domenica 19 luglio 2020

14-15. L'Oder, il confine fluttuante. Polonia. Stettino. Linee, cicatrici, ponti.




17/7/20
giorno 14
Berlino-Schwedt Oder
121km


Venerdì 17 di anno bisesto, funesto e molesto, ma tappa bella bella bella in modo assurdo.
O almeno normale, insomma, diritta, senza problemi o sfighe varie. Anzi! Abbiamo evitato pero lo più la pioggia e il vento è stato a tratti a favore. Il fondo quasi sempre buono. Siamo pure arrivati presto e in un bel campeggio. La Germania vuole salutarci come si deve, che un arrivederci.
Eh sì, perché domani entreremo in Polonia, che, ora, riposa stesa di là dal fiume sulle rive del quale siamo accampati.
Dopo 11 giorni di Tedeschia, ora, ce ne andiamo ad est, e a nord. Diritti come una freccia scagliata attraverso il continente, dal Mediterraneo alla Lapponia e su ancora oltre, fino all’estremo confine setentrionale.

Ma per questo c’è tempo, ancora, e tanta strada spalancata verso l’orizzonte.
Parliamo delle cose vicine, di oggi.
Uscire da Berlino è stato facilissimo e sicurissimo. E’ proprio una città pensata per la mobilità dolce e, nonostante il discreto, ovvio traffico da capitale, in bici ci si sposta rapidi e senza pericoli. Ci sono ciclabili per ogni via e ogni stradone, passaggi di diversi kilometri interamente chiusi al traffico a motore e orde di berlinesi pedalanti che fanno massa critica.
L’unico problema, semmai, sono proprio gli altri ciclisti, lanciati a manetta verso un ufficio o un’aula, Ci sono businnessmen in giacca, cravatta e caschetto, studenti di ogni età, sciure che vanno a fare la spesa, operai di ogni colore che si recano al cantiere e mamme in carriera che si trascinano dietro carrelli pieni di pargoli, che, sulle curve, nella foga, deragliano e frullano i piccoli cervellini tedeschi costretti a quelle corse e a quelle derapate.
E guai a non aver la ruota perfettamente allineata agli stop, o a passare con un semaforo giallo. Il mancato rispetto delle regole del codice della strada è punito con la pubblica impiccagione e l’esposizione del cadavere ai pali del telegrafo.


Attraversiamo l’intera città, da sud ovest a nord est, passando per tutti i luoghi della storia che ieri abbiamo visitato. Sotto la Porta di Brandeburgo una foto è inevitabile, ma di corsa: stanno allestendo un palco per un concerto e, come ieri in altre piazze, oggi qui si manifesta contro quanto sta accadendo in Iran.



Poi via, verso la periferia est, di impronta marcatamente sovietica, con i suoi palazzoni grigi e i lastroni di cemento al posto dell’asfalto su strade e marciapiedi.
E i tubi esterni del gas e un senso generale di squallore, che mi catapulta coi ricordi a certi paesini Bielorussi e mi scombina le coordinate mentali.
Anche perché la luce, o meglio la sua assenza, il cielo cupo e l’aria lattecenere mi rimandano proprio ai tempi delle pedalate verso oriente e in Russia.
Attraversiamo alcuni paesotti tutti uguali, nuovi e senz’anima, con le case e il supermercato al centro. Ah, eccoli qui tutti i supermercati di Germania. Da oltre dieci giorni ne troviamo a fatica a malapena uno al giorno, e ora ce ne sono decine, a servire chi poi lo sa Dio. Quasi tutti Lidl fra l’altro.
Tra un paese e l’altro si aprono morbide collinette coperte di spighe e seminate a vento, visto il numero impressionante di pale eoliche enormi, con il loro stelo massiccio e i petaloni cupi che fan da girandola alle nubi bambine.

Arriviamo a Bernau beu Berlin, con le mura e le torri medievali che ancora abbracciano il centro, e un monumento sovieticissimo che pare un park pobiedi qualunque.






Da lì si giunge a Eberswalde, con i suoi canali e le sue terre in cui riposano gli internati del sottocampo di Ravensbruck, per lo più donne. Pioviggina, l’aria si raffredda e un brivido sale lungo la schiena.


