martedì 15 luglio 2025

16-18. Giungla, spiagge e villaggi in collina. La bellezza umile e selvatica della costa centrale del Vietnam. E una brutta sorpresa.





















13/7
Tam Quan-Quy Nhon
107km

Non tutte le tracce escono col buco, si sa, e quando non escono col buco, il buco che ci si rimette è il proprio. Senza farla tragica, ché ho vissuto giornate peggiori in sella, oggi è stata una tappa faticosa, di fatica protratta nel tempo per una serie di impedimenti poco prevedibili. Il vento contrario, la tipologia di salite, il fondo delle strade e la qualità dei paesini incontrati, oltre all'ormai noto caldo micidiale, mi hanno colta un po' alla sprovvista.
Cominciamo con il dire che, durante la notte, vengo più volte svegliata da una suoneria, una musichina molesta. Si tratta del campanello "cordless" dell'albergo. In reception non c'è nessuno, e due pori cristi sono chiusi fuori sulla strada con l'auto, e continuano a suonare al citofono. Dalle 23 alle 3 di notte. Quando, dopo aver constatato la situazione, decido di staccare l'ordigno sonoro e dir loro che mi dispiace ma non c'è nessuno qui, è meglio provino a telefonare al numero indicato.

Dormo qualche ora, e, con una ricca dose di caffeina, per 8.30 sono on the road again. Eolo subito si manifesta per quel che sarà tutto il giorno: un grandissimo stronzo. Contrario, teso, aggressivo. In pianura mi fa procedere a 15-16km/h, in salita sotto ai 10, con tanto di sberla prepotente ad ogni scollinamento. In più alza la polvere e molesta gli insetti, che mi finiscono nel naso, negli occhi, e non altrove solo perchè il braghetto è spesso. Tanto che ancora adesso ho i canali lacrimali intasati di schifezze, nonostante i lavaggi, e mi danno fastidio.

La strada segue la costa, che è piuttosto frastagliata, e soprattutto scoscesa. I monti arrivano ad affacciarsi al mare, specchiandovisi, e questo significa una sola cosa: salite. Ma non morbide curve di tornanti, no. Rampe di cemento, linee rette al 10-12%. Brevi, ma terribili. Fino all'8-9% con il rampichino riesco a salire piano piano, oltre, più che qualche manciata di metri, non riesco a fare. La bici carica si fa sentire e non voglio sforzare le articolazioni: ho ancora più di 4000km da pedalare! Sicchè a tratti scendo a piedi e spingo, ma è faticosissimo. In più queste salite sono tutte completamente esposte al sole, e quel maledetto vento contrario, quando serve, latita. Chiusa tra i versanti boscosi, la strada è riparata e stagna un'umidità rovente che toglie il fiato e fa tremare le gambe e le braccia. Ogni 100m di "spintage" devo fermarmi. Per fortuna poi, per ogni ascesa, c'è una discesa di nuovo al mare, o sui larghi fiumi di azzurro spalancato che sfociano qui.








Non c'è molto traffico su queste strade, e quei pochi che passano, in moto o sui furgono, mi guardano con tanto d'occhi arrancare su su per queste colate di cemento rovente, o rifiatare a fatica nei fili d'ombra che trovo. Mi sovviene un termine nuovo: immostrirsi. Diventare non mostruosi, proprio mostri. Mi sento con gli occhi pallati fuori dalle orbite, paonazza, le vene gonfie, curva in modo innaturale sul manubrio, molle di sudore, lucida e puzzolente, con tutto lo sporco dell'Asia incrostato addosso, e degli "Hello" che sembrano rantoli o grugniti. La fatica mi immostrisce.
A ciò si aggiunga un altro problema: le borracce costantemente vuote. L'immostrimento prevede che io sviluppi anche una sete disumana, molto più rapida di quanto sia la possibilità di procurarsi acqua. Finora ho sempre incontrato paesi di continuo, tutti con i servizi minimi. Non ho mai dovuto aspettare e provare la sete feroce, quella che ti asciuga il cervello e fa gonfiare la lingua. Oggi sì. Oggi, per qualche ragione, i paesini indicati sulla mappa sono giusto quattro capanne di pescatori e due baracche per gli attrezzi. Però a tratti la vista si spalanca sul mare immenso, e, per un attimo, torna il respiro leggero.





Almeno fino a quando la strada non si inerpica di nuovo, e il vento è sempre contrario, il caldo da diventar stupidi e la sete insopportabile. Allora giù, che si cammina, con bel 4km/h di media che fa prospettare una tappa infinita, uno spazio che si dilata come nel paradosso di Achille e la tartaruga.





