedalare sciolti a 47 gradi e nei diluvi tropicali











10/7
Zoh Laguna-La selva (Conhuas, puerta de Calakmul)
73km

Iniziamo la giornata senza sapere che forma assumerà: potremmo pedalare solo 10km fino a Xpujil e prendere al volo un tour per il sito archeologico di Calakmul, facendoci poi lasciare sulla strada, senza tornare indietro. Oppure potremmo dover pedalare i 70km che ci separano dal bivio per le rovine, e concertare da qui la visita per domani. Nel primo caso si risparmia un giorno. Nel secondo si vedono più siti archeologici.

La stanchezza per il tappone di ieri si fa sentire e dormiamo sodo fino alle 8, quando ormai il sole è già alto e la graticola è accesa. Ci mettiamo in moto con calma, tra un dolorino e un acciacco, e facciamo colazione con ciambelline ciccionissime comprate ieri sera. Prima delle 9 siamo in strada. Oggi il vento, per fortuna, tace, e la strada è in buone condizioni. Raggiungiamo Xpujil in un batter d'occhio, anche perchè, pedalando, l'indolenzimento si riassorbe. Che gran macchina è il nostro corpo! Stiamo guadagnando in allenamento, finalmente, opera al bianco di quell'alchimia che muta la fatica in possibilità di spingersi oltre.

Poco prima di Xpujil inizia il cantiere aperto come una voragine del Treno maya. Proseguirà per tutti e 70 i kilometri di oggi, con un dispiego di mezzi e manodopera che lascia a bocca aperta. Il presidente, a quanto pare, ci tiene molto, e ha tutto l'interesse a portare avanti lo scempio. Qui, poi, ha un impatto tremendo, poichè passa proprio nella riserva della biosfera, che, finora, si è conservata intatta abbastanza da preservare tutta la sua varietà di fauna e flora. Per ora. E la beffa al danno è che i campesinos, nel nome della tutela ambientale, da oltre 30 anni sono stati messi alle strette perchè non possono più cacciare, coltivare e sfruttare le risorse come facevano un tempo; che era un modo sì poco ecologico, ma anche talmente ridotto nella portata, visto l'esiguo numero di pueblos, che l'impatto era comunque minimo. Far cacciare tre storni ai contadini, no. Disboscare ettari ed ettari per il treno, sì.

Nel polverone di uno di questi cantieri ci imbattiamo nell'università di Calakmul, che sorge abbastanza in mezzo al nulla e serve la popolazione di un'area molto vasta e quasi del tutto disabitata. Interessante che la struttura abbia le fattezze di un tempio maya... Ha senso!




In poco siamo in città, dove mi aspetto un gran numero di tour operator d'assalto che si contendono i turisti per trasporti a Calakmul... E invece il nulla, zero totale. Ci troviamo in una cittadina minuscola e sonnolenta, che pare quasi non sapere di trovarsi a un passo da un sito pazzesco. Le folle di autisti e guide, di cui ho letto online, non esistono proprio nemmen dipinte. Poco male: si pedala, e si approfitta della mezza giornata libera per visitare i vicini siti di Becan e Chicanna.

Decidiamo di non soffermarci, invece, al sito archeologico di Xipujil stessa, perchè, dovendo scegliere, mi sembra il meno interessante. Una nota: in maya il toponimo significa coda di gatto (nome di una pianta locale). Qui intorno esistono centinaia di siti, alcuni esplorati, altri non ancora. E' una delle zone che per prima e più a lungo è stata abitata. Dopo decine e decine di kilometri pedalate ostinatamente verso sud, ora giriamo il manubrio di nuovo ad ovest, seguendo l'angolo retto della strada. Questa sarà la nostra direzione per qualche giorno, nel tortuoso percorso a zig zag che stiamo compiendo nella penisola dello Yucatan, allo scopo non di fare il tragitto più breve, ma il più ricco.



Ci stupiamo della presenza di una pista ciclabile, bene raro fuori dalle città più grandi. Corre tra la strada e il cantiere della ferrovia, e dopo una manciata di km termina. Vabe', basta il pensiero... Che sia un'opera di compensazione dell'impatto ambientale del Tren Maya? Un po' come da noi la ciclabile che corre accanto alla Tav, nata proprio a seguito della costruzione dell'Alta Velocità.