Il bosco intorno alla strada si fa fitto e scuro e mormora cupe leggende di morte.
Ci addentriamo nelle paludi di Plagefenn, riserva naturale di selva fitta, pinete e acquitrini.
La strada sparisce, diventa letto di sassi, colabrdo i buche, di fango, di sabbie mobili, di sabbia e basta, Sabbia soffice e finissa, come ne ho trovata a sterminio in Polonia e poi pure in Russia. Sabbia, non terra. Impedalabile, che rende difficile anche spingere la bici a mano perché ci si affonda dentro.
Sabbia che rovina la catena e il cambio, le pastiglie dei freni, che finisce nelle scarpe, nelle calze, nelle borracce, tra i denti. Sabbia.
E bosco fitto, scuro, che si richiude su se stesso e pare pronto a inghiottirci.
Ma ne usciamo, passando pure per l’abbazia di Chorin, luogo di spiritualità e calma nell’oasi di silenzio che lo isola dal resto del mondo intorno. L’edificio in mattoni rossi, costruito a partire dagli anni ’70 del Duecento dai cistercensi di Lehnin, sbuca tra gli alberi che torri e scale, mura e il campanile, tutto sospeso tra rami e lago. Pare quasi una vetrata a mosaico, che si spezzatta in scaglie di luce.

Poi via, ancora nel fitto dei boschi, sulle sponde dei numerosi laghi paludosi che rendono questo luogo un misterioso gioco di specchi tra terra e cielo, tra grigioverde e grigioazzurro.











Da lì, poi, è stato un attimo attraversare le dolci colline coperte di spighe mature e girasoli che menano all’Oder, e alla sua ciclabile immersa nella riserva naturale del fiume.
Di questa ciclovia di lunga tratta ne percorreremo solo un pezzettino oggi e uno domani, fino a Stettino.













 
Qui si respira un’aria serena e stesa, ed è persino uscito un raggio di sole. Ci son campi dolci alla vista e prati che riposano gli occhi, lepri enormi e cigni e uccellini che volano proprio davanti al manubrio, quasi a indicare la strada.
Nella ritrovata luce del pomeriggio, ambramiele, la natura torna amica e docile, accogliente, buona persino. Di qua siamo in Germania, di là si stende la Polonia. E pensare che tanti danni ha fatto l’uomo nel tracciare linee da queste parti, come la Oder Neisse, per tanti e per tanto il confine che divideva l’Europa da qualcosa che Europa non è.


















Arriviamo rinfrancati a Schwedt Oder, città che affonda le proprio radici al fondo del VI secolo ed ora vive del turismo locale legato al fiume. Siamo anche noi nel campeggio del centro sportivo che organizza attività acquatiche di ogni genere. E’ pieno di cicloturisti, tutti tedeschi: uomini soli, coppie, famigliole con bimbi piccoli, mamme con i figli adolescenti… C’è un bel via vai colorato e vivace, che fa da contraltare al gracidare insistente della rane.





Scende la sera e si accendono le prime luci. Penso al viaggio fin qui. E' stato bello e tosto, più del previsto. L'Europa è una creatura curiosa, dai mille volti, alcuni spaventosi e deformi, altri meravigliosi, puri di altissima grazia. L'Europa, quella che si respira qui, è qualcosa di concreto, benchè abbia i confini fluttuanti e mobili come questo fiume, che separa e unisce. Però si sente un terreno comune di cultura e sogni, di storia e paure. Di ciò che siamo stati e vorremmo essere. Mi spaventa l'ignoranza di chi nega questo spirito del luogo-continente, questo genius loci proteiforme e inafferrabile. Mi spaventa chi, per non far lo sforzo di accogliere la complessità, alza un muro e chiude gli occhi.
Ma qui è pieno di gente che sa invece tutto questo. Persone che respirano la strada e conoscono l'altro da sè. Esseri umani aperti al diverso, al nuovo, al cambiamento. Bisogna avere una grande, enorme fiducia in loro, in noi.
E questo fiume canta la nostra smisurata preghiera stasera.





