mercoledì 30 luglio 2025

31-33. Dagli orrori del campo di sterminio degli Khmer rossi alla meraviglia della campagna, fiorita di pagode e luce. I primi, felici, colpi di pedale in Cambogia































28/7
Phnom Penh

Quest'ultima giornata da turista è un'ottima occasione per visitare quel che ho finora tralasciato e preparare per bene la ri-partenza. Quando si comincia a pedalare in un Paese nuovo, infatti, bisogna imparare da capo ogni cosa: come sono le strade, come il traffico, dove i servizi necessari... E il grosso è frutto di esperienza sul campo. Quindi parto con calma, e prenoto un tuktuk con Grab (ma quanto è comoda quest'app?) per andare ai Campi di Sterminio di Choeung Ek, circa 13km a sud della capitale. L'autista arriva in un minuto, e la corsa, nonostante duri tre quarti d'ora a causa del traffico del centro, costa 5 dollari. Nel tragitto noto che le scuole, qui, sono ancora aperte, e i bambini in divisa, con le loro camicie bianche, azzurre o rosa, entrano ed escono a sciami, chi in bici, chi in motorino con tre o quattro amici, chi con mamma e papà.






Il memoriale del campo di sterminio è una tappa obbligata per conoscere l'efferatezza del genocidio perpetrato dal regime degli Khmer Rossi, ed è una sorta di completamento necessario alla visita a S-21, il centro di detenzione e tortura sito in un liceo, che ho visitato ieri. Chi non moriva accidentalmente là, per torture, violenze, malattie, fame ed esperimenti medici, tutto parte del legalissimo iter giudiziario dei sospettati, si confessava colpevole. Di qualsiasi cosa. Di aver manomesso i macchinari in fabbrica, di non aver obbedito alle guardie, di aver rubato un mango o un cucchiaio di riso. Di avere legami con la CIA o il KGB. I detenuti, sfiniti dalle torture, confessavano la proprio (fasulla) colpevolezza e quella di familiari e amici. E allora sì, potevano essere (finalmente, forse) condannati a morte e giustiziati. Cosa che avveniva esattamente qui.



Mi munisco di audioguida, entrando, che, anche in questo caso, è davvero ben fatta, c'è in italiano e permette di cogliere tutti i dettagli della storia del luogo. Anche perchè qui, di per sè, ci sarebbero "solo" pratoni ondulati, un lago, alberi da frutto e una pagoda centrale colma di teschi fracassati (8985), ossa, brandelli di indumenti, qualche residuato di DDT che veniva sparso sui corpi per ammazzare chi non era morto del tutto e per coprire un poco l'odore insopportabile di putrefazione. Come dicevo, qui, venivano portati i condannati a morte per crimini contro Ankar, l'Organizzazione, cioè il Governo di Pol Pot, dopo esser stati torturati e aver confessato fantomatici crimini mai commessi. Si arrivava qui di notte, già mezzi morti e con le carni lacerate, le ossa rotta, a occhi bendati. Veniva detto alle vittime che sarebbero state trasferite in una nuova casa, a lavorare, o che sarebbero state riunite alla loro famiglia, così stavano tutti buoni. In realtà i condannati sapevano che sarebbe stato il loro ultimo viaggio, su quei cassoni, a soffrire per ogni buca o sasso sulla strada. Una volta in loco, le guardie si premuravano di fare un doppio, triplo controllo dei nomi, sui registri e le schede dei prigionieri, per assicurarsi che nessuno fosse scappato e tutto fosse in regola. La forma era tutto. Molte guardie non erano neanche maggiorenni, e non sapevano nè leggere nè scrivere. Una volta finiti i controlli, i prigionieri venivano fatti scendere dai camion nell'oscurità, fatti spogliare (donne comprese, forma di grave umiliazione per le pudicissime cambogiane), legati mani e piedi e portati a bordo di una fossa comune. Lì si accendevano i generatori a gasolio per illuminare tutto, si faceva partire a tutto volume la registrazione di canti rivoluzionari, e iniziava il massacro. In un rumore assordante di generatori e canzoni, che servivano a coprire le urla e far pensare ai contadini della zona che fossero normali riunioni politiche, le vittime, una a una, venivano ammazzate a bastonate, colpi di martello o randello, e sgozzate con coltelli da lavoro o bordi dentati delle foglie di palma. Si usavano strumenti semplici, quelli del tanto amato "Popolo vecchio" che Pol Pot stimava, attrezzi contadini: i proiettili costavano troppo. Un colpo in testa e la gola aperta, come le bestie, per morire piano senza urlare. E via dentro alla fossa. Uno dopo l'altro. 20.000. Tra un "carico" e l'altro, veniva gettato DDT sui corpi, in modo da rendere tutto più igienico. 43 delle 129 fosse comuni non sono ancora state aperte, ma chi è arrivato qui, nel '78, non poteva trattenersi più di qualche minuto per il tanfo. La terra era molle di putrefazione, e le fosse, mal richiuse, suppuravano come ferite infette.