In soli 8km da Xpujil siamo a Becan, primo dei due siti di oggi. Becan significa fossato, e infatti la città è cinta da un corso d'acqua artificiale, solcato da 7 ponti che permettono di accedere all'abitato, che si estendeva per oltre 12 ettari. Lo stile predominante è qui il cosiddetto rio bec, che si compone di elementi Petén, provenienti da sud, e Chenes, provenienti da nord. La città svolse, tra 600 e 1000 d.C. la funzione di capitale di una regione che si estendeva su ampi territori intorno; il suo ruolo militare e strategico è testimoniato dagli elaborati sistemi di difesa


il fossato

un ponte




Oltre alle strutture monumentali, grandiose ed austere, qui colpisce la presenza di un tunnel di oltre 66m che permetteva di accedere al centro cittadino. Era costellato di nicchie dove lasciare offerte.





Sulle piramidi, in teoria, non si può salire. In pratica ci sono ancora le corde per issarsi e scendere senza arroccolarsi in sacrificio a Chac, ma tagliate alla base. Quindi tutto è ancora più simpaticamente pericoloso. Qualcuno si issa sui gradoni, ma la pioggerella e le scarpe da bici mi tengono lontana dall'impresa. Mi limito ad osservare le decorazioni dal basso.




La pioggerella, in un attimo, si trasforma in acquazzone devastante. Troviamo riparo in alcune stanze del tempio, ma dobbiamo subito uscirne: vespe enormi iniziano a ronzarci intorno e a farci capire che non siamo ospiti graditi. Allora un po' sotto ai rami, un po' in altre nicchie, cerchiamo di non inzupparci subito da capo a piedi. L'attesa si prolunga, ma, come stiamo ben imparando qui, bisogna aver pazienza e abbandonare la fretta. Lo spettacolo delle gocciolone di pioggia, a tratti illuminate dal sole, in cui si riflettono i templi rimane comunque impagabile. A un certo punto Gigi decide che ha smesso di piovere e lascia il riparo per incamminarsi verso l'uscita. Io resto al coperto, in attesa che spiova e possa godermi la visita. Ritrovo Gigi mezzora più tardi, fradicio, che si limita a dire a denti stretti: mi sono perso.





campo da gioco della pelota






Il sole torna a splendere e possiamo finire con calma il nostro giro tra le rovine. La luce è limpida e caldissima, e fa evaporare tutta l'umidità dal terreno e dalle foglie in una bruma chiara e lattiginosa che sembra irreale.
Prima di lasciare il sito, prenoto la nostra casa di stasera e domani, proprio a ridosso della deviazione per Calakmul. In questa zona gli alloggi sono molto cari per quel che offrono, ma giustamente approfittano del passaggio di turisti. Noi optiamo per una cabana, una roba a metà tra la cabina e la capanna... Un bungalow, insomma.
Sistemata anche questa faccenda, ci dirigiamo verso Chicanna, altro sito maya che si trova a soli 2km da Becan. Nei 5 minuti di trasferimento, torna a diluviare, con tuoni da far tremare la terra e lampi lunghissimi che squarciano il cielo. Siamo zuppi prima ancora di arrivare alla biglietteria del sito, dove ci rifugiamo con tanto di bici e bagagli. Tanto siamo gli unici presenti, oltre all'addetto all'ingresso e a una signora che fa le pulizie. Stiamo nella casetta della biglietteria per più di un'ora. Appena le secchiare d'acqua dal cielo si fanno meno violente, decido di buttarmi, arrotolata come un burrito in ben 2 k-way tra le rovine, perchè l'attesa mi annoia. Gigi preferisce stare al riparo, quindi sono sola, del tutto, in mezzo alla giungla e alle pietre antiche. 





Chicannà significa "casa delle fauci del serpente", nome appropriato in quanto gli edifici principali hanno i portali istoriati in forma di mostruose bocche dentate e spalancate. Il periodo di massimo splendore di questa città fu tra il 550 e il 700 d.C. e si trattò probabilmente di un sobborgo residenziale delle elite nobiliari di Becan. Lo stile è misto: chenes e rio bec. La prima struttura in cui ci si imbatte ha due portali-fauci, uno sopra all'altro, e ai lati presenta maschere di Chac, dio della pioggia, dal nasone ricurvo.





Dopo aver superato alcune rovine di epoca precedente, si giunge alla piazza principale, dove campeggia un immenso portale a bocca di mostro in stile chenes; si pensa siano le fauci del dio Itzamnà, signore dei cieli e creatore di tutte le cose. La precisione nel rappresentare qualcosa di così inquietante mette i brividi. Sarà che sono sola, non ci sono altri visitatori, non c'è nessuno, e la giungla è tutta un brusio di schiamazzi e urli. Sarà che ricomincia a piovere, e forte, e la luce è cupa e quasi assente, tra tuoni fortissimi e lampi. Ma pare quasi che quelle mascelle spalancate si muovano e vogliano divorare chiunque osi avvicinarsi. Resto incantata per qualche attimo in questo incubo lucido, poi mi riprendo e muovo lesta verso l'uscita. Ho ancora i brividi. E non ho fatto uso di peyote!