Quando penso che, in effetti, almeno questa strada panoramica è esteticamente gradevole, e un po' ripaga dell'immostrimento, BAM!, la succitata "strada panoramica" diventa una striscia di sabbia impedalabile e corre tra allevamenti di gamberetti e montagne di pattume, in un mix di puzza di pesce marcio e fogna. E anche qui si va di gran spintage, perchè la sabbia è asciutta asciutta e ci si affonda. Unico lato positivo è che, a tratti, una sorta di spelacchiato boschetto compare e fa ombra.





Ci vuole del buon tempo prima che io riesca a togliermi da questa buca infera in cui sono andata a cacciarmi. Ci vogliono altre salite, sabbia, vento contrario e sete. Finalmente, però, riprendo una strada-strada, e, nonostante la fatica, riesco a ritrovare quella bellezza cruda e spettinata che si incontra qui. Prima sul mare, tavolozza di azzurri che si perde al cielo, e poi in una piana arida circondata da colline brulle. Qui mi spariscono le zanne, la cresta, le branche e le corna da mostro della fatica, e molti in motorino mi affiancano per mostrarmi dei gran pollicioni alzati in segno di approvazione.









Incontro finalmente un paese con un negozietto dove tutta la merce sta buttata a terra e sulla strada, e le confezioni sono mezze aperte e le bottiglie mezze bevute. Scelgo accuratamente in questo mucchio e pago a una signora che si è appena svegliata dalla sua pennichella sull'amaca, e probabilmente è convinta di star ancora sognando quando mi vede scolare litri d'acqua alla goccia. Nello stesso paese c'è anche un immenso santuario con pagoda a torre e statua del Buddha sulla cima. Accanto, un meno imponente monumento ai caduti. Mi colpisce vedere alcune signore scalze che vendono sacchettini di frutta secca e quisquilie ai fedeli che entrano, sostanzialmente chiedendo l'elemosina. Mi colpisce perchè loro, così piccole e magre, sedute a terra, contrastano con l'immane scultura del Buddha là su in cima a una lunghissima scalinata. Mi dà un senso di ingiustizia, di errore, di inganno. Anche questa religione non ha risolto nulla, anche questa fede da noi tanto mitizzata e vista come l'esotico che ci apre gli occhi dopo secoli di monoteismo scandisce bene le gerarchie. E chi non ha nulla, resta sotto, bene schiacciato a terra, a ricordarsi che umiltà deriva da humus. Forse se si tenessero gli occhi un po' più bassi, non rivolta alla grande stata che si sperde tra le nubi, ci si accorgerebbe di tutti i relitti dell'umanità che non chiedono devozione o fede, solo uno spicciolo per mangiare la sera. Forse.






Mentre rifletto sull'imperfezione di tutte le fedi, che, essendo create e ideate da esseri umani, ne rispecchiano i limiti e i difetti (nonostante le buone intenzioni, talvolta... D'altronde si sa di cosa è lastricata la via dell'inferno) mi trovo sulle ultime colline, disfatta, punita dal concilio di tutte le divinità riunite, tra pale eoliche e i fumi di roghi di sterpaglie che rendono l'aria irrespirabile e fanno bruciare gli occhi.



Sulla ridicola "cima" (saranno 50m) dell'ultima montagna, no, collinetta, anzi, gobba, foruncolo orografico, mi fermo un attimo a prender fiato. Che vita strana, che congiuntura di situazioni... "E' tutto un complesso di cose, che fa sì che io mi fermi qui, le donne a volte sì sono scontrose, a volte..." son solo immostrite dalla fatica sovrumana! Mi fa solo piacere pensare che sia tutto allenamento per la strada che verrà.


A Quy Nhon entro dalla laguna, percorrendo il lunghissimo ponte (7km) che ne collega i lembi di terra come un punto di sutura. Il cielo, intanto, si è imbronciato... "Potrebbe andare peggio! Potrebbe piovere!". E invece no, la scampo per un pelo entrando in volo in città (aka spingendo a tutta forza per raggiungere i 14km/h). Oltretutto pensavo le salite fossero finite, essendo centro costiero sul mare... Non avevo considerato i 10.000 ponti a gobba d'asino, a schiena di mulo con tutti gli angeli in colonna il Signore e la Madonna! E il traffico. Perchè il mezzo milione di abitanti è tutto in strada, adesso, qui. Quy. Nhon.







Mi tuffo nella hall (qui sono sempre aperte sulla strada, con rampa, per entrare direttamente in motorino, tanto che di fronte al desk è un garage) e inizia a diluviare. Che culo! La prima cosa dritta di oggi. Purtroppo la camera non è pronta e la signora anziana invia una ragazza a pulire tutto di corsa, mentre cerca di distrarmi raccontandomi buffe storielle. In vietnamita. Dopo oltre mezz'ora così (io, mi spiace per l'occasione persa, ho smesso di cercare di capire dopo 1 minuto. Sono troppo bollita) finalmente posso buttarmi in doccia. Ah no, si è dimenticata di darmi la chiave. E poi la card per la luce. E poi di dirmi che domattina devo lasciare tutto sul bancone perchè loro non ci saranno. Insomma, dopo un'ulteriore mezz'ora di informazioni date una sillaba alla volta, mi godo questa bella stanza di casa tradizionale con i mobili in legno scuro.