18/7/20
giorno 15
Schwedt Oder - Nowogard
121km

Che meraviglia svegliarsi con il sole e gli uccellino che cinguettano appollaiati sulla tenda! E un cielo azzurro madido di luce, che fa scintillare le gocce di rugiada e inargenta il prato. C'è profumo di erba umida, e tutti dormono ancora. Noi facciamo colazione nel tepore dei primi raggi e godiamo questa luce sconfinata che crea foschia all'orizzonte, e scalda e impregna ogni cosa. Oggi la Polonia vuole accoglierci con il suo vestito migliore.



Lasciamo il campeggio-centro sportivo mentre gli altri cicloviaggiatori si stanno alzando: qui si va a letto presto e ci si alza tardi, forse questione di clima, forse abitudine, forse necessità: molti hanno al seguito bambini anche molto piccoli e certo viaggiare con loro non deve essere un tour de force.
Ci rituffiamo subito sulla Oder-Neisse Radweg, la super ciclabile che ieri ci è apparsa bella e srotolata dritta e liscia come un sogno.
Era vero, anche oggi, ben svegli nel primo mattino, si riconferma tale.




Attraversiamo nell'aria sempre più calda le campagne vicine al fiume, verdi di ogni verde percepito dall'occhio umano e ancora assopite nella calma del primo mattino. Di gente ne passa pochissima e la ciclabile è tutta per noi.





Nei numerosi laghetti vivono papere e cigni, e nell'erba alta si scorgono persino delle gru, che si muovono a gruppi con molleggiata sicumera e mi ricordano Adelina e Guendalina Bla Bla degli Aristogatti.
Non mancano falchi e leproni mannari, e minuscoli topolini che corrono fuori dall'erba per recuperare un semino e poi se ne pentono e tornano terrorizzati, squittendo acuti, al riparo nei campi.





Dopo aver attraversato il fiume, la ciclabile entra in boschi dolcissimi che sussurrano parole di una lingua antica, ridono alla brezza che fa loro il solletico e accolgono benevoli il nostro passare. Gli dei di queste radici e di queste foglie sono propizi, contenti dei tronchi forti, colonne del loro tempio.






E' ora ormai di lasciare la ciclabile e percorrere gli ultimi kilometri che ci separano dal confine.
Sulle colline coltivate a cielo e denaro, a cielo ed amore, si susseguono sempre più radi minuscoli paesini. Fattorie, fienili, granai, stalle ed aie in cui razzolano allegre le galline. Ah, come son sempre soddisfatte le galline, e sicure di sè. Mai un dubbio attraversa la loro mente di sauri pennuti. La prossima vita, la prossima volta, gallina.



l'auto del preside?

parcheggiata a scuola


Con il vento che cerca di non farci andar via dalla Germania, raggiungiamo il confine, segnalato perfettamente e controllato per nulla.


Inevitabili le foto-testine-figurine, e interessante il paio di metri, terra di nessuno, che separa Germania da Polonia, e storicamente ovest da est, in questo mondo tondo dove ognuno fissa il suo paletto e decide chi sta di qua e chi di là. Senza considerare che basta fare il giro lungo per tornare al punto di partenza. Colombo ci ha scoperto un continente nuovo, in questo modo.




Una volta passato il confine, che è spalancato e libero al passaggio come piace a me, ci lanciamo di ciclabile in ciclabile verso nord, alla grande laguna che raccoglie le acque dell'Oder (e di molti altri fiumi minori) e le consegna al Baltico, dopo aver loro aggiunto una goccia di oro e una di sangue. Muoviamo verso Stettino, lungo stradoni assai trafficati, ma tutti con la loro brava pistina ciclabile a lato. Siamo ancora vicini alla Germania e questo primo impatto è ben diverso dai miei ultimi ricordi della Polonia, al confine con la Bielorussia, nella foresta di Bialowieza, sotto la pioggia, nella sabbia fangosa, e a bussar alla porta di vecchie tartare incartapecorite e gentili.

Non ci vuole molte per prender Stettino, e ci concediamo un momento di visita e pausa pranzo nella bella città ricca di storia e fascino che sta proprio a metà del nostro percorso. E' pur sempre la capitale del voivodato della Pomerania occidentale, il secondo porto del paese (e sbocco al mare di Berlino dopo il 1720, quando fu annessa alla Prussia) e un centro culturale vivace.