Nella casetta d'ingresso trovo Gigi e il bigliettaio uno in un angolo, l'altro in quello opposto. Uno guarda la tv, l'altro il telefono (anche se non c'è connessione di alcun tipo). Mi aggiungo alla strana coppia perchè sta piovendo troppo forte per potersi muovere, e non si vede a un metro dal naso. Rimaniamo così in attesa per un tempo che pare infinito, ma poi, finalmente, il diluvio di interrompe (e prosegue solo sotto agli alberi, che continuano a sgocciolare forte molto a lungo, traendo in inganno. Gli alberi riparano quando piove, ma poi restituiscono tutto quando smette).
Sono passate le 14 quando torniamo in sella, e ci aspettano 50km abbondanti prima di raggiungere la nostra bella cabana alle porrte di Calakmul, dove pernotteremo stanotte e domani.
Alle nostre spalle si addensano ancora temporali apocalittici, che minacciano con il loro colore livido e i tuoni che paiono bombe (la revolucion!); nello specchietto retrovisore intuisco Gigi, un puntino chiaro, perso in una massa nera immensa. Acceleriamo il passo, e per fortuna il vento oggi ci aiuta. La strada è liscia e grande, e le salitelle non così continue e a strappo. Tutto il percorso è un enorme cantiere aperto con centinaia di operai; alcuni lavorano, tanti altri guardano, riposano o sbandierano (la segnalazione dei lavori in corso non è fatta solo con luci e coni arancioni, ma da una catena umana, formata soprattutto da donne, di addetti allo sbandieramento di stoffa catarifrangente). Vuoi far credere alla gente che il treno maya porterà ricchezza e lavoro? Impiegali per qualche mese a caso, e vedrai che molti ti crederanno. Poi licenziali in tronco, tanto chi se ne frega, era manodopera inutile, una bolla di occupazione assolutamente artificiale e creata ad hoc. 




Di paesi veri e propri non ne incrociamo. Ci sono alcuni minuscoli pueblos (con solo una o due abitazioni), segnalati dalle banchine della fermata del bus. Nell'unico di questi che abbia una sorta di bodeguita ci fermiamo, convinti che stia iniziando a piovere. Ma non è così, sono tutte promesse non mantenute (per fortuna). Ripartiamo ed è tutto un susseguirsi di cantieri e cartelli che ricordano il divieto di caccia, anche se gli animali ritratti immagino la invoglino, se uno ha quel pallino.





Arriviamo così alla nostra meta, La Selva (Conhuas) dopo aver superato di una manciata di metri il bivio di accesso a Calakmul. Domani, domani!
Troviamo il nostro villaggetto di cabanas e il proprietario, Julio, uomo di una cortesia e di una gentilezza incredibili, ci accompagna alla nostra casetta. Ci spiega che è tutta alimentata con energia solare, che c'è l'amaca, che ci sono le zanzariere. Aggiunge anche che tutto il paese è privo di corrente da ore, e ciò accade da giorni, tutti i giorni, tutto il giorno tranne la sera. "E' il cantiere del treno" commenta, laconico. 
La casetta, onestamente, è fantastica. Per la media dei prezzi messicani non è proprio economica, ma quando si spende per persone del posto che cercano di promuovere un turismo sostenibile, si paga volentieri. Non c'è frode qui, tutto è come si vede. Le cabanas sono nel cortile di Julio, che vive qui con la famiglia e lascia che cani, gatti, galline con pulcini e tacchini vaghino liberi, insieme ai pappagalli e al resto della fauna tropicale di questo lembo di foresta.




Dopo la doccia (siamo veramente luridi oggi: con le pioggissime ci siamo infangati di una terra argillosa, chiara, collosa che pare vinavil e non va via dalle gambe nemmeno a grattarla) usciamo in paese e ci troviamo difonte ad un tramonto tropical-pirotecnico.




Poi cala l'oscurità, quella vera da black out al margine della giungla. Si intravedono candele accese nelle case e nei pochi, minuscoli negozi. Qualcuno ha un generatore e lo usa per file di lucette stile natalizio, che fanno poco in termini di visibilità ma decorano assai. La gente va in giro con torce o con i telefoni accesi, e quando ci si passa accanto ci si saluta per far capire che non si è malintenzionati. Molti guardano Gigi con timore: alto com'è, sembra l'uomo nero! Ed è tutto buenas tardes buenas tardes preventivo, prima che li ghermisca. Fatte le nostre compere al buio (ahimè anche tutti i frigoriferi e freezer sono spenti da tutto il giorno, e ciò accade da settimane... Bisogna stare attenti!) ed evitato di un soffio di calpestare un grosso serpente che stava attraversando la strada, torniamo da Julio, che si è offerto di prepararci una cenetta. Cucina lui con ingredienti a km0 (orto e pollame in primis) e si mangia quel che c'è.
Stasera quesadillas e fajitas di pollo con riso rosso e frijoles refritos (salsa di fagioli), accompagnati da tortillas caldissime e salsa piccantina ma non troppo. Inutile dire che è tutto strabuono, anche perchè cucinato lì per lì (con relativi tempi lunghi).



