Nha Trang-Phu Quy
104km
Che questo tratto di costa centro meridionale del Vietnam sia zona di forte vento, a quanto pare, è cosa risaputa da tutti. Lo sanno coloro che hanno installato qui centinaia di enormi pale eoliche. Lo sanno gli appassionati di kite e windsurf, che vengono qui a domare le onde, e lo sanno coloro che hanno aperto scuole e noleggi di questa attrezzatura. Lo sanno i pescatori, che fanno essiccare il pesce da secoli, steso su grandi reti al sole, e lo sanno le persone che abitano qui, e si son costruite la casa con i balconi rivolti tutti da un lato preciso. Lo sanno davvero tutti. Tranne me. Io lo scopro qui, sulla mia pelle. D'altronde viaggiare è questo: imparare nuove cose, apprendere ciò che non si conosceva. Anche mio malgrado, anche non volendo. Se stiamo a sentire i greci antichi, il pathei mathos, cioè imparare attraverso la sofferenza, è il modo più diretto, duraturo e potente. E infatti io, nel mio piccolo, di questo vento difficilmente mi scorderò. Sono qui che scrivo stesa sul letto, meravigliosamente duro (qui usa così, e a me piace) con le gambe appoggiate alla finestra, un ginocchio esploso e l'altro quasi, esausta ogni fibra del corpo, la schiena ingaberettata a forza di star curva sul manubrio, un antinfiammatorio in corpo e due kili di miracoloso balsamo di tigre vietnamita spalmati addosso con tanta tanta fede nell'errore di ieri, di oggi e di domani, che non può mancare -per citare Salinas.
Arrivare qui è stato facile e faticosissimo a un tempo. Questa notte dormo male, fatico a prender sonno, ho ancora un po' di adrenalina addosso per quanto successo e ricevo tanti messaggi di supporto a cui rispondo molto volentieri. Mi alzo che il sole ha già spalancato il suo occhio torrido, il letto è intatto, mi ci sono solo buttata sopra senza smuovere di un millimetro lenzuola, cuscini e coperta. Probabilmente le ragazze delle pulizie si chiederanno se qualcuno ci sia effettivamente stato, in quella stanza. Anzi no, si capisce dall'aroma di sudizza che porto con me ovunque io vada. Oh, quanto sarà necessario fare una gran lavatrice a Ho Chi Minh city, dopo quasi due settimane di intenso riutilizzo dei vestiti in questo clima tropicale, a star sulla strada lurida tutto il giorno!
Esco da Nha Trang più agevolmente di quanto non sia stato entrarci, anche se il traffico già si fa sentire. Sono un po' tesa, un po' guardinga; tutti quelli che passano in motorino mi fanno trasalire per un attimo. Rispondo ai saluti in modo molto asciutto, sorrido poco. Non mi piace, ma per ora è così. Tempo qualche ora e tornerò a essere ottimista e di belle speranze.
Dopo aver attraversato qualche fiume ed essermi allontanata dalla costa, imbocco una strada che mi guiderà per tutto il giorno. Corre in un vallone raramente mosso, circondato da colline, sullo sfondo, e, più vicino, risaie e marcite. Di paesi ne incrocio ben pochi, e mi colpisce la quantità di chiese cristiane, pur a forma di pagoda. I francesi ne han portate di croci... In tutti i sensi. Nei paesi in cui passo ci sono spesso sculture che richiamano le balene. Ci sono anche templi cham dedicati a questi cetacei, spesso vecchi di secoli, con talora degli scheletri conservati al loro interno. Le balene, fino dai tempi dei Cham, sono infatti considerate esseri quasi divini, in grado di proteggere dalle tempeste in mare.