fosse comuni aperte. E' uso lasciare un braccialetto o un dono per i defunti



foglie di palma seghettate usate per sgozzare


Questo campo, che si è scoperto essere uno di oltre 300 in tutto il Paese, sorge sul sito di un antico cimitero cinese, le cui sepolture ancora si intravedono tra gli avvallamenti. E intorno si coltivavano i longan. Era un luogo di pace. Ora, ogni volta che piove, la terra vomita fuori crani sfracellati, brandelli di indumenti, denti e schegge d'osso. Ci sono dei volontari che passano a raccoglierne di continuo. Basta guardarsi intorno per vederne, ed è agghiacciante. E' come se l'orrore non dovesse mai aver fine, e questo vaso di Pandora non avesse fondo. I morti tornano a galla. L'audioguida spiega che i piccoli altari, simili a casette per uccelli, che si vedono qui e anche nei villaggi cambogiani servono a dare asilo alle anime dei defunti, soprattutto quelle senza pace. Questo sicuramente è il luogo giusto per costruirne ancora e ancora.











Il lago e le vicine risaie sommergono una parte delle fosse comuni, e forse è meglio così. L'acqua lava e porta vita, ma sa anche ricordare. Mentre passeggio in questo luogo apparentemente sereno, ascolto le voci dei testimoni dell'epoca, di chi ha scoperto il sito per caso, cercando qualche patata dolce o bacca da mangiare; ci sono anche i racconti, raccapriccianti, dei carnefici, finiti o meno a processo (è incredibile come la locale Norimberga sia stata tardiva e di mano leggera), che raccontano come avvenissero le esecuzioni.  Insomma, il bosco si popola di parole, di immagini di sangue, di memoria.




Si raggiunge quindi il luogo forse più allucinante e terribile di tutto il campo: si tratta di un albero, oggi completamente coperto di braccialetti, peluches, ninnoli vari. Contro il suo tronco venivano fracassati i crani di neonati e bambini, spesso davanti agli occhi delle madri, per poi esser gettati come immondizia nella fossa comune proprio accanto. Si pensava che se un adulto era nemico della rivoluzione, anche i suoi figli lo sarebbero stati. E che per eliminare l'erba cattiva, bisogna estirpare tutto, dalle radici ai germogli. Si diceva pure che era meglio ammazzare per errore un amico che risparmiare per errore un nemico. I primi a scoprire il campo, ragazzini affamati e disperati dei villaggi vicini, trovarono frammenti di crani, capelli e pezzi di cervello tutto intorno, e, inizialmente, non capirono. Poi sì. pare che Duch, il direttore del carcere S-21, abbia finto, durante il processo, di non sapere nulla di tutto questo. Ma, condotto a forza sul luogo, pare si sia gettato in ginocchio e abbia pianto e urlato perdono. Si è convertito al cristianesimo, il ragazzo. La religione che, se ti penti, ti considera degno di perdono. Mica scemo. 


















Dove si trovano più ossa raccolte ci sono anche minuscoli altari con incenso e offerte di riso e frutta. Dei simil-merli magri e con striature gialle e rosse mangiucchiano dai vassoi metallici, e questa scena, così semplice, così pura, quasi mi fa commuovere. Quegli uccellini non sanno nulla, sono così innocenti... Il problema è sempre l'uomo. 



Nel sito si trova anche un piccolo museo, dove si entra scalzi come nelle pagode. Ci sono le divise delle guardie del campo, alcuni strumenti usati (i più sono stati razziati dai contadini della zona. Anche i capanni sono stati smantellati subito per riutilizzarne il materiale... La gente non aveva NULLA e andava bene anche recuperare il pezzo di ferro più insanguinato). Ci sono poi le storie dei carnefici, dei quadri di Ankar e dei loro recenti processi.


divise femminile e maschile degli Khmer rossi

Mi fermo un attimo a rielaborare tutto quel che ho visto, ascoltando alcune canzoni di cordoglio tradizionali khmer molto commoventi. Non mi aspettavo che questo viaggio portasse così giù, sul fondo nero della storia umana. Lo sapevo, ma pensavo di restare più in superficie. Invece no, bisogna andare all'abisso, osservarlo, osservarsi, farsi osservare. Prima di uscire lascio un commento sul libro degli ospiti. Scrivo che, in qualità di essere umano e di docente, avrò cura di fare memoria, e diffonderla, e raccontare queste storie, perchè non si ripetano. Aggiungo pure che purtroppo sono in corso adesso, in Palestina, ad esempio, e che a quanto pare siamo sempre lo stesso maledetto Caino.