Chiediamo a Julio di prenotarci una corsa per domattina alle 8 per il sito di Calakmul, e lui ci dice che praticamente lo ha già fatto. Ci dà quindi appuntamento a colazione, alle 7.30, e buonanotte.



11/7
Anello La Selva (Conhuas) - Calakmul sito archeologico

La notte passa in un'inattesa frescura, pur chiusa sotto alla campana della zanzariera; ma alle prime luci inizia un concerto di canti d'uccelli di ogni genere, dai pappagallini verdi, che qui vivono a stormi sugli alberi, ai galli che razzolano liberi ovunque. Quando usciamo dalla nostra cabaña il sole è già alto e il caldo umido crea una cappa spessa e quasi tangibile, fatta di luce color latte e polvere chiara. Un minuto sull'amaca per acclimatarsi e siamo pronti per la colazione, gentilmente offerta dal paron Julio, che oltre a occuparsi di tutta la struttura, fa pure da cuoco e cameriere. Possiamo scegliere tra uova strapazzate semplici, uova strapazzate alla messicana, uova strapazzate con salsiccia, uova strapazzate con prosciutto e formaggio. Insomma, uova strapazzate. D'altronde questo villaggio conta più galline che cristiani, ha senso. I tempi di attesa sono sempre biblici, perché tutto è fatto fresco e al momento. Noi non siamo più abituati a questi ritmi, ma tornarci, anche solo per un po', fa solo bene.



Intanto arriva Ciano, amico dell'amico del cuggino di Julio, che ci porterà al sito archeologico con la sua auto scassatissima, lungo una strada scassatissima che corre 60km nella giungla, nel cuore della riserva, a un passo dal Guatemala. Ci imbarchiamo. Inizia la corsa. Ciano vuol farci vedere quanto sia bravo a guidare a duecento all'ora su una strada strettissima, tutta curve e buche, rami caduti e pietroni. Spinge sull'acceleratore e non esista a superare i poveretti non local che hanno noleggiato un'auto e guidano non piano, semplicemente in modo adatto al contesto. Noi ogni volta abbiamo un piccolo infarto e dal finestrino facciamo gesti di scuse ai malcapitati superati. Il tutto con la musica a palla: mexdance, Pitbull e un gran parlare di gnocca e droga. Man mano ci addentriamo nella selva e la vegetazione si fa più fitta e pare chiudersi sulla strada. I controlli (e relativi biglietti da pagare) sono tre: uno per la comunità indigena, uno per la riserva e uno per il sito archeologico. Tutti conoscono Ciano e lui si comporta come un boss di quartiere anche con le guardie... Che lo sia? Si susseguono cartelli che invitano a rispettare la fauna selvatica (con il disegno di scimmie, tapiri e tucani), e altri che indicano il pericolo giaguari. Scrutiamo la vegetazione davanti a noi, nella speranza di vedere qualche animale e di non vomitare. Ed ecco il primo incontro: una nutrita famiglia di magnifici tacchini ocellati con stuolo di pulcini. Ciano, incredibilmente, non li investe, anzi, si ferma e li ammira quasi commosso. Lo stesso accade poco più avanti e ancora diverse volte nel corso del tragitto. Vediamo anche un temazate rojo, una sorta di piccolo daino con cornini minuscoli, e un'altra bestia abbastanza grandicella, che Ciano è convinto sia il giaguaro, cosa di cui si vanta al telefono con sadiochi. Secondo me era un procionide o qualcosa del genere.







Al trentasettesimo infarto da manovra azzardata, arriviamo, finalmente, alle porte del sito archeologico. Io fremo, non vedo l'ora, ne accarezzo l'immagine da giorni. Non ho mai visto delle rovine così immerse nella giungla, così sperdute e remote, dove la bellezza è ovunque: nelle pietre antiche e nella natura che le circonda. Ciano ci dà appuntamento a tre ore dopo, e finalmente accediamo alla meraviglia. Il sito costringe a camminare, e molto, su sentieri che si snodano nella vegetazione fittissima che quasi non lascia trapelare la luce. Le diverse tipologie di piante, con i loro fiori e i loro profumi, già sono uno spettacolo che si potrebbe ammirare per ore.