A 50km dalla partenza, nemmeno mezza tappa, sono già esausta. Il vento si è alzato fin da subito e ha reso ogni movimento pesante e lento. E' proprio diritto in faccia, esattamente contrario, e si infila nel vallone e corre corre lungo la strada, come una marea che mi investe in pieno. Decido di fermarmi nell'unico luogo che riconosco come centro commerciale, dove io possa bere, mangiare qualcosa e sedermi senza stare nel casino della strada. E' tutto deserto e vagamente abbandonato, popolato solo da alcune anime in pena con evidenti problemi e disabilità, fisiche e intellettive. Non resto a lungo, pare un ospedale psichiatrico, tra luci, clima e utenza.
I restanti 54km sono una pena. Il vento non fa che aumentare, e scopro poi che raggiunge i 50km/h. Spazza e frusta la pianura, me, gli zebù legati per non volare via. Alza polvere e sabbia e me le butta con violenza addosso, tanto che sento pungere sulle gambe e sul viso e mi trovo tantissimi microscopici graffietti alla sera. Intorno campagna, colli, qualche casa sparsa. Mi colpisce la quantità di bambini belli straccionenti, sporchi e ammaccati, che stanno a bordo strada o tra i cespugli a badare agli animali, alle vacche e alle capre e alle più rare pecore. Quando passa un camion, lo rincorrono urlando e ridendo, fin quando il conducente non li saluta con sclacsonate ritmiche. Dunque così trascorrono i pomeriggi estivi questi bimbi, tra le bestie e la strada, buttati così al mondo grande e terribile. Da noi forse neanche 100 anni fa era già più così.
Ogni tanto, senza alcun preavviso o segnalazione, compaiono resti di torri e templi Champa dedicati alle divinità induiste; qui tra VII e XV secolo fiorì il loro regno, e ancora oggi proprio in queste zone vivono i Cham, una delle numerose etnie riconosciute in Vietnam, per lo più musulmane (o induiste, e si badi bene che i matrimoni tra gli uni e gli altri sono vietati) e con una lingua simile al malese. Spesso nei villaggi si intravedono piccole moschee e mercati dove si vendono vasi in terracotta, tessuti e cesti di legno intrecciato: i capisaldi dell'artigianato di questo popolo.
A circa 20km dall'arrivo, completamente disfatta e disidratata, mi fermo per comprare acqua e lascio la bici dal lato opposto della strada rispetto al negozio, perchè in mezzo c'è un divisorio in cemento da scavalcare. Poi mi siedo a terra a riposare, appoggiata al muro del sagrato di una chiesa. Attiro la curiosità di uno strano cicloviaggiatore, o cicliambulante, o cicloTSO. E' del tutto innocuo. Mi fissa. Ma per un quarto d'ora. Poi saluta e se ne va.
Decido di accorciare il più possibile la tappa, e prenoto un hotel che avevo adocchiato. Niente deviazioni, niente detour, niente sentieri o siti archeologici (sempre Champa). Sono troppo bollita, devo togliermi dalla strada e dal vento. Come ciliegina sulla torta di questa giornata poco poco faticosa, il vento diventa ancora più feroce e teso e mi bombarda di immondizia che vola a mezz'aria. Sta arrivando il temporale. Affretto il passo, o meglio, ci provo, ma è inutile. Oltre i 10km/h, pur spingendo con tutte le mie forza, non riesco a pedalare. Sembra un incubo. Di quelli in cui sogni di dover scappare ma le gambe sono di cemento e non rispondono. In più il ginocchio destro inizia a farmi male davvero, in un modo preoccupante che già conosco da altri viaggi. Non riesco più a farci forza, pedalo con una gamba sola e, comunque, ogni giro dei pedali è una pugnalata nell'articolazione.
Arrivo a destinazione prima che si scateni l'inferno, e l'albergo di Phu Quy si rivela estremamente accogliente e pulito, e il personale gentilissimo. Dopo una lunga lunga doccia (non avete idea della crosta di schifo che mi si appiccica addosso, tra sudore e crema solare, durante il giorno. E con il vento, peggio!) esco a recuperare una cenetta.