Prenoto una corsa con Grab e, mentre esco, incappo nel guidatore di tuktuk che ieri mi ha accompagnata al mercato. E' incazzatissimo perchè voleva portarmi lui, lì, e ieri aveva tentato di estorcermi un impegno in tal senso (disatteso perchè mi chiedeva una cifra doppia rispetto a quella in uso). Ma sui tre  milioni di abitanti di Phnom Penh, di cui almeno la metà tuktuker, proprio lui dovevo ri-incontrare qui? Gli dico che, nella cifra che mi ha chiesto ieri (bella gonfiata, per quanto si parli di spicci), era compreso anche il disturbo di aspettarmi invano stamattina, e che quando ci si approfitta della gente in buona fede non si può chiedere in cambio nulla. Lui inizia ad alzare la voce, ma arriva il mio Grab e ciaone. Madonna speriamo di non incontrarlo più! Per fortuna non gli ho detto in quale hotel risiedessi (regola n.1).


Siccome è presto, non mi faccio lasciare in guesthouse, ma un paio di km oltre, al Wat Phnom. Si tratta del più antico tempio cittadino, e si erge sull'unica minuscola collina della zona (27m di quota!). Vuole la leggenda che qui, nel 1372, fosse eretta una pagoda destinata ad ospitare le 4 statue del Buddha trovate da Penh sulle rive del Mekong. Questa è lo collina (Phnom) di Penh, dunque! Per i local la visita è gratuita, per gli stranieri costa 1 dollaro. Si accede da un'imponente scalinata sorvegliata da leoni, draghi e naga, ma pure scimmie in armatura e altre curiose bestie del ricco immaginario locale. Mi fa ridere osservare come tutte queste statue abbiano espressioni sconvolte o ghigni soddisfatti e compiaciuti, ma soprattutto chiappe sode e culetti ben in mostra. Insomma, sono molto, molto ignorante in tema di arte sacra khmer, non giriamoci intorno. 






Il vihara (santuario del tempio) fu ricostruito diverse volte, nel 1434, 1806, 1894 e 1926. Lo stupa enorme che si vede accanto custodisce le ceneri di un re del Quattrocento. Tutto intorno ci sono altri tempietti dedicati a Confucio, Preah Chau, un genio venerato dai vietnamiti e alcuni saggi cinesi. Un bel mix, insomma. Leggo che qui si usa venire per a pregare per successo a scuola (bei voti, esami...) e negli affari. Se si ottiene la grazia, si portano in dono offerte come ghirlande di gelsomino e banane (di cui gli spiriti sarebbero ghiotti). Io vedo anche delle gran banconote infilate nelle teche dove sono conservate le statue votive, e direttamente appoggiate sui pezzi sull'altare.







culetti

nuovo testimonial Pringles qui sul tamburo



davanti allo stupa, un orologio GRANDE

e davanti all'orologio, un serpentasso

Leggo anche che qui di solito c'è una gran folla di mendicanti e ambulanti di vario genere, in particolare ragazzini che si fanno pagare per liberare dalle gabbie uccelli... Che sono addestrati a tornare i gabbia.
Quando passo io c'è una gran quiete, anche molto piacevole.
Dopo aver superato alcuni uffici dei ministeri, tra cui quello dell'istruzione, davanti al quale c'è un presidio di studenti che inneggia alla pace con la Thailandia, raggiungo la Biblioteca nazionale; è un edificio così coloniale (1924) che la scritta all'ingresso è in francese. Mi interessava vedere questo luogo per la storia che racconta: durante il regime gli Khmer rossi la trasformarono in stalla, distruggendo gran parte dei libri che conteneva. I volumi gettati in strada furono però raccolti dalla popolazione, custoditi, e restituiti alla rinata biblioteca nel 1979. Altri, purtroppo, furono usati come incarti per alimenti. Ad oggi contiene più che altro logori volumi in inglese e francese, ma è ancora qui, nonostante tutto.