Cito Wikipedia, longa brevis

"Nel Medioevo la città era un fiorente centro commerciale e la capitale della Pomerania sotto la dinastia slava dei Greifen (Grifoni) così chiamata per via del suo simbolo nobiliare, un grifone rosso rampante. La dinastia regnò su Stettino e sul ducato di Pomerania fino alla morte dell'ultimo Greifen Boghislao XIV nel 1637.
Quindi Stettino passò sotto il controllo della Svezia (che già controllava pesantemente il Ducato quando l'ultimo Greifen era ancora in vita) e successivamente della Prussia.
A Stettino vennero stipulati quattro storici trattati:
  • la pace di Stettino, firmata nel 1570, che mise fine alla Guerra nordica dei sette anni tra Svezia, Danimarca e Lubecca;
  • il trattato di Stettino del 1630, che stabilì le condizioni per l'ingresso del ducato di Pomerania nella sfera politico-militare svedese nel corso della guerra dei trent'anni;
  • il trattato di Stettino del 1653, che pose termine alla controversia territoriale fra Svezia e Brandeburgo per la spartizione della Pomerania.
  • il trattato di Stettino del 1715, che sancì la partecipazione della Prussia e dell'Elettorato di Hannover contro l'Impero svedese nella Grande guerra del nord.
Dopo la seconda guerra mondiale, la città era di nuovo in Polonia. Churchill, in un lungo discorso tenuto nel 1946 a Fulton, nel Missouri disse:
«Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi Nazioni del mondo. Siamo lieti di vederne la bandiera sui mari. Soprattutto, siamo lieti che abbiano luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i nostri popoli. È tuttavia mio dovere prospettarvi determinate realtà dell'attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell'Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell'altro, non solo all'influenza Sovietica ma anche a un'altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca.»"

La nostra breve visita parte dalla Basilica Cattedrale di San Giacomo, che è così grande e così schiacciata tra gli edifici da non starci mai per intero nelle foto.
Iniziata nel 1187, questa chiesa è stata distrutta e ricostruita innumerevoli volte, causa guerre e tempeste (e costruttori non abilissimi, probabilmente). Nel 1901, dopo che si erano ormai sovrapposti gli stili di quasi un millennio, sembrava finita.
Ma i bombardamenti dal '44 la ridessero di nuovo in macerie e, fino al '71, rimase così, distrutta, perchè le autorità erano riluttanti a finanziare i lavori di ricostruzione. Quando fu loro fatto notare che sarebbe costato meno rimetterla in piedi che demolirla del tutto, i cantieri furono aperti e, dopo tre anni, riconsegnarono alla città la sua basilica. Moderna, snaturata e spoglia, ma integra.
Nel 2006 sono stati fatti altri lavori ed è stata ricostruita la guglia, in stile neobarocco.





A breve distanza si trova il castello dei duchi di Pomerania, imponente edificio quasi del tutto ricostruito negli anni '80 dopo esser stato ridotto in macerie dall'Armata rossa. Qui, oltre ai duchi che lo fecero costruire a metà del Trecento, si avvicendarono i regali culi dei detentori del potere, via via con il mutare degli eventi nel corso dei secoli: il governatore svedese, la regina di Polonia, principi prussiani (compreso il padre di Caterina II di Russia, nata e cresciuta qui).



L'edificio è imponente e maestoso, e ospita piccole collezioni in una cornice di grande fascino. Passiamo qualche minuto in silenzio a godere del fresco a del canto delle rondini che vivono tra queste mura spesse.






l'orologio scandisce il tempo dal 1693



i duchi di Pomerania ai tempi del Covid?

Poi, passando accanto alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, in stile gotico, costruita nel XII secolo nel luogo in cui sorgeva un bosco sacro.


Si scende di nuovo al fiume, alla terrazza monumentale Waly Chrobrego, simbolo della città e punto di osservazione privilegiato.











Da ultimo, ci portiamo al rynek, l'antica piazza del mercato, dove si trova il vecchio municipio (XV secolo) oggi museo.