I ristorantini a bordo strada danno proprio l'idea della salmonella, delle epatiti e del colera, tutto insieme. Carne cruda, verdure e uova stanno in grossi catini pieni di mosche chissà da quante ore, e a terra c'è quel che Dante immagina nel canto VI dell'Inferno, quello di Cerbero e Ciacco e la pioggia fetida di cui la terra pute. A me spiace snobbare così lo streetfood, ovvero la gran parte dei luoghi che servono cibo qui, ma davvero non ho voglia di ammalarmi. Siccome mi capita con una certa facilità, mi privo del piacere della gola, ma evito le sorpresine.
In camera ceno con calma, gustandomi finalmente la tranquillità, mentre il vento ulula tra i tetti e i rami e fa tremare il mondo fuori. AH! Dimenticavo una cosa fondamentale: oggi ho visto le prime scimmie vietnamite. Sono selvatiche e schive, e non ho fatto a tempo a fotografarle. Ma ci sono! La cosa mi rende felicissima. Mi piacciono da matti le simiae!
17/7
Phu Quy-Mui Ne
113km
Durante la notte, a Phu Quy, succede di tutto. Ci sono feste con musica e karaoke ubrichissimo, urla, risate sguaiate, colpi che paiono di arma da fuoco, incidenti e sirene di ambulanze... E pure un insistito, strano abbaiare di cani. Al mattino scopro che non sono cani, ma persone, tutte belle problematiche, ad abbaiare alle auto. Abbaiano anche a me, quando passo in bici.
Il vento è già teso, lo sento fin dalla finestra della camera e poi lo prendo immediatamente in faccia appena inizio a pedalare. Il ginocchio va un po' meglio, ho risistemato la sella... Ma pedalo con cautela. Il che significa tenere una ricca media di 10-11km/h. Anche in discesa. Spingendo! Più volte, nei primi paesi che attraverso, vedo autobus e pullmini e penso di approfittarne. Ma poi sempre capita la curva che ripara un poco dalla furia di Eolo, o il tratto leggermente più in discesa, e la tentazione si dilegua. Ogni volta me ne pento un minuto dopo, quando l'incedere torna faticoso ai limiti del sopportabile e il ginocchio duole. Il primo tratto è ancora la strada di ieri, con i colli intorno, le risaie e le pale eoliche. Ora sappiamo il perchè siano qui, se non altro.
Torno quindi sulla costa, cambio leggermente direzione, da N-S a NE-SO. Il vento gira perfettamente in modo da essere sempre proprio contrario (siccome pensavo di soffrire ormai di manie di persecuzione, ho controllato sui siti delle previsioni meteo, ed è proprio così, non è la classica sensazione dei ciclisti!). La strada, con leggeri saliscendi, passa paesini dove si vendono coralli (qui è zona di barriera, ma, al netto di alcune aree protette di recente istituzione, è assai devastata), spesso colorati male con le bombolette, e pietra ricavata dalle cave nei monti circostanti. Ho fatto poche foto, per i primi 70km, perchè la fatica è tale da rendermi pesante anche il "clic" e poi vado così piano che ogni sosta è un ulteriore aggravio sulla tabella di marcia (man mano che scendo a sud, le giornate si accorciano. Qui il sole tramonta alle 18).
Mi fermo solo un attimo quando finisco l'acqua e sono già assetata da un po'. Non trovo paesi e mi accontento di una baracchetta di lamiere che sarebbe un ristorante, ma vende anche qualche bevanda. Oltre all'acqua, bevo un intruglio delizioso che, immagino, sia aloe e latte di cocco, ma è una mia supposizione. La signora che gestisce il locale non parla inglese, e va a gesti: indica dove si trovino le cose, e per il prezzo indica i numeri con le dita. Grande, così si fa.
Come si può intuire dalle foto, la strada resta per un po' alta e distante dal mare, del tutto desolata, tra pale eoliche e distese di piantagioni di dragon fruit, pecore e ruderi di case abbandonate da tempo. Su tutto regnano silenzio e odore salato di salsa di pesce, che è prodotto tipico di questa zona (solo in Vietnam se ne consumano 250 milioni di litri l'anno!). Si prende il pesce fresco, si pulisce, si schiaffa in vasi o barili con tanto sale e si lascia al sole per 6-12 mesi. Et voilà.