Vorrei fare un giro sul lungomare, ma il temporale tropicale non accenna a smettere. Anche per andare a fare la spesa in un vicino centro commerciale tocca infradiciarsi. Ma ne vale la pena: si tratta di un supermercato dove è possibile osservare la vita dei vietnamiti urbani, con le sale giochi e i negozietti. E anche il settore dedicato al cibo è interessantissimo. Nella zona gastronomia, dove ci sono piatti pronti da gustare, trovo pennuti carbonizzati su sudario di mentuccia e bacherozzi carnosi.




Nella zona veg/buddismo, invece, scopro una nuova delizia che scala la classifica nella top 10 piatti tradizionali dove sono certa non ci sia carne di cane o altri animali di cui moralmente non voglio cibarmi. E' un tortino di riso glutinoso con un ripieno di verdure e spezie, il tutto avvolto in una foglia di banano. E' squisito!





Oltre agli immancabili noodles di riso, poi, stasera mi lancio nell'assaggio di questi dolcetti: è un frutto secco dolciastro e asciutto (sembra una prugna selvatica, ma non ha un sapore così definito) con dentro un ripieno di quel che pare burro di arachidi, ma meno intenso, e un anacardo.



Di Quy Nhon, a questo punto, vedrò qualcosa domattina. Storicamente città di contadini e pescatori, negli ultimi anni si è aperta all'industria e al turismo. Di fondazione Champa intorno all'XI secolo, porto di grande importanza da allora, subì un tentativo di invasione da parte dei mongoli, nel 1283, quando Qubilay Khan venne scacciato due volte dal generale Tran Hung Dao, che infatti ha due statue a lui dedicate in città. In realtà i mongoli entrarono in Quy Nhon e miseo in fuga il re, ma se ne andarono presto, provati dalle malatti e dal caldo tropicale. Qui fece scaldo più volte l'ammiraglio Zheng He, alla guida della Flotta del tesoro della dinastia Ming, nel Quattrocento. Due secoli dopo approdarono qui i gesuiti portoghesi, e, nel Novecento, fu base militare statunitense e coreana. Oltre alle spiagge, ha alcune resti di templi Champa, un museo dedicato ai manufatti di quella cultura, un centro dermatologico che fu il primo lebbrosairio vietnamita, aperto nel '29 da un medico francese per permettere ai malati di non subire l'emarginazione sociale di cui erano vittime, e un museo scientifico dedicato allo spazio, aperto nel 2021 e visitabile solo di martedì. Ma perchè poi. In ogni caso, per oggi si abbassa la saracinesca. Sono della stessa consistenza del riso glutinoso, e devo riposare. Domani mi aspetta una tappa leggermente più breve, ma con ancora più dislivello, 1000m di rampette microscopiche e maledette!


14/7
Quy Nhon- Tuy Hoa
95km

Sonno di piombo, la fatica ha il suo costo. Ma stamattina mi sveglio in forze, senza indolenzimenti o strascichi da ieri. Anche perchè oggi si bissa. E domani? Anche. E poi? Ancora. Il mio corpo si sta adattando in fretta, trasformando lo stress in allenamento. Bene così: il Laos lo richiederà tutto, con le sue montagne; non per altro sta in fondo al viaggio. Ieri sera, prima di crollare, ho preparato le ultime 5 tappe prima di Ho Chi Minch city, e controllato ben bene di nuovo le modalità di ottenimento del visto per la Cambogia, dato che ogni guida o sito si consulti dà informazioni contrastanti e non vorrei perdere giorni preziosi di viaggio per stupidaggini formali. Siccome entrerò a Phnom Penh via fiume, risalendo il Mekong, è inutile che io faccia un e-visa, perchè su quella frontiera non è riconosciuto. Si fa in loco, costa 35 dollari (che ho portato apposta) e servono le fototessere (che ho stampato a casa e mi sto portando dietro dal Destriero di Vittuone dove c'è la macchinetta). Ci sono attualmente problemi sui confini tra Thailandia e Cambogia, dopo i fattacci recenti, ma per fortuna non mi competono.
Caffè freddo in camera e... Fortunatamente fuori c'è il sole. Spesso dormo in camere sprovviste di finestre e scopro la situazione meteo solo quando recupero la bici.