riproduzione di una maschera di giada trovata qui

riproduzione degli affreschi ritrovati a ornare le pareti: rappresentano, caso unico, scene di vita quotidiana e non cerimonie politiche o religiose



riproduzione di un fregio in stucco ritrovato qui



Poi iniziano le prime rovine, in un crescendo di magnificenza, dai complessi abitativi, di cui sono rimaste solo le piattaforme in pietra, agli edifici amministrativi, sempre più maestosi e imponenti, fino ai templi, le grandi piramidi che svettano al di sopra delle chiome degli alberi bucando il mar di verde oceanico che vibra linfa a perdita d'occhio. Iniziamo poi a vedere la scimmie, che si segnalano per il casino che fanno muovendosi tra le frasche e facendo i loro bisogni a pioggia su chi sta sotto. Ne vediamo di specie diverse: le piccole scimmie ragno e le più massicce scimmie urlatrici (che però non urlano, si vede che non si sentono minacciate). Le foto che ho scattato sono proporzionate al mezzo che ho (il telefono), e servono solo come ricordo personale. Però vi assicuro che, da sotto agli alberi, si vedono benissimo! Con le loro manaccette e le faccine curiose, con gli occhi scuri scuri che ci osservano con lo stesso stupore con cui noi osserviamo loro. Sono il nostro specchio.






l'umarell

scimmia ragno

due scimmie ragno!





Come dicevo, a Calkmul si deve camminare. Ma anche scalare! Infatti si può salire (ascendere, direi) su tutti gli edifici principali, per osservare dall'altro il tetto di foglie della giungla e i cocuzzoli di pietra dei templi che fan capolino, interrompendo il verde verdissimo che si spinge fino all'orizzonte, fino in Guatemala. Arrampicarsi È MOLTO FATICOSO, perché fa un caldo insoffribile ed è tutto al sole, perché i gradini sono alti e stretti e irregolari, e ripidissimi. Ci si piega, ci si inchina, si sale a quattro zampe, si è costretti all'umidità. Ma che cosa si vede dall'alto! È un'emozione indescrivibile, che prende allo stomaco e fa commuovere. Mi è capitato a Machu Picchu, anche, e difronte ai deserti. Un misto di senso di piccolezza, di amechania, ma anche di grandezza, tanto è riuscito l'essere umano a costruire verso il cielo, per un dio, per vincere la morte, per sconfiggere il tempo e l'oblio. Per l'arte, che serve a questo. A permanere nell'impermanenza, a r-esistere nella finitudine.





volpe molto piccola su piramide molto grande


La domanda lecita, a questo punto, è: ma che città era Calakmul? Era una metropoli, forse la più grande città maya durante l'epoca classica. Ospitava una popolazione di oltre 50.000 persone, con 6000 strutture su 72kmq, e strade, pozzi, case di cui non si è conservato nulla. Solo una minima parte, finora, è stata scavata, da quando il sito è stato riscoperto per caso nel 1931 da un botanico inglese. Si conosceva il glifo con il sovrano a testa di serpente, poichè era stato ritrovato in tanti altri siti, vicini e lontani, ma non si sapeva cosa indicasse. Poi si è capito: era il segno di sottomissione o alleanza a Calakmul, città egemone di una regione vastissima, in continua lotta contro Tikal, la sua rivale oggi in Guatemala. Le alterne vicende belliche tra le due "capitali" di fragili imperi, spesso sottomessi al capriccio dei sovrani delle città stato, che si alleavano ora con una, ora con l'altra, sono il cuore della storia di un popolo di un'area sconfinata per quel che era il frammentario mondo maya. Di Calakmul si conoscono i nomi dei sovrani più importanti, e le città alleate, quelle che pagavano tributo e quelle sconfitte in guerra. Tutto è riportato sulle numerosissime stele ritrovate.



In questo sito le cose da vedere sono tante e talmente concentrate che, a un certo punto, non si sa più dove rivolgere la propria attenzione. Le scimmie scimmieggiano, e per me rappresentano uno spettacolo magnetico che resterei ad ammirare per ore. Anche perchè ci sono tanti cuccioli ed è impagabile vedere come le madri se li portano appresso e insegnano loro tutto il necessario per essere una scimmietta di successo. Poi ci sono le rovine immerse nella giungla, una più affascinante dell'altra, in un climax che porta in crescendo a riscoprire le rovine come se si fosse i primi a metterci piede, con la stessa incredula meraviglia degli archeologi che si sono recati qui un secolo fa. Ora vi beccate una carrellata di foto di monos y ruinas y selva dall'alto, perchè è tutto bellissimo.