Approfitto della presenza di un Caffè Amazon (tipo Starbucks ma thailandese) per un matcha latte che mi rinfreschi un poco, perchè fa ormai un caldo da collassare. La mia visita di Phnom Penh finisce ufficialmente qui. Torno in hotel camminando tra vie degradate e lerce di mercatacci, e quartieri bene con alti palazzoni nuovi, guardie a ogni porta supermercati cinesi o coreani che nemmeno si peritano di tradurre le insegne e i cartelloni. Tanto chi li frequenta non è certo cambogiano.


se guardate bene sulla tettoia...

ci sono dei gattini alimentati da ignota mano di anziana che si sporge dal balcone... E si nasconde appena vede che fotografo. Signora, stia tranquilla, non la denuncerò ai compagni del Partito.

Torno in albergo e inizio a preparare tutto per domani. Che si riparte. E sempre c'è quell'insieme di timore e curiosità di quando si affronta un viaggio in sella in un Paese sconosciuto. Nel fare tutte le cose a modo, mi prende anche il raptus di rifare una lavatrice (ne ho fatta una "solo" una settimana fa e tra 5 giorno potrò rifarla a Siem Reap... Ma costa 2 euro lavare e asciugare, perchè devo puzzare?).


Cena in camera, traccia pronta, e buonanotte! 


29/7
Phnom Penh-Kompong Chhnang
88km

Notte di gran casini in strada (risse, polizia, urla, risate sguaiate, sirene e vociare generico); dormo male e mi alzo più tardi del previsto, ma riesco a essere in sella per le 9.30. Saluto lo staff della guesthouse, che rimane stupito all'immagine che io possa pedalare circa 100km al giorno (ma sei sicura? mi chiedono... Boh, son 13 anni che lo faccio, ma sicura mai). E in un attimo sono in strada. Uscire da Phnom Penh si rivela molto più facile del previsto: il traffico è molto più lento, ridotto e prevedibile rispetto anche solo a un paesotto vietnamita, e c'è un senso generale di ordine. Io, poi, che sono abituata ormai a farmi largo a gomitate tra motorini e tricicli, quando vedo qualcuno fermarsi a un rosso o per dare precedenza, quasi mi commuovo. Le periferie non sono poi così degradate come temevo, e, nonostante qualche quartieraccio, ci sono anche scorci piacevoli di templi, belle scuoline di quartiere e mecati. Oh quanti! Oh, che meraviglia imbottigliarcisi dentro, nell'odore di carne sanguinolenta, pesce che sta andando e frutta troppo matura.  









Mi imbatto in numerosi monaci che girano con il loro ombrellini gialli per la questua mattutina. Spesso sono accompagnati da bambini, anche molto piccoli (3-4 anni) che cercano di stare al passo e hanno borse o zainetti in cui tengono il cibo raccolto. Probabilmente sono orfani o studenti loro affidati. La quantità di pagode, stupa, sculture di garuda o elefanti o altri ammennicoli è sorprendente. Sono così decorate persino le porte delle fabbriche e gli ingressi delle aziende (che qui lavorano soprattutto farina, riso, frutta e latte vegetale). E' una figata! Venendo dal Vietnam, scarno, asciutto nell'estetica brutalista, tutto cemento, ferro e bandiere rosse, qui mi sembra un paradiso dell'arte. Certo i singoli pezzi sono di fattura estremamente semplice, ma vogliamo mettere a confronto? La ricerca di un senso estetico, soprattutto là dove c'è poco margine e si stringe la cinghia da secoli, è apprezzabile per sè. Far le cose belle, oltrechè utili, ci rende umani, ci fa sopravvivere al tempo.







Altra novità che apprezzo tantissimo, visto che mi tocca da vicino per le prossime due settimane, è la qualità delle strade statali. Sulla mappa sono arterie enormi, e in effetti hanno 2 corsie per senso di marcia e un margine altrettanto grande. Ma sono deserte! Anche all'altezza dei paesi, il traffico è quasi inesistente. Pochissimi camion, per altro piccoli. Qualche furgone, van o bus. Auto e moto, tuktuk e trabiccoli di varia natura (su tutti, nel cassone, almeno un'amaca da cui emerge un piede penzolante e/o una quantità di esseri umani non adatta al trasporto). E poi è tutto così silenzioso! Qui il clacson non si usa se non per le emergenze, come da noi. Cioè di rado. Si sta da dio, insomma. D'altronde la densità di popolazione è meno di un terzo di quella vietnamita, e questo spiega molte cose. Nei paesi, a bordo strada ci sono baracchini che vendono cocchi freschi, patate dolci e mais bolliti, spiedini, frutta e pesce alla griglia cotto e servito in verticale, su stecco, come uno zucchero filato.