Uscendo da Quy Nhon infilo tutte le meraviglie, lebbrosario compreso, che ho citato ieri, più la piazza centrale, bella realista socialista. Mi stupiscono i grattacieli: qui non sono frequenti. Come non lo sono la carta igienica, sostituita dal doccino e una minima consapevolezza delle regole di base del codice della strada. Ma ormai vado anch'io con il flow. 





Oggi le salite più importanti sono subito entro i primi 30km, e tra una l'altra, la strada corre a mezza costa lasciando intravedere il mare, chiarissimo nel sole di puro argento, e isole lontane sperse nei vapori dell'orizzonte tropicale. Intorno, monti verdissimi e sonnolenti. Il vento oggi tace, per fortuna: comparirà solo nel pomeriggio, giusto per aggiungere quel pochino di difficoltà in più a fine tappa.



A tratti la traccia si insinua tra i villaggi e mi permette di scoprire delle incredibili perle, come ponticelli di legno nella giungla e fiumi placidi su cui i pescatori han costruito porti e palafitte. A volte dai locali si sente musica ad alto volume, unico suono non naturale, che dà un che di esotico e l'impressione di trovarsi una cartolina patinata.










A tratti, invece, la strada si allontana dal mare e si intrufola come un serpente dalle molte spire (ah, spesso ne vedo, e a volte rischio pure di investirli, porelli!) verso i campi, le risaie e i colli. Sentieri o lastricate di cemento corrono tra profili snelli di palme e poi si inerpicano, in modo meno violento di ieri, ma comunque impegnativo. Incontro qualche signora in bici, che va o torna dal mercato con una cassetta di frutta o un sacchetto di verdura, o pescatori intenti a disporre il pesce al sole, per farlo essiccare. Mi balena il pensiero che questo sia il Vietnam intatto, quello che si è salvato dalle guerre, dagli orrori, dal dolore. Sì, deve essere questo. Semplice e bellissimo, così, rigoglioso, dove la fatica ripaga e il riso cresce e le comari, sotto ai loro cappelli conici, rincasano chiacchierando.














Tutte le salitelle che affronto mi portano a immergermi in boschi profumati di eucalipto e palmeti o bananeti, e si sentono richiami di uccelli per me del tutto irriconoscibili. Qua e là nuvole di libellule gigantesche e colorate, gialle, blu, verde elettrico, che paiono dragoni in miniatura. Oggi mi sono premunita con una scorta d'acqua, per non provare la sete atroce di ieri. E infatti non serve, perchè qui ci sono i paesi come sempre, con i loro bravi negozietti. A metà tappa ne approfitto per un gelato al latte di cocco, e mi rendo conto che le mie mani si stanno abbronzando non solo con le dita a metà, ma con i quadretti dei guanti estivi. Sembrano le zampe di un pollo!



Proseguo in un continuo saliscendi, tra cime boscose dove, ogni tanto, compare una statua di Buddha o una pagoda o un monumento ai caduti, e ogni tanto uno strappo di mare sempre più blu.




A un tratto lascio la strada e viro verso un larghissimo delta di fiume, su cui si trova un ponte che so essere moto-ciclo-pedonale. Quel che non so è che è di legno marcio e traballante, con un'asse sì e una no saltate, e che sotto si vede chiaramente l'acqua. Ma ci passano in tanti, e in moto, a tutta velocità... Quindi pago il pedaggio (5000 dong, 0,15 euro) e, a chiappa stretta, via sul famoso ponte sullo strizza! Alla fine, visto che in tanti mi sclacsonano per passare (ma io con cavolo che vado in bordo in bordo dove le assi cedono perchè i chiodi son saltati! inizio a fare anch'io con la bocca il "Peeeee peeeee!" con cui mi stanno molestando. Funziona!









Arrivo di là sana e salva, e l'ultima parte di tappa si fa un po' confusa: i villaggi che attraverso sono polverosi e trafficati, le strade asfaltate ma piene di buche e crepe, che rendono davvero difficile stare in sella (e non finire in mezzo alla careggiata a fare peeee peeee con la bocca), si alza il vento, le salitelle continuano...
A 10km dall'arrivo non ce la faccio più e, nonostante si siano ammassati minacciosi nuvoloni, mi fermo a bere qualcosa di fresco e buttar giù qualche kilocaloria. Ho voglia di salato, probabilmente mi sto disidratando per il gran sudare. Compro un pacchetto di alghe, e la cassiera me ne dà uno in omaggio, e mi regala pure un sacchettino di piselli secchi e noccioline all'aglio. Nulla sopravvive alla breve sosta.