coppia di scimmie urlatrici con cucciolo. Per i maya queste scimmie erano associate alla divinità protettrice delle arti (musica) e dei mestieri, soprattutto scriba e scultore
















Non so se si è capito, ma questo sito mi è piaciuto da impazzire. Da non uscirne più! Ci sono due cose su tre tra quelle che più mi affascinano in viaggio: storia/cultura e natura. La terza è il lato antropologico/sociale, ma quello lo vediamo tutti i giorni, viaggiando in bici a stretto contatto con la gente del posto. E però si deve tornare, Ciano di aspetta. Facciamo una corsa per arrivare in tempo all'appuntamento, e questo sforzo, unito alle scalate delle piramidi e al gran camminare della mattinata, mi dà il colpo di grazia. Nel viaggio di ritorno, nonostante la guida pazza e la musica a palla, fatico a tenere gli occhi aperti.
Quando rientriamo, prima di tornare nella casetta, compriamo da bere e qualche schifezzina per pranzo, mentre i cantieri del treno maya brulicano di operai. Io opto per uno stecchino al tamarindo con peperoncino, che è il chupachups local che si compra da vasi aperti, pescando nel mucchio. Uno costa 5 pesos, 0.25 euro. Ben spesi! Poi viene il momento del meritato relax, anche perchè manca ancora la corrente elettrica in tutto il paese, e di conseguenza manca la connessione ad internet, e non posso che tornare al cartaceo per organizzare le prossime tappe. Ovviamente sull'amaca, che mi rende molliccia e incapace di reazione alcuna, come quando si prendono i gatti per la collizza.




Passato l'abbiocco, quando l'aria rinfresca un pochino, facciamo un po' di manutenzione alle bici, ritiriamo i panni lavati e siamo pronti per una passeggiata in paese e poi la cena. Stasera Julio propone bistec a la mexicana, che è carne sminuzzata e cucinata con salsa di pomodoro e peperoni, con riso, e salbutes, che sono tortillas fritte con sfilaccetti di pollo piccante e verdure. Inutile dire che è tutto buonissimo.




Domani si riparte in bici, e faremo tappa a Escarcega, a 100km da qui; è una città di medie dimensioni con tante strutture, nulla di che da vedere ma comoda perchè di strada e una distanza perfetta per una giornata in sella. Poi, da lì, in 3 giorni saremo a Palenque, in Chiapas, dopo aver attraversato anche un pezzettino di Tabasco. La penisola dello Yucatan è ormai quasi alle spalle, ora si entra nel cuore del paese, nel vivo del viaggio.



12/7
La Selva - Escarcega
97km

Oggi tappone di trasferimento, che poteva rivelarsi drammaticamente pesante, e invece scivola via veloce grazie al favore, finalmente, delle divinità del vento. Grazie Chac, che ci hai anche risparmiato il quotidiano diluvio, e grazie Huracan. Vi offriremo in dono qualche bestemmia in meno. Ops!

Ci alziamo con calma e con calma facciamo colazione, che con calma viene preparata dalla moglie di Julio, che fa tutto ancora più con calma rispetto a lui. La cerimonia delle huevos al gusto finisce per durare una bella oretta, e intanto chiacchieriamo con due ragazzi francesi in camper che stanno per andare a Calakmul ed hanno fatto più o meno il nostro stesso itinerario (ma non affronteranno il Chiapas, temendone i noti pericoli).

Dopo aver chiuso la cabana, riempito le borracce e riconsegnato le chiavi, partiamo. Oggi la strada è facile: si deve rimanere sempre sulla statale che collega Chetumal a Escarcega, che è una linea drittissima, tirata con il righello proprio, sull'asse est-ovest. Ci accorgiamo subito di avere il vento a favore perchè la velocità media è alta quanto mai s'è visto in questi giorni, e sulle salite pare ci sia una mano pietosa che spinge un poco sulla schiena. Questo nonostante i miei quadricipiti siano contratti allo spasmo causa scalini delle piramidi di ieri. Un dolore lancinante! Il fondo, poi, è ottimo e si rotola benone, senza attriti con l'asfalto e con l'anima. Tutto fila liscio per i primi kilometri, poi Gigi lamenta di sbandare e infatti ha forato la ruota anteriore. Purtroppo siamo in un punto non ottimale per cambiare camera d'aria: in salita, in curva, in un punto dove passano camioni enormi. La prima che montiamo è difettosa e la valvola si stappa, quindi dobbiamo cambiare di nuovo, ma ormai siamo come i meccanici di Formula 1: in pochi secondi il lavoro è fatto. Si riparte, sotto allo sguardo curioso e divertito degli operai dell'infinito cantiere del treno maya, che oggi ci accompagna pe tutti e 100 i kilometri. Ieri con Julio ne parlavamo... Gli abbiamo chiesto cosa ne pensasse. Ci ha detto che per ora son contenti perchè i lavori han portato impiego per tanti (e vedrai! Gli sbandieratori fungono da conetti catarifrangenti umani e son centinaia!). Poi si spera arrivi anche il turismo... Anche perchè con il Covid è stato un disastro, han persino chiuso il museo storico e naturalistico che c'era a Calkmul, licenziando in tronco tutti gli addetti...
Chissà. fatto è che i lavori fervono. E insieme a operai, camion, ruspe, ci sono interi convogli militari, stracarichi di soldati. Ho letto che il governo ha ben pensato di dispiegare anche le forze armate, spesso milizie mercenarie, per evitare interferenze, proteste, vaghi tentativi di rallentare i lavori. Ne vediamo, eccome se ne vediamo. E passano su camion o jeep con mitragliatori montati sul retro dal calibro sufficiente per far saltare un treno. Anzi, chi il treno non lo vuole.