La strada costeggia il fiume Tonle Sap, emissario dell'omonimo lagone che è l'ombelico della Cambogia, ed affluente del Mekong. Quando mi avvicino alle sue sponde noto i resti dei numerosi villaggi galleggianti. Fino a pochi anni fa molti degli abitanti qui erano pescatori e vivevano sull'acqua. Oggi sempre meno famiglie decidono di restare in questo tipo di abitazioni, per gli evidenti limiti di comfort e igiene, ma qualcuno che resiste c'è.










Procedo spedita, con un vento piacevolmente a favore (incredibile!) tra templi e anche parecchie moschee. Qui infatti vive una nutrita comunità cham, musulmana.




Dopo una quarantina di kilometri dalla partenza, lascio lo stradone, fidandomi forte di Komoot, nella speranza che gli sterrati che ho visto su Street View non siano una landa di fango e lacrime. Sono curiosa, certo, di scoprire le campagne e i villaggi rurali, ma dopo il Vietnam ho ancora qualche trauma irrisolto con i pantani. E invece qui va tutto bene, anzi benissimo. Ben al di sopra delle aspettative. Innanzitutto, molte delle strade che su Street View risultano sterrate, sono state lastricate. Poi la gente dei villaggi è incredibile. Quando passo, mi guardano quasi con timore, ma appena sorrido vengo illuminata dai loro 32 denti spalancati in sorrisoni enormi, e parte tutto un coro di Hello e persino I love you, a volte persino cantati in coretti. Sono soprattutto i bambini a rendersi protagonisti di queste scenette dolcine, soprattutto quelli in giro in bici, e son tanti, che vanno o tornano da scuola o bighellonano in strada. Altro fattore positivo è la quantità insensata di templi, pagode, stupa e statue. In ogni villaggio, e spesso son piccoli davvero, ce ne sono due, tre, anche enormi, con una quantità di edifici decorati davvero inattesa. Ma che spettacolo! E' proprio un bagno di meraviglia!










Noto che le case, qui, sono tendenzialmente di legno o lamiera, e spesso rialzate. Più l'abitazione è grande, e "da ricchi" più la palafitta è imponente. Di certo serve per star lontani da esondazioni, fango e polvere, e poi crea uno spazio, sotto, per lavorare, appendere le amache e parcheggiare bici, moto e tuktuk, oltrechè per far razzolare il pollame (qui le galline sono magre e alte e sembrano velociraptor).

























Ci sono anche alcuni tratti ancora sterrati, ma sono di terra rossa asciutta estremamente compatta, agevolissimi da pedalare. Niente sabbia in cui scivolare, niente fango in cui affondare. Solo tratti di pura campagna lungofiume, tra marcite e risaie, zebù che vanno al pascolo e sorrisi di bambini.




















minimoschea



Mancano ormai meno di 30km e decido di fermarmi presso una stazione di benzina con minimarket (sono tornate, come in Thailandia, con mia somma gioia). Riempio le borracce e attendo che passi la pioggia che, nel frattempo, ha iniziato a cadere (rinfrescando piacevolmente). Anche più avanti fa temporali, ma li schivo o, al più, ne sfioro la coda bagnandomi poco poco. L'ultimo tratto è di nuovo di stradone, e qui ci sono baracchini tutti uguali, in lamiera, che vendono tutti patate dolci e cocco, freschi o tagliati a listarelle e fritti. E tutti i venditori stanno sull'amaca, appesa dentro al baracchino stesso.





Infine lascio la statale per entrare a Kompong Chhnang, mia meta di oggi. Qui in Cambogia bisogna stare attenti nel dividere le tappe perchè, a differenza del Vietnam, i paesi non sono così frequenti, e le strutture ricettive men che mai. Per dire: se non faccio sosta qui, devo per forza proseguire altri 70km (che vorrebbe dire pedalare 160km. Fattibile, ma una faticata inutile). Questa città è il capoluogo di una regione dedita all'agricoltura e alla pesca, e ha accolto tutti coloro che vivevano nei villaggi galleggianti sul fiume. L'ultimo è stato abbandonato ufficialmente nel 2022. Mi accolgono grandiosi cartelli che ricordano visite reali, qui, e la grandezza del partito attualmente al governo (non proprio democraticissimo, per il vero). In lontananza di intravedono i Monti Cardamomi (nome fantastico) e incappo in diverse botteghe che producono vasi e altari... Kompong Chhnang, in effetti, significa, porto dei vasi di argilla.