Poi d'improvviso, il verde intorno cede il passo a sabbia bianca e fine, in vere e proprie dune. Un deserto! Le famose doi cat trang, le dune bianche, che se la giocano con quelle rosse qui vicino come attrazione per turisti attratti da corse in quad e sand surf!
Nonostante la corona da laurea che questo deserto mi mette in testa, sono distrutta. Sfilacciata. Derelitta. Mancano ancora 25km, non in piano, il vento è contrarissimo (proprio moralmente) e incappo persino in un temporale. "Potrebbe andare peggio...". Trovo riparo in una sorta di zoo-parco divertimenti poco oltre le dune, e poi via di nuovo per l'ultimo strappo.
All'altezza delle dune rosse già ha smesso di piovere. Ma non mi fermo, voglio arrivare prima che faccia buio e, oggi, sono proprio al pelo con gli orari.
Arrivo al motel di Mui Ne giusto un attimo prima del tramonto. Mi butto in doccia, che ormai è un rito sacro, poi esco subito per vedere la spiaggia, che è a 500m, con l'ultima luce.
Tutto ha un che di spettrale. La strada che porta al mare è disseminata di scheletri di alberghi e bungalow abbandonati e in rovina, cadenti, divorati dalle piante selvatiche. E la spiaggia non è pensata per farne uso turistico, balneare, ricreativo. E' la sede del mercato del pesce, con annesso street food, e luogo di lavoro dei pescatori. Ergo è lurida, piena di immondizia organica e non, dentro cui rovistano i cani randagi, e disseminata di camioncini, motorini, bancarelle ora chiuse e reti da pesca. E' una spiaggia dove si lavora e vive la gente del posto. Non mi stupisce che le strutture ricettive siano fallite!
Anche il paese, dove mi addentro per far spesa, è tutto men che pulito e ordinato. E' proprio il classico paesino vietnamita non turistico, insomma. Ci sono gli ambulanti a terra con la merce appoggiata sulla strada, tra i rifiuti, le bancarelle di streetfood molto hardcore, e il classico casino sud-estasiatico.
Anche stasera sono ben cotta di fatica, ma contenta: il viaggio sta procedendo secondo i piani, e i prossimi tre giorni mi attendono tappe di mare, sempre sulla costa, non troppo lunghe. Fino a Ho Chi Minh! Che significa aver pedalato già oltre i 2000km, ed essere a un terzo (abbondante) del percorso. E la Cambogia, che mi intriga e richiama, si avvicina!
Chiudo con la curiosità alimentare del giorno: il latte in busta. Monoporzione, comodo, si sugge come da una tettarella dopo averne tagliato un angolino. Ottimo per farsi il caffelatte in camera!
19/7
Mui Ne-La Gi
86km
Che meraviglia di tappa, oggi! Umana, finalmente! Faticosa, sì, ma affrontabile, non immostrente, con il sole torrido, la pioggia potente, il vento contro, sì, ma anche tanta tanta bellezza raccolta per via. Il kilometraggio ridotto rispetto al solito aiuta a partire già con le spalle leggere... Non ho prenotato strutture, ma penso di arrivare a La Gi, a circa 80km da qui; è una distanza che pesa meno sulla testa quando si parte: sotto ai 100km è una festa. E il bello è che sarà così anche i prossimi giorni! Viva! Che si incazzi pure Eolo, oggi ha poco margine per tirarmi schiaffi.