Le deliziose casette colorate fanno da sfondo alla nostra pausa pranzo, e pare di respirare l'aria patinata di una cartolina.






il grifone rosso rampante, simbolo della città, su una vecchia pompa dell'acqua


Dopo questa parentesi da turisti, è ora di rimettersi in marcia, in direzione della meta di oggi, Nowogard.
Alle coste del Baltico arriveremo domani, per ora guadagniamo terreno spingendoci in diagonale a nordest.
Salutiamo Stettino un'ultima volta, dal fiume, e vediamo allontanarsi il suo profilo acuminato che fora le nuvole con le guglie.





In breve siamo di nuovo tra i bricchi, su strade ora larghe e nuove, ora rattoppate, strette e sforacchiate da buche che son lì dal '44.
Certo è che non siamo più in Germania e al traffico ora bisogna prestare attenzione.
I paesini che passiamo sono un po'lacchi, a vocazione agricola, con le casette e le chiesine in mattoni con il faccione di papa Wojtyla.
E i marciapiedi a piastrelle sconnesse e l'asfalto derelitto.




Facciamo una sosta-benzinaio (ah! Qui sì che son forniti di generi di conforto, vagamente quasi, alla lontana, come negli States) e notiamo che questi rotowurstel vanno per la maggiore tra avventori panzuti di alcool e signori in costume da bagno e scarpe a punta laccate.


Passiamo per Goleniow, circondata dalla foresta, legata a doppio filo alla storia di Stettino e teatro di orrori durante la seconda guerra mondiale: qui si trovava un campo di lavoro per prigionieri polacchi.
Mura, torri, chiese ed edifici storici si alternano ai casermoni sovietici in cui la gente vive come in enormi formicai. L'insieme è strano, ma non stona e trova il suo senso.






Gli ultimi kilometri sono un volo tra campi e pinete, mentre il cielo si spettina e cade persino qualche goccia di pioggia, che evapora presto al sole.




Il navigatore mi indica di imboccare l'autostrada e un passante, in auto, vedendoci esitare, ci esorta a imboccarla, dicendo che si può fare e non ci sono problemi. Opto però per una parallela, enorme e deserta e riasfaltata di fresco. Tranne gli ultimi 3km, che sono sterrati, improvvisamente. Come se la Milano-Torino diventasse di botto a sassi e sabbia oltre un certo punto.

Abbastanza cotti dalla tappa, in piano ma lunga e controvento, arriviamo a Nowogard, amena cittadina di villeggiatura che riposa sulle rive del lago Jezioro Nowogardzkie.
Come mi è spesso capitato negli altri viaggi in questo paese, metà delle strutture ricettive risultano chiuse, abbandonate, o momentaneamente fuori uso, e ci sono numeri di telefono appesi alle porte a cui nessuno risponde.
Dopo un certo peregrinare, decidiamo di fare un sacrificio, ovvero concederci l'hotel di lusso, vista lago, che costa ben 30 euro a notte (la doppia).
Insomma, son sofferenze.



Poi ne approfittiamo per ritirare un po' di zloty e far la spesa per la cena e la colazione, nonchè per una passeggiata rigenerante sulle rive del lago, dove vivono flottiglie di papere di varia foggia, che si avvicinano sperando di essere nutrite.




Sono ancora freschi i segni delle elezioni presidenziali, che han visto riconfermarsi per un soffio Duda, nazionalista, populista e destro che sta portando avanti una serie di riforme assai discutibili in tema di Europa, aborto, diritti Lgbtq+... Insomma, la Polonia è divisa e molti speravano in qualcosa di meglio, ma la democrazia è democrazia, e i numeri son numeri.


Intanto il sole si abbassa sull'orizzonte i ricama le onde di oro e rosa. La sera un forte chiarore illumina la distanza, e pare già che ci si avvicini alle notti bianche e alla luce che non chiude mai occhio.



Domani arriveremo al Baltico e ci immergeremo nel pieno della seconda metà del viaggio. Direzione a breve termine: Danzica. E ci avviciniamo a grandi falcate ai 2000km in sella, sempre dritti verso nord(est).

Nessun commento:

Posta un commento