Non ho prenotato un hotel, ma ne ho individuati un paio in centro. Mi fermo nel primo, e mi convince. A farmi optare per questo è la guardia giurata, che non è un 100 ma neanche un 10, che, tutto orgoglioso nella sua divisa, rimira un ratto enorme morto e pieno di mosche. Immagino lo abbia ammazzato lui. Sempre lui, ogni volta che entro ed esco, mi ferma e mi fa brutto, perchè non mi riconosce, avendo io tolto il caschetto o cambiato gli occhiali da sole con quelli da vista. Però la camera è degnissima, e sul letto ci sono dragoni intarsiati e un cuscino-salsiccia-cadavere. Ci piace!




Questo primo giorno in Cambogia mi ha davvero stupita in positivo, così da iniziare con la zampa giusta questa sezione di viaggio, che, se immaginiamo come un in triangolo scaleno, è il lato più corto, alla base (di nemmeno 2 settimane; quello più lungo è stato e sarà sul finale in Vietnam, con 4 settimane abbondanti, mentre in Laos resterò 3 settimane). Insomma, son proprio contenta di questo assaggio di Cambogia. Dopo luci e ombre della capitale, ora inizio a vederne il volto più umile e autentico, più tranquillo, che sta rinascendo tra risaie e ricerca del bello, spiritualità e sorrisoni agli sconosciuti che giungono in pace. A proposito di pace, ho appena appreso degli accordi tra questo Paese e Thailandia, mediati dalla Malesia, per porre termine alle assurde ostilità. Che notizia benedetta!

30/7
Kampong Chhnang-Pursat
96km

Questa notte sì, dormo come si deve. Perchè il letto è comodo, come sempre, e la stanza fresca; ci sono alcune zanzare, ma poche (che brividilli pensare a che malattie una singola puntura può trasmettere... Meglio non pensarci e far doccia con l'Autan), e soprattutto c'è silenzio. Non ci si rende conto di quanto sia prezioso fin quando non ci si trova immersi 24/7 in ambienti caotici e rumorosi. Come il Vietnam nella sua interezza, come Phnom Penh. Qui, pur trovandomi al pian terreno a pochi metri dalla statale 5, dalle 21 la strada si svuota, e i pochissimi mezzi che passano lo fanno senza strombazzare nè sgasare. ai locali e dalle case non salgono musiche e grida o canti molesti, e pure lo staff e gli altri ospiti dell'hotel, entro le 23, smettono di far rumore. Io resto sveglia fino a mezzanotte passata, a leggere e scrivere, e sento solo un lontano latrare di cani e lo schiocco dei gechi. E basta. Il paradiso! Quindi mi godo un sonno ristoratore che mi ci voleva proprio. Mentre faccio colazione, leggo che la questione tra Cambogia e Thailandia non è affatto chiusa, perchè la prima accusa la seconda di aver ripetutamente violato il cessate il fuoco. Che casino... Mi sa che tocca rivedere un minimo l'itinerario per stare proprio alla larghissima dalle zone di confine.

Mentre penso a queste brighe, mentre lavo i denti, noto che nell'acqua marcia della pianta in bagno si muove qualcosa. Un qualcosa numeroso e brulicante... E' piena di larve! Non so di quale insetto o altra creatura, ma la visione mi orripila abbastanza. Vabe', ciao coinquilini, alla prossima.


Per uscire dalla città ne attraverso il centro, che non solo non è caotico, ma anzi, risulta molto piacevole tranquillo e ben tenuto. Pare tutto nuovissimo, dal gran pistillo stile torre di Angkor, nella rotonda, al monumento all'amicizia tra Vietnam e Cambogia, dagli addobbi della via del mercato notturno ai gran vasi colorati che ci ricordano che questa ne è la capitale.






Appena imbocco la strada che seguirò praticamente tutto il giorno, con poche deviazioni, e mi lascio alle spalle il centro abitato, mi apre intorno un paesaggio verdissimo di vegetazione sempre meno addomesticata quanto più si spinge lo sguardo all'orizzonte. Le dolci colline sono le ultime propaggini dei Monti Cardamomi, dove si trova anche la vetta più alta del Paese (Monte Aural, 1813m); più ci si allontana dalla pianura, più si incontrano riserve faunistiche, anche se solo di nome, perchè di fatto molte sono destinate in breve alla distruzione a causa della speculazione edilizia e delle concessioni agricole elargite a piene mani. I ranger sono particolarmente attenti alla salvaguardia del sassofrasso (nome che mi fa ridere tantissimo... Dai, il sassofrasso dei Cardamomi?), pianta da cui si estrae un olio particolarmente pregiato e profumato; servono tonnellate di legna per pochi litri di preziosa essenza, usata nella medicina tradizionale e, soprattutto, nella produzione dell'ecstasy. Per questo si è quasi estinto il povero sassofrasso. C'è pure un santuario dei coccodrilli, in caso, ma pare sia piuttosto raro avvistarli. Comunque, annotiamo: motivo numero trentasei per non avvicinarsi alle pozze d'acqua, agli stagni, ai fiumi, a niente.