Parto in un caldo umido impegnativo: ha piovuto fino a poco fa, ma il sole sta già facendo evaporare le pozzanghere e l'arai è spessa di bruma calda. Nel giro di qualche kilometro mi rendo conto di aver soggiornato nel lato non turistico della baia di Mui Ne, quello dei pescatori, dei mercatacci marci in terra con le mosche, dei cani randagi in spiaggia e dello street food splatter. Superato il promontorio dove sorge la città, si stende invece un'insenatura decisamente più pulita e turistica, per quanto meno autentica, con negozi nei quali si capisce cosa sia in vendita, alberghetti e pure resort. C'è meno immondizia in giro e una maggior cura degli spazi pubblici, spiagge comprese. Ma perchè dove vivono solo i local c'è così tanta incuria? Alla fine son sempre loro, sempre vietnamiti a gestire l'uno e l'altro spazio... Certo, lo fanno per non lasciar fuggire orripilati i turisti paganti... Ma non farebbe piacere anche a loro vivere in ambienti non tossici, inquinati, sporchi e caotici? Io credo di sì. E se riescono a farlo da un lato del paese, perchè non anche dall'altro? Perchè devo imbattermi in bambini che fanno la cacca sul marciapiede come i cani, sotto lo sguardo amorevole dei genitori, e stare attenta a passare davanti alle case, perchè escono scaracchiate di puro catarro lanciate alla velocità del suono sulla pubblica via? Per non parlare dei rifiuti... E del traffico, con relativo inquinamento da gas e acustico... Vabe', insomma, eccoci qui nella parte carina di Mui Ne. Ci sono anche tante strutture in costruzione, l'area evidentemente promette bene. Non mi imbatto in lidi attrezzati, ma, a quanto pare, qui usa più dedicarsi al kitesurf e che non alla tintarella. I vento è teso e contrario, ma, a differenza di ieri, la strada corre bassa e spesso protetta da promontori e alture sabbiose che incorniciano la costa. In più essere in mezzo a paesini e persone, psicologicamente, aiuta; vero, c'è il traffico pazzo cui stare attenti. Ma la mente è assorbita nell'osservare l'umanità che popola questi luoghi, e per qualsiasi necessità si trova una risposta. Ieri, invece, potevo solo scegliere se buttarmi nella brughiera o nelle dune di sabbia.
Un primo punto di interesse lungo il percorso è Phan Thiet, borgo noto per la sua flotta di pescherecci che rifornisce i mercati locali ogni giorno (50.000 tonnellate l'anno!), e per la salsa di pesce, il cui odore sapido e pungente si mescola a quello della carne grigliata e dei brodi in cottura. Pedalare tra clienti e venditori è veramente un casino, ma non saprei indicare esperienza vietnamita più autentica! Qui a Phan Thiet ci sono anche un museo dedicato ad Ho Chi Minh, che visse un anno in questa cittadina, e la scuola che frequentò. Ci passo, e vorrei visitarla, ma è talmente intasata di pullmanate di scolaresche che desisto. Ho visto le foto, ed è un austero istituto anni '20.
Piuttosto, mi dirigo verso un altro focus di interesse: il tempio di Van Thuy Tu. Sono in corso preparativo per qualche festa, ma si può visitare. E' interessante perchè testimonia in modo inequivocabile il culto delle balene che, da tradizione folclorica, è stato istituzionalizzato e, dalle credenze antiche dei champa, è stato assimilato anche dai buddhisti. In questa pagoda della metà del Settecento, infatti, sono conservati diversi scheletri di balena, il più grande dei quali lungo 19 metri ed esposto sopra ad una barca. Ci sono anche numerosissimi altri elementi di cultura locale, legati tutti indissolubilmente al mare, alla pesca e alle creature degli oceani.
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un leostorto |
Non capisco tutto quel che è esposto nel tempio-museo, perchè le didascalie sono esclusivamente in vietnamita. Tuttavia ammiro infinitamente la complessa stratificazione storica di tradizioni che già lo scorso anno mi aveva colpita in Malesia.
Viene il momento di uscire da Phan Thiet e, dopo altre vie incasinatissime di mercato, Komoot decide di farmi passare per i campi, che sono anche la discarica comunale, se non per legge, per abitudine. Ci sono comunque anche alcuni piacevoli scorci di mare e monti circostanti, visto da uno sterratino a volte allagato in leggera salita.