Entro in Tuy Hoa sotto una pioggerella che di lì a poco diventerà temporale con tuoni e lampi. Mi imbatto in mandrie di zebù che, saggiamente, rincasano, alcuni ciclisti semi-pro (i primi che vedo!) e qualche runner. Ci sono interi quartieri, resort e vialoni in costruzione. Si vede che qui il turismo sta spingendo forte e gli investimenti non mancano. Mi spingo fino al lungomare, che è un po' spoglio, a tratti, ma con grandi potenzialità. Le spiagge sembrano davvero invitanti, ci sono parchi e belvedere e una marea di ristorantini, oltre a statue e monumenti non del tutto comprensibili (ma estremamente fotografati). Nonostante il maltempo imminente, tantissimi stanno facendo il bagno, molti con i giubbetti salvagente, cosa che mi stupisce... Forse non sanno nuotare, anche gli adulti?
Il mare è piombo fuso con riflessi viola e arancioni del tramonto. Sa di acqua extraterrestre, di quadro alieno.









Passo nelle vie pedonali dello street food, dove le bancarelle sono in allestimento tra lucine e fumi di griglia, e raggiungo il bell'alberghetto affacciato al mare dove ho prenotato. Si trova proprio accanto al DIO cafè&bistrò. Volo, è un segno! Una nuovo livello di blasfemia!





Ceno in camera, dopo aver comprato mezzo supermercato a un totale di 4 euro, e traccio la strada di domani. Ahimè, mi attende una tappazza da quasi 130km, perchè alcune gallerie, dopo attenti studi, si sono rivelate vietate alle bici. Tocca far salitelle e aggirarle. Ma partendo presto e prendendola con calma, si farà. Nha Trang mi attende, e sarò a oltre 1500km pedalati, a meno di 5 giorni dalla fu Saigon!


15/7
Tuy Ha-Nha Trang
130km

Che strana tappa, oggi. Mi aspettavo una gran fatica fisica, e non ne ho fatta neanche la metà di ieri o ieri l'altro, nonostante kilometraggio e dislivello. Però son successe cose nuove, e non positive, a meno di non considerarle lezioni per evitare mali maggiori, in futuro. La penserò così, che mi pare il modo più maturo. La prima situazione nuova, almeno qui in Vietnam, è il perdermi e faticare a capire quale strada imboccare. Non metaforicamente, eh. Perdermi proprio, e vagolare avanti e indietro con gli occhi fissi allo schermo di Komoot, ora, e, ora, ai cartelli stradali; il problema sono stati principalmente i numerosi cantieri che hanno modificato sensibilmente la viabilità, in concomitanza di cavalcavia, ponti e gallerie autostradali vietate alle bici. Ma, quanto al raccappezzarsi su mappe e direzioni, me la son cavata con qualche km in più pedalato e qualche bestemmiona tonante tirata, per par condicio, agli dei nostri, a quelli locali, e anche al vecchio zio Ho, così, per non mancare di rispetto a nessuno.
La seconda situazione nuova è quella dell'aver subito una truffa, se così possiamo definirla, da parte di un vietnamita. Fino ad ora le interazioni sono state più che ottime, sempre improntate alla cordialità, alla gentilezza, alla curiosità bonaria e all'attenzione, se non alla cura. Forse ho incrociato l'unico malintenzionato del Tonchino, l'unico timido ladruncolo della Concincina. Fatto sta che è successo, e ciò ora ha un po' intaccato la mia fiducia piena nutrita nei confronti di questa gente. E mi dispiace, perchè mi fa partire prevenuta con tutti, per colpa di uno. Ma non sono qui per farmi fregare, e la mia apertura arriva fino a dove trovo buona disposizione d'animo. Voglio eventualmente essere generosa, non ingannata per estorcere denaro. Dopo vi racconto tutto, ora riavvolgo il nastro.

La giornata inizia splendidamente, sotto a un sole caldo, dopo una colazione affacciata alla finestra del quinto piano. La città è ancora tranquilla e assopita, le strade non trafficate. Mi accorgo con estremo piacere il vento, teso, oggi è incredibilmente laterale o a favore, cosa che mi dà subito una bella spinta mentale e soprattutto sui pedali. La traccia mi fa tagliare tra i campi, con tanto di attraversamento binari alla "io speriamo che non resto incastrato con la bici mentre passa il treno". In caso, ci sono già gli altarini con le ceramiche, le statue di Buddha e i bastoncini di incenso. Sui sentierini tra le risaie incontro tanti contadini in bici con gli attrezzi in spalla. Cedo loro il passo, io non ho fretta: sono in vacanza. 