Oggi lungo la strada incrocio molti meno paesi di ieri, ma ciascuno ha le sue pagode, i suoi templi dai tetti elaboratissimi, bianchi e oro, rossi e verdi, con naga e garude, gran statue del Buddha seduto, in piedi o sdraiato e alti guardiani minacciosi alle porte. La gente è sempre incredibilmente gioviale, tra saluti e sorrisoni, inchini e mani giunte, bimbi in bicicletta che frullano sui pedali per farmi vedere quanto vanno forte e altri che arrancano dovendo portare anche uno o due fratellini o sorelline sulla canna e sul portapacchi. Che ometti! Gli adolescenti, invece, si spostano spesso su motorini o miniscooter elettrici, tutti gobbi e annoiati, completamente presi dal telefono, mentre vanno a scuola. Di loro ho un poco di timore, memore del frontale fatto da Gigi in Thailandia proprio con due esemplari di adolescens minushabens. Resto larga, saluto forte, tengo d'occhio. E' la mia croce: devo stare attenta ai ragazzini dell'età dei miei alunni anche in vacanza dall'altre parte del mondo.


Quando passo davanti alle scuole, noto parcheggi all'ombra gremiti di bici e motorini, ampi cortili alberati e pagode e templi all'interno delle strutture. Probabilmente le due cose sono legate, da sempre, e, sopratutto nei paesi, la scuola sorge accanto al tempio e viceversa. Ho l'impressione che bambini e ragazzi stiano a scuola tante ore, mattino e pomeriggio, e abbiano quindi diversi momenti liberi. Entrano ed escono a comprarsi un sacchettino di arachidi o uno spiedino alle bancarelle, giocano, chiacchierano e puliscono i giardini con basse scope di saggina senza manico. Per contro, nei negozi, nei cantieri o alle bancarelle spesso vedo loro coetanei scalzi e un po' malconci a lavorare, anche in impieghi di fatica, come scaricare sacchi di farina o mattoni. La scuola non è ancora proprio per tutti, tanto che il tasso di analfabetismo si aggira intorno al 20%.

In questi paesini mi stupisce anche la presenza di cartelloni pubblicitari (di energy drink, provider internet o automobili) direttamente sulle case di legno e lamiera, a palafitta. Tanto sono semplici e umili queste, quanto stonano i colori e i le grafiche urlate. Probabilmente, affacciandosi alla strada, queste abitazioni fanno gola alle aziende, disposte a pagare qualche spiccio per affiggere le pubblicità.


I veri protagonisti, oggi, comunque, sono loro, i bufali d'acqua. Fa caldissimo e il sole tira potenti randellate sulla testa. Pedalo con vento teso e contrario, che mi rallenta, e mi costringe a stare ore e ore nell'afa abbacinante. E loro lì, belli spaparanzati nella melma a godersi il freschetto... Sono spiriti guida! Meno belle da vedere le facce di zebù esposte sui banchetti delle macellerie fuori dalle case o nei mercati. Non so se le vendano così, intere, o siano solo elementi decorativi... Di certo, piacciono alle mosche.




Raggiungo Krakor, unica città sulla strada, nota per i suoi bellicosi pescatori che, accusati di muoversi in riserve protette, si ribellarono e furono attaccati dalla polizia (3 morti a colpi di AK-47, compresa una donna incinta... Nel 2007). Ho le borracce vuote da un pezzo e mi devo assolutamente fermare a bere. Approfitto di una stazione di benzina con minimarket e praticamente svuoto i frigoriferi. Mentre mi godo queste delizie