La strada corre dritta e noi con lei. Passiamo da alcuni pueblos palesemente basati sul turismo di passaggio: hanno quattro case, tre ristorantini chiamati tutti el viajero e simili, due baracchini di refrescos e patatine e, se va bene, una telesecundaria, le scuole via tv e ormai internet che, dal 1968, servono a facilitare l'accesso all'istruzione superiore e ridurre l'analfabetismo nelle aree più remote del paese.

All'altezza della Lagna noh, uno specchio d'acqua dolce che interrompe il mar di verde, facciamo una sosta al benzinaio per gonfiar bene la gomma di Gigi. Quando ripartiamo ci rendiamo conto di quanto caldo faccia, ed è solo mezzogiorno! Il termometro arriva a segnare 47 gradi, e si sentono tutti, anche perchè il tasso di umidità è altissimo. Sulle brevi salitelle, quando il vento si placa e l'aria stagna, c'è veramente da morire. Per fortuna alcuni tratti di strada restano all'ombra, cosa di solito ben rara.




I paesini, che qui intorno vendono anche pescado de agua dulce (che viene dalla Laguna Noh, bella putridina e paludosa), sono minuscoli e visibili più che altro per le fermate die bus e i dossi, altissimi e pericolosissimi, che costringono le auto a quasi fermarsi. I nomi son tutti un programma: si va da Centenario a La libertad, da Pablo Gacia e El lechugal, fino a Matamoros, dove la specialità sono le costine grigliate ed è pieno di baracchini fumanti che le preparano a bordo strada, circondati da cani randagi affamati tutti costole e bava. Noi facciamo una sosta acqua e calura presso una taqueria dove la signora anziana che gestisce ci tiene sott'occhio, e non si fida, e ci fissa dal bancone e ci fa brutto finchè non capisce che siamo troppo cotti per muoverci, figuriamoci per rubare. Comunque anche questi pueblos sono funestati dai blackout procurati dai cantieri del treno maya. 







Bolliti da caldo, attraversiamo zone sempre meno di giungla e sempre più di ranch, stalle e pascoli. Ci sono mucche e cavalli ovunque, tutti ossuti, tutti stremati dalla calura. Passano anche tantissimi rimorchi carichi di bestie. Mi accorgo che in queste ore la gente davvero pisola e fa la siesta. E quando la siesta arriva, non si discute: ci si corica dove si è, nel punto esatto in cui ci si trova: in terra, nel proprio negozio o ristorante, a bordo strada, sui marciapiedi, sui mucchi di sabbia del cantiere.

Alla fine è ancora presto quando raggiungiamo Escarcega. Non ho prenotato alberghi perchè su Booking ci sono solo quelli di gran lusso e fuori budget, mentre in paese ce ne sono decine, molto più economici. Andremo direttamente a chiedere di porta in porta. In realtà ci va bene al primo colpo. Hotel yucateco, gestito da un messicano che ha vissuto per tanti anni a Houston, Texas, e ne ha assunto la stazza e l'accento. La struttura è stata aperta negli anni '50 da suo papà, e, quando il vecchio è mancato, lui è tornato a gestire l'attività insieme al fratello. Quindi qualcuno fa anche il viaggio inverso! E' interessante questa storia, se non altro insolita. Chiacchieriamo un po' in inglese e mi rendo conto di far fatica, mi esce un mix spanglish terrificante, perchè da quando siamo partiti cerco con tutte le forze di evitare l'inglese, anche se lo conosco meglio dello spagnolo. Mi sento Salvatore de Il nome della rosa. "Penitenziagite! Watch out for the draco who cometh in futurum to gnaw on your anima! La morte est supra nobis! You contemplata me apocalypsum, eh? La bas! Nous avons il diabolo! Ugly come Salvatore, eh? My little brother! Penitenziagite!".