Le salite iniziano subito, quando la strada si divide e un tronco diventa ad alta velocità e infila lunghe gallerie vietate alle bici, e un tronco invece si inerpica per le colline boscose e si rituffa poi verso il mare, dall'altra parte. A differenza dei giorni scorsi, quando le salite erano strade carrozzabili e quindi lastricate e ripidissime, queste sono strade vere e proprie, percorse anche da furgoni e qualche camion. Quindi le pendenze sono al massimo del 10% e ci sono tornanti; ciò significa che posso pedalare tranquilla senza mai dover scendere a piedi a spingere, con grande guadagno di tempo e risparmio di energie. Trovo anche lui, su una rampa. Ovviamente si imbarca sulla Signorina Felicita e viene con me. Si chiama Nguyen, con 3/4 dei vietnamiti. La storia che c'è dietro a questo strano fatto è interessante: fino all'Ottocento solo le famiglie nobili portavano un cognome, la maggioranza della popolazione aveva solo il nome proprio. Quando arrivarono i francesi e tentarono di fare censimenti e ordine nella confusa situazione sociale, decisero che tutti coloro che non avevano un cognome si sarebbero chiamati Nguyen, come l'ultima dinastia imperiale vietnamita.


Arrivo a scollinare e, dall'altra parte della catena di colline imbocco una bellissima strada panoramica che, con lievi saliscendi, resta a mezza costa e permette di sorvolare con lo sguardo questo tratto di baie e isolotti e spiagge, porti e cittadine di pescatori, giù giù in basso, piccole nella distanza come presepi. Non ci sono punti pensati per osservare il paesaggio, quindi nelle foto vedete esattamente la realtà: alberi, fili elettrici, baracche di lamiera... Sulla disposizione degli elementi, c'è ancora un po' da lavorare. Ma le potenzialità sono ottime.







caprItte dalle orecchie luuunghe

Scendo poi definitivamente, almeno per ora, in un paesino di pescatori dove faccio scorta di acqua, attirando l'attenzione di tutti coloro che stanno allestendo un locale per un matrimonio (ne incrocio spesso; si riconoscono dai grandi gazebo esplosi di fiori finti pacchianissimi, dalla musica a palla, spesso con karaoke e voce rotta da ubriachi, e gente sudata e provata dal troppo cibo). Escono tutti a vedermi e a rimirare la bici, e si chiamano l'un l'altro con cenni di approvazione. Il tempo di qualche saluto, una foto ai Buddha con le svasticone (è frequente) e via che riparto.





Infilo un drittone che taglia una valle, vento a favore, piatto come una tavola e, con la musica a tenermi compagnia, spingo sui pedali che è una meraviglia. Sono una freccia lanciata all'orizzonte dello splendido avvenire indicato da quella grandissima *** di Ho Chi Minh in persona, i 23km/h che riesco a tenere mi paiono 100, considerate le medie solite, e godo proprio della sensazione di "velocità" e movimento. Divento un concentrato di Futurismo a motore, una locomotiva che "corre corre corre come fosse cosa vivaaaaa". Persino i bufali d'acqua si spaventano al mio poderoso passaggio, tutti incrostrati di fango come sono. Ma vi pare che fanno il bagno nelle pozze insieme alle papere? Ebbene, sì!