Percorro ancora qualche kilometro di spiagge selvagge e rare case sparse, per imbattermi nel luogo più assurdo di oggi: un enorme, gigantesco, sproporzionato parco divertimenti, diviso in quartieri tematici, per lo più ancora in costruzione. C'è il villaggio dei dinosauri, quello dei pirati, quello del circo, il parco acquatico... E intorno resort mastodontici, negozi e centri commerciali ancora in forma di cantiere aperto. E' un non-luogo perchè si trova in mezzo al nulla, non ci vivono persone, nè ancora ci lavorano, se non gli operai e i pochi addetti delle zone già attive. I negozi son vetrine vuote, gli hotel mancano di vetri e porte. Ma gli altoparlanti diffondo musica da carosello e qualche turista sale e scende dai caddy che girano tra un'area e l'altra. Prima e dopo, costa rustica, capanne, dune di sabbia. Una wannabe Las Vegas?
Il tutto è ancora più straniante se, proseguendo, ci si rende conto che qualche simile tentativo, pur più modesto e contenuto, è già stato fatto. Per kilometri si susseguono ruderi di alberghi abbandonati, spesso mai neanche finiti di costruire, scheletri di bungalow, palmeti ormai inselvatichiti e ristoranti con le vetrine sfondate. Chissà cos'è successo, quale problematico nume della speculazione edilizia si è abbattuto su queste lande! Sarà che il cielo si sta imbronciando, ma tutto qui assume un aspetto vagamente spettrale. Il vento si fa più teso, ogni tanto cade un anticipo di pioggerella.
Grazie a un suggerimento di Komoot (di un furbo utente, meglio), trovo una stradina tra la spiaggia, il cimitero e un porticciolo improvvisato per godere di una vista privilegiata sul faro di Ke Ga. Si tratta di una costruzione francese del 1899, situata su un isolotto a 300m dalla costa. Pare così vicino perchè è alto 40m. Approfitto del luogo incantevole e tutto per me per scattare qualche foto con il treppiede. Il vento mi mette a dura prova e rischia di far volare me, il telefono e la Signorina Felicita in acqua. Ma che meraviglia di angulus oraziano! Rimarrei qui più a lungo, ma un potente scroscio di pioggia mi si rovescia in testa e torno alla strada in un fuggi fuggi di pescatori di rientro.
Mancano un trentina di kilometri, che percorro con calma, controvento, con la musica, tra distese di dragon fruit a perdita d'occhio. Ogni tanto incontro un paesino, e ogni casa ha fuori la sua brava bancarella di... dragon fruit, ovviamente. Ci sono cani randagi e pastori che badano agli zebu e alle capre. Ci salutiamo, mi sorridono. Sentiamo una certa affinità a questa vita seminomade e sulla strada, anche se la mia è solo temporanea e privilegiata. Mi fermo a riempire le borracce in un negozietto di lamiere, di quelli con tutta la merce sparsa in giro, mezza a terra, mezza aperta. Noto per l'ennesima volta che nei pochi frigoriferi gran parte delle confezioni è aperta e mezza bevuta/mangiata. Mi chiedo se vendano acqua, bibite e yogurt al bicchiere, o se sia l'unico frigorifero che hanno e lo usino anche per i loro prodotti privati, di casa. Chissà.
Arrivo in centro a La Gi che il sole è ancora alto, e prendo un albergo che costa 7 euro e comprende anche l'iradiddio di cibo e bevande, praticamente la cena e la colazione sono incluse. In più è gestito da sole sciurotte gioviali e tutte sorridenti che mi mettono molto a mio agio. Mi spiace non parlare vietnamita, e che loro non parlino nessuna lingua a me nota: mi danno l'idea di essere assai simpatiche e con la battuta pronta!
Ormai mancano solo 150-200km a Ho Ci Minh city. Ci arriverò dopodomani. Mi rendo conto di fare il conto alla rovescia da giorni, ma inizio a essere un po' stanca per questi primi 2000km senza quasi soste, e non vedo l'ora di esplorare la metropoli e tutti i suoi più affascinanti (o sordidi) angoli!
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