In verità ho scelto da Google questo hotel per tre motivi. Li elenco in ordine inverso: la vicinanza al centro, il prezzo economico, il gusto opinabile con il quale è decorato. In nulla vengo delusa, compreso il pappagallino che sta libero, appollaiato su un trespolo alla reception e fischia e bercia senza sosta.



Ovviamente non manco di visitare il terrazzo, dove siamo stati invitati a salire per goderci il tramonto sulle sdraio, magari in compagnia di una birra. Qualsiasi cosa stiate immaginando, avete sbagliato. Ecco come si presenta il terrazzo, e la vista dal medesimo.











Questo è un po' il mood di Escarcega. La bruttezza. Anzi, l'estetica del brutto. Me ne faccio convinta passeggiando per le due vie principali lungo cui si sviluppa la città. Passeggio sola, perchè Gigi ha di nuovo la febbre e non si capisce se sia un colpo di calore o un peggioramento del raffreddore con tosse che si è preso facendo il brillante con la pioggia e l'aria condizionata. Mentre cammino per le vie, nonostante ci sia una luce spettacolare, vedo case, negozi, piazzette... Tutti accomunati dalla mancanza di bellezza. E non si tratta della miseria dei pueblos, sia chiaro. Qui le abitazioni sono in muratura, con gli infissi e la corrente elettrica e l'acqua. Ma tutto è polveroso, cadente, sporco. Il traffico, la spazzatura, le lamiere, i cani randagi, i roghi di immondizia... Tutto contribuisce, anzi, infierisce.


accanto all'hotel vendono pulcini così









Tutte queste foto sono scattate nella via centrale, quella bella. Figuratevi quelle intorno, che nemmeno sono asfaltate! E dire che questa città avrebbe tutte le carte in regola per fiorire. E' storicamente sede di haciendas per lo sfruttamento delle risorse della giungla, soprattutto il chicle e il legname. Di conseguenza è anche diventata snodo di strade e ferrovia, in uno dei punti di passaggio obbligato per la penisola dello Yucatan. E' detta "la porta del mondo maya", ma è un'assaccia di legno storta e piena di schegge, più che una porta. Ed è gran peccato. E' la prima città brutta che incrociamo, qui in Messico.


hanno rubato anche la madonnina, spaccando il vetro :(

Mentre osservo deliziata questo spettacolo di estetica del brutto, vagolo tra un negozio e l'altro alla ricerca di: camere d'aria (ne ho riparata una, oggi, ma meglio non farsi cogliere impreparati), lubrificante per catena (Gigi ne ha portate letteralmente tre gocce e lo abbiamo già finito), cena. Trovo tutto e senza fatiche, anzi, tra negozi, negozietti, mercato e supermercatoni c'è da perdersi. Alla fine, per stasera, si va di cena in camera con riso fritto con pollo e verdure e frutta fresca del mercado. Come sempre, tutto è buonissimo.

Gigi sta anche meglio: la febbre è scesa. Forse è stato solo un colpo di calore... In ogni caso ho già previsto un suo eventuale trasferimento in bus fino a Palenque, da qui. Ho ricalcolato le tappe e riusciamo a raggiungere, pedalando, la città adiacente al sito, in Chiapas, in solo due tappe, anzichè tre. A farmi rivalutare il percorso è stato il texmex proprietario dell'hotel, che mi ha consigliato di evitare strade secondarie anche per arrivare a Palenque, da qui, perchè ormai non sono più sicure nemmeno quelle. Io avevo messo in conto solo strade secondarie, per non star sempre sugli stradoni. Ma meglio così, risparmiamo anche un giorno. Solo che se Gigi non pedala non può raggiungermi nella sosta di domani, che è un paesucolo microscopico al confine con il Tabasco.
Ergo: se Gigi si riprende andiamo in bici insieme, domani a El Aguacatal, sul fiume Chumpan, e dopodomani a Palenque. Se Gigi, invece, continua a non stare bene, andrà direttamente a Palenque, domani e dopodomani, mentre io pedalerò da sola per questi due giorni. Tra poche ore sapremo come organizzarci. In ogni caso siamo a 48 di viaggio dall'ultimo grande sito maya che visiteremo quaggiù, nel sud del paese. E in due giorni, oltretutto, lasceremo il Campeche, attraverseremo un lembo di Tabasco ed entreremo in Chiapas.


2 commenti:

  1. Bravissimi. È mi raccomando, niente aria condizionata.

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  2. Curioso, la stessa osservazione lo stesso giorno. Ho preso molta pioggia, il bosco un po' te la risparmia, poi con calma restituisce

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