E' proprio in questo momento di euforia che accade il fattaccio. Mi si affianca un omino come tanti, che, come tanti, mi fa qualche domanda, pollicioni alzati ed esprime quel che intuisco essere apprezzamento Non si scolla. Mi chiede dove io stia andando, gli rispondo: Nha Trang. "Anch'io!". Ma guarda il caso. Inizia a dirmi che mi vuole aiutare, che la strada è lunga e fa tanto caldo. Sostanzialmente non parla inglese, fa gesti e usa singole parole. "Hot" e indica il cielo, il sole spalancato. "Long" e con la mano fa come per segnare la distanza tra qui e la mia meta (che poi mancano 50km circa, ed è molto presto rispetto alle mie aspettative, che vuole questo?). Cerco di spiegargli che per me va tutto bene, sono a posto, grazie. Inizia a spingermi con il piede inciabattato sulle borse, la bici decolla. Cerco di fargli capire che ok, bello, ma è pericoloso, sono a disagio. Traffico e buche non sono gestibili con la bici carica a quelle velocità. Niente, insiste, non mi molla. Da dietro si appoggia, accelera e spinge. Più volte mi fermo e gli spiego che non voglio, lui ride, insiste, mi si mette sempre accanto e ricomincia. Se mi fermo più a lungo, pure lui si ferma e aspetta. Purtroppo in questo tratto, per una ventina di km, non ci sono paesi, negozi, luoghi dove io possa fingere di dovermi fermare. A una certa si ferma lui, a far benzina. Mi fa segno di aspettarlo, ma io lo saluto con gran Thank you e proseguo, ma, ovviamente, dopo poco è di nuovo dietro di me a farmi volare con la bici. Mi fermo, caccio fuori il telefono e gli scrivo con il traduttore che non voglio che mi spinga, che preferisco pedalare. Di andare pure, apprezzo il gesto, ma anche basta. Ma lui seguita. Credevo però fosse solo un tipo un po' strano, uno eccessivamente premuroso, a modo suo. Tanto che, come è già capitato, gli lascio pure in mano il mio telefono per scrivere con il traduttore. Ma il mio è uno smartphone da poracci, quindi non accade nulla. Forse mi invita a pranzo, o a bere qualcosa. Non capisco e soprattutto sono abbastanza infastidita, a questo punto. Poi, così d'improvviso, se ne va. Mi saluta e dice: "Vado a Nha Trang allora". E bravo vai, penso con sollievo, chè sei ben molesto. Peccato che la disavventura sia solo a metà. Qualche kilometro più avanti, su una piccola salitella in mezzo al nulla, me lo trovo fermo a piedi che si sbraccia e mi fa segno di fermarmi. Faccio l'errore, in buona fede, di frenare. Dice cose che non capisco, penso voglia spingermi ancora e gli dico di nuovo no, grazie. Ma indica la catena del suo motorino, è aperta e spenzola a terra. Inizia a piagnucolare, a far finta di telefonare, a prendermi il braccio come a chiedere aiuto. Ora capisco. Vuole soldi. Li voleva fin dall'inizio. Sta inscenando questa pagliacciata per farmi sentire in dovere morale di "ripagarlo" delle sue gentilezze non richieste. Cerco di dirgli che vado a chiamargli qualcuno alla gas station, o alla police, ma lui si agita e telefona (ha un vecchissimo Nokia non smartphone, cellulare e basta). Finge che gli dicano che gli servono 200.000 dong. Eh malauguratamente lui non li ha, guarda caso. Faccio due conti mentali, sono 6 euro circa. Mi dà fastidio assecondarlo, perchè è chiaramente una truffa. Ma penso anche che, se non lo faccio, c'è il rischio che mi segua per altri 50km, magari non spingendomi ma buttandomi a terra per prenderseli da solo, i soldi. Decido quindi di dargli sta banconota marcia, e che se la spenda in medicine. Allora prova a rilanciare, a dire 300.000. Ma io son già saltata in sella e gli dico che 200 vanno bene, ciao. L'adrenalina del momento mi fa calcare sui pedali e, ad ogni motorino che passa, scrutare negli specchietti per capire se sia lui, che mi sta inseguendo, o no. No, per fortuna.

il Merda che, quando gli scattato una foto, all'inizio della conversazione, si è prontamente infilato la mascherina


Questo episodio mi lascia un po' turbata. Non è successo nulla di che, ma avrebbe potuto. Ho come la sensazione di esser stata tradita, di aver visto la mia fiducia calpestata e incrinata. So che di certo è un caso isolato, una pecora nera, ma intanto eccomi qua a pedalare forte e pensare "per fortuna non è andata peggio". Dopo il momento di lucidità da fuga, mi si affollano in testa tanti pensieri: se fossi stata un uomo, lo avrebbe fatto? Se non fossi stata sola, avrebbe osato? Avrei dovuto far la voce grossa e rischiarmela, pur di non dargliela vinta? Qual è la percentuale di ladruncoli da strapazzo, disposti a usare questi mezzucci? Io sono favorevole a forme di redistribuzione della ricchezza anche non convenzionali. Non è un problema che mi facciano pagare prezzi gonfiati, per turisti, ben più alti di quelli dei local, non mi costa molto lasciare una mancia quando mi fanno le moine o lasciare il resto se mi sono trovata bene in un posto. Mi sta bene farmi vendere robaccia come fosse oro, e facendo anche finta di crederci. Ma questo no, non mi sta bene. Se quei soldi me li avesse chiesti e basta, dicendo che ne aveva bisogno, forse glieli avrei lasciati. Invece così no, mi ha fatta sentire in potente disagio, e adesso vedo con sospetto anche il più buono dei vietnamiti. Passerà questa sensazione di sfiducia, che non mi piace, ma non posso negare che ora ci sia. Io che in questi giorni mi sentivo una merda a legare la bici nei garage degli alberghi, perchè mi sembrava di mancare di rispetto... D'altronde, sotto questo rispetto, tutto il mondo è paese. Ci è capitato anche in Italia, fuori Napoli. Un finto agente della Finanza, in una stradella di campagna, aveva fermato Gigi e me dicendo che dovevamo pagare una multa per aver comprato delle patatine lungo la strada senza farci fare scontrino. Ma lì Gigi aveva detto di essere un carabiniere casertano, e il malfattore, nei suoi abiti da poliziotto di Carnevale, se ne era andato scornato. Qui è andata così. Diciamo che ho imparato una lezione che potrebbe rivelarsi utile nel proseguimento del viaggio.