mi torna in mente (vedi che bene raffreddare il cervello?) una noticina letta sulla guida i giorni scorsi. Parlava di un barchino che, nella stagione delle piogge (questa) permette di percorrere canali e fiumi e parte del lago Tonle Sap per raggiungere Battambang da Siem Reap e viceversa. Questa sarebbe una soluzione geniale per risparmiare tempo e stare lontana dal confine Thai. Disegnando la traccia generica, prima di partire, avevo previsto proprio questa via, ma pedalando... Perchè Komoot la propone nella traccia. Peccato che sia fattibile solo nella stagione asciutta, ora è palude e lago! Quindi, per aggirare il problema, i giorni scorsi ho tracciato una via alternativa, che gira tutto torno alla zon acquitrinosa... Ma chiaramente mi fa perdere un giorno e mezzo, e poi mi porta a pochi kilometri dalle zone calde... Che vorrei evitare. Allora faccio una ricerca al volo, trovo i contatti dell'agenzia che gestisce queste barche e scrivo su Whatsapp per avere informazioni riguardo al trasporto bici... Sono infatti barchini minuscoli, capaci di navigare in acqua basse e in canali di irrigazione, non sono molto ottimista. E invece... Ottengo subito risposta, e mi dicono che la bici si può trasportare. Evviva! Prenoto subito, per dopodomani. Ciò significa che tra due giorni, dopo 6 ore di navigazione, vedrò Angkor Wat? Incredibile! In più questo trasferimento in barca permette di vedere una riserva dove si trovano decine di specie di uccelli che vivono sul lago... Sarà una figata per sè!

Riparto estremamente soddisfatta della soluzione trovata, e mi imbatto nel vento, sempre contrarissimo e incazzatissimo, nei bufali d'acqua, e in una bella serie di brevi ma violenti acquazzoni, che, nel tempo in cui si manifestano, hanno già trasformato la strada in fiume, me in una fucina di moccoli, mandato in tilt il telefono e inzuppato ogni millimetro di vestiti, scarpe, capelli... Ma con il caldo che fa, non disegno, in fondo. Tra un temporale e l'altro, in dieci minuti di sole e vento, asciuga tutto.






Arrivo così, ben bollita, a Pursat, la meta di oggi. Come annunciato dalla guida, questa città è famosa per i suoi scultori di statue, sacre e non, e per l'artigianato nell'ambito dei vasi e delle terrecotte. Sarebbe anche la patria del neak ta, cioè del nume tutelare, Khleang Moeung, invincibile e divino nume tutelare che compare nelle leggende orali dal XVI secolo.









Prendo una camera in un hotel in centro, sul fiume, segnalato da Google per i prezzi (14 euro la stanza con l'aria condizionata, 6,5 quella con il ventilatore. Io, la seconda) e dagli autori della Lonely Planet per l'arredo. In effetti, è meritevolissimo. Il balcone affaccia sulla pagoda che fu scuola di belle arti e ora ospita il museo di storia locale, che però ha chiuso i battenti per il numero troppo esiguo di visitatori.





ciabatte fornite... rigorosamente spaiate, così non le si ruba






Esco, faccio spesa, e mi fiondo in camera a studiare bene tutto per Siem Reap e Angkor Wat. E' forse il luogo più importante di tutto il viaggio, e, per la sua estensione e complessità, necessita di essere preparato... Quindi via, con i quadrelli di tofu conditi con salsa di soia e le aranciate della Singha, marca di birra Thai con l'inconfondibile logo del dragone, a leggere e capire.


Ho prenotato già anche le tre notti a Siem Reap... Ho trovato un'offertona per un boutique hotel con SPA, piscina, colazione inclusa... Al posto di 130 euro per l'intero soggiorno... 22! Che bello essere Genius di milionesimo grado su Booking! Domani mi attendono poco più di 100km per Battambang, e da lì sarà tempo di imbarcarsi di nuovo. L'avventura prosegue, pedalando e navigando!

2 commenti:

  1. Mi piacerebbe assistere ad una lezione di storia, spiegata dalla Volpe,in cui racconta ed esprime tutti i passaggi che portano ad una guerra.
    Con le nozioni da lei studiate per diventare professoressa,e con le esperienze maturate in bici, potrebbe raccontarci cose interessanti. Ma soprattutto potrebbe aiutare a trovare una soluzione...ma la Volpe stessa definisce l'uomo uno strano essere vivente! Quindi ci vorrebbe una schiera di psicologi,psichiatri,per provare a guarire l'umanità!?
    Perché se aumentano al 5% del Pil la spesa militare, vuol dire che queste armi vogliono usare! Chi non ha visto il film Kunta Kinte,dove una popolazione aggressiva derivante da rifiuti di galera, si fa grossa spopolando i villaggi africani! Che dire poi del colonialismo,e delle bombe che la Francia ha provato in Africa! Questo è l'uomo...sembra quasi il titolo di un libro della Fallaci!

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