Per togliermi un attimo dalla strada, ripigliarmi e schivare quello sembra un temporale devastante in arrivo, faccio sosta in un minimarket della pima cittadina che mi capita a tiro. Qui torna l'usuale gentilezza di tutti, e, come al solito, vengo riempita di omaggi e regali. Sembra quasi che stiano cercando di spingere la grande distribuzione così, con offerte e doni ai clienti, in un paese dove ancora la maggior parte delle persone fa acquisti al mercato ogni giorno e compra direttamente dai produttori. Non so se è un bel destino, ma è quello che noi già viviamo da anni. Nella pausa, racconto l'accaduto sui social, e ricevo affetto e supporto che mi fanno un gran piacere.

Riparto, per gli ultimi 35km. Il vento è sempre a favore, e le salitelle che incontro passano rapide. Il mare non si vede più per un po', solo campi, colline e cielo a quadretti. E carri funebri belli colorati. E monumenti ai caduti disseminati anche là dove non c'è più nemmeno il paese.






Entrare in Nha Trang si rivela un incubo ad occhi aperti. E' la città più incasinata che io abbia finora attraversato. Anche più di Hanoi, che almeno ha vialoni ampi e qualche semaforo. Qui regna il caos, i mezzi, soprattutto motorini stracarichi, si muovono in ogni direzione, contromano, in mezzo alla strada, sui marciapiedi, e nessuna regola del codice della strada è rispettata. Vige solo una legge: io vado, tu stai attento e schivami. Ne ho attraversati di centri dal traffico maledetto e imprevedibile, in tutto il mondo. Ma qui la situazione è davvero fuori controllo! Gli ultimi 8km sembrano durare un'eternità e sono tuttora stupita di non aver fatto incidenti. E dire che ci sono solo mezzo milione di abitanti! Ad accogliermi, comunque, trovo le torri Champa di Po Nagar. Sono templi veneratissimi ancora oggi, risalenti alla fine dell'VIII secolo. Servivano a rendere omaggio ad un'antica divinità simile alla Bhagavati hindu e ancora oggi i seguaci del buddhismo cham si recano qui in segno devozione. Tutti i templi sono rivolti a est, avevano una sala della meditazione e, nel 918, un re Champa vede installare un mukha-lingam, statua d'oro fallica con volto umano, poi saccheggiata dagli khmer e sostituita dalla scultura in pietra di Uma, manifestazione femminile di Shiva.



Nha Trang, infatti, era un importante centro urbano dell'impero meridionale Champa, che, quando cadde in rovina, lasciò quest'area alla natura selvaggia. Si registra che dal Seicento all'Ottocento qui fossero tornate persino le tigri selvatiche! I francesi poi stabilirono qui un importante porto commerciale e quindi la città tornò a crescere; qui visse, operò e morì anche lo scienziato franco-svizzero Alexandre Yersin, fondatore del locale Istituto Pasteur (1924); introdusse in Vietnam l'albero della gomma e la pianta da cui si ricava il chinino, scoprì il microbo che trasmette dai topi all'uomo la peste bubbonica e organizzò numerose campagne vaccinali e studi di prevenzione delle malattie per la popolazione. Era molto amato, come testimonia il museo a lui dedicato.

Oggi Nha Trang è un vivace centro turistico di mare, tutto hotel, negozi e bancarelle, spiagge e agenzie turistiche. A giudicare dai cartelli, ci vengono tanto sudcoreani e tantissimi russi, che apprezzano le Spa e i bagni di fango, qui molto rinomati, e le aree di mare protette. Io sono esausta, faccio giusto un salto a godermi il lungomare, prima di raggiungere l'hotel. Anche qui mi stupisce la numerosa presenza di grattacieli, poco comuni nel Vietnam visto finora, e la lunghezza della spiaggia libera comunale.











Dopo aver respirato un po' di salsedine e vento, mi butto in stanza. Il Fuji boutique hotel, che nonostante il nome altisonante costa 7 euro a notte per una tripla, è tutto a tema giapponese, e devo dire che fa la sua gran figurona! Bravi, bello! Stasera potrei andare al ristorante, ma sono così stanca che preferisco far spesa e cenare in camera, che è tanto graziosa da invitare a goderne con calma.




Sono molto soddisfatta, contrattempi a parte, delle tappe pedalate fino ad ora. Le più impegnative, se tutto va bene, in termini di kilometraggio. Ora mi aspettano altri 5 giorni di viaggio, ma con meno di 100km al giorno e per lo più in pianura, per raggiungere Ho Chi Minh city, dove farò due giorni di sosta, per riprendermi dai 2000km che avrò pedalato quasi ininterrottamente e per visitare la città.

2 commenti:

  1. 👋👋👋👋👋👋👋👋👋👋👋👋

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  2. Brutta avventura, ma spero che non mini la fiducia per il prossimo, anche se sono lezioni di cui fare tesoro.

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